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D’Annunzio a Fiume: fra nazionalismo e rivoluzione
Sebbene al giorno d’oggi gli studi su “L’impresa di Fiume” e la figura di Gabriele D’Annunzio siano esaustivi e precisi, questo fatto storico per una parte dell’opinione pubblica italiana è ancora un tabù, un argomento da evitare: è ancora forte l’opinione che essa sia un’impresa fascista compiuta da un fanatico fascista. La realtà, però, è ben diversa, o meglio, di non così facile interpretazione. L’obiettivo dell’articolo in questione è analizzare il fenomeno storico limitandosi ai fatti, facendo una breve cronologia delle cause che portano il poeta abruzzese ad attuare questo colpo di mano, analizzando ciò che accade a Fiume nel biennio di governo dannunziano.
Il patto di Londra: “vinta la guerra, persa la pace”
Per comprendere i fatti accaduti fra il 1919 e il 1920 a Fiume, è necessario tornare indietro di qualche anno: la Prima guerra mondiale vede contrapposti in Europa due blocchi di nazioni, la Triplice Alleanza (Italia, Austria-Ungheria e Germania) e la Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e successivamente Stati Uniti). La guerra scoppia nel giugno 1914 ma l’Italia, sfruttando il fatto che l’alleanza di cui fa parte è di natura difensiva, non entra ancora in guerra. Il 26 aprile del 1915 l’Italia firma alle spalle dei propri momentanei alleati il Patto di Londra, tradendo la precedente fazione e aderendo alla Triplice intesa, promettendo a Francia e Inghilterra l’entrata in guerra contro gli imperi centrali entro un mese.
Cosa vi è presente nel patto stipulato con la Triplice intesa di così allettante da tradire la Triplice alleanza? La risposta è molto semplice, in caso di vittoria l’Italia può ottenere non solo i territori che desidera, ma di più: Trento e Trieste, Gorizia e Gradisca, Tutta la penisola istriana con golfo del Quarnero e la Dalmazia centrale e settentrionale. L’Italia vede l’opportunità di realizzare il sogno della creazione di un’Italia imperiale, potenza indiscussa dell’Adriatico[1].
Come si può notare, Fiume però non c’è: non solo non è presente nelle concessioni territoriali del patto di Londra, ma non è nemmeno presente nelle richieste italiane, nonostante la popolazione italofona sia maggioritaria. La città inoltre sarebbe diventata parte integrante del neonato stato croato, e alla delegazione italiana capeggiata dal presidente del consiglio dei ministri Antonio Salandra al momento non crea alcun problema, in quanto reputata strategicamente inferiore a Trieste[2]. Per lo stato italiano è importante stabilire il controllo su questi territori, per poi chiedere Fiume magari più avanti.
La situazione però da lì a poco cambia in maniera drastica, se non quasi tragica per l’Italia: la possibile eccessiva influenza italiana nell’area non entusiasma gli Stati Uniti, tanto meno la Gran Bretagna e la Francia che vogliono estendere la propria influenza sulla penisola balcanica. Il vuoto di potere lasciato dall’impero austro-ungarico fa diventare realtà la nascita dello stato di Jugoslavia, le tre potenze vincitrici decidono di appoggiarlo per tamponare un’ eccessiva influenza italiana nell’area.
L’Italia occupa i territori concessi dal patto di Londra, ma il neonato stato jugoslavo (sotto spinta francese) contesta le pretese adriatiche italiane. Tutto ciò inizia a creare forti tensioni fra i due contendenti e forti disordini: gli italiani iniziano a chiedere ulteriori concessioni territoriali non previste e la preoccupazione sale. Le relazioni fra i due stati però si fanno sempre più tese arrivando ad un vero e proprio scontro diplomatico alla Conferenza di Parigi: la Jugoslavia chiede di fatto i territori di recente conquista italiana, l’Italia chiede (oltre ai territori promessi) Fiume e l’Albania.[3]
Il Consiglio nazionale italiano, la Jugoslavia e l’Italia
La tensione fra i due stati non rimane una cosa circoscritta nelle stanze parigine, ma ha il suo sfogo pratico nella città di Fiume, che passa da centro abitato sacrificabile a baluardo nazionalista italiano. Il 30 ottobre 1918 il Consiglio nazionale italiano cittadino chiede a gran voce di essere annesso allo Stato sabaudo secondo il diritto di autodeterminazione dei popoli dei Quattordici punti di Wilson[4].
La parte italofona della città (la maggiorparte della popolazione) ha al suo interno sia una parte irredentista che una autonomista, ma entrambe sono più propense ad un annessione all’Italia piuttosto che una al nuovo stato jugoslavo, ritenuto ostile nei confronti degli italiani. Un gesto non episodico, che fa parte di una lunga scia di tensioni che evidenziano un rapporto non sicuramente idilliaco fra italiani e slavi[5].
Italia e Jugoslavia cercano di continuo di sabotarsi a vicenda: il governo italiano cerca di soffiare sul malcontento dei partiti indipendentisti presenti all’interno del nuovo stato, appoggiando ad esempio il partito croato di Ivo Frank, teorizzatore di una Croazia libera ed indipendente dalla Serbia[6]. Stessa cosa cerca di fare la Jugoslavia tramite il socialista Gollob: fare una rivolta con l’appoggio dei socialisti jugoslavi e triestini creando uno stato della Venezia Giulia ma si rivela un nulla di fatto.[7] Fiume quindi si rivela il campo di battaglia geopolitico delle due nazioni.
Le truppe jugoslave occupano la città per un brevissimo periodo e, il 17 novembre 1918, di tutta risposta sbarca a Fiume l’esercito italiano entrando in città e scatenando l’entusiasmo degli italiani, contemporaneamente sbarcano in città reparti militari inglesi, statunitensi e francesi. Prende vita così il Corpo d’occupazione interalleato[8], successivamente capeggiato dal generale italiano Grazioli. Nessuno però vuole in alcun modo concedere Fiume all’Italia, in particolare la Francia, favorevole ad una Fiume jugoslava per avere una base d’appoggio nei balcani per l’Armeé d’Orient del generale Traniè, facente parte del corpo d’occupazione interalleato. Gli animi nella città si scaldano sempre più.

I “vespri fiumani” e i sette giurati di Ronchi
Se gli animi a Parigi sono diplomaticamente accesi, a Fiume invece essi sfociano in guerriglia di strada: la popolazione fiumana di lingua italiana e i soldati del contingente francese si scambiano di continuo provocazioni, arrivando anche a veri e propri scontri armati in cui muoiono alcuni soldati transalpini[9]. Questi scontri accadono fra il mese di giugno e di luglio 1919 che D’Annunzio, successivamente, battezza come “vespri fiumani”.
Questo disordine non viene tollerato in alcun modo dagli altri contingenti militari che formano una commissione interalleata, condannano sia il contingente francese che quello italiano, ma decidono della cacciata della maggior parte dei soldati sabaudi, il cui reparto di riferimento è quello dei Granatieri di Sardegna. Essi, accompagnati dalla commozione dei fiumani italiani, escono dalla città il 25 agosto 1919 e si fermano a Ronchi, una cittadina alle porte di Monfalcone[10].
Il 31 agosto 1919 si riuniscono sette giovani ufficiali dei Granatieri: essi si chiamano Riccardo Frassetto, Vittorio Rusconi, Rodolfo Cianchetti, Claudio Grandjaquet, Lamberto Ciatti, Attilio Adami, ed Enrico Brichetti. Essi giurano sulla loro vita di essere fedeli alla causa di Fiume e di annetterla all’Italia. Programmano un colpo di mano, una marcia su Fiume che possa rompere gli schemi e attirare l’attenzione internazionale senza pensare alle conseguenze. Per attuare una cosa simile però c’è bisogno di un capo, un uomo popolare che sappia influenzare le masse: viene scelto dai sette Gabriele D’Annunzio.[11]
D’Annunzio è già dietro le quinte
Se i sette giurati di Ronchi scelgono D’Annunzio in maniera fortuita, il poeta-soldato però non si fa di certo cogliere impreparato, e non è nemmeno indifferente al clima che si respira. Il vate segue l’evolversi della questione fiumana in maniera scrupolosa in sia sul campo diplomatico che su quello militare da tempo, mettendosi in contatto sin dal marzo 1919 con l’ex Ardito irredentista Nino Host Venturi, Edoardo Susmel e l’industriale nazionalista triestino Oscar Sinigaglia[12].
Quest’ultimo è una figura molto importante perché collante fra la passione irredentista e il cinismo industriale-imperialista italiano. Un’annessione di Fiume all’Italia avrebbe dato l’occasione di aprire definitivamente i propri mercati ai Balcani a tutta la classe produttiva italiana. Gli industriali italiani finanziano di fatto un intervento armato italiano per scacciare l’occupazione interalleata, cosa su cui sono d’accordo anche i nazionalisti Host Venturi e Susmel[13]: è necessario un intervento esterno[14].
L’azione dannunziana non è quindi solo un’iniziativa dettata da un forte sentimento nazionalista, ma anche un azione economico-politica portata avanti da giornalisti e anche da associazioni irredentiste come la Trento e Trieste. L’obiettivo è quello di creare nella popolazione e nell’esercito affezione alla causa fiumana[15]. Ruolo da non sottovalutare, D’Annunzio il 6 settembre 1919 incontra nella sua residenza veneziana Attilio Prodam (membro del consiglio nazionale fiumano) per informarsi sulla situazione cittadina e sullo stato della popolazione. Inoltre scrive un articolo dal titolo Italia o morte da pubblicare sul giornale italiano di Fiume “La vedetta d’Italia” il giorno in cui D’Annunzio entra nella città[16].

13 settembre 1919, D’Annunzio entra a Fiume
D’Annunzio arriva a Ronchi in data 11 settembre 1919, atteso dai duemila soldati del reparto dei Granatieri di Sardegna, il loro maggiore di nome Carlo Reina e da arditi fedeli al vate. Il mattino del 13 settembre D’Annunzio in testa al suo contingente militare parte per Fiume, dove si incontra coi nazionalisti dell’esercito fiumano. Essi arrivano fino alla barra di Cantrida (località che divide la città di Fiume dai nuovi possedimenti italiani) e si interfacciano con il generale Pittaluga, nuovo comandante del corpo interalleato dopo l’allontanamento del generale Grazioli.
Chiede rinforzi ma ormai è troppo tardi (vedendo anche non molta convinzione nei suoi soldati), D’Annunzio coi suoi legionari “sfonda” la barra di Cantrida. Il corpo interalleato di Fiume si scioglie definitivamente, D’Annunzio entra a Fiume e viene accolto come un eroe dai nazionalisti italiani di Fiume e da tutta la cittadinanza di lingua italiana. Nel governo italiano si chiedono come sia stata possibile una cosa del genere: la risposta è che nell’esercito italiano c’è un accondiscendenza dei reparti militari e anche di alcuni comandanti che omettono ripetutamente il reale stato d’animo delle truppe.
Nella città di Fiume sono tutti a conoscenza di ciò che può accadere da lì a pochi giorni, la nave militare italiana Dante Alighieri è ancora al suo posto, quando sarebbe dovuta partire il giorno stesso del colpo di mano di D’Annunzio[17]. Ciò ci fa capire perfettamente che l’esercito italiano è pienamente a conoscenza dell’arrivo di D’Annunzio, di fatto sono tutti complici del fatto momentaneo, ma non di quello che accade dopo. D’Annunzio da comandante del colpo di mano diventa governatore della città, e lo rimane per sedici mesi[18]. Dal 13 settembre 1919 l’occupazione dannunziana si tramuta, in maniera molto lenta ma inesorabile, da manifestazione nazionalista a esperimento rivoluzionario che entra in conflitto col governo italiano.
“Ragionevoli” e “scalmanati”, le anime legionarie fiumane
Analizzare il periodo rivoluzionario dell’impresa di Fiume non è affatto facile, in quanto vi sono presenti un pluralismo di anime e di pensieri non indifferente. Il ruolo principale lo giocano sicuramente i legionari in quanto sono il braccio armato del colpo di mano, coloro che stanno alle spalle di D’Annunzio ma che rendono possibile tutto questo. Tuttavia non è corretto pensare che questi soldati avessero un pensiero univoco, anzi tutt’altro, col tempo essi si dividono in due fazioni totalmente diverse ma fondamentali entrambe: queste due fazioni vengono denominate in “ragionevoli” e in “scalmanati”.
Entrambi gli schieramenti sono d’accordo sul fatto che Fiume dev’essere città italiana, ma mentre i primi si prestano a D’Annunzio solo per passione nazionalista, i secondi sono lì anche per iniziarvi una vera e propriae rivoluzione. Sono animi inquieti,in alcuni casi anche consumatori di droghe, che fanno convivere al loro interno uno spirito ribelle ma leale alla nazione e che rendono possibile e memorabile l’impresa[19]. Entrambi hanno stima enorme di D’Annunzio e lo considerano il loro punto di riferimento morale e politico. Entrambi gli schieramenti legionari, uniti si rendono responsabili di un atto di insubordinazione, di disobbedienza nei confronti dell’autorità militare nazionale senza precedenti.
Un colpo veramente basso soprattutto per l’esercito italiano che nella sua morale vanta distinzione per lealismo ed estraneità da qualsiasi giogo politico[20]. Nella maggior parte dei casi, soprattutto per quanto riguarda gli “scalmanati” parliamo di ragazzi giovani, di soldati semplici che vedono nell’azione di D’Annunzio un’opportunità di cambiamento e anche di lasciare in qualche modo il segno. Sono ragazzi che sono pesantemente influenzati dagli eventi della politica estera italiana e ne assorbono la frustrazione: rispecchiano totalmente la crisi sociale italiana del tempo e la voglia di cambiamento. Dal gennaio del 1920 danno ai cinquecento giorni di governo di D’Annunzio nuova linfa vitale e un’impronta indelebile[21]. I personaggi più di spicco degli “scalmanati” sono sicuramente Léon Kochnitzky, Guido Keller e Giovanni Comisso che, insieme, mettono Fiume al centro del mondo.
Léon Kochnitzky, il giornalista al fianco di D’Annunzio “sedotto e abbandonato”, tra Lega di Fiume e Ufficio Relazioni Esteriori
Il destino di ciascuno dei tre personaggi citati è legato l’uno all’altro, in maniera anche piuttosto inconsapevole e inaspettata: Giovanni Comisso e Guido Keller alloggiano entrambi all’Hotel Royal di Fiume, da lì creano un legame d’amicizia fortissimo, Léon Kochnitzky arriva in città dopo la sua occupazione e lavora con Giovanni Comisso, creando prima un solido rapporto di lavoro e poi un’amicizia.
Léon Kochnitzky nasce in Belgio nel 1896, conosce il vate a Roma nel luglio del 1919 e ne rimane affascinato. Arriva a Fiume dopo la sua occupazione e diventa reporter del giornale “L’Indépendance Belge”[22]. Subito però il giornale lo ammonisce in quanto i suoi resoconti hanno posizioni politiche non compatibili con quelle del giornale. Kochnitzky instaura rapporti sempre più fitti con D’Annunzio il quale gli dà alcuni incarichi di propaganda e lo spoglio della stampa estera. Successivamente, visto che l’azione di D’Annunzio ha una risonanza mondiale, il poeta-soldato gli affida l’incarico dell’Ufficio Relazioni Esteriori[23], una sorta di ministero degli esteri della città di Fiume. Kochnitzky sostiene di avere una certa influenza sulle decisioni del Comandante, lui effettivamente ascolta con attenzione ma poi fa di testa sua. Per il giornalista belga il mondo deve virare verso una rivoluzione comunista.
Diventa uno dei promotori del fiumanesimo e assieme a D’Annunzio e Toeplitz de Grand Ry crea la Lega di Fiume, una sorta di associazione sovranazionale a cui possono aderire tutti quei popoli oppressi da qualsiasi potenza colonizzatrice. Tramite l’Ufficio Relazioni Esteriori D’Annunzio fa scrivere una lettera a Henri Barbusse dove si sostiene la Russia bolscevica, che è contro Versailles come il governo dannunziano di Fiume[24]. tutto ciò desta enorme scalpore fra la stampa italiana. D’Annunzio stringe rapporti con ex membri del governo ungherese di Bela Kun cercando in tutti i modi di far riconoscere il proprio governo lasciando senza parole anche i suoi sostenitori, che impallidiscono nell’aver a pochi chilometri dall’Italia uno stato comunista. Fra l’altro D’Annunzio non nutre antipatie per la rivoluzione russa che distrugge una società statica creando così un nuovo stato con basi nuove. Ci sono scambi di lettere verificati fra D’Annunzio e Cicerin, ma anche fra Kochnitzky e il professor Barjansky[25].
La creazione della lega di Fiume ha una data precisa: il 2 febbraio 1920, che corrisponde all’invio della lettera al segretario della società delle nazioni Eric Dummond, in cui si accusa la società delle nazioni di essere al servizio dell’impero britannico e del capitalismo mondiale. Fiume diventa idealmente il centro di una rivoluzione mondiale[26]. L’URE cerca quindi di guadagnare le simpatie di tutti i movimenti indipendentisti e rivoluzionari stranieri per creare una contro-società delle nazioni, inizialmente limitandosi ad accogliere dichiarazioni di appoggio alla causa. Il 27 marzo 1919 Kochnitzky comunica il desiderio di includere in questo progetto turchi ed indiani, il capo del movimento fiammingo Alberic Deswarte, i comunisti ungheresi esuli a Vienna e le forze separatiste croate, montenegrine e albanesi per destabilizzare la Jugoslavia[27].
Ci sono anche testimonianze di rapporti con paesi non occidentali come con i nazionalisti egiziani e con il poeta giapponese Shimoi, ma sono cose che alla fine rimangono un nulla di fatto. di fatto però questo progetto di una contro-società delle nazioni si ridimensiona a causa soprattutto della carenza di fondi, dandosi la propria area di competenza la penisola balcanica: D’Annunzio entra in contatto coi rivoluzionari montenegrini, albanesi e croati con cui stipula anche veri e propri trattati: uno di questi è quello stipulato fra D’Annunzio e i croati nel 5 luglio 1920 a Venezia in cui si parla di supporto economico-militare ai movimenti indipendentisti in cambio di una Dalmazia indipendente e neutrale sotto protettorato italiano[28].
Léon Kochnitzky non la prende molto bene perchè vede il proprio progetto iniziale varato anche da D’Annunzio ridimensionarsi a uno strumento nazionalista italiano. I rapporti fra i due si raffreddano sempre più, tant’è che il 28 luglio 1919 il giornalista belga va via da Fiume. Così finisce il sogno utopico di una creazione di una lega dei popoli oppressi.
“Yoga” e “Testa di ferro”. Guido Keller e i Futuristi: due concezioni diverse di mondo nella stessa città
Come già riportato, Giovanni Comisso e Guido Keller durante la permanenza a Fiume fondano la rivista “Yoga”, a cui successivamente aggiungono “Unione degli spiriti liberi”. Questa organizzazione è formata principalmente da tutti quei legionari reputati più intelligenti d’altri o semplicemente da personalità scomode alla quiete pubblica. D’Annunzio sa benissimo dell’esistenza di questa “setta”, tant’è che approva l’operato di Keller munendo i membri di gagliardetti personalizzati. Keller e i suoi seguaci si riuniscono quotidianamente alla Piazza del Fico di Fiume per discutere dei temi più stravaganti che vanno dall’abolizione delle carceri e del denaro al trasferirsi tutti in Russia.
Successivamente alla promulgazione della costituzione fiumana da parte di D’Annunzio e Alceste De Ambris, Comisso e Keller si recano al palazzo del governo per ottenere l’approvazione di D’Annunzio, che è entusiasta ma prima della pubblicazione vuole controllare le bozze e pubblicare un suo articolo in prima pagina del primo numero, decisione che ai due non va molto a genio. All’inizio il giornale però è in progetto di chiamarsi in un’altra maniera: L’uomo libero di parte franca, titolo di giornale “scopiazzato” da un’idea dannunziana che il vate ha a Roma. Per mantenere però una propria indipendenza il giornale viene chiamato “Yoga”. nel giornale c’è uno scontro fra materialismo e spiritualismo per un idea di bellezza frutto dell’appartenenza alla razza latina capace di compiere una rivoluzione che possa sostituire la borghesia con una nuova èlite fiumana[29].

Gli obiettivi di questo quotidiano sono lo sviluppo dell’individualità e la critica ai partiti d’Italia. E’ comunque un giornale sovranista ma non di stampo nazionalista novecentesco anzi, sostiene l’autodeterminazione dei popoli su stampo italiano. E’ anche un giornale anti europeista e che critica fortemente le politiche estere di Francia ed Inghilterra perchè ovviamente in contrasto alle aspirazioni italiane e fiumane. Il giornale ovviamente sostiene la lega di Fiume in chiave anti sistema: tant’è che nella marcia di Roma sostengono che essa sia il primo vero atto antieuropeo mai fatto dall’Italia.
E’ quindi necessario, per le idee di Keller e del suo giornale, potenziare lo spirito italico affinchè potesse rinascere un’arte latina che potesse trionfare sulle arti francesi e tedesche[30]. Questo giornale appoggia, in tutto l’arco della sua esistenza, le politiche di D’Annunzio difendendolo dalle critiche postume la Carta del carnaro. L’altro giornale nato a Fiume è La testa di ferro: per un periodo, fino all’arrivo di Filippo Tommaso Marinetti, questi due giornali sono anche concettualmente vicini. Il giornale futurista viene denominato così da una citazione di D’Annunzio nel suo discorso del 30 settembre 1919 a Fiume in cui loda i soldati italiani che lo hanno seguito.
Il primo febbraio 1920 esce il primo numero de La testa di ferro con esposto il proprio programma e le proprie idee. Sulle pagine di questo giornale si uniscono ufficialmente tutti gli ideali rivoluzionari fiumani in quanto per un periodo ci scrivono Alceste De Ambris, Guido Keller e lo stesso D’Annunzio. le idee di questo editoriale erano varie ma la principale è sicuramente quella del fiumanesimo: trasformare una rivoluzione cittadina in una mondiale. E’ un giornale che rispecchia il carattere futurista: un giornale trasversale, che vuole ripulire il patriottismo dal nazionalismo, imprimendogli una visione democratica di stampo mazziniano[31];attacca il partito socialista perché pacifista e contrario al patriottismo ma allo stesso tempo ammira i bolscevichi e Lenin.
L’editoriale cerca di trasferirsi a Milano per diffondere gli ideali del fiumanesimo in tutta Italia e ciò rappresenta la rottura tra fascismo e futurismo dopo le dimissioni di Marinetti e Carli dai fasci di combattimento[32]. A Fiume Carli cerca di fondare il fascio di combattimento fiumano ma senza alcun risultato, in quanto il suo movimento è sfasato, diverso da quello mussoliniano. Carli prende sempre più distacco da Mussolini soprattutto dopo l’apertura di esso a Giolitti, tradendo di fatto la politica dannunziana. Carli aveva un’idea di Italia “dannunzio centrica”, una nuova Italia che con una figura come D’Annunzio sarebbe definitivamente passata da monarchia a repubblica[33].
La Carta del Carnaro, l’opera maestra di Fiume in mezzo a due punti di vista differenti
Mentre le varie opere rivoluzionarie dei personaggi già citati vengono redatte e lavorate, nel totale silenzio, dietro le quinte D’Annunzio e il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris progettano e scrivono la carta costituzionale fiumana: la carta del carnaro. Appena il sindacalista toscano arriva a Fiume, i due si mettono subito al lavoro e non con poca fatica, in quanto far coesistere in un documento due personalità così diverse è impresa ardua. La prima “discussione” la si ha su cosa far diventare Fiume: Repubblica o no?
A D’Annunzio il termine repubblica non piace molto, preferendo quello di Reggenza. D’Annunzio ha paura che utilizzando un termine troppo forte si possa perdere sostegno nel regno d’Italia[34]. I due hanno opinioni differenti anche su ciò che questa costituzione deve rappresentare. Per De Ambris questa deve essere l’inizio di una vera e propria politica dannunziana che nasce a Fiume e si estende in tutta Italia, ovvero “fiumanizzare” la lotta politico-sociale italiana. D’Annunzio non è propriamente d’accordo, o meglio egli vede nella carta anche un documento anticipatore di certe battaglie politiche, ma soprattutto un documento che testimonia nella storia la sua impresa fiumana[35].
La pubblicazione della costituzione va in concomitanza ad una dichiarazione di indipendenza della città, ma di ciò se ne parla più avanti nel marzo 1920. Ciò però ha reazioni diverse sia nel consiglio fiumano che nell’animo legionario, e si rimanda tutto all’agosto 1920. Il 12 agosto 1920 D’Annunzio indice un discorso intitolato Domando alla città di vita un atto di vita al teatro fiumano Fenice, in cui spiega i motivi per cui Fiume non si unisce all’Italia ma ciò non è digerito soprattutto dai legionari. D’Annunzio allora si vede costretto ad anticipare la pubblicazione della Carta al 30 agosto 1920 per “sviare” la situazione tesa cittadina dopo le sue dichiarazioni al teatro, oltre che per non perdere sostegno di chi a Fiume ci era venuto per un’annessione alla madrepatria.
Anche De Ambris è favorevole alla pubblicazione anticipata della carta, in quanto reputa che troppo immobilismo all’interno delle mura cittadine sia nocivo per l’impresa stessa, avrebbe dato nuova linfa vitale al movimento legionario. Anche qui però le visioni dannunziane e deambrisiane sono diverse: se il primo vedeva nella dichiarazione di indipendenza della città una forzatura per mettere pressioni sul governo Giolitti, e per minare le trattative con la jugoslavia, per il secondo invece questa carta guardava all’Italia in maniera rivoluzionaria. La carta del carnaro deve essere il programma politico maestro che unisce il movimento legionario e le forze sovversive italiane.
Le iniziative rivoluzionare deambrisiane però non riscuotono tanto successo in Italia: sia chi appoggiava il fiumanesimo e sia la sinistra e le forse sovversive erano troppo deboli e divise per attuare una vera e propria rivoluzione, nemmeno Mussolini appoggia più la causa dannunziana, preferisce scendere a patti con Giolitti. Nonostante la situazione precaria fuori Fiume e nonostante i diversi modi di intendere la Carta, D’Annunzio e De Ambris vanno d’accordo sul simbolo rivoluzionario che la Carta rispecchia[36]. L’unione fra questi due personaggi porta all’elaborazione di un documento importantissimo totalmente in contrasto coi retaggi culturali e sociali del Novecento. La Carta del Carnaro non diventa solo costituzione, ma vera e propria opera letteraria, anticipatrice di moltissime innovazioni che si verificheranno nei decenni seguenti.

Fra le pagine della Carta del Carnaro
Questo documento è un unicum rispetto alle carte costituzionali redatte nei primi anni del ‘900, trovare degli elementi di confronto è molto complicato. Il nuovo stato teorizzato dai due uomini è una sorta di “Repubblica” parlamentare decentralizzata. La parola “Repubblica”, come già affrontato, non piace molto a D’Annunzio che gli preferisce “Reggenza”[37].
Nel nuovo stato teorizzato dalle due menti, non è presente un vero e proprio capo dell’esecutivo, ma vi sono sette “rettori” che corrispondono al numero di ministeri: Affari esteri, Finanza e tesoro, Pubblica istruzione, Interni e la Giustizia, Difesa nazionale, Economia pubblica e il lavoro. Essi sono eletti per un anno e sono rieleggibili solo una volta tranne dopo la cessazione del loro incarico di un anno.
Al vertice di quest’organizzazione vi è il comandante ovvero D’Annunzio e che nel momento in cui lo Stato si trovasse in pericolo, come nella Roma repubblicana, egli acquisisce il titolo di dictator. Il potere legislativo è formato da due corpi eletti: Il consiglio degli Ottimi e quello dei Provvisori: riguardo al primo può essere formato da qualsiasi cittadino maggiore di 20 anni e durano d’ufficio tre anni, il loro numero non può essere inferiore a trenta. Il secondo dev’essere composto da sessanta membri eletti dalle dieci Corporazioni, il consiglio rappresentante tutti i ceti produttivi della reggenza fiumana. Stanno in carica due anni e non sono rieleggibili. Entrambi i consigli si riuniscono una volta l’anno in quello che viene denominato Arengo del Carnaro.
Il potere giudiziario è in mano ad una serie di enti giudiziari: il Buoni uomini, i Giudici del lavoro, i Giudici togati, i Giudici del maleficio, la Corte della ragione. Ogni cittadino, secondo la carta, al compimento dei vent’anni può votare ed esser votato[38]. I comuni possono godere di grande autonomia, le minoranze etniche (fra tutte quella croata) possono avere l’insegnamento scolastico nella loro lingua madre, riconosciuta dallo Stato centrale stesso con un occhio sempre di riguardo però verso il mito della civiltà latina[39]. La libertà religiosa e sessuale è tollerata e legalizzata dallo Stato.
A Fiume inoltre, la Carta dà il via libera per la formazione di un’Università a Fiume, inoltre l’istruzione è gratuita e la cultura risulta un elemento fondamentale nel nuovo stato[40]. Oltre a queste cose, totalmente nuova è l’attenzione del documento costituzionale al benessere del lavoratore: ogni dipendente deve avere un salario minimo che gli consenta di vivere decentemente, inoltre doveva avere diritto alla malattia, alla pensione e il risarcimento giudiziario in caso di errore o abuso di potere[41].
D’Annunzio e De Ambris distruggono di fatto la dicotomia padrone-oppressore e proletari-vittime tipica del capitalismo, inoltre creano le Corporazioni. delle strutture in cui l’uomo potesse partecipare in maniera attiva al mondo del suo lavoro, ognuna di essa corrisponde a un tipo di lavoro differente: la prima era quella dei trasporti, commercio, industria e agricoltura; la seconda agli addetti ai corpi tecnici e amministrativi di ogni azienda privata; la terza agli addetti delle aziende commerciali che non fossero operai; la quarta i datori di lavoro; la quinta gli impiegati pubblici; la sesta gli studiosi e gli studenti; la settima i liberi professionisti; l’ottava le società cooperatrici di produzione, lavoro e consumo; la nona tutti coloro che lavoravano con il mare; la decima è la cultura[42].
Un sistema complesso ma rivoluzionario, completamente nuovo. I rapporti tra lo Stato centrale e le Corporazioni erano regolati negli stessi modi che gli statuti regolano le dipendenze fra lo stato centrale e i comuni. La carta del carnaro risulta quindi un documento che di fatto è una novità, un qualcosa di veramente rivoluzionario e libertario che incarna in sè tutti quei movimenti che rendono Fiume soprattutto una meta rivoluzionaria, al di sopra di qualsiasi orientamento politico.
La rivoluzione non si ferma qui, dopo la società bisogna rivoluzionare l’esercito
Assieme a tutte queste novità D’Annunzio ne aggiunge un’altra, ancor più sconvolgente per l’epoca (soprattutto per gli ultimi ufficiali dell’esercito rimasti a Fiume): il Disegno di un nuovo ordinamento dell’esercito liberatore e redatto assieme al capitano Giuseppe Piffer, pubblicato a fine ottobre 1920. Esso sancisce un nuovo inizio nel rapporto fra il comandante e l’esercito. Il primo ha la facoltà di dichiarare guerra, ma la devozione e la disciplina dei soldati è totalmente svincolata da un ordine gerarchico. I soldati eseguono gli ordini perché riconoscono le ragioni, non perché il comandante gli è gerarchicamente superiore.
Il governo dell’esercito è adempiuto da un consiglio i cui membri intraprendono qualsiasi decisione in maggioranza e in piena uguaglianza senza contare i gradi, capovolgendo totalmente le regole gerarchiche tradizionali. la gerarchia quindi diventa una pura formalità[43]. Indifferentemente dal ruolo ricoperto, l’unità dell’esercito era la sua Legione, la vera avanguardia composta dal soldato italiano sempre pronto al sacrificio per la Patria. L’esercito quindi, viene ridisegnato come un qualcosa di organico, di tutt’uno. L’addestramento fisico è importantissimo con giochi e gare greco-romane, rimettendo al centro della rivoluzione il legionario fiumano[44].
Il “Natale di sangue” spazza via ogni speranza di rivoluzione
La Costituzione del Carnaro e il “Disegno di un nuovo ordinamento dell’esercito liberatore” non entrarono mai ufficialmente in vigore, lasciando questi ideali rivoluzionari in un limbo su carta. le memorie rivoluzionarie dannunziane vengono spazzate via da ciò che il Vate ribattezza successivamente come “Natale di sangue”: il 25 dicembre 1920 l’esercito sabaudo con a capo Enrico Caviglia irrompe a Fiume per prenderne il controllo cacciando D’Annunzio. Fiume quindi diventa uno stato libero sotto protettorato italiano, potenziale porta d’Italia verso la Jugoslavia.
Il 12 novembre 1920 Jugoslavia e Italia firmano il Trattato di Rapallo risolvendo per ora la crisi adriatica. Con questo documento il ministro degli esteri Carlo Sforza l’Italia ottiene anche le cessazioni delle pretese del regno SHS su Zara, Cherso e Lussino[45]. Dal punto di vista del governo sabaudo questa è sicuramente una grande mossa geopolitica, dal punto di vista della Fiume rivoluzionaria il biennio dannunziano finisce in tragedia con il tentato omicidio di D’Annunzio. La nave militare Andrea Doria punta i suoi cannoni verso il Palazzo del Governo, dove soggiorna D’Annunzio.
Essa fa fuoco e non lo uccide per puro caso. Con questa tragedia finisce l’epopea fiumana di D’Annunzio, un governo di due anni che da impresa nazionalista si trasforma in laboratorio rivoluzionario. Ben presto però, con il passare degli anni e dopo la morte di D’Annunzio, l’impresa fiumana viene etichettata da Mussolini come la prima vera rimostranza fascista, prendendo e copiando tutti i riti nazionalisti (facendoli propri) e “cancellando” volutamente il carattere libertario, rivoluzionario e antirazzista della Fiume dannunziana.
Note:
[1] M. Mondini, Fiume 1919. Una guerra civile italiana, Roma, Salerno, 2019, pp. 16-21
[2] P. Alatri, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica, Milano, Feltrinelli, 1959, pp. 18-19
[3] Volume “Italia contemporanea”, settembre-dicembre 2009, fascicolo n. 256-257, articolo di L. Monzali, La politica estera italiana nel primo dopoguerra 1918-1922, pp. 382-386
[4] M. Mondini, Fiume 1919. Una guerra civile italiana, p. 21
[5] G. Miksa, Le pubblicazioni giornalistiche italiane a Fiume, in “Quaderni” del centro di ricerche storiche Rovigno, XXVII, 2016, p. 481
[6] F. Caccamo, l’Italia e la “Nuova Europa”: il confronto sull’Europa orientale alla Conferenza di pace di Parigi (1919-1920), Milano, Luni Editrice, 2000, pp. 231-232
[7]P. Alatri, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica, p. 51
[8] S. Zala, L’ordine della trasgressione dannunziana a Fiume, p. 59
[9] Ivi, p. 60
[10] G. Bruno Guerri, Disobbedisco, cinquecento giorni di rivoluzione, Fiume 1919-1920, Milano, Mondadori, 2021, p. 51
[11] P. R. Di Colloredo Mels, La Carne del Carnaro, un giorno nella vita di Gabriele D’Annunzio: venerdi 12 settembre 1919, la ,marcia su Fiume, Luca Cristini Editore,2022.
[12] E. Serventi Longhi, Il faro del mondo nuovo, D’Annunzio e i legionari a Fiume tra guerra e rivoluzione, Udine, Gaspari Editore, 2019, p. 64
[13] Due personaggi estremamente importanti per l’irredentismo fiumano: vogliono l’annessione all’Italia e sono i capi della Legione fiumana, un reparto paramilitare di nazionalisti italiani originario appunto della città
[14] Ivi, pp. 64-65
[15] R. De Felice, D’Annunzio politico, 1918-1938 ,Milano, Luni Editrice, 2019, p.8
[16] G. Bruno Guerri, Disobbedisco, cinquecento giorni di rivoluzione, Fiume 1919-1920, p. 54
[17] G. Bruno Guerri, Disobbedisco, cinquecento giorni di rivoluzione, Fiume 1919-1920, pp. 67-73
[18] Ivi, p. 75
[19] G. Bruno Guerri, Disobbedisco, cinquecento giorni di rivoluzione, Fiume 1919-1920, p. 61
[20] M. Mondini, Fiume 1919. Una guerra civile italiana, p. 55
[21] M. A. Ledeen, D’Annunzio a Fiume, Roma-Bari, Laterza, 1975, p. 191
[22] P. L. Vercesi, Fiume. L’avventura che cambiò l’Italia, Milano, Neri Pozza, 2017, p. 108
[23] G. Comisso, Le mie stagioni, p. 42
[24] L.Kochnitzky, La quinta stagione o i centauri di Fiume, p. 136
[25] C. Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, p. 39
[26] L. Kochnitzky, La quinta stagione o i centauri di Fiume, p. 141
[27] G. Bruno Guerri, Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione, Fiume 1919-1920, p. 202
[28] R. De Felice, D’Annunzio politico 1918-1938, pp. 78-79
[29] G. Comisso, Le mie stagioni, pp. 54-59
[30] S. Bartolini, “Yoga”. Sovversivi e rivoluzionari con D’Annunzio a Fiume, pp. 68-74
[31] C. Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, p. 107
[32] Ivi, p. 112
[33] Ivi, p. 123
[34] R. De Felice, D’Annunzio politico, p. 131
[35] Ivi, p. 69
[36]A. De Ambris, LA questione di Fiume, a cura di Gennaro Manglieri, pp. 69-89
[37] M.A. Ledeen, D’Annunzio a Fiume, pp. 222-223
[38]G. D’Annunzio, La Carta del Carnaro ed altri scritti su Fiume, a cura di Marco Fressura e Patrick Carlsen con prefazione di G. Bruno Guerri, Del potere giudiziario, XXXIX – XXXX
[39] G. D’Annunzio, La Carta del Carnaro ed altri scritti s Fiume, a cura di Marco Fressura e Patrick Carlsen con prefazione di G. Bruno Guerri, Dei Comuni, XXII – Dell’Istruzione Pubblica, LII
[40] Ivi, Dell’Istruzione pubblica, LI
[41] Ivi, Dei Fondamenti, VIII
[42] Ivi, Delle Corporazioni, XIX
[43] C. Salaris, Alla festa della Rivoluzione, pp. 94-95
[44] E. Serventi Longhi, Il faro del mondo nuovo. D’Annunzio e i legionari a Fiume tra guerra e rivoluzione, pp. 149-150
[45] M. Mondini, Fiume 1919, una guerra civile italiana, cit. pp. 98-99
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- Giordano Bruno Guerri, Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920, Mondadori, Milano, 2019.
- Renzo De Felice, D’Annunzio politico 1918 – 1938, Luni Editrice, Milano, 2019.
- Claudia Salaris, Alla festa della Rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, Il Mulino, Bologna, 2002.
- Marco Fressura e Patrick Carlsen (a cura di), Gabriele D’Annunzio. La Carta del carnaro e altri scritti su Fiume, prefazione di Giordano Bruno Guerri, Castelvecchi, Roma, 2019.