CONTENUTO
“Nel luglio 1968, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) aprì l’epoca del cosiddetto “pubblicity terrorism” dirottando un volo della compagnia israeliana El Al, partito da Roma e diretto a Tel Aviv. Il Vecchio Continente diventava così uno degli scenari di lotta. Quasi cinquant’anni prima dell’attacco al Bataclan di Parigi, nel novembre 2015, gli europei diventavano ostaggio del terrorismo mediorientale”.
In questo nuovo libro “La diplomazia del terrore (1967-1989)” pubblicato da Editori Laterza, la storica Valentine Lomellini analizza il fenomeno del terrorismo internazionale prendendo in considerazione l’arco di tempo racchiuso tra il 1967 e il 1989.
Studiando la documentazione conservata in diversi archivi sia italiani che stranieri (tedeschi, francesi, americani, inglesi ed europei) l’autrice ricostruisce, con dovizia di particolari, la strategia politica adottata dai paesi della Comunità Europea per contrastare e arginare gli attentati terroristi di matrice arabo-palestinese che a partire dal 1968, con il dirottamento del volo Roma-Tel Aviv della compagnia israeliana El Al, scuotono la società e l’opinione pubblica europea.
Dalla fine degli anni Sessanta, infatti, Italia, Francia, Repubblica Federale Tedesca e Gran Bretagna, già alle prese con azioni terroristiche di matrice interna, devono far fronte ad una nuova minaccia: le organizzazioni armate, nate in Medio Oriente, che internazionalizzano la propria lotta esportando il terrorismo in Europa.
L’oblio della storia
La memoria umana è labile, è risaputo, e nel lungo elenco degli eventi storici dimenticati dai contemporanei si può legittimamente inserire anche il fenomeno del terrorismo internazionale degli anni Settanta e Ottanta. Per accendere l’interesse su questa tematica, già poco trattata dagli stessi storici nel corso degli anni Novanta, non ha contribuito nell’immediato neanche l’attentato alle torri Gemelle dell’11 settembre 2001 che ha scosso profondamente il mondo occidentale per il tipo di target colpito dagli attentatori e per il rilevante numero di vittime provocate.
“Beneficiando di una sorta di auto-rimozione collettiva, nelle dichiarazioni ufficiali dopo l’11 settembre nessuno tra i principali leader europei fece riferimento alle precedenti esperienze dei rispettivi governi nella ventennale lotta al terrorismo internazionale. Nessuno (o quasi) ricordò (e ricorda) che il terrorismo internazionale ha per prima colpito l’Europa, producendo una serie di attentati con esiti più o meno tragici, in termini di vittime, per vent’anni; e persino una parte importante dei contributi scientifici sul tema si focalizza su una prospettiva post 11 settembre, dimenticando quanto era accaduto in precedenza”.
Nonostante ciò l’11 settembre ha comunque rappresentato una svolta per quel che riguarda gli studi internazionali sul terrorismo che hanno subito, nel corso degli ultimi anni, un incremento esponenziale che ha portato alla creazione di un ricco e variegato “corpus di analisi sul tema”. Prima dell’attentato alle torri gemelle pianificato e rivendicato dall’Organizzazione terroristica Al Qaeda, sia il terrorismo arabo-palestinese, sia quello islamista, avevano precedentemente optato per l’esportazione della propria lotta armata.
La diplomazia del terrore (1967-1989)
Il principale obiettivo della ricerca svolta da Lomellini è quello di mostrare l’impatto avuto dalle azioni terroristiche arabo-palestinesi, di matrice politico-nazionalista, nelle relazioni internazionali e la conseguente reazione politica e strategica dei paesi direttamente coinvolti dalle attività criminali.
Partendo dall’attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972 sino alla strage di Lockerbie del 1988, passando attraverso gli attacchi contro l’aeroporto di Fiumicino e la nave da crociera Achille Lauro, lo studio vuole anche comprendere per quale motivo l’Europa non sia riuscita a vaccinarsi contro il terrorismo internazionale del Novecento e a prevenire la nuova ondata di violenza politica che ha avuto inizio l’11 settembre 2001.
L’autrice espone in maniera chiara il frutto del proprio lavoro di ricerca attraverso un approccio metodologico lineare ed efficace:
“Ho ritenuto utile indagare quali fossero le reazioni dei singoli Stati membri ai principali attentati terroristici per comprendere la loro posizione internazionale rispetto alla lotta al terrorismo. Il volume tiene in considerazione gli studi esistenti sulla cooperazione intergovernativa in ambito comunitario e delle Nazioni Unite, focalizzandosi sulla zona grigia della collaborazione politico-operativa informale e della definizione delle politiche dei singoli Stati membri. (…) Sotto il profilo storiografico si è reso necessario combinare un approccio più tradizionale, di storia diplomatica, con un approccio di storia transnazionale.”
Di fronte alla minaccia comune i principali paesi europei avviano una collaborazione, che si dimostra inefficace, con scambio di informazioni attraverso i servizi di sicurezza dei vari Stati. A partire dal 1973, poi, la comunità internazionale identifica in Libia, Iraq e Siria i tre Stati canaglia che sponsorizzano e appoggiano il terrorismo internazionale.
Quello che risulta evidente dai documenti analizzati dall’autrice è l’incapacità dei paesi europei di comprendere fino in fondo la natura del fenomeno che si trovano di fronte perché lo osservano con lo sguardo bipolare del contesto geopolitico della Guerra Fredda. Tale sguardo distorto degli europei individua nella Russia sovietica lo Stato che manovra per propri fini politici tutte le organizzazioni terroristiche:
“Le reti delle autorità europee di sicurezza furono fortemente condizionate dall’immaginario di un “grande vecchio” al Cremlino che muoveva i fili del terrorismo arabo-palestinese. Che Mosca e le autorità del blocco comunista avessero i propri interessi nel fomentare la sovversione nell’Europa Occidentale era plausibile; ciò era tuttavia differente dal ritenere che il Cremlino fosse a capo di una rete internazionale del terrore”.
Oltre alla cooperazione multilaterale tra loro gli stati europei decidono di adottare una politica di appeasement e di compromesso con i paesi sponsor del terrorismo perseguendo il duplice obiettivo di salvaguardare l’incolumità territoriale dagli attentati e la propria sicurezza a livello geopolitico.
Per questo motivo il terrorismo internazionale ha per Lomellini un effetto perverso in quanto l’uso della violenza ottiene come risposta una proposta di “inclusione che mirava alla stabilizzazione del sistema delle relazioni internazionali, al suo congelamento in un’ottica che prevedeva il consolidamento delle leadership esistenti“.
Tale strategia di appeasement, di cui la vicenda italiana del Lodo Moro è un esempio, ottiene dei risultati positivi nel medio periodo garantendo ai paesi europei una certa sicurezza in relazione all’immunità da attentati.
Valentine Lomellini racconta La diplomazia del terrore
Valentine Lomellini è Docente Associata di Storia delle Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Padova dove insegna Terrorism and Security in International History. Tra le sue pubblicazioni precedenti si ricorda La grande paura rossa. L’Italia delle spie bolsceviche (1917-1922) (Franco Angeli Editore, 2015) e per l’Editore Laterza il volume “Il lodo Moro. Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986” con il quale ha vinto il Premio Pozzale-Luigi Russo.
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