Italiani: un popolo senza memoria storica
Siamo un Paese che si avvia ad essere senza radici storiche. La tradizione nazionale è sparita e le radici di questo Paese sono ignorate dai più[1].
Con queste parole amare, ma allo stesso tempo lucide e consapevoli, l’illustre storico Renzo De Felice lanciava nel 1987 l’allarme sullo stato preoccupante in cui versava la coscienza storica nazionale in Italia. Ora, a distanza di trentacinque anni, qualsiasi osservatore attento e obiettivo della società in cui viviamo non può che constatare, con enorme amarezza, come lo sfogo di De Felice fosse giustificato.
Del resto, del suo stesso avviso era anche l’intellettuale Norberto Bobbio, che sempre nel 1987 osservava: “L’Italia non è più una Nazione, nel senso che per lo meno nelle nuove generazioni non esiste più il sentimento nazionale, quello che recentemente si diceva amor di Patria. L’Italia è diventata poco più che una espressione geografica e gli italiani sono ridiventati, lo dico con forza, un vulgo disperso che nome non ha”.
A questi due riferimenti se ne potrebbero aggiungere molti altri, ma ci limitiamo in questa sede a non andare oltre. E’ innegabile che la conoscenza e la condivisione di un passato comune rappresentino un elemento di fondamentale importanza per la coesione sociale e il progresso civile di un popolo. Tuttavia la situazione attuale, da questo punto di vista, sembra essere enormemente peggiorata rispetto al passato, nonostante il fatto che la memoria storica in Italia sia stata quasi sempre divisiva.
Gran parte dei cittadini italiani o ignora del tutto la storia degli ultimi due secoli del nostro Paese, oppure dimostra scarsa maturità nell’affrontare argomenti di carattere storico palesando tutti i limiti che derivano dalla pessima abitudine di ideologizzare non solo i fatti attuali ma anche gli eventi del passato.
I risultati disastrosi della scarsa importanza attribuita dai governi repubblicani all’istruzione in generale e, di conseguenza, anche alla disciplina storica, sono sotto gli occhi di tutti e l’insufficiente preparazione scolastica viene costantemente evidenziata dai Dati Istat che mostrano un pericoloso peggioramento negli ultimi anni. Né devono essere trascurati i danni culturali arrecati dal mancato insegnamento a scuola dell’educazione civica per diverso tempo.
Tali scelte, alquanto discutibili, hanno contribuito a non formare nel migliore dei modi molti cittadini che dimostrano di avere scarso senso civico (i dati a riguardo sono impietosi) e di non avere una vera coscienza delle vicende storiche che hanno portato prima all’unità d’Italia e successivamente alla nascita della Repubblica, né tanto meno di tenere a mente i sacrifici che le generazioni del passato, a partire dal Risorgimento, hanno fatto per conquistare il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali di cui noi ora beneficiamo.
Proprio il periodo risorgimentale conclusosi con l’unificazione della penisola e con la nascita dello Stato liberale è stato incredibilmente relegato in secondo piano in epoca repubblicana, tanto che i protagonisti e gli eventi fatidici di questo fondamentale processo storico sono caduti nell’oblio. Sono ancora fresche nella memoria dei più attenti le interviste realizzate ad alcuni parlamentari all’uscita da Montecitorio a ridosso delle celebrazioni del 2011, in occasione dei centocinquant’anni dall’unità raggiunta, quando alcuni dei rappresentanti eletti dal popolo italiano alla domanda precisa “Quale evento celebriamo il 17 marzo?” hanno farfugliato, senza ritegno e pudore, le risposte più assurde e improbabili.
Questa vicenda, alquanto inquietante, è servita come al solito per la satira politica e per suscitare il riso degli italiani, con buona pace di quei pochi che, invece, di fronte a tale oscenità, si sono giustamente indignati. La conoscenza e il rispetto della storia del proprio Paese dovrebbero rappresentare il presupposto per costruire una società migliore e fornire al cittadino uno stimolo ulteriore per svolgere bene il proprio dovere civico prendendo, anche come modello, i tanti esempi positivi di italiani che si sono distinti per qualità umane e intellettuali nella storia liberale e repubblicana.
Poco prima della sua morte, avvenuta nel 1866, il marchese Massimo d’Azeglio scriveva che “i più pericolosi nemici dell’Italia sono gli italiani, perché pensano a riformare l’Italia e nessuno s’accorge che per riuscirvi, bisogna prima che si riformino loro, perché l’Italia, come tutti i popoli non potrà divenir nazione, non potrà essere ordinata finché ognuno nella sua sfera non faccia il suo dovere, e non lo faccia bene, od almeno il meglio che può. Ma a fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuole forza di volontà e persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere; e questa forza di volontà, questa persuasione, è quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama carattere, onde, per dirla in una sola parola, il primo bisogno d’Italia è che si formino italiani che sappiano adempiere al loro dovere; quindi che si formino italiani dotati d’alti e forti caratteri”[2].
Con tutta onestà bisogna ammettere che a distanza di quasi centosessant’anni passi in avanti in questo senso ne sono stati fatti veramente pochi e gli italiani continuano davvero ad essere i principali nemici di sé stessi. A questo si aggiunge il fatto che la maggior parte della popolazione nutre sfiducia nelle istituzioni dello Stato che, quotidianamente, sembra dare l’impressione di agevolare i corrotti e i disonesti a discapito dei cittadini meritevoli.
“La fiducia dei cittadini è necessaria alla salute di uno Stato democratico, come l’ossigeno è necessario alla vita degli esseri umani. Uno Stato che non riscuote la fiducia dei suoi cittadini è uno Stato che non sta bene: o perché non fa il bene dei suoi cittadini oppure perché la maggioranza dei suoi cittadini non pensa che lo Stato sia un bene e preferiscono farne a meno per stare bene”[3].
Ogni cittadino onesto e con un minimo di amore verso la propria Nazione non può essere soddisfatto dell’operato della classe dirigente italiana che, negli ultimi decenni, si è dimostrata in molti casi non all’altezza, continuando ancora adesso attraverso alcuni dei suoi esponenti a dare uno spettacolo indecoroso. Non bisogna dimenticare, però, che i rappresentanti li scegliamo noi, con il nostro voto, siamo noi a mandarli in Parlamento e dunque, pur avendo tutte le ragioni del mondo per provare un sentimento di astio nei confronti dei politici, dovremmo iniziare a mostrare una maggiore consapevolezza e maturità civica al momento del voto.
Italiani: un popolo senza dignità
Quello che emerge dalla quotidianità è un diffuso distacco degli italiani nei confronti delle istituzioni e della politica, soprattutto tra le nuove generazioni, e la totale mancanza di memoria storica, lo scarso senso civico, il livello di istruzione carente si rispecchiano anche nell’alto astensionismo e nelle scelte di buona parte degli elettori alle urne.
In questa Italia di oggi, gravemente malata, le menzogne più abominevoli e balorde, che non risparmiano oltre alla sfera politica né la storia né il sapere scientifico, si trasformano facilmente in verità per molta gente, anche in buona fede, incapace di distinguere tra realtà e mistificazione degli eventi. Ebbene un popolo, al di là di tutte le possibili contingenze negative che possono verificarsi, dovrebbe avere o mantenere un minimo di dignità civile, morale e intellettuale che invece, in quanto cittadini, abbiamo totalmente perso.
Non c’è dignità quando si dà credito alle volgari invenzioni storiche neoborboniche diffuse da presunti giornalisti che si improvvisano storici senza possedere un minimo di onestà intellettuale; non c’è dignità quando si casca ingenuamente negli slogan vuoti e nelle promesse irresponsabili di alcuni politici senza avere la decenza di informarsi e di ragionare sui fatti attuali sviluppando il proprio pensiero; non c’è dignità quando si insulta la propria intelligenza appoggiando e diffondendo strampalate teorie del complotto e della cospirazione solo per venire meno al proprio dovere civile; non c’è dignità quando di fronte ai diritti calpestati e alle tante ingiustizie contro le quali bisognerebbe reagire mobilitandosi per delle cause giuste si continua a vivere in uno stato di coma perenne e passività assoluta.
Per questa situazione preoccupante e deficitaria alcuni auspicano a gran voce un Nuovo Risorgimento per cercare di risollevare le sorti di questo Paese. Proprio la riscoperta della generazione risorgimentale, non solo dimenticata ma anche infangata da uomini mediocri a noi contemporanei, potrebbe rappresentare l’inizio di un riscatto morale e civile per gli italiani, infondendo un nuovo spirito costruttivo e edificante, un nuovo entusiasmo, il desiderio di informarsi e confrontarsi sulle questioni passate, attuali e future che riguardano tutti, lo stimolo necessario per non sottrarsi al proprio dovere civico impegnandosi attivamente per far emergere la parte migliore della società a discapito degli esempi negativi che quotidianamente si manifestano.
Il condizionale è, però, d’obbligo in questa circostanza, perché si tratta di un auspicio, di una speranza, e potrebbe trattarsi con ogni probabilità di una mera utopia di una piccola minoranza. Saranno gli italiani, nella loro totalità, a decidere il loro futuro, a decidere se riscattarsi umanamente e intellettualmente non rendendo vani i sacrifici delle generazioni del passato, oppure se correre passivamente verso un domani che si prospetta alquanto incerto viste le sconsolanti premesse attuali:
“La simbiosi fra italianità, unità e libertà, dalla quale ha avuto origine lo Stato in cui vivono oggi le popolazioni della penisola, non è inevitabile e non è inscindibile. Non lo era quando nacque lo Stato italiano, non lo è oggi che molti ne paventano o ne auspicano la fine. Ci può essere italianità senza Stato nazionale, come c’è stata per un millennio prima dell’Unità, almeno fin da quando Dante Alighieri e Petrarca invocarono il nome “Italia” senza concepire l’esistenza di una nazione italiana con un proprio Stato indipendente e sovrano. Così come ci può essere libertà senza dignità, come accade in una democrazia recitativa, dove tuttavia la libertà senza dignità non è altro che una condizione inconsapevole o arrogante di servitù. (…) Non si può escludere che gli italiani e le italiane, vergognandosi delle malsane condizioni del loro Stato degradato, possano essere nuovamente capaci di rinnovare la simbiosi fra italianità, unità e libertà e costruire finalmente uno Stato nazionale di cittadini liberi e uguali, del quale essere fieri: non per orgoglio, ma per dignità”[4].
Note:
[1] “Secondo me il problema consiste nel fatto che le vicende storiche italiane, così traumatiche tra la prima e la seconda guerra mondiale, hanno provocato una tale cesura nella coscienza della gente che ormai ognuno vive soltanto nel presente. O, al massimo, in quel passato che riguarda la sua tradizione familiare e che nel migliore dei casi non va al di là del padre e di rado arriva al nonno”; da «A colloquio con lo storico Renzo De Felice: Così l’Italia ignora le sue radici», intervista di C. Pizzinelli, in « Il Borghese», 14 giugno 1987.
[2] Emilio Gentile, Né Stato né Nazione. Italiani senza meta, Laterza, Roma, 2013, p. 27.
[3] Ibidem p. 20.
[4] Ibidem p. 110.
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- Emilio Gentile, Né Stato né Nazione. Italiani senza meta, Laterza, Roma, 2013;
- Emilio Gentile, Italiani senza padri: Intervista sul Risorgimento, Laterza, Roma, 2011;
- Emilio Gentile, La Grande Italia. Il mito della Nazione nel XX secolo, Laterza.
- Alessandro Barbero, I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, Laterza, 2014.
Grazie per questa interessante analisi di motivi che hanno come consequenza la perdità di memoria collettiva e l’assenza di conoscenze storiche in Italia oggi. Sono stato intrigato dalla citazione ripresa a Renzo De Felice. Mi piacerebbe vederne il contesto ma alla nota 1 non indica la fonte da dove è tratta. Potrebbe precisare grazie ?
Gentilissimo Dott. Noiret,
la citazione di De Felice è riportata nei due libri di Emilio Gentile citati nell’articolo ed è ripresa da « A colloquio con lo storico Renzo De Felice: Così l’Italia ignora le sue radici», intervista di C. Pizzinelli, in « Il Borghese», 14 giugno 1987.
Mirko Muccilli