CONTENUTO
Gioventù e formazione di Karl Marx
Marx nasce a Treviri nel 1818 da una famiglia ebrea. Il giovane Marx riceve dal padre, avvocato, un’educazione di stampo razionalistico e liberale. Marx nel 1835 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, prima a Bonn e successivamente a Berlino, nella quale entra in contatto con la filosofia di Hegel. Decide di trasferirsi da giurisprudenza a filosofia laureandosi all’università di Jena. Successivamente si dedica al giornalismo politico riuscendo a diventare caporedattore della “Gazzetta Renana”, ma nel 1843, a causa di problemi con il governo prussiano, è costretto a trasferirsi a Parigi.
Nella capitale francese Marx si confronta con l’ambiente socialista e conosce importanti esponenti, come Luis Blanc e Pierre-Joseph Prudhon, e soprattutto incontra Friedrich Engels, suo futuro amico che gli sarà di conforto intellettuale, morale e materiale. Nello stesso anno si sposa con Jenny von Westphalen, una giovane donna appartenente all’aristocrazia renana che sarà la sua compagna di vita.
L’incontro con Engels è particolarmente importante perché porterà alla stesura in comune di numerose opere. Engels è figlio di un ricco industriale e in quel momento è reduce da un lungo soggiorno in Inghilterra dove ha lavorato in una fabbrica tessile del padre. Proprio in quegli anni ha colto l’occasione per osservare i drammatici costi sociali dell’industrializzazione e le conseguenze negative che ne derivano.
Nel 1847 a Londra si tiene il congresso della Lega dei comunisti e Marx, che non può partecipare, viene rappresentato da Engels. Sempre nello stesso anno Marx viene incaricato dalla Lega di elaborare un documento teorico-programmatico, che pubblica nel 1848 a Londra in collaborazione con Engels, dal titolo Manifesto del partito comunista. Nel 1849 si trasferisce a Londra e, nella capitale inglese, Marx trova numerosi ostacoli e disgrazie: innanzitutto per le gravi ristrettezze economiche in cui vive; inoltre vede la morte per stenti di quattro figli.
Tuttavia, grazie al sostegno economico di Engels, procede all’analisi del sistema capitalistico e ad approfondire lo studio dell’economia. Nel 1851 Marx si ritira dalla politica attiva, ma per cercare di superare i problemi economici oltre a lavorare presso il British Museum, inizia a collaborare con il “New York Tribune”, e allo stesso tempo sono costanti e benevoli gli aiuti di Engels. Nel 1866 il filosofo redige il primo volume de Il capitale, la sua opera principale, che viene pubblicato nel 1867 ad Amburgo, mentre il secondo ed il terzo volume, grazie al lavoro dell’amico Engels appariranno postumi.

Il pensiero filosofico: tra socialismo scientifico e materialismo storico
La filosofia di Marx è tra quelle che hanno influenzato maggiormente il pensiero filosofico dell’Ottocento e del Novecento. La sua influenza però non si limita esclusivamente alla filosofia, alla politica, o all’economia. Egli ha stabilito una connessione tra teoria e prassi al fine di comprendere le dinamiche storiche e la struttura del sistema capitalistico per modificarle.
Le influenze culturali che troviamo alla base del marxismo sono essenzialmente tre: la filosofia classica tedesca da Hegel a Feuerbach; l’economia politica borghese da Smith a Ricardo; il pensiero socialista da Saint-Simon a Owen. Queste tre prospettive vengono riprese da Marx per giungere ad una sintesi creativa, infatti, seppur muove da esse, procede criticamente oltre i loro risultati dando vita ad una nuova visione del mondo.
L’elaborazione della dottrina socialista giunse al più maturo risultato proprio con l’opera di Marx ed Engels che, come affermato in precedenza, collaborarono nella produzione del Manifesto del partito comunista. I due filosofi tedeschi in quest’opera presentano una nuova interpretazione del socialismo e, rifiutando l’utopismo, si distaccano dalle posizioni socialiste precedenti che circolavano. Inoltre i due autori si propongono di esporre «in faccia al mondo» gli scopi e i metodi dell’azione rivoluzionaria.
I punti salienti trattati nel documento sono sostanzialmente tre: l’analisi della funzione storica della borghesia; il concetto della storia come lotta di classe e il rapporto tra proletari e comunisti; la critica dei socialismi non scientifici.

Dunque secondo Marx ed Engels il socialismo non è un ideale che gli uomini devono realizzare. Ritenere di poter cambiare la società con un’idea o con delle leggi è a loro avviso un’illusione. In proposito sostengono la dottrina del materialismo storico secondo cui “non sono le idee degli uomini a determinare il tipo di società in cui vivono, piuttosto è la società a determinare le loro idee”.
L’organizzazione degli uomini in società infatti è condizionata dal modo in cui essi producono ciò che è necessario al loro sostentamento e al proprio bisogno, e questa attività è a sua volta condizionata dai mezzi di produzione di cui gli uomini dispongono. La società industriale, per esempio, non è nata da un’idea ma da una rivoluzione dell’organizzazione produttiva, determinata dall’avvento della macchina a vapore.
A tal proposito commenta ironicamente Marx, «si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per ciò che si vuole, ma di fatto essi cominciano a distinguersi dagli animali allorché, in virtù della necessità, cominciarono a produrre da sé i loro mezzi di sussistenza».
Alla base della storia vi è dunque il lavoro che i due filosofi intendono come creatore di civiltà e di cultura e come la condizione attraverso cui l’uomo si rende tale, emergendo dall’animalità primitiva e distinguendosi dagli altri esseri viventi.
Nell’ambito della «produzione sociale dell’esistenza» che costituisce la storia, bisogna distinguere due elementi di fondo: le forze produttive (forza-lavoro e mezzi di produzione) e i rapporti di produzione. Questi due elementi costituiscono nella loro globalità, il modo di produzione di un certo periodo e formano la «struttura» ovvero lo scheletro economico della società, intesa come organismo complessivo.
Rispetto alla totalità sociale infatti la struttura rappresenta il piedistallo concreto su cui si eleva una sovrastruttura giuridico-politico-culturale. Il termine «sovrastruttura» sta ad indicare, secondo il materialismo storico, i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche che si fondano sulla struttura e ne definiscono la società storica.
La storia dunque non è completamente affidata all’arbitrio dell’uomo e quindi non serve inventare utopie: il filosofo deve, piuttosto, spiegare scientificamente il presente e comprendere il senso della storia. È esattamente quello che Marx ed Engels ritengono di aver fatto: per questo pretendono di aver fondato il socialismo scientifico.
In questo modo viene proposta una nuova concezione materialista che considera l’uomo soprattutto come prassi ritenendo che la soluzione ai problemi non sia da recarsi nella speculazione ma nell’azione, nella praxis: «i filosofi hanno solo interpretato il mondo: si tratta ora di cambiarlo».

La lotta di classe: la dialettica nella storia
Secondo Marx la storia della civiltà umana è passata attraverso quattro fasi: la comunità primitiva; il regime di schiavitù; la società feudale; la società capitalistico-borghese. Tutte queste fasi sono caratterizzate dallo scontro tra oppressi e oppressori, al quale gli uomini partecipano non come individui ma in quanto parte di una classe; di conseguenza tutta la storia è storia della lotta di classe.
La classe degli oppressi contrasta gli oppressori e quando si verificano le condizioni strutturali ne abbatte il dominio. Il passaggio da uno stadio all’altro, infatti è determinato dallo sviluppo dei mezzi di produzione, in sintesi, quando maturano le possibilità produttive che non possono essere sfruttate all’interno di un tipo di società se ne afferma una nuova.
Scrive Marx a riguardo: «La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta».
La borghesia ha svolto un ruolo rivoluzionario nell’età feudale, ha combattuto il dominio della nobiltà ed è giunta alla vittoria quando, con la rivoluzione industriale, si sono create le condizioni per la sua affermazione. Tuttavia con la società capitalista ha imposto il suo dominio e si trova ad affrontare il proletariato, cui spetta il compito storico di rovesciarla.
Nella società capitalista il proletariato è sfruttato dai borghesi che detengono la proprietà dei mezzi di produzione. Il salario che viene attribuito non corrisponde alla ricchezza che egli crea con il proprio lavoro ma solo a quanto gli è indispensabile per sopravvivere.
In questo modo il proletario non è privato solo dei frutti del suo lavoro, ma anche della sua identità: ciò che egli produce si presenta infatti di fronte a lui come un oggetto estraneo che non gli appartiene, in quanto sfruttato da un altro uomo, il capitalista, per arricchirsi. Marx utilizza il termine alienazione per definire questa condizione di asservimento dell’operaio, il quale nell’attività produttiva si allontana dalla natura di essere umano diventando un semplice mezzo utile alla valorizzazione del capitale.
Dunque con il termine “alienazione” Marx indica lo stato di scissione e dipendenza del lavoratore, questi infatti diventa altro-da-sé, si estranea rispetto: al prodotto del proprio; alla propria attività; alla propria essenza; al prossimo. La causa di tale alienazione è la proprietà privata dei mezzi di produzione, grazie alla quale il capitalista può espropriare l’operaio del suo lavoro e della sua umanità.
Per superare questa condizione di asservimento e alienazione è necessaria una sovversione violenta e rivoluzionaria della società capitalistica, che ponga fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Secondo Marx il soggetto che ha la missione di iniziare l’azione rivoluzionaria è proprio il proletario, che deve prendere coscienza del proprio ruolo storico di antagonista della classe dominante borghese e porre fine alla divisione della società in classi, realizzando l’obiettivo finale del comunismo. Di conseguenza la dis-alienazione dell’uomo può avvenire solo con il superamento del regime della proprietà privata e con l’avvento del comunismo.
Il raggiungimento della società senza classi, implica anche il superamento della forma politica mediante la quale il potere si è organizzato, cioè lo Stato, che rappresenta gli interessi della classe dominante e quindi è destinato ad estinguersi in una società senza classi. Dal processo di abbattimento dello Stato borghese non segue in modo automatico il passaggio alla società comunista, ma è necessaria una fase transitoria, di preparazione, caratterizzata dalla dittatura rivoluzionaria del proletariato.
In questa fase il proletario deterrà il potere in qualità di classe più numerosa e rappresentativa, preparando l’abolizione delle classi e il superamento della forma Stato. Solo in questo modo sarà possibile realizzare il comunismo autentico, caratterizzato dall’abolizione della proprietà privata e dalla scomparsa di ogni forma di alienazione.
Marx definisce il funzionamento della nuova società con le seguenti parole: “Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni”. Il Manifesto si conclude con la nota esortazione rivoluzionaria “Proletari di tutti i Paesi unitevi” che allude all’idea dell’internazionalismo della lotta proletaria.
La dottrina di Marx, seppur difficile da realizzare, è il frutto di una complessa elaborazione filosofica ed economica. Risulta sicuramente più solida rispetto ad altre proposte avanzate da altri teorici del socialismo. Proprio per questo motivo nell’arco di vent’anni si impone nelle organizzazioni dei movimenti operai.
L’influenza nella storia del pensiero di Marx
Marx è indubbiamente uno dei protagonisti della vita politica della metà dell’Ottocento europeo. Infatti egli è tra i principali fondatori della Prima Internazionale e a lui si richiamerà la Seconda Internazionale; inoltre dalla sua teoria nasceranno i maggiori partiti socialisti dell’Ottocento. L’Associazione internazionale dei lavoratori (AIL), conosciuta anche come Prima Internazionale, nasce nel settembre del 1864 a Londra su iniziativa di associazioni di operai inglesi e francesi e di rappresentanti degli esuli di altri paesi presenti a Londra, tra cui lo stesso Marx.
L’Internazionale ha lo scopo di creare un legame internazionale tra i diversi gruppi politici di sinistra (socialisti, anarchici, repubblicani mazziniani e marxisti) e coordinare le varie organizzazioni di lavoratori presenti nei diversi paesi, in particolare degli operai. Inoltre l’Internazionale si pone alcuni obiettivi pratici da conseguire per migliorare la condizione dei lavoratori, tra questi si ricorda la limitazione della giornata lavorativa a otto ore.

Nelle prime riunioni sorgono dei contrasti abbastanza accesi tra la linea socialista di Marx, quella anarchica di Prudhon e quella democratica di Mazzini, i quali non partecipano direttamente alle riunioni ma tramite rappresentanti. Alla fine prevalgono le posizioni di Marx che scrive gli statuti provvisori accettati dall’assemblea nel novembre del 1864. Inizialmente l’Internazionale riceve scarse adesioni arrivando a circa 25.000 iscritti tuttavia nel 1867 riesce ad organizzare il primo sciopero internazionale. Il successo dell’iniziativa porterà a moltiplicare il numero degli iscritti superando i 200.000.
Questa prima esperienza è caratterizzata dalla convivenza di più correnti ideologiche. In origine l’organizzazione contiene gruppi di operai inglesi, anarchici, socialisti francesi e repubblicani italiani e vede al suo interno personaggi noti del tempo come appunto Marx, Bakunin e molti altri.
Si accende quindi un intenso dibattito che porta all’allontanamento dei mazziniani. Subito dopo emerge la discussione tra marxisti e anarchici (proudhoniani prima, Bakunin e seguaci poi). Entrambi rifiutano lo Stato borghese, ma mentre i primi teorizzano la conquista della società comunista attraverso le fasi della dittatura del proletariato, della proprietà collettiva dei mezzi di produzione che in ultimo avrebbe portato alla società senza classi, gli anarchici puntano a un’azione diretta, mirante alla disarticolazione e all’estinzione immediata dello Stato e di ogni tipo di istituzione, indipendentemente da chi ci fosse a reggerla.
Bakunin infatti è ostile ad ogni forma di potere centrale e critica particolarmente la concezione marxiana dello stato socialista. La dittatura del proletariato infatti non condurrebbe alla soppressione dello Stato ma si tradurrebbe nel dispotismo di una nuova classe: la burocrazia. Questo contrasto provoca una divergenza tra anarchia e socialismo tra Bakunin e Marx che si ripercuoterà presto sugli equilibri interni dell’associazione fino a produrre una spaccatura totale.
Sempre negli anni della Prima Internazionale si consuma inoltre lo scontro fra il delegato italiano Adolfo Wolf, inviato da Giuseppe Mazzini, e i marxisti. I mazziniani, infatti, sono decisamente contrari alle teorie che si basano sulla lotta di classe (pensano di risolvere i problemi sociali attraverso la solidarietà nazionale), ma nello statuto provvisorio Marx ha già inserito dei punti che qualificano in senso classista l’organizzazione. Mazzini, che aveva sostenuto indirettamente l’Internazionale per quasi sette anni, la abbandona nel marzo 1871.
Questa decisione scatena inevitabilmente una velenosa polemica contro l’Internazionale, egli ne denuncia lo sterile cosmopolitismo, il pericoloso settarismo, la tendenza a separare le questioni politiche da quelle sociali e soprattutto condannando l’ideologia della lotta di classe. Anche in seguito al ritiro dei mazziniani dall’Internazionale, Giuseppe Garibaldi continuerà a sostenerla.
Il conflitto con gli anarchici, il fallimento dell’esperienza della Comune di Parigi, la crisi economica del 1873 e un’inadeguatezza organizzativa conduce allo scioglimento della Prima Internazionale nel 1876. Sicuramente la riflessione di Marx verrà ripresa da Lenin e sarà fonte di ispirazione per gli eventi che caratterizzeranno la Rivoluzione russa.
Ancora oggi in epoca recente il pensiero di Marx ha rappresentato uno dei principali punti di riferimento di molti movimenti operai, sindacali, politici della storia non soltanto europea ma mondiale basti pensare a Mao Tse-tung, a Fidel Castro, a Che Guevara, a Ho Chi-minh, tutti definibili «marxisti».