CONTENUTO
L’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 compiuto da Gavrilo Princip, che causa la morte dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, e di sua moglie Sofia, diventa il casus belli che da inizio alla Prima guerra mondiale. Appena un mese dopo l’uccisione della coppia, il 28 luglio l’Austria-Ungheria, dopo un duro ultimatum, dichiara guerra alla Serbia, dando il via al conflitto.
Interventisti e neutralisti
Il 2 agosto 1914, a guerra scoppiata, il governo italiano presieduto da Antonio Salandra dichiara la neutralità. Il carattere difensivo della Triplice Alleanza giustifica questa decisione. Infatti l’Austria attacca la Serbia, senza consultare l’Italia prima di intraprendere l’azione. Alcuni settori politici cominciano a valutare l’eventualità di una guerra contro l’Austria. Ciò consentirebbe all’Italia di riunire Trento e Trieste alla patria. Portavoce di questa linea interventista sono
- i repubblicani, custodi della tradizione garibaldina;
- i socialriformisti di Bissolati, fortemente legati alla Francia;
- le associazioni irredentiste, che hanno tra le loro file numerosi fuoriusciti dall’Impero austro-ungarico ( fra cui Cesare Battisti);
- i sindacalisti rivoluzionari, che credono che la guerra possa rovesciare non solo gli assetti internazionali ma anche gli equilibri sociali all’interno dei paesi coinvolti;
- i nazionalisti, favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia per affermare la sua vocazione di grande potenza imperialista;
Su una linea neutralista contro la guerra si schierano invece
- l’ala più consistente dello schieramento liberale, col loro leader Giovanni Giolitti, che non ritiene il paese preparato ad affrontare la guerra. Inoltre è convinto che L’Italia possa ottenere dagli imperi centrali buona parte dei territori rivendicati come compenso per la sua neutralità;
- il mondo cattolico fedele alle tendenze politiche e pacifiste del Vaticano;
- i socialisti, che fedeli al loro ideale pacifista condannano fermamente la guerra, nonostante la scelta patriottica dei maggiori partiti socialisti europei.
Il Patto di Londra
Fin dall’autunno del ’14, con l’arresto dell’offensiva tedesca sulla Marna, il capo del governo Salandra e il ministro degli Esteri Sonnino allacciano contatti segretissimi con l’Intesa. Continuano nel contempo a trattare con gli imperi centrali per strappare qualche compenso territoriale in cambio della neutralità.
Alla fine decidono, con il solo avallo del re e senza informare né il Parlamento né gli altri membri del governo, di accettare le proposte dell’Intesa. Il 26 aprile 1915 Salandra e Sonnino firmano il Patto di Londra con Francia, Inghilterra e Russia.
Le clausole principali prevedono che l’Italia otterrà, in caso di vittoria, il Trentino, il Sud Tirolo fino al Brennero, la Venezia Giulia e l’Istria (esclusa la città di Fiume) e una parte della Dalmazia con numerose isole adriatiche. Solo il 7 maggio il governo è informato del Patto. Il Consiglio dei Ministri approva la scelta dell’intervento e si impegna a dimettersi in caso di voto contrario della Camera.
Il discorso di Quarto
Il 5 maggio 1915, due cortei composti in tutto da circa 20 mila persone, a cui si aggiunge una gran folla assiepata nelle strade, raggiungono l’area dello scoglio di Quarto da cui partì l’impresa di Giuseppe Garibaldi, dove è programmata l’inaugurazione del monumento dedicato alla spedizione dei Mille del 1860.
A tenere l’orazione ufficiale della commemorazione viene chiamato Gabriele D’Annunzio, il quale è allora un’autentica celebrità per il pubblico. D’Annunzio ha inaugurato la nuova figura di intellettuale abituato a comparire sugli scenari della vita pubblica, a dettare aspetti della moda, a influire i comportamenti collettivi e ad usare i mezzi di comunicazione di massa.
La performance di D’Annunzio è all’altezza della sua fama. Il discorso è teso a circondare l’evento di un alone di sacralità. Il timbro principale è quello religioso, e biblici sono molti dei rimandi simbolici e delle movenze ritmiche dell’orazione. Tutto il discorso è pieno di riferimenti mistici, riprendendo la simbologia classica e cristiana, con continue allusioni al fuoco sacro simbolo di rigenerazione, di ardore guerresco e di eroismo, di fusione tra la vita e la morte. Eleva la guerra ad un concetto religioso e di sacralità, sottraendola in tal modo al giudizio politico dei cittadini.
D’Annunzio dà forma agli umori di un’Italia convinta di poter contare in Europa spinta dall’affermazione della sua identità. Nella quale nulla appare più esecrabile alle giovani generazioni, del vecchio modo di concepire la vita rappresentato dalla politica paziente di giolittiana memoria, al quale va contrapposto il bisogno di bellezza, di grandezza e di cambiamento. Tutto ciò è rappresentato alla perfezione dall’oratore, il quale entra in rotta di collisione con la vecchia Italia, prudente e appartata, che la classe dirigente liberale ha forgiato e che ora sembra attardarsi colpevolmente di fronte alla guerra.
Giolitti e il “Radioso maggio”
Resta da superare la prevedibile opposizione della maggioranza neutralista della Camera, cui spetta la ratifica del trattato. Il 9 maggio Giolitti, non ancora al corrente del Patto di Londra, si reca a Roma ed esprime a Salandra ed al re il proprio suggerimento di continuare i negoziati con Vienna e Berlino. Il 12 maggio, 320 deputati e un centinaio di senatori lasciano a casa di Giolitti il proprio biglietto da visita per sottolineare pubblicamente la loro adesione alla linea neutralista. Il 13 maggio Salandra presenta le dimissioni al re. Ma la volontà neutralista del Parlamento e, di fatto, della maggioranza del Paese viene di fatto scavalcata.
Questo fatto scatena la reazione degli interventisti, e in tutto il paese si levano grida di tradimento, col concorso dei maggiori organi di stampa e degli intellettuali, primo fra tutti D’Annunzio. Gli interventisti organizzano in tutta Italia una serie di manifestazioni nazionaliste sempre più imponenti e minacciose che durano per buona parte del mese, celebrato come Radioso maggio.
Inizia una campagna intimidatoria nei confronti della parte neutralista del governo. Spinte dalle forti campagne di agitazione interventista di Mussolini e dei gruppi nazionalisti, dall’arrivo di D’Annunzio nella capitale e dalla notizia delle dimissioni del governo, le dimostrazioni prendono una piega nettamente eversiva. I parlamentari neutralisti sono il bersaglio di minacce e intimidazioni, tanto che lo stesso Giolitti è costretto ad assumere una scorta.
Giolitti teme di approfondire una grossa frattura all’interno del paese, di provocare una crisi istituzionale di larga portata e di compromettere il paese all’esterno. Appena sa che il re ha inviato telegrammi ai Capi di Stato dei Paesi dell’Intesa con la promessa dell’intervento senza attendere l’esito del Parlamento, Giolitti rinuncia alla successione, lasciando Roma. Così il 16 maggio il re conferisce l’incarico di governo nuovamente a Salandra.
L’Italia entra in guerra
Il 20 maggio 1915, costretta a scegliere fra l’adesione alla guerra e un voto contrario che sconfessa il re e il governo, aprendo così una crisi istituzionale, la Camera approva la concessione dei pieni poteri al governo. Solo i soli socialisti votano contro. Il Regno d’Italia abbandona lo schieramento della Triplice alleanza. La sera del 23 maggio l’Italia dichiara guerra solo all’Austria. Il 24 iniziano le operazioni militari.
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- 24 maggio 1915 di Elena Bacchin