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Il mito della Biblioteca di Alessandria
«È come se un’intera civiltà sia stata sottoposta a una sorta di chirurgia cerebrale autoinflitta, in modo che la gran parte dei suoi ricordi, scoperte, idee e passioni venisse irrevocabilmente spazzata via. Il danno fu incalcolabile. In alcuni casi, sappiamo solo i titoli seducenti dei libri che furono distrutti»: così, in una puntata della serie Cosmos andata in onda nel 1980, il divulgatore scientifico Carl Sagan descriveva la distruzione dell’antica biblioteca di Alessandria d’Egitto. Il tono enfatico delle sue parole testimonia come nei secoli si sia tramandato e radicato il mito di quest’edificio, considerato da molti come un grande luogo di raccolta dello scibile umano. Come spesso accade, la verità storica si è mescolata alla leggenda.
È, infatti, opportuno ridimensionare le cifre iperboliche che la tradizione indica in merito ai rotoli di papiro presenti nella collezione alessandrina sia perché gli antichi non disponevano degli attuali sistemi di inventario sia perché spesso i numeri venivano gonfiati per svariate ragioni sia perché nelle trascrizioni effettuate da un manoscritto all’altro frequenti erano gli errori. Occorre, inoltre, puntualizzare che, poiché il termine greco βιβλιοθήκη (bibliothèke) non indicava necessariamente una costruzione o un ambiente a sé dotato di tutti quei servizi che caratterizzano una biblioteca del nostro tempo, è verosimile che la collezione facesse parte di un complesso architettonico eterogeneo comprendente magazzini, scriptoria, gallerie d’arte e stanze per l’amministrazione e altre attività.
Le fonti più antiche sull’incendio della Biblioteca del 48 a.C.
Il campo che va maggiormente sgombrato da inesattezze storiche è, tuttavia, quello riguardante l’incendio appiccato dagli uomini di Giulio Cesare nel 48 a. C. alle sessanta navi tolemaiche ancorate nel porto della città egiziana per liberarsi dall’assedio che il generale romano, imbottigliato nel palazzo reale, aveva subito. Nell’immaginario collettivo, fu quest’evento a distruggere i rotoli di papiro della biblioteca. In realtà, Lucano nel Bellum Civile X 491-503, narrando l’accadimento, non accenna minimamente alla distruzione dell’edificio che custodiva il materiale librario:
Piceo iubet unguine tinctas / lampadas inmitti iunctis in vela carinis; / nec piger ignis erat per stuppea vincula perque / manantis cera tabulas, et tempore eodem / transtraque nautarum summique arsere ceruchi. / Iam prope semustae merguntur in aequora classes, / iamque hostes et tela natant. Nec puppibus ignis / incubuit solis; sed quae vicina fuere / tecta mari longis rapuere vaporibus ignem / et cladem fovere Noti, percussaque flamma / turbine non alio motu per tecta cucurrit / quam solet aetherio lampas decurrere sulco / materiaque carens atque ardens aere solo.
(«[Cesare] ordinò di gettare sulle vele delle navi accostate dei tizzoni imbevuti di pece oleosa ardente; né il fuoco era pigro tra le corde di stoppa e tra i ponti stillanti di cera, e nello stesso momento bruciarono i banchi dei marinai e le cime dei pennoni. In breve le navi, già quasi semiarse, affondarono in mare e i nemici e i dardi galleggiavano in acqua. Il fuoco non infierì solo sugli scafi, ma gli edifici che si trovavano vicino al mare attirarono le fiamme con i loro alti vapori, alimentarono la devastazione del vento, e la fiamma, spinta dal turbine, corse tra le case con moto non diverso da come una meteora suole precipitare lungo il solco del cielo, pur senza alimento e incendiata solo dall’aria.»)
Similmente non se ne trova traccia nel passo in cui Giulio Cesare racconta quegli attimi (Bellum Civile III, 111):
Sed rem obtinuit Caesar omnesque eas naves et reliquas, quae erant in navalibus, incendit, quod tam late tueri parva manu non poterat, confestimque ad Pharum navibus milites exposuit.
(«Ma Cesare ebbe la meglio e incendiò tutte quelle navi e le restanti che erano nei bacini, poiché con poche truppe non era possibile difendere uno spazio così vasto, e subito trasferì con le navi i soldati a Faro»)
La versione cesariana trova una conferma in Bellum Alexandrinum 1,3 che esalta il materiale da costruzione adoperato ad Alessandria proprio perché ignifugo:
Nam incendio fere tuta est Alexandria, quod sine contignatione ac materia sunt aedificia et structuris ac fornicibus continentur tectaque sunt rudere aut pavimentis
(«Infatti Alessandria è pressoché al riparo dagli incendi, poiché gli edifici sono privi di travatura e di legname e sono tenuti uniti da opere in muratura e costruzioni a volta e sono ricoperti da calcestruzzo o da selciati»)
Altre fonti sull’incendio
Le fonti menzionate si accordano anche con quanto si legge sia in Storia Romana XLII, 38, 2 di Cassio Dione:
κἀκ τούτου πολλαὶ μὲν μάχαι καὶ μεθ᾽ ἡμέραν καὶ νύκτωρ αὐτοῖς ἐγίγνοντο, πολλὰ δὲ καὶ κατεπίμπρατο, ὥστε ἄλλα τε καὶ τὸ νεώριον τάς τε ἀποθήκας καὶ τοῦ σίτου καὶ τῶν βίβλων, πλείστων δὴ καὶ ἀρίστων, ὥς φασι, γενομένων, καυθῆναι
(«Da quel momento le parti in lotta ebbero diversi scontri sia di giorno, che di notte e si ebbero incendi tanto vasti da distruggere tra l’altro anche l’arsenale e i depositi di grano e di libri che, a quanto si dice, erano moltissimi e di ottima qualità»)
sia in Historiae adversus paganos VI, 15, 31-32 di Orosio:
In ipso proelio regia classis forte subducta iubetur incendi. Ea flamma cum partem quoque urbis invasisset, quadraginta46 milia librorum proximis forte aedibus condita exussit, singulare profecto monumentum studii curaeque maiorum, qui tot tantaque inlustrium ingeniorum opera congesserant. Unde quamlibet hodieque in templis extent, quae et nos vidimus, armaria librorum, quibus direptis exinanita ea a nostris hominibus nostris temporibus memorent – quod quidem verum est –, tamen honestius creditur alios libros fuisse quaesitos, qui pristinas studiorum curas aemularentur, quam aliam ullam tunc fuisse bibliothecam, quae extra quadringenta milia librorum fuisse ac per hoc evasisse credatur
(«Nel corso dello scontro la flotta reale, allora in secca, ricevette l’ordine di autodistruggersi. L’incendio, dopo essersi propagato anche ad una parte della città, bruciò quarantamila libri, per caso depositati negli edifici vicini, straordinario monumento della passione e dell’amore per la cultura dei sovrani del passato, che avevano raccolto tante importanti opere degli ingegni più illustri. Benché anche al giorno d’oggi, come noi abbiamo visto, sopravvivano vuoti nei templi gli scaffali per i libri, i quali, una volta dispersi, denunciano come quei mobili siano stati svuotati ai nostri tempi da Cristiani come noi – cosa che è effettivamente vera –, tuttavia è parere maggiormente equilibrato credere che quelli fossero altri libri, raccolti al fine di rinnovare l’antica passione per gli studi, che supporre che derivassero da altra biblioteca, accreditata di possedere quattrocentomila libri e più e quindi in virtù di questo di esser sopravvissuta alla distruzione»)
Dai due brani, infatti, emerge che i rotoli bruciati erano merci collocate nei depositi portuali e destinate al mercato estero, come lascia intuire la loro presenza nei pressi dei magazzini del grano. Come fa notare Canfora, Orosio non avrebbe scritto che i libri si trovavano lì “per caso” qualora si fosse riferito al materiale della biblioteca. Considerando, inoltre, che quest’ultima aveva sede nel Bruchion, un quartiere confinante con il porto, è poco plausibile che un incendio, sviluppandosi all’interno delle navi, coinvolgesse anche le zone limitrofe causando danni di tale portata catastrofica.
L’interrotta vitalità della biblioteca alessandrina è testimoniata, poi, sia da testi documentari (Papiro Merton, 19 e Papiro di Ossirinco 2192) sia da opere letterarie (Geografia XVII, 1,8 di Strabone e Vita di Claudio 42,5 di Svetonio). Appare, così, poco fededegno quanto scritto da Ammiano Marcellino in Res gestae XII, 16, 12-13:
His accedunt altis sufflata fastigiis templa, inter quae eminet Serapeum, […] ita est exornatum […]. In quo vero bybliothecae fuerunt in aestimabiles: et loquitur monumentorum veterum concinens fides, septingenta voluminum milia, Ptolomaeis regibus vigiliis intentis composita, bello Alexandrino, dum diripitur civitas, sub dictatore Caesare conflagrasse
(«Si aggiungono a questi alti edifici superbi templi, tra i quali spicca il Serapeo, che […] è così ricco di sfarzo […]. Qui vi furono delle preziosissime biblioteche: la unanime testimonianza delle fonti antiche riporta che sette centomila volumi, raccolti dai re Tolomei con vigile attenzione, andarono perduti tra le fiamme nel corso della guerra alessandrina, quando la città fu messa a ferro e a fuoco dal dittatore Cesare»)
L’autore, infatti, confonde la collezione libraria del Serapeo con il Museo, luogo in cui era custodita la biblioteca regia. Il dato che, tuttavia, rende tale testimonianza priva di attendibilità è la sua derivazione da un passo interpolato di Gellio (Notti Attiche VII,17):
Ingens postea numerus librorum in Aegypto a Ptolemaeis regibus vel conquisitus vel confectus est ad milia septingenta voluminum; sed ea omnia, bello priore Alexandrino, dum diripitur ea civitas, a militibus auxiliaribus casu, non sponte neque opera consulta, incensa sunt
(«Successivamente moltissimi libri furono raccolti o confezionati in Egitto dai sovrani Tolomei fino a settecentomila rotoli; ma tutte queste migliaia di rotoli, nel corso della prima guerra di Alessandria, mentre quella città era saccheggiata, non certo spontaneamente né intenzionalmente, ma per caso, ad opera di soldati ausiliari, furono bruciati»)
L’opera dello scrittore latino, infatti, non comprendeva in origine una sezione dedicata alla biblioteca di Alessandria, come suggerisce il sommario premesso al capitolo. Tale parte fu aggiunta successivamente da un’altra mano, a proposito della quale è utile sottolineare un aspetto: essa attribuisce la responsabilità dell’incendio non a Cesare e ai suoi uomini, bensì alle truppe di Pergamo che, sotto la guida di Mitridate, giunsero in loro soccorso.
La motivazione è facilmente intuibile: chi modificò il testo di Gellio non ritenne consono che il popolo romano potesse macchiarsi di un simile misfatto. A sostegno dell’ipotesi di interpolazione del brano sono funzionali due osservazioni esposte da Canfora e Tiberi: l’avverbio postea unisce maldestramente questa seconda parte alla prima suscitando l’impressione errata che Tolomeo sia cronologicamente successivo a Seleuco.
Il racconto Plutarcheo dell’incendio
Analizzando il passo, Tiberi propone, inoltre, di interpretarlo come una risposta polemica al racconto di Plutarco in Vita di Cesare 49:
ἐν ᾧ πρῶτον μὲν ἐκινδύνευσεν ὕδατος ἀποκλεισθείς· αἱ γὰρ διώρυχες ἀπῳκοδομήθησαν ὑπὸ τῶν πολεμίων· δεύτερον δὲ περικοπτόμενος τὸν στόλον, ἠναγκάσθη διὰ πυρὸς ἀπώσασθαι τὸν κίνδυνον, ὃ καὶ τὴν μεγάλην βιβλιοθήκην ἐκ τῶν νεωρίων ἐπινεμόμενον διέφθειρε
(«Innanzitutto Cesare corse il rischio di essere privato dei rifornimenti di acqua, dal momento che le condotte erano state tagliate dai nemici; poi, chiuso nel porto con la sua flotta, fu costretto ad allontanare la minaccia, dandola alle fiamme, che, sviluppatesi dall’arsenale, giunsero a distruggere anche la grande biblioteca»)
Secondo la versione dello storico greco, Cesare, avvertito dal suo barbiere personale di un complotto ordito dal generale egiziano Achillas e dal ministro della corte tolemaica Potino, avrebbe fatto sbarrare le porte del palazzo reale dove si trovava per celebrare la riconciliazione tra Tolomeo e Cleopatra. Achillas sarebbe, tuttavia, riuscito a fuggire raggiungendo l’esercito accampato nelle vicinanze. Scatenatosi un feroce combattimento e trovatesi le truppe cesariane in inferiorità numerica, il generale romano fu costretto a far ricorso al fuoco che, nella descrizione plutarchea, assume le dimensioni di rogo devastante.
Tale narrazione è stata confutata da Nesselrath, il quale sostiene che le fonti di cui si è servito Plutarco potrebbero aver esagerato l’entità del danno per sottolineare le conseguenze negative che le guerre civili romane ebbero per la cultura greca. Lo studioso ipotizza anche che lo scrittore potrebbe aver attinto la notizia da persone filorepubblicane che non nutrivano simpatie per Cesare o da Greci che, per ovvie ragioni, erano critiche nei confronti dei Romani. D’altronde, lo stesso autore in un altro passo (Vita di Antonio 59,1) dichiara chiaramente di dubitare della credibilità della notizia riportata poche righe prima in Vita di Antonio 58, 9:
Καλουΐσιος δὲ Καίσαρος ἑταῖρος ἔτι καὶ ταῦτα τῶν εἰς Κλεοπάτραν ἐγκλημάτων Ἀντωνίῳ προὔφερε· χαρίσασθαι μὲν αὐτῇ τὰς ἐκ Περγάμου βυβλιοθήκας, ἐν αἷς εἴκοσι μυριάδες βυβλίων ἁπλῶν ἦσαν
(«Calvisio, compagno di Cesare, mosse queste accuse contro Antonio, riguardanti Cleopatra: egli le aveva graziosamente donato le biblioteche di Pergamo, ove si trovavano duecentomila libri»)
Con questo dono, secondo alcuni, Antonio avrebbe voluto ripagare la regina egizia dei danni causati dall’incendio prodotto dagli uomini di Cesare, ma il racconto è ritenuto poco verosimile già dallo stesso storico greco.
La polemica senecana e la testimonianza perduta di Livio
Qualche considerazione richiede, infine, quanto scritto da Seneca in De tranquillitate animi, IX, 5:
Quadraginta milia librorum Alexandriae arserunt; pulcherrimum regiae opulentiae monimentum alius laudaverit, sicut T. Livius, qui elegantiae regum curaeque egregium id opus ait fuisse. Non fuit elegantia illud aut cura, sed studiosa luxuria, immo ne studiosa quidem, quoniam non in studium sed in spectaculum comparaverant, sicut plerisque ignaris etiam puerilium litterarum libri non studiorum instrumenta sed cenationum ornamenta sunt
(«Quarantamila libri bruciarono ad Alessandria; bellissima e concreta prova della grandezza di quei sovrani, si potrebbe osservare, come fa Tito Livio, che definisce quella collezione ‘meraviglioso risultato dell’elegante passione dei re’. Ma non si trattò di eleganza, né di passione, ma di lusso camuffato da amore per la cultura, anzi la cultura non c’entra per nulla, perché quei libri sono stati accumulati non per studiare, ma per fare impressione»)
Canfora e Tiberi, contrariamente a Berti e Costa che vi leggono un palese riferimento alla biblioteca dei Tolomei, concordano nel ritenere che il filosofo, nel contesto della sua polemica contro coloro che sono più interessati al collezionismo di libri che non alla diffusione della cultura, potrebbe riferirsi al materiale librario destinato al commercio con l’estero e dunque ad arredare le pareti di quei ricchi romani che egli critica nel suo dialogo. Purtroppo il passo liviano citato da Seneca non ci è pervenuto, ma è stato compendiato da Floro in Epitoma de Tito Livio, II, 13, 59:
Quam ubi Caesar restitui ius sit in regnum, statim ab isdem percussoribus Pompei obsessus in regia quamvis exigua manu ingentis exercitus molem mira virtute sustinuit. Ac primum proximorum aedifi ciorum atque navalium incendio infestorum hostium tela summovit, mox in paeninsu lam Pharon subitus evasit
(«Quando Cesare rimise Cleopatra sul trono fu assalito nel palazzo reale dai medesimi carnefici di Pompeo, e seppur con poche truppe resistette con grande valore alla mole d’un ingente esercito. E per prima cosa con l’incendio degli edifici più vicini e di quelli navali stornò i dardi dei nemici che lo ataccavano, poi all’improvviso si portò sulla penisola di Faro»)
Confrontando il brano riportato con quanto si legge in Orosio, Lucano e Dione Cassio, i quali si servono anch’essi dell’opera liviana come fonte, Canfora suggerisce di interpretare “gli edifici più vicini” come i depositi portuali del grano e dei libri, mentre di diverso avviso sono Berti e Costa, secondo i quali l’espressione renderebbe possibile l’ipotesi di un eventuale coinvolgimento nell’incendio anche della biblioteca del Museo. Tuttavia sia le Periochae di Livio sia il Breviarum ab urbe condita di Eutropio non fanno minimo cenno alla distruzione di tale costruzione alessandrina.
In base allo stato attuale delle ricerche, dunque, benché non manchino autorevoli pareri discordanti e la quaestio sia tuttora aperta tra gli studiosi, sembra lecito ritenere che la scena delle fiamme che bruciano la prestigiosa biblioteca di Alessandria nel 48 a.C. sia propria dell’immaginario collettivo, ma non della realtà storica.
BIBLIOGRAFIA
- Berti- V. Costa, La biblioteca di Alessandria: storia di un paradiso perduto, Tivoli, Tored, 2010.
- Canfora, La biblioteca scomparsa, Palermo, Sellerio, 1990.
- G. Nesserath, Did it burn or not? Caesar and the Great Library of Alexandria: a new look at the sources, in I.Volt- J. Päll, Quattuor Lustra: papers celebrating the 20th anniversary of the re-establishment of classical studies at the University of Tartu, Tartu, Tartu University Press, 2012, pp.56-74.
- Rico, The destruction of the library of Alexandria: a reassessment, in C. Rico-A. Dan, The library of Alexandria: a cultural crossroads of the ancient world: proceedings of the second Polis Institute Interdisciplinary Conference, Gerusalemme, Polis Institute Press, 2017, pp.293-330.
- Tiberi, La biblioteca di Alessandria e l’incendio che non la distrusse. I: Riflessioni moderne fino a Giusto Lipsio, Bibliothecae.it, 2020.
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- Berti – V. Costa, La biblioteca di Alessandria: storia di un paradiso perduto, Tivoli, Tored, 2010.
- Tiberi, La biblioteca di Alessandria e l’incendio che non la distrusse. I: Riflessioni moderne fino a Giusto Lipsio, Bibliothecae.it, 2020.