CONTENUTO
L’ultimo principe di Sicilia
La Palermo della seconda metà del Settecento è una delle più ricche città d’Italia, che vede crescere e sviluppare l’edilizia, l’industria e il commercio; i salotti d’Europa la descrivono come una città colta, raffinata e festosa, dove le diverse dominazioni succedutesi nel tempo hanno lasciato tracce indelebili ed un patrimonio architettonico unico. Palermo è la Capitale del Regno di Sicilia che, sotto la nuova dominazione dei Borboni, torna ad essere uno Stato indipendente seppur in unione con il Regno di Napoli.
E’ in questo contesto che si muove l’autore Elio Manili nel raccontare con grande dovizia di particolari le vicissitudini dell’ultimo rampollo del più importante Casato del Regno, quello dei Branciforte, il cui simbolo araldico raffigura un leone che regge il vessillo con le zampe monche, simbolo di coraggio e di forza. Il primo principe della famiglia Branciforte è già in Sicilia ai tempi di Federico II di Svevia e i discendenti entreranno in possesso di vastissimi feudi in ogni parte dell’isola; questo prestigio acquisito fa del Casato Branciforte il primo titolo del regno, con il privilegio di sedere accanto al Viceré di Sicilia.
Ercole Michele Branciforte è il protagonista indiscusso di questo romanzo storico, L’ ultimo principe di Sicilia. Da Palermo a Napoli sulle orme di Ercole Michele Branciforte, di cui l’autore pone in risalto la caratterizzazione umana e psicologica, i suoi stati d’animo, il suo forte temperamento che lo porta ad essere venerato dal popolo, quasi come un regnante, rispettato dai suoi pari ma anche temuto dai potenti. Ercole è il figlio di Salvatore Branciforte, nono Principe di Butera, a capo del braccio baronale del Parlamento di Palazzo dei Normanni, in virtù del possesso del più alto numero di feudi in Sicilia.
Il Parlamento siciliano è il più antico del mondo, creato dal primo re normanno Ruggero d’Altavilla per premiare l’aiuto dei baroni siciliani nella cacciata degli arabi dall’isola. La prima assemblea parlamentare si tiene nel 1130 e da allora si riunisce ordinariamente ogni tre anni con il principale compito di approvare lo stanziamento dei cosiddetti “donativi” per le esigenze della Corte Reale, in presenza di tre distinti bracci: il braccio ecclesiastico, composto da alti prelati e guidato dall’arcivescovo di Palermo; il braccio demaniale, comprendente i rappresentanti delle città demaniali siciliane, presieduto dal Pretore di Palermo; il braccio baronale, comprendente tutti i nobili di Sicilia e a cui capo da qualche secolo si trova appunto la famiglia Branciforte.
Dalla rivolta di Palermo alla Corte di Napoli
Nel 1773, usando a pretesto il grave problema della carestia, alcune delle più importanti famiglie di nobili siciliani cospirano contro l’anziano Viceré Giovanni Fogliani, uomo politico di lungo corso al servizio del Regno. La mancanza di pane, la cattiva gestione dei forni e il ruolo degli speculatori che fanno aumentare a dismisura i prezzi dei beni di prima necessità, sono le leve per la rivolta popolare e per portare all’allontanamento del Viceré da Palermo.
Nel mese di agosto dello stesso anno al grido di “Viva il Re, fuori il Viceré” il popolo palermitano si solleva contro il governo e punta in massa verso il Palazzo Reale. Il Fogliani è costretto a lasciare il Palazzo, aiutato e protetto proprio da Ercole Branciforte che riesce a frenare gli animi più facinorosi e addirittura fa da scudo al Viceré scortandolo in carrozza, in compagnia dell’arcivescovo di Palermo, fino al molo per la sua fuga precipitosa. Dopo l’invio di due battaglioni di soldati da Napoli, viene finalmente ristabilito l’ordine in città e tutti i cittadini restituiscono le armi sottratte alle truppe durante i tumulti.
Il coraggio e la personalità dimostrati da Ercole nel corso della rivolta palermitana non sfuggono agli occhi della Corte di Napoli: il Re Ferdinando IV lo nomina gentiluomo di camera, un privilegio che spetta ai nobili più meritevoli per esprimere la gratitudine di quanto fatto nei confronti del Viceré. Ercole può così vivere un’esperienza di grande prestigio all’interno della Corte Reale di Napoli e, giunta l’estate del 1774, anche nei favolosi locali della nuova Reggia di Caserta. Con grande orgoglio, Ercole può rappresentare la sua terra al cospetto del sovrano e la descrive come:
…una bellissima donna che sa farti soffrire prima di aprirsi completamente (…) Chi se ne innamora non vuole più lasciarla e se parte finisce per avvertire la nostalgia del suo mare, della sua gente, dei colori e della bellezza dei suoi paesaggi.
Ma, soprattutto, il principe di Butera può cogliere l’occasione di conoscere da vicino Re Ferdinando e di studiare la sua natura umana, appurare il suo profondo senso dell’humour, le sue simpatiche stravaganze ma anche la sua predisposizione a saper stare in mezzo alla gente e sapersi ben destreggiare in qualsiasi ambiente. Molto efficace la descrizione dei tratti caratteristici della personalità del sovrano di Napoli, definito negli ambienti “Re Lazzarone“, persona molto passionale e incline ai rapporti sociali ma che preferisce sfuggire alle responsabilità politiche e delegare tali compiti alla moglie, la regina Maria Carolina d’Austria, ben più avvezza a districarsi nei giochi di potere del Regno.
E’ proprio durante il soggiorno presso la Corte Reale napoletana che Ercole fa la conoscenza del Marchese Domenico Caracciolo di Villamaina, ambasciatore del Regno in Francia, noto per essere un assiduo frequentatore dei salotti culturali parigini e fervente ammiratore delle idee degli illuministi francesi, imbevuto della filosofia rivoluzionaria che si va affermando e fiero oppositore del sistema feudale, visto come un’usurpazione disonesta e arbitraria nei confronti del popolo. L’astio è ovviamente reciproco tra il Marchese di Villamaina e il Principe di Butera, essendo quest’ultimo il più grande dei proprietari feudali in Sicilia e quindi esponente principale di quel sistema vituperato.
Il “rivale” illuminista, gli intrighi di corte
Il 4 agosto 1781 Domenico Caracciolo è il nuovo Vicerè di Sicilia e dietro la sua nomina sembra si nasconda l’occulta regia della regina Maria Carolina. Il nuovo incarico viene ovviamente vissuto con preoccupazione non solo da Ercole Branciforte, che ha già conosciuto personalmente il Marchese di Villamaina durante la sua esperienza a Napoli, ma anche dagli altri nobili siciliani di pari grado, consapevoli che “l’amico dei francesi” è un fanatico dell’emancipazione del popolo e della classe borghese.
Le preoccupazioni sono veritiere perché il Caracciolo è proprio intenzionato a demolire la salda roccaforte feudale e aristocratica siciliana, avvalendosi sin da subito della collaborazione di un giovane giudice e autore di un saggio di stampo illuministico, Francesco Paolo Di Blasi, per unire le idee in un vasto piano di riforme politiche e sociali.
In un periodo di profondo travaglio storico, la rivalità tra il Caracciolo e il Branciforte viene descritta con gustosi particolari e assume i contorni di una sfida tra le nuove idee illuministiche che avanzano e il vecchio sistema feudale siciliano, con lo strapotere della nobiltà (e del clero) rispetto alle altre classi sociali. La convocazione dei nobili a Palazzo Butera, riuniti in un consiglio segreto per contrastare l’opera dell’inopportuno riformatore, è un’iniziativa del Branciforte nella sua veste di prima carica del Regno di Sicilia e di primo feudatario, nel timore che prima o poi il Caracciolo finisca per cancellare i diritti secolari dell’aristocrazia e colpire gli interessi delle corporazioni.
Addirittura il Principe di Butera deve subire l’onta della carcerazione in una cella nella fortezza del Castello a Mare di Palermo, arrestato per ordine del Viceré che approfitta della conoscenza di una circostanza (l’avere favorito, Ercole, la latitanza di due ricercati) per vendicarsi sul suo rivale.
Dal 1781, per cinque anni, l’opera riformatrice del Caracciolo a Palermo tenta di abbattere i privilegi plurisecolari dei nobili ma, nonostante si impegni anima e corpo alla realizzazione del suo progetto, non riesce a mettere in discussione il ruolo della nobiltà come classe dirigente del Regno. Nei primi mesi del 1786 Re Ferdinando lo richiama a Napoli per affidargli la carica di Primo Ministro, ovviamente con il sospiro di sollievo di tutta l’aristocrazia siciliana.
Il nuovo Viceré Francesco D’Aquino, il principe di Caramanico di cui sembra non ci sia nulla da temere, in realtà appartiene alla massoneria e mantiene i contatti con le forze eversive dell’isola, in particolare con il giudice Di Blasi, pupillo del suo predecessore. La battaglia contro i nobili continua anche se in una forma più subdola, meno plateale del passato e più difficile da controllare.
D’Aquino rimane per quasi nove anni in carica, fino al 9 gennaio 1795 quando a porre fine al suo incarico è la sua morte per avvelenamento, un effetto degli intrighi di corte per la lotta al potere. Sorte non migliore ha il Di Blasi, nella primavera dello stesso anno, che viene arrestato e condannato alla decapitazione perché accusato di voler preparare una sollevazione popolare contro il dispotismo feudale e la monarchia.
Fine del feudalesimo e del Regno di Sicilia
Nell’ultima parte del romanzo pubblicato da Bonfirraro Editore, le vicende siciliane del Principe di Butera si intrecciano con uno dei periodi più intensi della storia, vero spartiacque tra l’età moderna e l’inizio dell’età contemporanea. L’eco della Rivoluzione francese e delle drammatiche notizie provenienti d’Oltralpe arrivano sino in Sicilia e una persona arguta come Ercole Branciforte si rende conto che i tempi stanno per cambiare, la borghesia preme per ritagliarsi la propria fetta di potere e uno spazio da protagonista nel nuovo scenario.
La campagna militare francese in Italia, guidata dal giovane generale Napoleone Bonaparte, è fulminea e desta preoccupazione alla Corte di Napoli, soprattutto dopo la conquista di Roma con la fuga di Papa Pio VI e la proclamazione della Repubblica romana. Vedendo ormai profilarsi l’arrivo dei francesi, Ferdinando prende la decisione di abbandonare Napoli e rifugiarsi insieme alla corte a Palermo, seconda città del regno (dicembre 1798). Il soggiorno della famiglia reale in Sicilia si protrae per quattro anni in assoluta tranquillità, fra i momenti di svago e le battute di caccia nel Parco della Favorita, ai piedi del Monte Pellegrino, alle quali partecipa spesso anche il Principe di Butera.
Nel marzo del 1802 Re Ferdinando tiene il discorso di apertura della sessione parlamentare che esalta i siciliani, per la sua intenzione di mantenere la corte a Palermo. Il principe Ercole e gli altri esponenti dei bracci parlamentari cedono alle lusinghe e approvano la concessione degli ingenti donativi richiesti dalla Corona. In realtà Ferdinando e la sua corte progettano di tornare a Napoli e lo fanno qualche mese dopo, quando gli accordi con Napoleone lo rendono possibile (pace di Amiens del 1802).
Gli eventi immediatamente successivi sono però molto travagliati: l’esercito napoleonico occupa nuovamente il Regno di Napoli e dichiara decaduta la dinastia borbonica, Re Ferdinando ritorna a Palermo (gennaio 1806) ma è costretto a rinunciare ai suoi poteri, nominando reggente il figlio Francesco; viene altresì concessa (su pressione degli alleati inglesi) una nuova carta costituzionale basata sul modello della separazione dei poteri.
La Costituzione siciliana del 1812 viene approvata dal Parlamento in seduta straordinaria ed oltre ad una profonda riforma degli apparati statali, prevede la definitiva abolizione del feudalesimo in Sicilia e la trasformazione delle proprietà terriere in latifondi. Ma essa ha vita brevissima perché le vicende nel Continente (sconfitta di Napoleone nella battaglia di Lipsia, invasione della Francia) permettono a Ferdinando di riprendere il governo in Sicilia e non applicare la carta costituzionale.
Ercole sarà morto da appena un anno quando gli sviluppi storici dovuti al Congresso di Vienna comporteranno la fine della secolare autonomia dell’isola, che diventerà una provincia del Regno delle Due Sicilie, lo scioglimento del parlamento siciliano e l’abolizione della stessa carta costituzionale.
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