CONTENUTO
Desiderio di Pace di Ottaviano tra riorganizzazione dell’Oriente e celebrazione della Vittoria
Gli anni precedenti il principato sono turbolenti e affinano la capacità di Ottaviano di capire gli umori e gli orientamenti della società romana. Comprende una cosa fondamentale, tutti gli strati sociali desiderano la Pax=Pace. Vogliono stabilità e ritorno all’ordine, assente oramai da più di quarant’anni.
La causa? Le guerre civili. Mario, Silla, Pompeo, Cesare, Antonio e anche Augusto sono i protagonisti di queste guerre e i colpevoli dei disastri a cui va incontro la società romana di fine primo secolo, tuttavia quest’ultimo è bravo a promuoversi come restauratore di pace e ordine.
Ha un compito delicato ed usa il potere ottenuto dopo la battaglia di Azio per attuare un programma che lo porta a diventare Princeps e solo detentore del potere a Roma. Agisce lentamente e non radicalmente. Si scosta da Cesare, che commette l’errore di accentrare velocemente il potere e dà l’idea di voler diventare un re. Ottaviano capisce di dover allontanare l’idea che la Repubblica si trasformi in monarchia. Infatti, da bravo politico, rifiuta la dittatura, offertagli più volte durante la carriera.
Come primo passo verso la Pax, decide di riorganizzare i territori in oriente. Crea stabilità lasciando i territori orientali a persone di fiducia. Per esempio affida l’Egitto a Cornelio Gallo in qualità di Prefetto D’Egitto. Ironicamente Gallo finisce la carriera con un suicidio, cosa comune per chi cadeva in disgrazia. Affronteremo questo argomento più avanti. Gli altri regni sono dati ai sovrani che hanno appoggiato Ottaviano o che non hanno aiutato Marco Antonio. Tutti gli altri, neanche a dirlo, perdono i propri regni. Questa riorganizzazione richiede un anno circa e la permanenza del futuro imperatore a Samo.
Rientrato a Roma, da bravo romano che rispetta la tradizione, fa organizzare grandi festeggiamenti per celebrare:
- le campagne dalmatiche 35 – 34 a.C.,
- la vittoria ad Azio 31 a.C. e sull’Egitto 30 a.C.
Sono eretti molti monumenti per l’occasione, in particolare a Roma, ma anche in altri siti. Avvia un programma che, attraverso restauro e creazione di monumenti abbinati ad un esteso apparato iconografico, celebra le sue gesta e fissa la loro memoria nel tempo.
Un’innovazione usata per celebrare le vittorie ottenute è la fondazione di Nicopoli o “ La città della Vittoria”. Gli dà lo stato di Civitas Libera e, giusto per ricordare a tutti che aveva vinto, crea i Giochi Aziaci, svolti qui ogni 4 anni in memoria del successo ottenuto.
La fondazione di una città è importante a livello simbolico. Si collega ad una abitudine dei sovrani orientali di celebrare una vittoria con la fondazione di una città. Ad essere particolarmente propenso a questa tradizione è Alessandro Magno, che ama fondare città con il suo nome.
Tra i generali romani Pompeo, anche lui Magno, fa fondare delle città, anche lui in oriente, in occasione delle sue vittorie. Ottaviano usa questi precedenti e, come già Pompeo, si presenta come nuovo Alessandro. Ironia a parte, il suo scopo è di essere accettato dalle popolazioni orientali come nuovo dominatore e riesce nell’intento rispettando le tradizioni dei territori conquistati. Fa inoltre ingrandire un tempio di Apollo e consacra l’area dello scontro a Marte e Nettuno.
Rinuncia ai poteri, nuove titolature e onori, e l’accentramento dei poteri
Dal 31 al 23 a.C. Ottaviano detiene il Consolato ininterrottamente e fino al 28 a.C. è in posizione di preminenza rispetto ai colleghi, scelti tra gli uomini a lui più fedeli. Mantiene così l’Imperium dei poteri, avendo la più alta carica prevista dallo stato romano.
Il processo che porta alla formazione giuridica del principato inizia con una seduta del senato il 13 Gennaio 27 a.C. Ottaviano, furbescamente, rinuncia a tutti i poteri straordinari ottenuti per le straordinarie circostanze affrontate. “Restituisce” formalmente la Repubblica al senato. Accetta solo il modesto Imperium Proconsolare delle province non pacificate (Spagna, Gallia, Siria, Cipro. Cilicia ed Egitto), dove, guarda caso, mantiene il grosso dell’esercito.
Pochi giorni dopo, il senato proclama Ottaviano Augusto, termine che viene dal verbo augere tradotto con innalzare o accrescere. Si proietta così in una dimensione sacra e dà l’idea che da lui emani un’aura, a beneficio di chi ne entri in contatto ottenendo prosperità, abbondanza, pace. In poche parole chi rientra nella sfera del suo potere che coincide con tutta la società romana. La sua casa è adornata con la corona civica, composta da foglie di quercia e concessa per aver salvato i cittadini. Riceve inoltre in dono un scudo d’oro, appeso in senato, nel quale sono incise tutte le sue virtù.
Dal 27 a.C. in poi sono attuati gli aggiustamenti che portano al principato. Sono distribuiti nel tempo, in apparenza minimi ma nell’essenza radicali. Sembra una cosa in contraddizione con quanto detto prima, cioè di non agire in maniera radicale. Tuttavia è in questa contraddizione che risiede tutto il genio di quella volpe di Augusto. Crea l’illusione di aver ripristinato la Repubblica, minimizzando le modifiche e ridando autorità alle magistrature repubblicane. Però nei fatti crea una nuova soluzione di governo. Abbandona la formula della città stato con magistrature inadeguate a controllare l’enorme territorio conquistato nei secoli e crea la figura del Principe, che con il suo carisma (Auctoritas) è un punto di incontro ed equilibrio di tutte le forze sociali.
La consapevolezza di questa sua opera è ben espressa da Augusto nel suo testamento politico le RES GESTAE: “successivamente fui superiore a tutti per autorità, pur non possedendo un potere superiore a quello degli altri che mi furono colleghi nelle magistrature”.
Si definisce sempre un Primus Inter Pares, primo tra pari, o Princeps. Augusto alterna periodi triennali di presenza nelle province, dove rinsalda i legami con l’esercito e i suoi generali, a periodi biennali di presenza a Roma. Illude tutti e crea l’idea che rispetti la tradizione dei mandati magistratuali assegnati nel periodo della repubblica. Infatti ci si aspetta che ricevuta una magistratura provinciale, il magistrato si rechi sul posto per esercitare il suo mandato. Ovviamente nei periodi di assenza da Roma, lascia persone a lui fedeli al consolato, in senato e in tutte le posizioni chiave per il controllo della città.
Fin qui sembra che tutto sia tornato più o meno alla norma. Il 23 a.C. registra un’accelerazione nel programma di aggiustamento e ridefinizione dei poteri. Che cosa succede? Una crisi, ovviamente. Augusto si trova in Spagna. Guida delle campagne per costringere alla sottomissione le popolazioni locali che osavano ancora resistere al potere di Roma. Tuttavia si ammala e rischia seriamente di morire.
Si pone così il dilemma di trasmettere i suoi poteri ad un erede. Tecnicamente il problema non c’è, da prassi repubblicana una volta deceduto, i mandati ottenuti vanno in teoria ad un nuovo magistrato. Però già all’epoca scrive un testamento e indica degli eredi, reclutati tra i familiari che aveva fatto avanzare nella carriera politica. Si intuisce, da questi segnali, che nessuno contemplava più un possibile governo senza la figura di riferimento del Principe. Si è quindi quasi compiuto il processo che lo vede all’apice del potere dello stato romano.
Augusto si riprende e scampa alla morte per fortuna. Per rendere più solido il suo potere già enorme si fa assegnare, dal senato ovviamente, l’Imperium Proconsulare Maius o Imperium Maius. Ottiene così una autorità che non si limita al governo delle province non pacificate ma si estende anche alle province senatorie e del popolo romano. Questo potere enorme è però limitato alle sole province e non può usarlo a Roma. Cosa fa quindi per aggirare questo ostacolo?
Lo abbina, sempre tramite il senato, alle prerogative dei Tribuni della Plebe, ma senza avere la carica effettiva di tribuno. Ciò gli consente di agire nella vita politica di Roma, quando si trova in città, di presentarsi come difensore e paladino della plebe e di superare l’inconveniente di non potere esercitare l’imperium nella capitale.
Queste prerogative prevedono:
- l’assegnazione dei poteri tribunizi a vita, ma rinnovati ogni anno,
- la convocazione dei comizi (le assemblee cittadine),
- il potere di veto sugli altri tribuni,
- la Sacrosanctitas ovvero l’inviolabilità della sua persona.
Infine ottiene pure il potere di poter convocare l’assemblea dei senatori. Il risultato è unico e senza precedenti. Accumula e accentra su di sé un insieme di poteri che rispettano le tradizioni repubblicane, ma con la novità di essere concentrati sulla stessa persona nello stesso momento. Consapevole che questo può creare malumori, cede sul consolato e lascia la carica a disposizione dei senatori. “Regala” il controllo del massimo potere possibile nella Repubblica al senato e al popolo.
Giusto per non farsi mancare nulla, controlla pure le procedure delle elezioni tramite due procedure:
- la Nominatio, l’accettazione del candidato da parte del magistrato che controllava le elezioni, (e neanche a dirlo il magistrato è nominato da Augusto tra uomini fedeli)
- la Commendatio, la raccomandazione del candidato da parte del principe.
Questo insieme di poteri dal 23 a.C. fa da base al potere dei futuri Imperatori. Negli anni successivi assume, neanche a dirlo, nuove cariche. Alla morte di Lepido (12 a.C.), assume la carica di Pontefice Massimo, diventa così il leader religioso della società romana.
Riforma di Senato, Ordine Equestre e Magistrature e la creazione di un gabinetto di stato
Il successo del regime è determinato anche dalle riforme interne di:
- Senato,
- Ordine Equestre,
- Magistrature
Il Senato
Il Senato è modificato varie volte, ma i momenti principali dove si stabilizza struttura e composizione sono:
- il 29-28 a.C., all’indomani di Azio,
- il 18 a.C.
Come modifica il Senato? Con delle elezioni? Non esattamente. Per prima cosa alza il limite del Censo necessario per assumere la carica di senatore. Lo porta da 400 mila sesterzi, del periodo repubblicano, ad un milione di sesterzi. In questo modo mette un confine netto tra chi merita la carica, i ricchi, e chi non è degno, i meno ricchi. L’appartenenza all’ordine dei senatori diventa ereditario. Per avere famiglie sufficienti a rinnovare i membri dell’assemblea, nel 30 a.C. è promulgata una legge con cui sono create nuove famiglie patrizie, decise ovviamente dal Principe.
Favorisce poi la fuoriuscita dei senatori antoniani, sopravvissuti alla guerra civile. Fa un censimento, aiutato da Agrippa, e nello stesso frangente effettua una Lectio Senatus, ovvero una selezione dei membri dell’assemblea. Questa selezione è particolare. Come riporta Cassio Dione, una delle fonti antiche più autorevoli, è un’auto selezione. In buona sostanza Augusto chiede ai senatori di riflettere sulla loro posizione e valutare se ne sono veramente degni. Spinge così alcuni membri ad abbandonare in modo “volontario” la carica, perché “non degni della posizione”. Riesce a ridurre il numero dell’assemblea da 1000 a circa 850 o 800 a seconda delle fonti.
Vuole intervenire una seconda volta ad una nuova revisione intorno al 23 a.C. e per dare una sensazione di legalità vuole usare dei censori eletti, quindi in rispetto alle norme repubblicane. L’operazione si conclude senza esito e si realizza solo nel 18 a.C. Porta così il Senato a 600 membri come da tradizione.
Giustamente Augusto si concede comunque la possibilità di nominare dei membri per cooptazione (Ad Lectio). Scelti tra chi? Ovviamente tra i membri della sua famiglia e gli amici fedeli, che vuole innalzare nella carriera politica.
Per entrare in senato e nel rispetto della tradizione resta il vincolo ufficiale di aver ricoperto almeno una magistratura importante (come Questura o Pretura). Per accedere ad una di queste magistrature importanti è necessario ricoprire una magistratura minore presente nell’insieme di magistrature conosciuto come Vigintivirato. In questo modo viene ridisegnato il Cursus Honorum di magistrature da percorrere per accedere al senato.
Augusto vuole che l’assemblea dei senatori sia un organo efficiente, in quanto ai senatori sono destinati compiti amministrativi importanti per la vita dell’impero. Un segnale di questo suo desiderio è la reintroduzione delle multe per gli assenti alle riunioni dell’assemblea.
Un aspetto interessante è la costante preoccupazione della dignità dei membri del Senato. Deriva dal fatto che vuole delle persone impegnate e proattive nel loro ruolo di amministratori. Per questo motivo mantiene la religione di stato nelle sue forme tradizionali, le cui posizioni sacerdotali sono di grande prestigio e possono essere detenute solo da patrizi. In questo modo si assicura il funzionamento delle funzioni di stato ed ha un modo per premiare i sostenitori del regime con delle cariche prestigiose.
L’Ordine Equestre
Per quanto riguarda l’ordine equestre o dei Cavalieri è difficile delineare un profilo. La difficoltà parte con l’identificazione dei membri dell’ordine. Cosa significa questo? L’ordine non ha criteri fissi di identificazione. Per esempio durante la repubblica i figli dei senatori sono membri dell’ordine equestre, finché non ricoprono una magistratura, in genere la questura.
L’ultimo periodo repubblicano crea poi grande confusione nell’identificare i due ordini a livello di simboli e codici sociali di comunicazione. Una modifica apportata da Augusto, che ci fa capire quanto è necessario fare chiarezza, è sull’uso che si fa del Laticlavio, la striscia porpora indossata sopra la toga dai senatori.
Al tempo molti figli di senatori ed Equites (i cavalieri) usano impropriamente questo simbolo e lasciano intendere che sono tra i ranghi del Senato. Mentono ovviamente, ma questo uso ha un impatto forte sull’immagine che trasmettono al popolo. Il periodo augusteo modifica questa abitudine errata e l’uso del laticlavio è concesso solo a senatori e discendenti, mentre è proibito ai figli degli equites.
Augusto, anche in questo caso, utilizza il censo per marcare una netta distinzione tra i due ordini. Chi appartiene all’ordine equestre deve avere almeno un censo pari a 400 mila sesterzi, non aver intrapreso attività disonorevoli e deve essere una persona di condizione libera. Queste condizioni più “semplici” da ottenere, consentono ad Augusto di avere disponibile un bacino ampio di reclutamento per costruire un germe di burocrazia, necessario per l’amministrazione dell’impero. Infatti è dai membri dell’ordine equestre che attinge i suoi amministratori.
Ci si può chiedere, perché Augusto si pone questo problema? Perché crea un bacino di reclutamento? Come sottolinea Mario Pani, nel suo Augusto e il Principato, lo stato romano e le sue istituzioni, fino all’ultimo periodo repubblicano, non si pongono il dilemma di avere delle strutture amministrative e istituzionali pensate per una città-stato.
Basta come esempio il rapporto che ha Roma con le città italiche e i vari Municipium. Le istituzioni centrali dello stato, non si curano dell’amministrazione dei municipium, cui è lasciata ampia autonomia e di base il solo pagamento dei tributi dovuti, dove esistono. Questo comporta problemi di vari livelli, tra cui la gestione delle risorse sul territorio. Mancano quindi strutture amministrative adatte e soprattutto personale sufficiente alla gestione di un territorio enorme.
Augusto capisce questo problema, cerca una soluzione e la trova nell’ordine equestre. Quest’ultimo diventa appunto il bacino da cui attinge personale, i cui membri vanno a fare parte del corpo amministrativo. Crea quindi quella che noi definiamo burocrazia, un personale fisso ed efficiente, con ruoli ben definiti, presente a Roma e idealmente in tutte le città dell’impero.
Il cursus honorum dell’ordine equestre è differente da quello dei senatori. Ha caratteristiche meno precise e lineari, non esiste infatti un percorso che si è fissato nel tempo. Manca una tradizione a cui rifarsi, gli incarichi affidati possono essere molto variegati e il percorso slitta da incarichi militari, a compiti amministrativi di vario livello fino ad arrivare a ruoli di alto prestigio. Si può dire che gli incarichi assegnati sono meno prestigiosi, in quanto meno prestigiosi a livello sociale gli appartenenti all’ordine, ma sono comunque importanti per la gestione dell’impero.
La carriera tipica, se così vogliamo chiamarla, parte da un incarico militare, per esempio il comando di un reparto legionario con il ruolo di Tribunus Militum Angusticlavius. Si passa poi per un ruolo amministrativo. Il periodo augusteo porta lo sviluppo di una nuova figura, il Procurator. In età repubblicana è una figura che aiuta i Pater Familias ad amministrare le proprietà, ma limitata ad un’azione privata. Augusto, usa una figura che esiste e le dà un nuovo contesto d’azione, infatti usa dei procuratori che agiscono nel suo interesse e trasferisce il campo d’azione da privato a pubblico.
Inizialmente il procuratore ha mansioni fiscali, ma nel tempo sono creati nuovi ruoli. Un esempio è il procuratore-governatore, che amministra un regione affidata direttamente dall’imperatore. La vetta di una carriera arriva con l’assegnazione di una Prefettura. Anche in questo caso ci sono vari livelli di importanza e quindi di prestigio. Sono ambite e di grande importanza la prefettura d’Egitto e il Prefetto del Pretorio, che scavalca in futuro per importanza anche il prefetto d’Egitto.
Come nel caso dei senatori, anche per l’Ordine Equestre è importante il volere di Augusto ed essere nelle sue grazie. Non mancano nomine speciali e percorsi di carriera anomala, che in molte circostanze sono possibili grazie al favore del Principe.
Le Magistrature
Fino a questa parte del paragrafo avete capito che i membri di Senato e Ordine Equestre sono di base il personale usato da Augusto per gestire l’impero. Gestione che avviene con le magistrature, con livelli di importanza e prestigio diversi, e tutto in nome dell’efficienza amministrativa. Probabilmente vi chiedete: cosa sono le magistrature?
Ecco per primo non sono da confondere con le nostre magistrature moderne. Condividono il nome, certo, ma il ruolo svolto è diverso. In età repubblicana lo stato espande il suo territorio e con esso sorgono un insieme di necessità e problemi. Servono quindi strutture e istituzioni adeguate. Queste sono le magistrature, in pratica la risposta a tutti i problemi che si stavano formando e l’adattamento che fa la società romana alla crescita del suo territorio.
Ogni magistratura ha un compito da svolgere, ma hanno tutte in comune un aspetto, la valenza politica. I magistrati sono eletti tramite i comizi (anche di questi ne esistono di diversi tipi), le assemblee del popolo, chiamato a scegliere il personale per garantire il corretto funzionamento della repubblica. L’elezione è un aspetto importante; in questo modo si impedisce la possibilità di avere un governo autoritario nelle mani di una sola persona. Le più alte cariche sono i consoli, sempre due, con ruoli di estrema importanza per la vita politica di Roma.
Attenzione, questo non significa che la repubblica romana sia una democrazia. Il potere è comunque nelle mani delle famiglie più prestigiose e non è collettivo. Il periodo delle guerre civili porta in questo meccanismo decisioni arbitrarie. Ogni protagonista sulla scena politica cerca di controllare le magistrature con uomini fedeli e condiziona le assemblee. Il Principato, in linea teorica, ripristina il corretto funzionamento delle magistrature e delle elezioni. Infatti le magistrature non cambiano nome. Tuttavia Augusto, ci dà ancora una volta dimostrazione del suo genio e apporta anche qui un cambiamento minimo ma significativo, che cambia completamente il valore, il peso e il potere delle magistrature.
Questo è un passaggio un pò complesso e cerco di essere più semplice possibile. Cosa fa Augusto in pratica? Rimuove la valenza politica incarnata dai magistrati e li riduce a soli amministratori. Cosa significa?
Quel furbacchione mantiene la forma delle magistrature e accontenta i cittadini che hanno dei rappresentanti con cui sono familiari, rispetta a questo modo la tradizione. Tuttavia elimina per sempre la possibilità che i magistrati si possono trasformare in pericolosi avversari politici.
Lascia viva l’idea che il popolo sia ancora chiamato in causa nelle decisioni di governo tramite il meccanismo delle elezioni (che è controllato dallo stesso Augusto) e lascia in vita dei ruoli prestigiosi ambiti dalle famiglie patrizie, che vogliono conquistarsi i favori del popolo. Infine, mantenendo vivi gli aspetti amministrativi delle magistrature, ha uno strumento efficace per la gestione dell’impero.
Il Gabinetto
Augusto riesce a modificare Senato, Ordine Equestre e Magistrature anche grazie alla creazione e collaborazione di un gruppo di persone, che Pani nel suo testo definisce gabinetto politico di governo. Non è un organo ufficiale, né una vera e propria magistratura. Si tratta di un gruppo composto dalle persone a lui più fedeli, con cui decide le strategie da seguire nell’esercizio del potere. Tra questi ricordiamo:
- Agrippa, amico di lunga data, cui assegna fino alla sua prematura morte compiti di vitale importanza, tra cui la guida dell’esercito nella battaglia di Azio,
- Mecenate, che gestisce il governo dell’Italia nel periodo di assenza di Augusto e mantiene fedeli le comunità italiche,
- Tiberio e Druso, i figli della moglie Livia, conducono molte campagne militari per espandere i territori dell’impero.
Il controllo dell’Esercito, l’amministrazione delle province e i fatti più importanti in politica estera
Il potere in mano ad Augusto è determinato anche da come controlla esercito e province. Subito dopo Azio intuisce che per mantenere il potere deve controllare l’esercito e impedire la nascita di nuovi pericolosi avversari tra i suoi generali.
La riforma mariana aveva permesso di legare il compenso delle truppe al volere dei singoli generali. Più le vittorie riportate sul campo sono prestigiose più aumenta la possibilità del generale di dare un ricco compenso alle truppe. Di conseguenza la fedeltà di queste ultime si lega al generale. E fin qui tutto sembra semplice e chiaro.
Come si complica questa situazione? Con l’uso spregiudicato fatto dai vari generali nel compensare le loro truppe. I protagonisti che si alternano sullo scenario politico romano, Cesare incluso, portano al disastro delle guerre civili grazie a questo meccanismo di fedeltà. Augusto capisce che deve rettificare la riforma mariana e legare la fedeltà delle truppe verso lo stato, che nella formula del principato, neanche a dirlo, si identifica con il Principe.
Crea una cassa, detta erario, con cui paga un salario ai soldati. I legionari e i suoi ufficiali sono così dipendenti stipendiati e sono fedeli allo stato, che si preoccupa di retribuire i loro sforzi a fine carriera. L’esercito diventa fisso ed essere un soldato diventa un lavoro, al pari di ricoprire una magistratura.
Un aspetto interessante dell’esercito in età augustea è come avviene il reclutamento. I soldati devono avere prima di tutto, come da tradizione, la cittadinanza romana. Dato che il territorio dell’Impero è ormai enorme, si estende la cittadinanza, prima a tutti gli abitanti liberi dell’Italia e poi progressivamente anche a zone delle province. I centri di reclutamento sono distribuiti sul territorio.
I candidati sono selezionati dal principato in poi in base anche alle capacità fisiche, in quanto si ricercano individui forti in grado di sostenere le difficoltà della vita militare. Questo mette una netta differenza con le procedure seguite nel periodo repubblicano, specialmente nell’ultimo periodo, quando sono stati arruolati individui che facevano parte della plebe, senza nessun criterio di valutazione fisica e attratti dalla possibilità di fare un ricco bottino.
Le province sono un altro elemento usato per controllare il potere. Sono divise in due tipi:
- le province senatorie o del popolo, che coincidono con le province più vecchie e dove non ci sono problemi di controllo militare,
- le province imperiali, che coincidono con le province sotto il diretto controllo del Principe e guarda caso sono le più ricche con la necessità di mantenere il grosso delle legioni.
Le truppe sono presenti nelle province imperiali anche per motivi pratici. Sono generalmente di nuova acquisizione o presentano zone dove ci sono sacche di resistenza al controllo romano. Augusto quindi sistema l’esercito in queste zone e raggiunge il duplice risultato di mantenere il potere militare e di controllare le operazioni di guerra svolte durante il suo dominio, tramite l’azione di uomini a lui fedeli.
Un esempio è rappresentato dalla Spagna, una regione acquisita da tempo, ma che presenta nelle zone intere popolazioni che resistono al dominio romano. Nel periodo dal 26 a.C. al 25 a.C. si conduce una campagna molto dura nei confronti dei Cantabri, che richiede un numero consistente di forze.
Le province variano di numero nel tempo e varia anche la divisione amministrativa interna. Per quanto riguarda i numeri le province imperiali passano dalle 5 iniziali a 13 alla fine del regno di Augusto, quelle senatorie arrivano a 10 all’inizio del primo secolo d.C. Per l’amministrazione interna cito come esempio le Gallie per fare capire quale criterio si segue. Ai tempi della conquista di Cesare, il territorio conquistato è un’unica gigantesca provincia nota con il nome di Gallia Comata. Da questo territorio è esclusa la Gallia Narbonense (che coincide grossomodo con la costa Azzurra), nota precedentemente come Gallia Transalpina. La Gallia Comata è divisa in 3 parti nelle province di:
- Aquitania,
- Belgica,
- Lugdunense.
Questa procedura è usata anche su altri territori per migliorare l’organizzazione interna e l’efficienza amministrativa. L’amministrazione delle province è affidata a persone che godono della fiducia del Principe. Per quanto riguarda le province imperiali sono amministrate dai Legati Augusti Pro Praetore. Sono scelti direttamente da Augusto, tra persone di rango senatoriale che hanno svolto la carica di console o pretore. La durata del loro mandato varia a discrezione del Principe.
Hanno il governo del territorio affidato e il potere sulle legioni presenti, ma non possono riscuotere le tasse, compito dato ai procuratori di rango equestre presenti. Le province senatorie sono invece amministrate dai proconsoli. Sono scelti a sorte tra membri del senato che hanno ricoperto il ruolo di consoli o pretori. La loro carica dura un anno in genere.
Un caso particolare è l’Egitto, governato da un cavaliere di fiducia del Principe con il titolo di Praefectus Alexandreae Et Aegypti. Il primo a ricoprire questa carica è Cornelio Gallo, citato precedentemente. È scelto tra gli amici di Augusto ed è presente durante la campagna condotta contro Cleopatra. Gallo effettua una serie di campagne espansionistiche e porta il controllo romano fino alla prima cataratta del Nilo. Non è una semplice azione personale, segue infatti gli interessi di espansione nutriti dall’imperatore verso l’Etiopia. Tuttavia fa l’errore fatale di celebrare in suo onore le vittorie conseguite e permette l’erezione di statue in suo nome.
Non comprende che i tempi sono cambiati e adotta un comportamento normale durante la repubblica. Con il principato queste abitudini sono inammissibili e i successi sono comunque da tributare all’imperatore. Augusto scioglie ufficialmente amicizia con Gallo e il senato apre un’inchiesta sul suo operato. A questo punto al prefetto non resta altro che suicidarsi per terminare onorevolmente la sua carriera. Questo è un messaggio chiaro per i governatori delle province. Hanno potere sulle regioni affidate, ma quel potere è solo una concessione del Principe che ne è l’origine.
La condotta in politica estera del principato varia a seconda delle regioni prese in considerazione. Nonostante la celebrata Pax, ci sono numerosi conflitti nelle zone limitrofe dell’impero, svolti con l’obiettivo di allargare le zone di influenza di Roma. Sembra un controsenso, ma la pace celebrata dalla propaganda augustea e ricordata anche nel suo testamento politico vale solo per le zone interne dell’impero, in particolare l’Italia. La pace è intesa anche come superamento del periodo delle guerre civili. Quindi questo significa che l’impero, in coerenza con la tradizionale politica di espansione seguita da Roma lungo la sua storia, persegue una serie di conflitti che servono:
- ad ampliare il suo territorio,
- ad acquisire nuove risorse
- a contribuire alla gloria del Principe.
Le campagne più impegnative sono condotte in Germania e lungo la linea del Danubio. Augusto e Agrippa vogliono realizzare un programma per collegare la parte occidentale e la parte orientale dell’impero. L’idea è di conquistare tutti i territori centrali dell’Europa compresi tra i fiumi Elba e Danubio. Per riuscire in questo intento sono realizzate delle campagne con lo scopo di controllare i territori di confine dell’Europa centrale.
Per primo viene conquistato l’arco alpino, che risulta ancora fuori dal completo dominio romano. In una serie di campagne svolte tra il 16-15 a.C. da vari comandanti, la conquista delle Alpi è portata a termine dai fratelli Tiberio e Druso con una mossa a tenaglia. Tiberio parte da nord dai confini del Reno e Druso parte a sud del Brennero. Nello stesso periodo è consolidato anche il controllo dell’Illirico e della Dalmazia, in vista delle future operazioni da fare sul Danubio. In primo momento la guida di queste operazioni è in mano ad Agrippa (13 a.C.), ma con la sua morte subentra Tiberio (12 a.C.) Nello stesso anno Druso lancia l’attacco alla Germania e porta il confine fino all’Elba nei successivi 3 anni (9 a.C.).
La morte di Druso, per una caduta da cavallo, porta a un nuovo cambiamento nelle file dei generali che guidano le operazioni. Tiberio si sposta in Germania e prosegue le operazioni di conquista e provincializzazione della regione, l’Illirico passa ad un altro parente del Principe, Sesto Appuleio, che ultima la conquista fino al Danubio.
La Germania fino all’Elba diventa ed è provincia dal 9 a.C. fino al 9 d.C. e raggiunge un elevato grado di provincializzazione, tanto è vero che si sfruttano varie miniere di piombo ed esiste pure un suo governatore. Un fatto ci permette di capire che la Germania è considerata come conquistata, la celebrazione del trionfo di Tiberio nel 7 a.C. a Roma, trionfo che gli spetta giustamente dopo aver assunto i comandi di tutte queste operazioni militari.
Augusto è quindi ad un passo dal realizzare questo collegamento tra occidente e oriente. I suoi sforzi sono vanificati da rivolte in Pannonia e soprattutto dalla disfatta di Teutoburgo del 9 d.C., dove Quintilio Varo subisce un imboscata ad opera di Arminio alla guida dei popoli germani riuniti. La sconfitta porta la fine per 3 legioni, 6 coorti e 3 ali di cavalleria, la morte di un numero imprecisato di civili, composti da donne, bambini e ovviamente schiavi, più come se non bastasse la perdita della Germania. Un aneddoto curioso dice che negli anni successivi questo disastro Augusto esclami spesso disperato: “QUINTILIO VARO, RENDIMI LE MIE LEGIONI!”
Ovviamente si tenta la riconquista, ma la morte di Augusto e la successione di Tiberio, porta al definitivo assetto del confine sul Reno e alla fine di un possibile collegamento europeo tra occidente e oriente romano. L’altro grande fronte della politica estera vede il rapporto intrapreso con l’impero dei Parti. I due imperi sono in una situazione di sostanziale parità e non hanno nessuna convenienza ad attaccarsi.
Un campagna contro un territorio così esteso è difficile e controproducente, Augusto preferisce quindi la diplomazia. Consolida per primo il controllo dell’Armenia nel 20 a.C. Dopo di ciò, conscio del timore che prova Fraate re dei Parti nei suoi confronti, riesce con un’abile mossa diplomatica ad ottenere la restituzione delle insegne perse da Crasso nella battaglia di Carre e la liberazione dei prigionieri superstiti.
A dirla tutta ancora una volta la persona che fisicamente ottiene le insegne è Tiberio, a cui purtroppo tocca spostarsi per l’ennesima volta. L’evento è celebrato come una vittoria e l’importanza simbolica di questo successo diplomatico è ben rappresentata in una statua di Augusto, dove la corazza mostra Fraate restituire a Tiberio (legato di Augusto) le insegne. Leggenda vuole che Fraate nello stesso episodio facesse anche atto di omaggio ad Augusto, interpretato da alcune fonti come gesto di sottomissione.
Queste sono in linea di massima le principali azioni cui si era dedicato Augusto durante il suo regno. Tuttavia non significa che non ci sono altre iniziative condotte in altre zone dell’impero. Per un quadro più dettagliato a questo proposito consiglio il capitolo di Politica Estera della monografia su Augusto, del professore Arnaldo Marcone.
Acclamazione del Regime, le attività di propaganda di Augusto
Quindi fin qui abbiamo capito che Augusto riesce a imbrigliare ed esercitare il potere in modo da non subire contestazioni. Infatti ottiene una forte acclamazione alle iniziative prese, questo grazie anche al lavoro di propaganda intrapreso. Cosa si intende per propaganda? Non la propaganda moderna.
Noi pensiamo ad una politica manipolatoria volta a dare parola solo a chi si piega alle condizioni di regimi autoritari, che utilizza sistemi coercitivi e fortissima censura. Questo non si verifica con Augusto. Come per i fatti finora discussi, la propaganda porta a dei risultati eccezionali perché è un’azione lenta, costante nel tempo, che cerca compromessi con la cultura romana ed ha i suoi momenti di riflessione e ripensamenti.
Anche in questo caso l’imperatore ha il supporto dei suoi collaboratori, che comprendono l’importanza della propaganda per la stabilità del nuovo governo e i vantaggi che apporta alla società romana, non solo ideali, ma anche pratici. Vediamo punto per punto dove agisce il regime per rendere efficace la propaganda. I punti di azione principali sono:
- Roma e il miglioramento della gestione di una città metropolitana,
- le opere pubbliche della capitale e la monumentalizzazione delle città dell’impero,
- la ricerca di sostegno della cultura,
- la religione e la nascita del culto imperiale,
- un processo iconografico ben studiato.
Roma e il miglioramento della gestione di una città metropolitana
La città di Roma ai tempi del principato è una città enorme, che conta un milione di abitanti. Gestire una simile quantità di persone è una vera sfida. L’imperatore e i membri del suo governo devono fronteggiare molte problematiche, che nella capitale sono elementi della vita urbana. Decidono di giocare di anticipo sui problemi onnipresenti ed evitano, per quanto possibile, alle procedure di emergenza. Creano quindi vari ruoli e posizioni amministrative.
Un problema frequente è la crisi di approvvigionamento e le conseguenti carestie della popolazione. Fino a quel momento l’approvvigionamento alimentare non ha una gestione centralizzata e fissa. Augusto stesso si trova negli anni del suo regno, specialmente nel periodo di lotta con Sesto Pompeo, a dover fare attenzione alle Cura Annonae, i rifornimenti di cibo. Nel periodo del suo regno ci sono almeno due gravi carestie, nel 22 a.C. e di nuovo nel 8 d.C. Per migliorare questo aspetto problematico della gestione di Roma crea la carica di Praefectus Annonae. Il prefetto ha il compito di supervisionare l’afflusso delle provvigioni ed è una figura stabile a partire dalla fine del principato.
Un altro problema di grande rilievo sono gli incendi. Roma, eccezione per le zone monumentali e per le abitazioni di ricchi e benestanti, è costituita in buona misura da case e strutture costruite in legno, che non vanno esattamente d’accordo con il fuoco. Il fuoco è utilizzato praticamente ovunque per vari scopi, tra cui i più comuni sono la cottura dei cibi e il riscaldamento. Immaginate bracieri sparsi un pò da per tutto e strutture di legno a più piani, non è il giusto mix per rendere la città sicura.
Gli incendi sono ricorrenti e alcuni sono anche molto gravi. Per fronteggiare questa piaga cronica si crea la carica di Praefectus Vigilum. Ha il ruolo di vigilare la città nelle ore notturne e intervenire durante gli incendi. Lo aiutano nel suo compito 7 coorti da 500-1000 uomini.
La città richiede quindi costante attenzione nella soluzione di problemi cronici. Fino a quel momento si sono affrontati con l’uso di magistrature straordinarie o dando poteri straordinari a quelle già esistenti. Un esempio in questo senso è quello di Agrippa in qualità di Edile. Migliora l’efficienza degli acquedotti, per assicurare un costante rifornimento idrico, e pone attenzione al mantenimento delle strade e delle rive del Tevere per prevenire le alluvioni, frequenti quasi quanto gli incendi. Le figure create per affrontare i problemi di questa gigantesca metropoli lasciano capire quanto Augusto e la sua equipe abbiano chiaro che per poter governare tranquillamente devono preoccuparsi con costanza dei disagi della popolazione.
Le opere pubbliche della capitale e la monumentalizzazione della città dell’impero
Un altro strumento usato ai fini della propaganda, che rese Augusto estremamente popolare, è la monumentalizzazione di Roma e la creazione o restauro di opere pubbliche. Non è una novità assoluta in termini di ricerca del favore e come strumento di auto celebrazione. Sono stati numerosi i personaggi che, con risorse pubbliche o private, hanno costruito opere per abbellire la città e guadagnare popolarità. Augusto però lo porta ad un nuovo livello.
Agisce sia a Roma sia in numerose città dell’impero. Lo scopo è di rendere anche gli abitanti delle province partecipi e consapevoli della ricchezza e del benessere dello stato romano in quel periodo. I fini sono anche pratici in termini di comunicazione. Il principe non può essere presente in tutte le città dell’impero, quindi per assicurarsi il favore anche in queste zone procede sistematicamente con la monumentalizzazione dei centri.
L’abbellimento delle città è in certo senso la cassa di risonanza della gloria che emana da Augusto ed è uno strumento potente per ottenere consenso sia nella capitale, sia nelle periferie dell’impero, che non si sentono dimenticate. Tra gli edifici che ricevono grande attenzione nel processo di monumentalizzazione e restauro ci sono i templi. Sono emblematiche le parole nelle Res Gestae, che chiariscono il livello di dedizione:
“Ho eretto la Curia e il portico contiguo, il Tempio di Apollo sul Palatino … il Tempio del Divo Giulio … i templi sul Campidoglio di Giove Feretrio e Giove Tonante, il tempio di Quirino, i templi di Minerva, di Giunone Regina e di Giove Libertà sull’Aventino, il tempio dei Lari in cima alla Via Sacra, il tempio dei Penati sulla Velia, il tempio di Iuventas e il tempio della Grande Madre sul Palatino.” Abbiamo conferma di questa grande attenzione per i templi anche nelle parole di Svetonio: “ Realizzò numerosi monumenti pubblici. Tra questi ecco i principali … un tempio di Marte Vendicatore, un tempio di Apollo sul Palatino, un altro di Giove Tonante sul Campidoglio.”.
Cito infine una categoria di edifici eretti per la prima volta in questo periodo, le biblioteche pubbliche. Esistono già in forma privata tra i ricchi, ma è in questo periodo che sono erette delle biblioteche per uso pubblico, per favorire il fermento culturale. Il primo a pensare ad un progetto simile è Cesare, ma il primato di realizzazione spetta a Asinio Pollione.
La prima grande biblioteca pubblica è divisa in due sezioni, una romana e una greca, ed ospita le Recitationes, le letture pubbliche, in sale dedicate. Augusto realizza, poco dopo, una seconda biblioteca nel tempio di Apollo, realizzato in continuità con il palazzo dell’imperatore sul palatino. Lancia così un messaggio di libertà culturale, il suo regno è grande anche per il fermento culturale e la sua casa è un luogo di residenza per la cultura.
La ricerca e il sostegno della cultura
La costruzione delle biblioteche ci porta su altro elemento della propaganda, il rapporto del Principe con la cultura e le ricerca di sostegno delle arti, in particolare della letteratura. In passato è stata accreditata l’idea di Mecenate come strumento di aggregazione e raccolta dei principali letterati del tempo, che un pò alla volta sono favoriti in virtù per il tono di acclamazione del principato presente nelle loro opere.
Oggi, questa idea è rivista. Come ben spiegato dal prof. Marcone, Mecenate raccoglie intorno a sé un insieme di autori in base ai suoi gusti personali. Esiste anche un fine politico dietro questo interesse, ma è secondario all’intento di essere un promotore del fermento culturale e letterario a Roma.
Questo è possibile in quanto Augusto stesso è interessato a promuovere le lettere, in coerenza con il suo progetto generale di esaltazione del suo periodo di regno. La grandezza del principato doveva essere visibile non solo nei monumenti, ma anche nella cultura. L’atteggiamento dell’imperatore è quello del patrono che incentiva le arti. I letterati godono di un discreto livello di libertà creativa, fanno loro le tematiche del regime in autonomia e con vari livelli di adesione.
L’esempio più grande è Virgilio, che capisce l’interesse di Augusto per il passato di Roma e per i valori tradizionali, di cui il regime vuole essere la migliore realizzazione. Per questo motivo riesce a comporre l’Eneide, il poema epico nazionale, dove esalta liberamente i valori che Augusto vuole promuovere. La libertà di cui godono i letterati è confermata dell’esistenza di vari circoli di riunione, che non hanno in Mecenate il solo promotore. Si sa per certo che esistono altre cerchie, tra cui importanti sono quelle di Asinio Pollione e Messalla Corvino.
Ovviamente ci sono stati anche episodi di censura, ma sono stati limitati a casi particolari. I più emblematici sono il bando delle opere di Cornelio Gallo, caduto in disgrazia per le sua attività in Egitto, e l’esilio di Ovidio, che non ha capito la volontà di affermare i valori morali tradizionali e si occupa principalmente di poesia erotica e mitologica.
La religione e la nascita del culto imperiale con un processo iconografico ben studiato
La religione è un altro pilastro per l’acclamazione del Principe. Augusto ripristina i valori tradizionali della società romana e con questi anche la religione di stato. Sono ripristinati tutti i culti tradizionali, con l’esclusione di quelli orientali che non sono ancora integrati nel culto tradizionale. L’attività di restauro e costruzione di templi conferma che il programma portato avanti è molto attento su questo campo.
Alla religione tradizionale si affianca un elemento di novità: il culto imperiale. Dopo Azio, Augusto esclude la possibilità di comandare con un potere assoluto. Non vuole trasmettere l’idea di essere un re, motivo dell’assassinio di Cesare, che nella tradizione orientale, specialmente egiziana, ha una natura divina. È un concetto inconcepibile nella Roma del primo secolo.
Tuttavia, in parte, i vari protagonisti della scena politica romana, specialmente quelli del periodo delle guerre civili, cominciano ad usare parzialmente questa idea di culto della persona, che è una contaminazione della forma di culto divino del re presente in oriente. Augusto porta all’estremo questa abitudine incentivando il culto imperiale come omaggio al Principe. Si realizza così un culto statale con forme diverse a seconda delle regioni.
I centri urbani occidentali sono investiti in pieno. Sono realizzati numerosi santuari e templi dove rendere omaggio all’imperatore. Omaggio che non si limita al solo Augusto, ma tocca anche i membri della sua famiglia, i cui ritratti sono portati durante le processioni nei punti più importanti dei centri. Si crea così una sorta di collegamento tra famiglia imperiale, i monumenti e la ricchezza di cui godono i centri urbani.
Questo processo resta comunque confinato ai centri urbani, non si realizza nelle campagne dove la vita religiosa resta collegata alle divinità tradizionali. In oriente invece si realizza una forma di deificazione dell’imperatore. Emblematiche sono le raffigurazioni di Augusto nell’iconografia egiziana. In continuità con secoli di tradizione è rappresentato nelle vesti di faraone, al cospetto di Iside e come figlio di Ra. Il principe non si oppone a questa forma di culto in oriente, in quanto è la forma più comune e accettata.
Un processo iconografico ben studiato
Il culto imperiale è favorito dall’esteso programma di monumentalizzazione, che abbinato ad un attento linguaggio iconografico crea un’immagine del Principe e della sua famiglia idealizzata e senza tempo. Faccio due esempi per capire di cosa parliamo:
- La statua di Prima Porta o Augusto Loricato
- Ara Pacis Augustae
L’immagine forse più nota di Augusto, diffusa nell’impero sia da un punto di vista materiale sia nel tempo, è un modello di una statua. L’esemplare di Prima Porta o Augusto Loricato è la sua rappresentazione più conosciuta. La statua è ritrovata nel 1863 nella Villa di Livia a Prima Porta, proprietà dell’ultima moglie dell’imperatore e si suppone che la statua sia commissionata da Livia in persona. Augusto sembra senza età, è in veste da parata militare, con tratti idealizzati e ben proporzionati che trasmettono un’immagine di forza e sicurezza. Il principe è immortalato nella posa dell’Arringatore, idealmente chiede il silenzio alle truppe, pronto a dare loro coraggio e prepararli ad unico esito, la Vittoria.
Sono state trovate statue simili a questo modello e l’ipotesi è che si produceva in catena di montaggio probabilmente. Gli studi sulla sua diffusione indicano che è stato usato a partire dal 20 a.C. fino quasi alla morte del Principe, a dimostrazione del successo del modello e della sua efficacia comunicativa. Consegna un’immagine di sé perpetuamente in salute, forte e risoluta, come se nemmeno il tempo possa intaccare le sue energie. È arrivata fino ai nostri tempi e quasi immediatamente appare nella nostra mente al nome di Augusto.
L’altra opera carica dei messaggi e dei valori che vuole trasmettere l’imperatore, menzionata nelle Res Gestae, è l’Ara Pacis Augustae. Si ritiene essere una versione marmorea di arcaico altare campestre. Infatti all’interno, troviamo la rappresentazione in marmo di una staccionata lignea, che delimita l’area sacra al cui centro si trova l’altare.
Sono interessanti le decorazioni esterne da un punto di vista comunicativo. Sui lati lunghi troviamo le scene mitologiche. Su un pannello è rappresentato Enea, mitico progenitore della gens Iulia, che sacrifica una scrofa e 30 porcelli ai Penati, divinità protettrici di famiglia e comunità. Questo episodio, presente nell’Eneide di Virgilio, dimostra l’attenzione a riproporre gli stessi messaggi su più ambiti artistici.
Sull’altro lato troviamo un pannello dove è rappresentata la Saturnia Tellus (la terra Saturnia, l’Italia), personificata in una giovane donna in salute, con in braccio degli infanti, e affiancata dalle personificazioni di acqua e aria. Sono seduti in mezzo a prodotti agricoli e animali. Comunicare come il regime augusteo ha portato pace e prosperità a tutte le comunità di Italia. Anche questo è un tema ripreso nelle opere di Virgilio e Orazio.
Sui lati brevi ci sono diversi pannelli dove sono rappresentati Augusto e la sua famiglia. Come per la statua i tratti sono idealizzati, anche se qui c’è un lieve individualismo che ci permette di riconoscere i personaggi. Sono vestiti elegantemente e in processione verso la consacrazione dell’altare. Il messaggio è che la nascente dinastia imperiale è l’esempio di famiglia ideale, a cui bisogna ispirarsi per valori di unità e di attenzione alla tradizione.
Gli esempi di cui abbiamo parlato e tutta la produzione artistica del periodo, hanno in comune un gusto ellenizzante ispirato all’arte fidiaca. È proposto dalle botteghe neoattiche alle classi romane colte e Augusto ne è un grande estimatore. L’utilizzo di questo gusto ha di base un messaggio: Roma è la nuova Atene e vive una nuova età dell’oro.
Esiste un’opposizione ad Augusto?
In brevissimo no. Ma cosa significa questo no? Tacito è eloquente nei suoi Annali. “Nullo Adversante” scrive, ovvero senza opposizione. L’assenza di opposizione è da cercare nel modo singolare di Augusto di esercitare il potere.
Nel periodo del triumvirato Ottaviano si macchia di atti efferati e corre rischi notevoli. L’esposizione a questi rischi è motivata da una logica: può mantenere il potere solo grazie al supporto degli uomini che sono stati fedeli a Cesare e che lo riconoscono come erede. Cosciente di questo fatto rispetta le aspettative delle truppe, donando loro somme e terre sottratte ai suoi avversari con la forza.
Lo scontro con Antonio e l’ennesima guerra civile portano poi alla scomparsa di un’ampia fascia della tradizionale nobiltà romana. All’indomani di Azio non ci sono più sufficienti famiglie che si possono opporre o che vogliono opporsi. Non ha più bisogno di ricorrere alla forza. C’è desiderio di pace. Augusto comprende questo sentimento e avvia una stagione dove l’esercizio del potere si concilia con i desideri delle famiglie aristocratiche e si manifesta in forme non eccessivamente autoritarie.
L’imperatore si preoccupa sempre di concedere spazio alle famiglie importanti di Roma e dà loro ruoli importanti nella gestione dello stato, anche se privi di reale peso politico. Questo non significa che non sono organizzati complotti ai danni del Principe, tuttavia molte di queste iniziative sono personali, senza disegni politici e senza supporto popolare.
Un caso particolare è quello di Egnazio Rufo, che ricopre il ruolo di edile e riesce a crearsi un certo seguito per le azioni di lotta agli incendi. Riesce ad avere la pretura e nel 19 a.C. si candida al consolato, in opposizione alle decisioni di Augusto e al cursus honorum vigente. Le sue azioni spregiudicate lo portano all’arresto, motivato dalla carriera politica anomala che salta la prassi affermata. Probabilmente viene poi giustiziato, anche se non si sa per certo, ma scompare dalla scena politica romana.
La mancanza di dati sull’opposizione ha fatto a lungo ipotizzare che Augusto non sia aperto a nessuna forma di dialogo. La realtà non è questa. L’opposizione non c’è semplicemente perché esiste un governo si autoritario, ma che cerca la conciliazione e non assume forme estremiste. Si usa poco la pena capitale e le iniziative personali sono eliminate prima di diventare pericolose.
Il dialogo esiste e Svetonio ci segnala un caso che dimostra questa apertura. Nei periodi di assenza dell’imperatore da Roma, la città è governata da un magistrato permanente. Questo ruolo è stato ricoperto più volte da Mecenate, ma conosciamo un caso in cui è stato affidato ad un senatore di antiche tradizioni Messala Corvino. Corvino rinuncia dopo sei giorni, probabilmente perché sente che il ruolo non è prestigioso per un uomo del suo rango. Questo dimostra che Augusto, sebbene possa sentirsi irritato, è comunque aperto mentalmente a sentirsi dire di no nel caso le sue decisioni non rispecchiano le ambizioni dei collaboratori che sceglie.
L’articolo finisce qui e spero che sia risultato interessante. Come detto è un riassunto degli aspetti più importanti del principato di Augusto e le iniziative che sono state percorse in più di quarant’anni di governo.
Materiale audiovisivo consigliato
Video informativi su Augusto sui canali Youtube di Scripta Manent e Scrip, e ovviamente l’immancabile puntata su Augusto di Ulisse il Piacere della Scoperta curata da Alberto Angela, che potete trovare sulla piattaforma della Rai.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Arnaldo Marcone, Augusto, Salerno editrice, Roma, 2017.
- Mario Pani, Augusto e il Principato, Il Mulino, Milano, 2015
- Giovanni Gerace – Arnaldo Marcone, Storia romana, Quarta Edizione, Mondadori, Milano, 2016
- Sergio Roda, Roma. Dallo stato-città all’impero senza fine, EdiSES Università.
- Rita Scrimieri a cura di, L’arte e la storia dell’arte, il mondo antico, Minerva Italica, Milano, 2002.