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La penisola italiana alla fine del Settecento
Il quadro politico italiano, rimasto per lo più immutato quasi per un secolo e mezzo, viene trasformato nella prima metà del Settecento dalle guerre di Successione. Solo pochi Stati, ovvero le Repubbliche oligarchiche di Venezia, Genova e Lucca oltre allo Stato Pontificio, non subiscono contraccolpi. Il panorama che si prefigura dopo queste vicende sarà quello su cui si abbatterà l’armata francese comandata dal generale Napoleone Bonaparte nel 1796.
Il ducato di Milano all’inizio del Settecento passa in mano austriaca che dopo altri conflitti e sistemazioni territoriali (1748) consolida i propri confini lungo i fiumi Po e Ticino, nei confronti rispettivamente del Piemonte dei Savoia e dei nuovi indipendenti ducati di Parma e Piacenza sotto il controllo di Filippo di Borbone, fratello del Re di Napoli.
La casata dei Savoia conquista, grazie alla pace di Rastatt del 1714 il titolo regio e la Sicilia. Tuttavia, negli anni seguenti quest’ultima verrà scambiata con la Sardegna, mentre verranno conquistate negli anni Trenta del Settecento le province di Tortona e Novara, a scapito degli austriaci, dopo l’occupazione di Milano.
Il Regno di Napoli e la Sicilia, infine, alla metà del secolo sono in mano ai Borbone che, sfruttando la guerra di Successione polacca degli anni Trenta, si impossessano del territorio, in quel momento proprio di proprietà di Vienna. Il nuovo Re Carlo di Borbone cede agli Asburgo Parma e Piacenza (che poi torneranno in mano ai Borbone pochi anni dopo) e anche il Granducato di Toscana che verrà governato dal 1737, anno della morte dell’ultimo Medici, da Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d’Austria.
La Repubblica di Venezia si affaccia al XVIII secolo come potenza mediterranea. La decadenza della Serenissima, tuttavia, inizia in quegli anni. La lunga e logorante guerra contro l’impero ottomano la costringe a firmare la pace di Passarowitz (1718) che le causa ingenti perdite nell’Egeo, riducendola a potenza marittima solamente nel teatro adriatico. Nonostante rimanga uno dei centri culturali più ferventi di tutta Europa, la staticità politica della Repubblica inizia a vacillare nell’era dei lumi. All’affacciarsi della Rivoluzione francese l’arretrata oligarchia veneziana si trova ad affrontare una crisi politica e sociale che durante la campagna d’Italia napoleonica esploderà definitivamente.
L’assetto della penisola italiana viene così sistemato alla metà del secolo XVIII. Non mancano, tuttavia, in questo periodo le istanze riformiste che risentono dell’influenza dell’illuminismo e delle esperienze di assolutismo illuminato europee. In quasi tutti gli stati avvengono dei tentativi di centralizzazione, con conseguente abbattimento o sostituzione del sistema arcaico feudale, e di razionalizzazione dello Stato, tentando anche di diminuire il potere della Chiesa sulle singole istituzioni ecclesiastiche statali.
La rivoluzione intellettuale dei lumi, prima che la rivoluzione politica francese, mette i semi che alla fine del secolo germoglieranno nelle richieste di uguaglianza contro l’Ancien Regime. Su questi sentimenti agisce anche Napoleone al momento della Campagna d’Italia.
La campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte
Ottenuto la nomina a generale in capo dell’armata d’Italia nel marzo del 1796, Napoleone attraversa il passo di Cadibona e sconfigge in battaglia ripetutamente i piemontesi e gli austriaci. Firmato l’armistizio di Cherasco con i piemontesi, Napoleone occupa velocemente Milano nel maggio dello stesso anno. Da luglio inizia la sua avanzata verso il sud della penisola imponendo onerose tregue ai governi di Parma, Roma e Napoli.
Il tentativo di papa Pio VI di evitare l’occupazione della città eterna si conclude con la cessione al generale corso della Romagna, di Bologna e Ferrara. La marcia su Vienna del dell’inizio del 1797 sancisce le conquiste italiane di Napoleone che, in contrasto con il volere del Direttorio che è convinto di usare i territori italiani come contropartita al fine di far riconoscere le frontiere naturali sul Reno, vengono unite in una repubblica formalmente indipendente: la Repubblica Cisalpina.
Napoleone al momento della conquista fa leva sui sentimenti dei patrioti italiani che sposano i principi della Rivoluzione francese e che vogliono essere liberati dal giogo del dispotismo. Tuttavia, il generale una volta istituita la prima Repubblica non si preoccupa di appoggiarsi ad una aristocrazia illuminata, più moderata, che vuole limitare le riforme agli ordinamenti giuridici e politici, lasciando inalterata la distribuzione delle ricchezze e l’ordinamento sociale.
Le speranze degli illuministi italiani si infrangono definitivamente poco tempo dopo con la pace di Campoformio stipulata tra la Francia e l’Austria, che prevede il riconoscimento della Repubblica cisalpina da parte degli austriaci in cambio del Veneto, l’Istria e la Dalmazia.
Particolare è la storia della Repubblica di Venezia. In alcune province venete, durante l’avanzata di Napoleone nel nord Italia, si insediano municipalità democratiche che dichiarano conseguentemente la propria indipendenza dalla Serenissima. Sotto la pressione dell’esercito francese alle porte, anche la stessa Venezia pone fine al plurisecolare dominio del doge e dell’oligarchia patrizia, deponendo l’ultimo doge il 12 maggio 1797.
I desideri di indipendenza e libertà delle popolazioni venete, che sono amplificati da quegli ideali rivoluzionari provenienti dalla Francia e che l’esercito del generale corso tenta di esportare nella dispotica Europa, si infrangono di fronte al pragmatismo politico di Napoleone. Il commercio dei popoli dovuto al trattato di Campoformio pone fine sia alle speranze delle persone, che Foscolo espresse nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, sia al millenario dominio veneziano, ora ostaggio degli austriaci.
Nel febbraio del 1798, Napoleone torna in Italia. A causa di un incidente diplomatico, le truppe francesi occupano lo Stato pontificio, esautorano il papa e proclamano la Repubblica Romana. Dopo poco tempo il re di Napoli scaglia un’offensiva contro i territori francesi, tuttavia l’azione borbonica si conclude in una disfatta e l’esercito francese nel gennaio del 1799 entra a Napoli proclamando la Repubblica Napoletana o Partenopea.
Con l’annessione alla Francia nel febbraio del Piemonte e con l’occupazione della Toscana nel marzo, tutta la penisola, ad eccezione del Veneto, del Ducato di Parma e Piacenza, rimasto ai Borbone, e delle due isole, che divengono il rifugio delle due dinastie dei Savoia e dei Borbone, protette dalla flotta inglese, è occupata dalle truppe francesi.
In questi anni nei territori occupate vengono promulgate Costituzioni che ricalcano quella francese del 1795: viene istituito un Direttorio, a cui è affidato il potere esecutivo; un Assemblea bicamerale, che possiede quello legislativo, ma nominata dai francesi; vengono aboliti i privilegi feudali e nobiliari, secolarizzati i beni ecclesiastici oltre che garantite le libertà fondamentali per tutti i cittadini.
Tuttavia, la realtà in quei territori risulta ben diversa. Il regime è di fatto contraddittorio: nonostante la democraticità delle istituzioni il sistematico sfruttamento finanziario, finalizzato ad arricchire la casse di Parigi, anche con famose opere d’arte, e gli interventi arbitrari con cui si palesa l’occupazione militare francese evidenziano come i territori italiani non siano altro che organismi svuotati di ogni autonomia e sotto il controllo dei francesi, oltre che la base di potere personale di Napoleone sulla quale fondare la propria ascesa politica.
Di fronte alle offensive della seconda coalizione antifrancese le repubbliche giacobine cadono una ad una come castelli di carta anche per il malcontento cresciuto in poco tempo fra gli strati della società. Nell’autunno del 1799 ai francesi rimane solamente il territorio ligure con Genova. Il tracollo francese in guerra causa dei problemi interni al governo rivoluzionario di Parigi, che viene destituito dal colpo di Stato del 18 brumaio da parte di Napoleone, appena tornato dall’Egitto.
La penisola italiana sotto il dominio imperiale
Conquistato il potere, Napoleone riprende l’offensiva contro la coalizione antifrancese che, vittima del ritiro della Russia, ha difficoltà ad opporsi al generale corso. L’Austria viene sconfitta definitivamente a Marengo nel giugno del 1800 e firma la pace l’anno seguente. Viene così ricostituita la Repubblica Cisalpina che questa volta si estende fino all’Adige.
Dopo la pace di Amiens con l’Inghilterra e l’incoronazione come imperatore dei francesi, il periodo di pace non dura a lungo. La ripresa delle ostilità nel 1803 porta d un’ennesima sconfitta austro-russa ad Austerlitz che, nonostante la distruzione della flotta da parte degli inglesi, comporta un’ennesima pace con Vienna ormai priva di difese. La Repubblica Italiana (poi Regno d’Italia dal 1805), erede della Repubblica Cisalpina, si arricchisce dei territori del Veneto, del Tirolo, dell’Istria e della Dalmazia.
La potenza dell’esercito imperiale si abbatte poco tempo dopo anche sul Regno di Napoli. I Borbone si rifugiano in Sicilia sotto la protezione della flotta anglosassone senza quasi opporre resistenza e sul trono di Napoli viene posto il fratello dell’imperatore: Giuseppe Bonaparte. Negli anni 1809 e 1810 avvengono le ulteriori annessioni all’impero francese riguardanti i territori dello Stato Pontificio e delle Province Illiriche.
Nella penisola italiana coesistono tre differenti situazioni. In primis, vi sono i territori direttamente annessi all’Impero francese, anche se in tempi differenti. Il primo territorio ad essere annesso è il Piemonte nel settembre del 1802; il Ducato di Parma e Piacenza viene posto sotto amministrazione francese un mese dopo in seguito alla morte del duca Ferdinando anche se l’annessione sarà proclamata solamente nel 1808; nel 1805 è il turno della Repubblica Ligure; mentre la Toscana che viene unita allo Stato dei presidi è formalmente dominata dalla sorella di Napoleone Elisa, ma praticamente i prefetti fanno riferimento direttamente a Parigi; ultimi, ma non per importanza, i territori che sono parte dello Stato Pontificio perdono la loro indipendenza nel maggio del 1809 dopo un contenzioso tra l’imperatore e Pio VII.
Questi territori diventano dominio diretto della capitale francese, dove gli ordinamenti vengono uniformati a quelli transalpini, rimanendo tuttavia luoghi ad uso e consumo della capitale. Solamente alla città di Roma, per il suo valore simbolico, con il decreto di annessione di Schönbrunn viene conferito lo status di città imperiale e libera in quanto sede della cristianità. La sottomissione di Roma comunque rimane fondamentale per Napoleone al fine di esaltare la superiorità dell’impero sul potere pontificio, di sottomettere la religiosità al potere politico e di proiettarsi come difensore della cristianità, amplificando la volontà centralissima dell’impero verso un modello ‘romano’.
Secondariamente ci sono i territori direttamente sotto la sovranità di Napoleone, ma non annessi alla Francia. In questo caso si parla dei territori facenti parte del Regno d’Italia, una volta Repubblica Cisalpina e in seguito Repubblica Italiana delle quali il generale possedeva già la presidenza. In questi territori, che comprendono tutto il Nord Italia, fatta eccezione per Piemonte e Liguria, Napoleone viene rappresentato prima dal vicepresidente della Repubblica Francesco Melzi d’Eril, mentre, una volta istituito il Regno, l’imperatore è rappresentato da un viceré nella città di Milano, il suo figliastro Eugenio di Beauharnais.
I 24 dipartimenti in cui è suddiviso il Regno d’Italia comprendono un terzo della popolazione della penisola italiana. Questi sono governati da un re o viceré con in mano il potere esecutivo, che si dipana nelle varie zone attraverso la mano delle istituzioni amministrative e prefettizie capillarmente installate sul territorio, e da un Consiglio di Stato ed un Senato, i quali hanno il compito di proporre disegni di legge, sostituendo quello che in ordinamento repubblicano era il Corpo Legislativo.
Il Regno si distingue dalla Repubblica per una più decisa opera di ammodernamento e razionalizzazione che interessa buona parte delle istituzioni (appartato giudiziario, scolastico,…) e vede la promulgazione dei Codici di età napoleonica, oltre che una serie di grandi opere pubbliche portate a compimento. Un accordo con la Santa Sede garantisce la liberà di ogni culto, ma stabilisce il cattolicesimo come religione di Stato.
In questi anni si sottolinea anche una riduzione degli spazi di libertà ed autonomia. Le condizioni di vita della popolazione non conobbe significativi mutamenti. La coscrizione militare, peraltro, porta molti cittadini, anche per quelli per cui essa è una novità come in Lombardia ed in Emilia, a combattere e morire lontano da casa. Per gli strati sociali più alti si attesta invece un avvicinamento ed una fusione tra i vecchi nobili ed i nuovi ricchi in una grande classe alto-borghese di pubblici funzionari, tecnici, proprietari terrieri e professionisti.
Infine, vi è uno Stato vassallo che si identifica con il Regno di Napoli, che comprende i territori a sud del Lazio, ma non le isole, poiché esse saranno i luoghi in cui le dinastie dei Borbone e dei Savoia si nasconderanno, protetti dalla flotta britannica. La corona del regno viene inizialmente affidata a Giuseppe Bonaparte. Egli, divenuto re nel marzo del 1806, si circonda sia di ministri francesi che di esponenti provenienti dalla nobiltà napoletana illuminata, dandogli la possibilità di accedere agli organi di Stato e di governo.
Gioacchino Murat, divenuto re nel luglio del 1808, una volta sul trono deicide di imprimere al proprio governo un carattere ancora più nazionale ed autonomo. Il Regno è diviso in 12 province oltre alla capitale ed ognuna di esse viene affidata ad un intendente, con gli stessi compiti dei prefetti francesi, mentre le singole universitas sono controllate a livello amministrativo da consigli di proprietari terrieri. Questo nuovo sistema riesce a favorire lo sviluppo di nuovi centri provinciali.
Parallelamente vengono introdotti anche qui gli ordinamenti giudiziari e finanziari napoleonici; viene decretata la soppressione della feudalità e la seguente divisione dei demani feudali, di cui approfittano non i contadini, ma i benestanti locali; viene costituito un esercito nazionale tramite coscrizione obbligatoria. Gli ordinamenti di Murat, relativi all’amministrazione e all’esercito, danno la possibilità in questo periodo di nascere e crescere a una nuova media borghesia che sarà protagonista poi durante le lotte risorgimentali.
In tutti questi territori, indipendentemente dalle forme di soggezione giuridica e dagli strumenti di conquista, vengono ovunque imposti i codici e le strutture amministrative francesi, la subordinazione alla politica estera e agli interessi economici della Francia, la coscrizione militare e i contributi finanziari, nel tentativo di portare all’estrema razionalizzazione e ammodernamento dei vari settori di questi territori.
Questa configurazione territoriale della penisola italiana resiste fino alla disfatta napoleonica in seguito alla sconfitta durante la Campagna di Russia e la definitiva capitolazione sul Reno del 1814, a cui seguirà l’abdicazione dell’imperatore. Mentre Napoleone si trasferisce sull’Isola d’Elba, sulla quale viene garantito il suo dominio, papa Pio VII, il re di Sardegna Vittorio Emanuele I, il Granduca di Toscana Ferdinando III riprendono possesso dei loro Stati.
Rimane in quel momento incerto il ritorno dei Borbone nel Regno di Napoli, anche se avverrà con sicurezza dopo le strategiche mosse di Murat durante i Cento giorni, mentre la Lombardia ed il Veneto sono già tornate sotto il controllo austriaco. Nonostante l’ultimo tentativo di Napoleone di ritornare alla ribalta e la conseguente definitiva sconfitta a Waterloo, il destino dell’Italia viene deciso, insieme alla sistemazione del resto dell’Europa, al Congresso di Vienna.
Vero, i Veneti erano cosi entusiasti di Napoleone, delle sue municipalità e dei suoi alberi della liberta da causare le pasque veronesi, senza contare tante altre ribellioni soffocate nel sangue. Non dimentichiamo la legge che fucilava sul posto, chi gridava “viva san Marco”.