CONTENUTO
Il Piemonte nell’opera di Giovanni Botero
Il Piamonte (do a questo nome tutto ciò che la Serenissima Casa di Savoia possiede in Italia, toltane la contea di Nizza) si stende dalla Sesia sin al Delfinato, tra l’Alpi e ‘l Monferrato e lo Stato di Milano e di Genova. Lo traversano il Po, il Tanaro, la Stura, la Dora. E’ commune openione che non vi sia parte d’Italia più amena, più fertile di grani, vini, frutti, carni domestiche e salvatiche, formaggi, castagne, canape, lino, minerali. La fertilità si vidde nelle guerre tra Francia e Spagna che per ventitré anni vi si fermarono con esserciti e presidi dell’una e dell’altra parte grossissimi, senza mai patir necessità di vittovaglie.
Siamo nel 1607 e lo scrittore e gesuita Giovanni Botero (1544-1617) pubblica il suo trattato filosofico-politico intitolato “Della Ragion di Stato“. L’opera contiene nella sua parte introduttiva anche le righe sopra riportate che delineano alcune delle caratteristiche principali delle zone che facevano parte dei domini sabaudi in piena età moderna. E’ questo il passo che apre anche il recente libro di Blythe Alice Raviola, pubblicato dalla Mulino, per la specifica collana “Gli antichi stati italiani” con la quale si vuole raccontare la fisionomia e la storia dei più importanti stati italiani preunitari.
Il Piemonte sabaudo: identità, potere e territorio in una storia di lunga durata
Nel panorama storiografico italiano, uno degli sforzi più interessanti degli ultimi anni è quello di tentare di raccontare la storia delle regioni italiane in una chiave storico-territoriale, con l’obiettivo di cogliere le peculiarità locali senza rinunciare ad una approfondita analisi storica del contesto generale. In questa direzione si colloca il libro Il Piemonte sabaudo. Dal ducato transalpino all’Unità di Blythe Alice Raviola, pubblicato dalla casa editrice Il Mulino. Un volume che si presenta agile nella forma (circa 190 pagine), ma denso e articolato nella sostanza, in quanto viene tratteggiata la storia del Piemonte nella sua fase preunitaria, dall’età moderna a quella contemporanea, attraverso uno sguardo approfondito sul tema relativo alla costruzione del potere da parte della dinastia sabauda.
L’arco cronologico scelto va dalla metà del Quattrocento (quando i Savoia iniziano a consolidare la loro presenza sul versante piemontese delle Alpi) fino agli anni della prima guerra d’indipendenza, con un’attenzione particolare all’epoca napoleonica che segna una cesura ma anche un ponte verso la modernità statale. La periodizzazione è classica ma funzionale, perché consente di osservare la crescita e l’adattamento di un potere dinastico che da piccolo principato montano diventa, nel tempo, un importante protagonista della politica europea.
La narrazione dell’autrice è costruita su più piani. C’è il piano della politica dinastica, caratterizzata dalle sue strategie di espansione, di legittimazione e di rappresentazione del potere. C’è quello istituzionale, che illustra con chiarezza come l’apparato amministrativo si strutturi progressivamente, in dialogo (e spesso in tensione) con le autonomie locali. C’è, infine, un piano più culturale e sociale, che permette di cogliere l’evoluzione del rapporto tra il centro (Torino) e le periferie (le valli alpine, la pianura agricola, le aree di frontiera).

La sacralizzazione dei luoghi: il Monte di Varallo
Un breve cenno merita un altro tema che emerge in questa brillante ricostruzione storica del Piemonte sabaudo; si tratta del processo di sacralizzazione dei luoghi portato avanti nel corso dei secoli, con consapevolezza e determinazione, dagli esponenti di casa Savoia.
“La geografia celeste dei duchi di Savoia ebbe un peso decisivo nel ricompattamento dello Stato. Fu uno degli strumenti adoperati programmaticamente dalla dinastia per autorappresentarsi, per valorizzare i culti locali, per promuoverne di nuovi a beneficio dell’identificazione dei sudditi nel suo messaggio di potente e clemente stabilità. Sacri monti e santi dinastici furono i dispositivi principali di tale strategia, destinata a modellare nel profondo tanto, in concreto, il paesaggio, quanto, intimamente, gli animi dei sudditi”.
La religione cattolica intesa quindi come elemento profondamente identitario e come infallibile collante sociale. Tra i luoghi sacri in assoluto più suggestivi vi è il Sacro Monte di Varallo sorto con lo scopo di riproporre a grandezza naturale ai fedeli i luoghi della passione di Gesù. Situato a Varallo, in Valsesia (provincia di Vercelli), è un complesso devozionale di grande suggestione che unisce arte, spiritualità e natura, il più antico e uno dei più rilevanti dal punto di vista artistico tra i Sacri Monti dell’area alpina tra Piemonte e Lombardia.
Il sito è composto da una basilica – che rappresenta il punto finale del percorso – e da 44 cappelle distribuite lungo un itinerario che si snoda tra strade e piazzette immerse nel verde. Le cappelle sono decorate con affreschi e contengono circa 800 statue a grandezza naturale, realizzate in terracotta policroma o in legno, che rappresentano scene della vita di Cristo, creando un percorso narrativo e meditativo. Dal 2003 il Sacro Monte di Varallo fa parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO insieme agli altri otto Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia.
Una narrazione equilibrata e documentata
Un aspetto che emerge leggendo le pagine del libro è l’equilibrio tra sintesi e dettaglio. Raviola riesce a condensare oltre tre secoli di storia sabauda in un racconto scorrevole, ma non superficiale. Le vicende dei sovrani, le riforme istituzionali, le guerre e le alleanze matrimoniali non sono presentate come una sequenza di eventi, ma come processi ed eventi interconnessi, che modellano nel tempo un’identità piemontese in larga misura voluta e costruita dall’alto.
Il Piemonte descritto, in età moderna e poi contemporanea, non è mai una realtà data, omogenea, ma un’entità in costruzione, plurale, spesso disomogenea: un mosaico di territori, lingue, tradizioni e ordinamenti che la dinastia sabauda cerca di integrare, normalizzare e orientare. In questa chiave di lettura risulta evidente il ruolo delle istituzioni come strumenti di unificazione politica e simbolica.
Nel corso della narrazione viene superata l’immagine, a volte ancora radicata, di un Piemonte sabaudo grigio, autoritario, chiuso e burocratico. Senza indulgere in revisionismi di natura apologetica, Raviola mostra, invece, come lo Stato sabaudo sia stato un laboratorio di modernizzazione e centralizzazione all’avanguardia, che ha saputo mantenere una relativa coerenza anche in tempi di crisi e di gravi mutamenti.
Particolare attenzione è riservata alla seconda metà del Settecento, con l’attività riformatrice di Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III, che portano avanti interventi su istruzione, giustizia, fiscalità e amministrazione, anticipando in parte le trasformazioni post-napoleoniche. È un Piemonte tutt’altro che immobile, capace di adattarsi e di innovarsi di fronte alle novità dei tempi, pur all’interno di un quadro autoritario e conservatore.

Piemonte sabaudo: territori, confini e minoranze
Un altro punto di forza del volume è l’attenzione alle dimensioni territoriali e geografiche del potere. L’autrice dedica spazio non solo alla città di Torino, capitale (a partire dal 1563) politica e culturale del ducato e poi del regno, ma anche alle aree marginali: le valli valdostane, il Monferrato, la Valsesia, il marchesato di Saluzzo, il contado di Nizza.
Sono zone spesso considerate periferiche, ma che svolgono un ruolo importante nell’equilibrio complessivo del dominio sabaudo, come cerniere tra mondi diversi (Italia e Francia, pianura e montagna, cattolicesimo e minoranze religiose) ed entro dei confini che l’autrice più volte definisce “slabbrati” per rendere chiaro il contesto specifico.
La questione linguistica, le differenze giuridiche, la presenza di minoranze confessionali come i valdesi e gli ebrei, contribuiscono a disegnare un Piemonte tutt’altro che omogeneo, attraversato da tensioni e negoziazioni che la dinastia sabauda gestisce con un mix di repressione e pragmatismo.
Il Piemonte sabaudo: un libro necessario
La scrittura del libro è chiara, fluida, sicuramente non accademica nell’accezione negativa del termine. Pur rivolgendosi a un pubblico colto, il testo è accessibile anche ai non specialisti, purché dotati di una minima familiarità con la storia moderna. La struttura è ben organizzata, con capitoli tematici che consentono una lettura anche per sezioni e una bibliografia essenziale e alquanto aggiornata. È dunque una lettura che richiede attenzione, ma non risulta essere pesante e complicata. Chi si avvicina al volume con interesse per la storia moderna o per la formazione degli Stati troverà numerosi spunti, così come chi desidera comprendere più a fondo il ruolo del Piemonte nella storia d’Italia prima dell’Unificazione nazionale del 1861.
Il Piemonte sabaudo è un libro che riesce a fare sintesi senza banalizzare e a proporre una visione originale e solida di una delle regioni storiche più complesse della penisola. La sua lettura risulta particolarmente attuale in un contesto come quello odierno, in cui si discute spesso e superficialmente di autonomie regionali, differenze territoriali e centralismo statale. Il libro mostra che l’identità regionale non è mai data una volta per tutte: essa è il risultato di conflitti, scelte politiche, contingenze casuali, processi storici lunghi, contraddittori, spesso conflittuali. In questo senso, l’esperienza sabauda rappresenta un caso di studio paradigmatico, utile per leggere anche le traiettorie di altre realtà italiane.
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- Blythe Alice Raviola, Il Piemonte sabaudo. Dal ducato transalpino all’Unità, Il Mulino, 2025.