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La nazionalizzazione delle masse: recensione del libro di George Mosse
“Pochi libri hanno tanta potenza suggestiva e sono così ricchi di vera cultura e di stimoli intellettuali e di suggerimenti metodologici come questo”.
Così, con tono quasi profetico (vista l’enorme influenza che successivamente questo studio ha esercitato) , Renzo De Felice apre la sua prefazione de “La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933)” di George L. Mosse che è oramai diventato un’opera classica del XX secolo per il ruolo chiave che ha ricoperto nel tracciare nuove linee di ricerca negli studi sui fascismi europei.
Prima di lui, infatti, gli storici avevano studiato il fenomeno dei totalitarismi come un qualcosa di strettamente legato agli anni che separarono le due guerre, tralasciando ed ignorando alcuni aspetti come i miti e i culti che costituirono in realtà l’essenza della politica fascista.
Mosse, in questo libro, focalizza la sua attenzione sulla Germania e sul Nazionalsocialismo mentre a Benito Mussolini e al Fascismo fa riferimento solo in maniera sporadica. Il suo studio ricostruisce le origini e lo sviluppo di quella che egli definisce “nuova politica”, la quale si fonda sull’idea di sovranità popolare (o più specificamente “volontà generale”) nata nel secolo XVIII e deve “essere considerata un fenomeno storico tipicamente tedesco”.
Il compito principale di quest’ultima è quello di cementare lo spirito nazionale, e attraverso la creazione e l’utilizzazione di feste e cerimonie, cercare di sollecitare e convincere l’intera popolazione a partecipare in maniera attiva alle celebrazioni del culto della nazione.
“La folla incomposta del popolo divenne, grazie alla mistica nazionale, un movimento di massa concorde nella fede dell’unità popolare. La nuova politica offrì un’oggettivazione della volontà generale, ciò che trasformò l’azione politica in una rappresentazione drammatica della quale si pensava fosse attore il popolo stesso”.
Mosse mette in evidenza il carattere anti parlamentare che la nuova politica va assumendo col passare del tempo e il fatto che quest’ultima, in quanto “movimento e democrazia di massa”, ha una lunga storia alle spalle, prima di essere strumentalizzata e perfezionata dal nazismo e dal fascismo.
“Furono proprio i miti e i culti dei primi movimenti di massa che diedero al fascismo una base dalla quale operare e lo misero in grado di rappresentare un’alternativa alla democrazia parlamentare. Milioni di persone videro nelle tradizioni di cui parlava Mussolini una possibilità di partecipazione politica più vitale e più significativa di quella offerta dall’idea borghese di democrazia parlamentare, e questo poté succedere solo perché esisteva una lunga tradizione rappresentata non solo dai movimenti di massa nazionalisti, ma anche dai movimenti di massa dei lavoratori”.
In Germania il processo di nazionalizzazione delle masse ha inizio nel XIX secolo: ad un primo periodo comprendente gli anni che vanno dal 1814 (anno delle guerre di liberazione contro Napoleone) al 1871 (unificazione tedesca), e caratterizzato dalla lotta contro le istituzioni vigenti, ne segue un secondo (dal 1871 al 1914) in cui la nuova politica subisce una profonda crisi a causa della Realpolitik portata avanti dal cancelliere Otto von Bismarck, il quale pone al primo posto il ruolo e il potere dello Stato mettendo in secondo piano quella specie di sentimento nazionale che si è andato formando nei decenni precedenti.
“Lo Stato cercò di far sua la dinamica nazionalista e di ricondurla, domata, nella rispettabilità”, tuttavia, “le minoranze furono trascurate, gli stati autonomi mantennero molti poteri e il conservatorismo di Bismarck apparve incapace di frenare le divisioni sociali”.
In seguito, durante la Repubblica di Weimar, che tenta senza successo di istituire delle feste proprie, la destra radicale, che combatte il governo parlamentare, riesce a rianimare lo spirito delle masse facendo riacquistare a queste ultime quella vitalità che le hanno contraddistinte fino all’unificazione nazionale.
Uno degli aspetti più importanti della nuova politica è la sua fusione con l’arte; l’estetica, infatti, ricopre un ruolo di fondamentale importanza per la sua capacità di saldare insieme i miti, i simboli e i sentimenti della popolazione. In questo contesto i monumenti nazionali costituiscono la massima auto-rappresentazione della nazione e per la loro costruzione gli architetti si distaccano dal concetto greco di bellezza dato da Joachim Winckelmann, il quale elogiava la semplicità, accostandosi sempre di più all’idea di “monumentale”.
Il monumento, infatti, ha come obiettivo quello di lasciare esterrefatti ed estasiati i visitatori per la sua grandiosità e la sua maestosità, e proprio per questo motivo esso deve essere visibile da una grande distanza e dominare l’ambiente naturale che lo circonda.
Insieme con lo spazio circostante, i monumenti nazionali rappresentano il luogo sacro dove si svolgono e si sviluppano tutte le cerimonie pubbliche nel corso del XIX secolo. Durante queste celebrazioni e questi riti si affermano anche alcuni simboli come: la fiamma, che tra le tante cose stava ad indicare la germanicità ma anche la vittoria della luce sulle tenebre, la quercia (l’albero della libertà), la croce e la bandiera.
La nazionalizzazione delle masse: le feste patriottiche
Le feste patriottiche, sin dal principio, prendono spunto dalla tradizione cristiana, accogliendo ed emulando tutti gli elementi e le fasi delle liturgie religiose. Il nazionalsocialismo, dal canto suo, cerca di distinguere in maniera inequivocabile le proprie cerimonie da quelle del cristianesimo:
“Le feste naziste si mantennero autonome e non fecero che adattare alle proprie esclusive finalità i vari momenti della liturgia cristiana: l’Introitus, cioè l’inno cantato o recitato all’inizio del servizio religioso, fu sostituito dalle parole del Fuhrer, il Credo, o professione di fede, divenne un’affermazione di fedeltà all’ideologia nazista e il sacrificio della messa fu trasformato in una commemorazione dei martiri del movimento. I nazisti valorizzarono anche la cosiddetta festa mattutina come mezzo per stabilire una netta separazione tra la religione nazionalista e il cristianesimo: essa si svolgeva infatti la domenica mattina, proprio con l’intenzione di distogliere la gente dall’andare in chiesa”.
Enorme è il contributo dato da alcune associazioni di carattere patriottico e nazionalistico allo sviluppo e all’evoluzione di queste feste; su tutte ricoprono un ruolo di primo piano le organizzazioni ginniche, quelle dei cori e quelle dei tiratori.
Il movimento dei ginnasti trova grande seguito, sin da subito, accogliendo tra le proprie file non solo giovani ma anche un alto numero di lavoratori desiderosi di raggiungere quell’unità tra corpo e spirito, tanto sponsorizzata dall’organizzazione, che avrebbe dovuto dare vita all’uomo tedesco ideale.
“Lo sviluppo delle associazioni ginnastiche, dalla loro prima esibizione su un prato fuori Berlino, non comportò innovazioni, ma solo un ampliamento della prassi già esistente. Tali feste rivestivano un’importanza fondamentale e alla fine del secolo XIX era ormai diventato chiaro che le competizioni sportive contribuivano alla formazione dell’ideale uomo tedesco e che, cosa ancora più importante, erano ormai una componente della liturgia nazionale”.
Caratteristica principale dei cori maschili, invece, è inizialmente una sorta di “esclusivismo borghese” che costituisce un duro ostacolo per il loro sviluppo.
“Lungo tutto il corso della loro storia essi si trovarono di fronte al problema di come diventare delle organizzazioni veramente nazionali. Essi sentirono il pressante bisogno di abbandonare il proprio esclusivismo e di attirare nella loro orbita tutto il popolo, di usare insomma la propria arte per svolgere un ruolo significativo nella liturgia nazionale. La vita musicale doveva fondersi, attraverso il canto, con la vita sociale”.
Soltanto negli anni 50 dell’800 i membri dei cori iniziano a riunirsi settimanalmente trasformandosi in una vera associazione ed elaborando dei propri rituali. Iniziano ad essere patrocinate gare canore che col passare degli anni assumono la fisionomia di feste nazionali: “I cori percorrevano la città con bandiere ed emblemi, ascoltavano discorsi patriottici e la lettura di poesie e cantavano le proprie canzoni. Spesso a queste celebrazioni si univano le associazioni dei tiratori e dei ginnasti e ben presto l’intero spettacolo assunse l’aspetto di una manifestazione di massa”.
I cori maschili mantengono sempre intatto e inalterato il loro forte sentimento nazionale e a differenza delle altre organizzazioni partecipano a tutte le cerimonie, anche durante il Secondo Reich e la Repubblica di Weimar, mettendo da parte ogni considerazione di tipo politico.
Anche le associazioni di tiro al bersaglio, che si costituiscono in un’organizzazione nazionale nel 1862, creano delle proprie feste in cui oltre ad organizzare gare danno vita ad iniziative di carattere sociale. Queste cerimonie, alle quali molto spesso prendono parte i cori, si mantengono sempre separate dalle celebrazioni repubblicane poiché anche tra i tiratori aleggia la convinzione di essere al di sopra dei partiti e di dover contrapporsi e abbattere il sistema parlamentare.
“E’ innegabile però che i tiratori, in quanto vasta organizzazione popolare, costituirono un esempio per l’organizzazione delle masse. Insieme con i ginnasti ed i cori, essi formarono un unico grande gruppo patriottico che per oltre un secolo prima dell’andata al potere dei nazisti sostenne e partecipò ai riti nazionali. La loro stessa esistenza e il loro modo di operare come organizzazione di massa furono perciò importanti nella diffusione della liturgia nazionale”.
Adolf Hitler comprende molto bene il ruolo da protagonista che la liturgia politica è andata assumendo, sia dal punto di vista ideologico che pragmatico, e la adotta per i cerimoniali del suo movimento delegando ai suoi sottoposti il compito di curarne ogni singolo aspetto, e limitandosi a criticare e a far correggere ciò che non è di suo gradimento. Megalomane e sicuro di sé, il leader del nazionalsocialismo, considera l’autonomia e l’utilizzo della liturgia politica “l’unico elemento veramente in grado di assicurare continuità” al regime nazista.
Egli ,“con la sua vanità, non poteva nemmeno concepire che il suo successore potesse possedere la sua stessa forza di attrazione magica; per questo si doveva far predominare il rituale, perché così facendo non avrebbe avuto un gran peso l’eventualità che il futuro Fuhrer fosse una piccola canaglia; egli si sarebbe fatto strada ugualmente grazie al rito nazionale”.
La nazionalizzazione delle masse: la svolta storiografica di George Mosse
La nazionalizzazione delle masse deve essere considerata una lettura obbligatoria per ogni storico di professione o che si accinge a diventarlo, in quanto ha rappresentato una vera e propria svolta storiografica in questo specifico settore di studi. Mosse, come ha fatto anche in altri suoi libri, descrive molto dettagliatamente le vicende ed utilizza un grande numero di fonti che in alcuni tratti tendono a rallentare ed appesantire la lettura.
Tra il vasto apparato di note, l’autore può vantare anche un’intervista con Albert Speer, ministro per gli armamenti durante il Reich e architetto personale di Hitler, che appare più volte dando quindi ulteriore spessore e valore al libro, e nello stesso tempo, è di enorme importanza in quanto svela e fa chiarezza, tra le tante cose, su quali fossero i gusti e le preferenze artistiche ed architettoniche del Fuhrer.
Di Mosse si può apprezzare lo stile ed ammirare il metodo di ricerca sia in questo libro che in un altro suo lavoro “Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto”. La cosa più importante che si riscontra ne ”La Nazionalizzazione delle Masse” è il fatto che l’opera demolisca la credenza e la convinzione, che è solita nascere dopo uno studio manualistico e superficiale della storia, che le celebrazioni, i riti e le rappresentazioni sceniche siano state una creazione esclusiva del nazismo. In realtà è vero che questo stile politico raggiunge l’apice durante i totalitarismi, ma non è assolutamente una novità.
I nazisti si trovano davanti ad una tavola già ben allestita e con una lunga tradizione alle spalle dalla quale poter attingere a proprio piacimento. Tutte le varie associazioni perdono la propria indipendenza e vengono assorbite e fagocitate dal nazismo, il cui grande merito è quindi quello di aver fatto propri tutti gli elementi della nuova politica, portandoli alla perfezione, e di aver ereditato il modo di trasformare una folla caotica in un movimento di massa.
Come viene ben sottolineato nel libro, i discorsi pubblici di Adolf Hitler ricoprono un ruolo del tutto marginale durante le cerimonie, nel senso che “quello che veniva detto finiva per diventare meno importante dello scenario e dei riti che facevano da contorno al discorso“. Le rappresentazioni sceniche, le sfilate, l’atmosfera di eccitazione generale che permeava l’aria, hanno il sopravvento su tutto il resto, gettando la folla in estasi, ed in questo contesto il discorso non fa che diventare parte integrante del rito. Forse ci si sarebbe aspettati un maggiore approfondimento sui discorsi di Hitler da parte di Mosse, il quale ne parla solo in due pagine, tutto ciò però non va ad intaccare o mettere in discussione la monumentalità dell’opera.
Per quest’ultimo, vittima diretta delle persecuzioni naziste, sarebbe stato probabilmente molto più semplice liquidare ed etichettare (come fece ad esempio Benedetto Croce) tale fenomeno storico come “un’aberrazione della storia”, mentre invece egli ha fatto prevalere l’imparzialità dell’indagine storica sulle proprie esperienze personali. Mosse, infatti, si è immerso totalmente all’interno della cultura nazionalsocialista studiandone “le idee, la mentalità, i principi, i valori, i miti e i simboli” per comprendere fino in fondo il fascino che il proprio persecutore ha esercitato sulle masse.
L’autore si distacca con coraggio e decisione da tutte le interpretazioni storiche convenzionali sul fascismo che la tradizione ha tramandato e in molte delle quali spesso il giudizio morale ha avuto la meglio sull’imparzialità dell’indagine storica, operando da “agente provocatore”, un po’ come ha fatto in quegli stessi anni Renzo De Felice in Italia.
Proprio su questo aspetto del suo atteggiamento storiografico Mosse è stato abbastanza esplicito in alcuni momenti della sua biografia intitolata “Di fronte alla storia”.
” Come storico professionale, ho una certa pratica nel cercare di risalire all’indietro nel tempo per vedere come gli uomini del passato intendevano il loro mondo. Ho sempre pensato che l’empatia sia la qualità principale che uno storico deve coltivare, e spero che questa convinzione mi sia stata utile quando si è trattato di ripercorrere la mia lunga vita. L’empatia significa accantonare i pregiudizi contemporanei e guardare al passato senza timore né favore. Sono fermamente convinto che per comprendere il passato uno storico debba empatizzare con esso, entrargli per così dire sotto la pelle, in modo da vedere il mondo attraverso gli occhi dei suoi attori e delle sue istituzioni.
Non a torto lo storico Emilio Gentile ha parlato di una “rivoluzione mossiana”per quel che riguarda la storiografia sul fascismo e sul nazionalsocialismo. L’imparzialità, l’originalità e le novità introdotte nei metodi di ricerca hanno fatto di George Mosse un modello illustre da seguire per tutti gli storici.
I 3 libri consigliati da Fatti per la Storia
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- George L. Mosse – La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933)
- George L. Mosse – Di fronte alla storia
- Emilio Gentile – Il fascino del persecutore. George L. Mosse e la catastrofe dell’uomo moderno