CONTENUTO
Il kolossal che segna il rilancio della carriera del poliedrico regista Ridley Scott esce nel 2000 ed è subito un grande successo di pubblico e incassi (costato circa 180 milioni di dollari ne incassò più del triplo), successo in seguito avvalorato da diversi premi tra cui in particolare 12 nomination agli Oscar con 5 statuette conquistate comprese quelle come miglior film e miglior attore protagonista per Russell Crowe.
Il Gladiatore, trama
Il film si apre nel 180 d.C. in Germania (in realtà le terre a nord del Danubio) durante le guerre marcomanniche, quando sta per avere luogo la decisiva battaglia di Vindobona. Il generale Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe) è il comandante delle legioni romane a cui l’Imperatore Marco Aurelio (Richard Harris) ha affidato il compito di sgominare le ultime tribù di barbari che si oppongono al dominio romano.
Massimo è il pupillo dell’imperatore e quest’ultimo, dopo la vittoria riportata, vorrebbe nominare lui e non suo figlio Commodo (Joaquin Phoenix) come suo legittimo successore. Venuto a sapere della decisione, Commodo uccide suo padre Marco Aurelio e ordina di assassinare Massimo e tutta la sua famiglia. Massimo riesce a scampare all’esecuzione ma arrivato a casa si accorge che è troppo tardi: la sua famiglia è stata sterminata e la sua casa distrutta.
Ferito, si abbandona al dolore e sviene venendo raccolto da una carovana di mercanti di schiavi che lo conducono in una provincia romana del Nord Africa. Qui viene acquistato da un lanista (allenatore di gladiatori e organizzatore di eventi gladiatori) di nome Proximo (Oliver Reed), ex gladiatore liberato proprio da Marco Aurelio per i suoi meriti nell’arena. Combattimento dopo combattimento Massimo acquista una grande fama, con il nome di Hispanico e insieme agli altri gladiatori di Proximo viene chiamato a combattere a Roma, nel Colosseo, durante i fastosi giochi organizzati da Commodo per celebrare le vittorie riportate in Germania.
Dopo varie vicissitudini e con l’aiuto dei compagni Juba e Hagen (Ralf Moeller), del senatore Gracco (Derek Jacobi) e dell’amata Augusta Lucilla (Connie Nielsen), sorella di Commodo, Massimo riesce ad avere la sua vendetta proprio sulla ghiaia del Colosseo in un faccia a faccia finale con l’imperatore. Il film si chiude con la morte del generale per le ferite riportate durante il duello e con la restaurazione della Repubblica, l’ultimo desiderio di Marco Aurelio, affidata al Senato e ad Augusta Lucilla.
Il gladiatore: l’analisi del film
Il Gladiatore è un film che si richiama, pur non essendo pienamente ascrivibile ad esso, al genere peplum, filone di pellicole in costume a tema storico antico che ebbe molta fortuna negli anni ‘50 e ‘60.
E’ un film dall’ottima regia che inserisce una storia (ispirata dal romanzo di Daniel Mannix intitolato “Quelli che stanno per morire”, traduzione della nota frase latina morituri te salutant) dalla trama semplice ma efficace in un contesto, quello dell’Impero Romano, molto sfruttato nel corso dei decenni nella Settima Arte, riuscendo a distinguersi e ad affermarsi senza dubbio come uno dei film più celebri riguardanti questo periodo storico.
Gli effetti speciali e l’utilizzo del digitale raggiungono picchi di elevata qualità se pensiamo che l’intera città di Roma del II secolo d.C. è stata ricostruita con l’utilizzo della grafica computerizzata e che addirittura, a causa della prematura scomparsa di Oliver Reed, le scene mancanti con lui presente sono state girate grazie a tecniche digitali, impiegando opportunamente scene tagliate.
Il film sicuramente è uno di quelli che ha dato i maggiori contributi nel passaggio a questa nuova era del cinema digitale che vede proprio in quegli anni la sua consacrazione.
Da segnalare anche la colonna sonora dell’esperto e pluripremiato compositore Hans Zimmer, di cui rimane sicuramente impressa la canzone che accompagna il finale, Now We Are Free, canto funebre creato dallo stesso Zimmer unendo parti di altri suoi componimenti.
In conclusione Il Gladiatore rimane certamente uno dei kolossal storici maggiormente rappresentativi nella storia del genere (genere con cui Ridley Scott si cimenterà di nuovo con successo qualche anno dopo con Le Crociate). E resta uno dei film, a tema storico e non solo, più scolpiti nella memoria sia dei cinefili che del grande pubblico.
Il trailer de Il gladiatore
Il gladiatore: le errate ricostruzioni storiche
La pellicola presenta diversi bloopers, come sono chiamati le sviste e gli “errori” cinematografici, sia in senso tecnico sia nell’intreccio della trama sia come nel nostro caso gli errori storici quando vengono narrati fatti realmente accaduti. Ad esempio dal punto di vista della ricostruzione storica di Roma viene riportata una topografia sbagliata, con monumenti risalenti a periodi successivi: la basilica di Massenzio e l’arco di Costantino entrambi del IV secolo d.C. e il più eclatante cioè una cupola riconducibile a quella di San Pietro o di altra chiesa dell’attuale centro storico della città, che si intravede dal balcone della residenza di Commodo.
Per quanto riguarda gli errori di ricostruzione storica nella trama, li analizzeremo ora più nel dettaglio, premettendo che pur essendosi avvalso della consulenza di un team di storici il regista ha volutamente romanzato, modificato e in alcuni casi stravolto gli eventi storici a fini cinematografici.
Tiberio Claudio Pompeiano e Massimo Decimo Meridio: la storia vera de Il gladiatore
La figura di Massimo Decimo Meridio, pur comprendendo in sé tratti di diversi personaggi storicamente esistiti (come l’assassino di Commodo, l’ex gladiatore Narcisso, e il generale Marco Nonio Macrino), si ispira precipuamente al generale Tiberio Claudio Pompeiano.
Proveniente da una famiglia di rango equestre (che probabilmente, dato il nomen, aveva ricevuto la cittadinanza durante il regno di Claudio) riesce a ottenere il rango senatorio e a scalare rapidamente il cursus honorum divenendo console suffetto nel 162 (i consoli suffetti sono quelli che entrano in carica in sostituzione del console ordinario se questi per qualche motivo rinuncia alla carica o è impossibilitato a svolgerla, questa figura diviene molto diffusa in epoca imperiale per far sì che in uno stesso anno si possano investire più persone del rango consolare). In seguito gli viene assegnato il governatorato della Pannonia Inferiore nel 167.
Riesce a entrare nelle grazie dell’imperatore Marco Aurelio distinguendosi durante la guerra partica di Lucio Vero e alla morte di questi la vedova nonché figlia di Marco Aurelio, Annia Lucilla, viene data in sposa proprio a Pompeiano che viene in questo modo adottato dall’imperatore così da proseguire la politica degli imperatori per adozione ormai consolidatasi a partire da Traiano, successore di Nerva. Pompeiano però rifiuta il titolo di Cesare nel 170, rimanendo comunque il comandante in capo delle forze romane durante la guerra marcomannica.
Grazie ai suoi successi ottiene un consolato ordinario nel 173 mentre alla morte di Marco Aurelio si trova in disaccordo con Commodo che decide di non proseguire la guerra ormai quasi conclusa, stipulando una frettolosa pace con i barbari per rientrare a Roma.
Dopo le vicende svoltesi durante il regno di Commodo che approfondiremo a breve, giungiamo al 192, quando dopo l’assassinio dell’imperatore gli viene offerta di nuovo la possibilità di divenire Augusto ma egli rifiuta una seconda volta e al suo posto si insedia il prefetto urbano Pertinace, sostenuto dai pretoriani che dopo pochi mesi però lo assassinano.
A quel punto sale al potere Didio Giuliano letteralmente acquistando il titolo imperiale; egli tenta di convincere Pompeiano ad associarsi al trono ma ottiene l’ennesimo rifiuto. L’ultimo, visto che di lì a poco il generale muore per cause naturali.
Il gladiatore: Marco Aurelio e Commodo
A differenza di ciò che viene mostrato all’inizio del film la morte di Marco Aurelio avviene a causa di un’epidemia conosciuta come peste antonina portata dalle legioni di ritorno dalla campagna contro i Parti in Oriente (la quale aveva già probabilmente causato la morte di Lucio Vero, fratello adottivo e imperatore associato di Marco Aurelio, nonostante quest’ultimo avesse tra i due un’autorità nettamente maggiore).
Inoltre è ancora discusso se essa sia avvenuta effettivamente nell’accampamento di Vindobona o piuttosto vicino Sirmio (attuale Sremska Mitrovica, importante città della Pannonia romana). Certamente quindi egli non è stato ucciso da Commodo che peraltro era già stato associato al trono nel 177 in qualità di Cesare (titolo inferiore a quello di Augusto che solitamente viene assegnato a chi dovrebbe ereditare la porpora imperiale per donargli il prestigio necessario ad essere accettato da Senato, esercito e popolo, dato che formalmente la carica imperiale non è ereditaria); vero è che come abbiamo detto l’imperatore aveva proposto il titolo di Cesare già nel 170 al generale Tiberio Claudio Pompeiano (il quale essendo stato adottato era a tutti gli effetti fratellastro di Commodo).
Commodo comunque è un imperatore assolutistico e accentratore che governa grazie alla forza e al consenso dei pretoriani e di gran parte dell’esercito oltre che del popolo di cui si guadagna la simpatia con il vecchio metodo panem et circenses; per questo dopo la fine del suo regno che dura circa 12 anni, quindi ben più di quanto mostrato nella pellicola, subì la damnatio memoriae al pari di altri imperatori come Nerone, Caligola e Domiziano.
Nonostante sia un amante dei giochi e tra le sue stravaganze, che lo rendono inviso ai senatori, vi sia quella di combattere nell’arena assieme ai gladiatori, spesso travestito da Ercole con tanto di clava e pelle di leone, egli non perse la vita nell’arena del Colosseo ma durante una congiura di palazzo ordita dal Prefetto del Pretorio Quinto Emilio Leto insieme ad altri membri della corte imperiale, per mano del suo allenatore Narcisso. Inoltre dopo la sua morte non vi sarà nessun ritorno alla Repubblica ma si aprirà anzi un periodo di lotte intestine detto dei Cinque Imperatori che alla fine vedrà conquistare la porpora nel 193 al generale Settimio Severo, il quale riuscirà a liberarsi definitivamente degli altri oppositori e pretendenti al trono solo nel 197.
Per quanto riguarda la congiura esposta nel film e svelata da Commodo prima che riesca compiersi, essa ricalca quella storicamente avvenuta nel 182 d.C. ad opera di un gruppo di membri della famiglia imperiale riuniti intorno alla sorella di Commodo e moglie di Pompeiano, Annia Lucilla e al senatore Marco Numidio Quadrato; l’esecutore designato non riesce a pugnalare Commodo a causa del tempestivo intervento dei pretoriani e viene condannato a morte insieme al senatore Quadrato mentre Lucilla, sua figlia (avuta con Pompeiano e che nel film viene omessa come anche l’altra sorella di Commodo, Fadilla) e altre donne che avevano preso parte alla congiura vengono esiliate a Capri dove un anno dopo saranno assassinate per ordine dell’imperatore.
Tiberio Claudio Pompeiano, secondo marito di Lucilla, probabilmente non prende parte alla congiura o riesce comunque a tenersi ai margini perché non subisce conseguenze anche se sarà poi coinvolto in nuovi complotti orditi negli anni successivi e per questo sarà alla fine costretto a ritirarsi a vita privata lontano dalla corte.
La ricostruzione della battaglia nel film Il gladiatore
Alle numerose inesattezze citate fa da contraltare la ricostruzione della battaglia, che nonostante non sia affatto esente da errori, è riconosciuta per aver restituito una buona immagine di come effettivamente avvenivano gli scontri in quel periodo.
Cerchiamo di entrare più nel dettaglio:
– partendo dai costumi essi, pur essendo in parte stereotipati per aderire alla figura del legionario romano più impressa nella mentalità comune (quella con scutum rettangolare, elmo a grandi falde e soprattutto lorica segmentata), sono in fin dei conti abbastanza aderenti a quello che doveva essere l’equipaggiamento del periodo
– Le armature di alcuni soldati in particolare come l’aquilifer (portatore dell’aquila della legione) o del reparto di cavalleria erano probabilmente diverse, poiché essi dovrebbero indossare una lorica hamata piuttosto che la segmentata; inoltre non vi è certezza che i pretoriani vestissero abiti di colore scuro o viola (anzi più probabile è l’ipotesi che la tunica vestita sotto l’armatura sia di colore bianco), nonostante sia abbastanza certo che abbiano armature e scudi di foggia diversa rispetto ai classici legionari, perlomeno quando non sono coinvolti in battaglia. Infine c’è da notare che anche i barbari sono rappresentati con abbigliamento e atteggiamenti molto arcaici che non rispecchiano quelle popolazioni le quali abitando a ridosso del limes, dopo decenni di contatti e interscambi con Roma, nel II sec. d.C. devono aver raggiunto un buon grado di civiltà, importando e copiando dai romani merci, armamenti, tecnologie e alcuni costumi e innovazioni sociali;
– molto accurate sono invece le scene di battaglia vere e proprie in cui il susseguirsi di eventi rispecchia quello che deve essere l’andamento di uno scontro secondo la tattica e la strategia romana: l’utilizzo iniziale di macchine da guerra come catapulte (seppur esagerata la rappresentazione di proiettili incendari ed esplosivi) e scorpioni (una specie di balestra di grossa taglia) affiancate da fitti lanci di frecce ad opera di arcieri (i sagittarii, reparti di truppe ausiliarie specializzate), l’avanzata silenziosa e ordinata delle truppe romane in contrasto con il rumoreggiare dei germani (il grido che lanciano all’unisono prima dello scontro è noto già dai primi contatti con le popolazioni celtiche e germaniche e viene detto barritus) e la strategia di accerchiamento portata avanti dalla cavalleria.
Possiamo comunque notare qualche pecca, in particolare per quanto riguarda la cavalleria l’utilizzo delle staffe per i cavalli, sconosciute tra i romani fino al VI secolo d.C., e l’utilizzo di questo reparto in terreno boschivo, poco consono alle sue manovre, mentre per la fanteria si segnalano l’utilizzo irrealistico di una forma di testuggine in maniera repentina durante l’avanzamento verso il nemico (essa viene utilizzata solo in particolari occasioni, di cui alcune ci sono state riportate dalle fonti, e soprattutto durante gli assedi per avvicinarsi alle mura nemiche) e il mancato lancio di una o due salve di pilum (il giavellotto romano) da parte dei legionari prima di entrare in contatto con i nemici. In ultimo poco veritiera è la confusione che si crea nella battaglia dopo il primo contatto, funzionale a introdurre una scena con sottofondo musicale dai toni drammatici: in realtà la battaglia è condotta dai legionari secondo lo schema della mutatio in cui le varie linee dei legionari si alternano all’assalto del fronte nemico, con le linee più arretrate che subentrano a quelle davanti quando i soldati di queste ultime sono stanchi.
Infine una curiosità: le riprese dell’intera battaglia si sono svolte in Gran Bretagna e Ridley Scott ha ottenuto il permesso dalle autorità inglesi all’utilizzo del fuoco e di incendi perché l’area prescelta era stata decretata da disboscare.
I giochi gladiatori
Non afferenti alla battaglia iniziale ma comunque riguardanti combattimenti sono poi le scene che si svolgono nelle arene per i giochi gladiatori. Anche qui nonostante una descrizione generalmente verosimile del mondo gladiatorio in senso lato (ad esempio il particolare del rudis donato dall’imperatore a Proximo per decretarne la libertà), abbiamo alcune sviste.
Innanzitutto vediamo combattimenti contro animali feroci (in particolare alcune tigri) a cui in realtà prendevano parte gladiatori specifici detti venatores.
In secondo luogo durante uno degli scontri possiamo notare l’utilizzo di una balestra, assolutamente fuori contesto per il periodo, e anche nuovamente l’utilizzo della testuggine e di un’organizzazione nelle manovre che ricalca quella dell’esercito romano cosa piuttosto impossibile da improvvisare visto l’addestramento e la disciplina che una tale organizzazione delle legioni romane richiede.
Ed infine l’utilizzo, per ovvi motivi cinematografici di fruibilità per il grande pubblico, del famigerato pollice verso per decretare la sorte del gladiatore sconfitto: in realtà il gesto utilizzato per indicare l’esecuzione di quest’ultimo è esattamente l’opposto cioè un pollice in su, mentre il pugno chiuso indica la grazia, peraltro concessa molto frequentemente; le condanne a morte di gladiatori, specialmente se hanno combattuto bene, sono piuttosto rare principalmente per motivi economici infatti un gladiatore esperto ha un costo piuttosto elevato oltre che tempi di formazione e addestramento e di conseguenza farlo morire non risulta conveniente. Chi viene ucciso nell’arena, in vari modi, sono invece i condannati a morte veri e propri (i quali erano peraltro coloro che pronunciano la celebre frase “Ave, Caesar, morituri te salutant!”, cioè appunto “coloro che stanno per morire ti rendono omaggio”).
La peste Antonina
La già citata peste antonina (morbo in realtà ormai ritenuto dagli storici una forma di vaiolo, conclusione desunta anche dalla descrizione dei sintomi fatta dal medico romano Galeno) è un’epidemia che si è diffusa nell’Impero con il ritorno delle truppe che hanno preso parte alla campagna orientale contro i Parti condotta vittoriosamente da Lucio Vero e Avidio Cassio: i soldati probabilmente la contraggono in quei luoghi dove era giunta in seguito ai contatti commerciali tra l’impero dei Parti e i regni più orientali e la sua diffusione avviene rapidamente anche a causa del ritorno alle proprie legioni di origine delle vexillationes (reparti di una o più coorti) le quali vengono “prese in prestito” per partecipare a campagne in altri luoghi ove ci sia maggior bisogno di truppe ma senza sguarnire interamente i confini da cui vengono prelevate.
Sull’impatto che essa ha avuto sul corso della storia romana ci sono ancora pareri discordanti tra gli studiosi, certo è che essa ha causato un numero di vittime immenso, stimato tra 1/3 e ¼ dell’intera popolazione romana e potrebbe essere stata, a causa dello spopolamento provocato e anche dalla paura diffusa che limitò scambi economici e altri contatti tra le varie province, una della cause della successiva crisi economica che colpì l’Impero nel III secolo d.C..
Le guerre Marcomanne
Anche a causa dei confini sguarniti a causa dell’utilizzo delle poc’anzi citate vexillationes, alcune tribù germaniche iniziano a pressare e oltrepassare il limes danubiano, già a cavallo tra il 166 e il 167 d.C. (lo stesso Pompeiano respinge in questi anni incursioni di Longobardi e Osii).
Nel 169 fu la volta delle popolazioni dei Quadi e dei Marcomanni, i quali avevano già invaso in precedenza la Pannonia insieme a Sarmati e Iazigi. Essi dopo aver inflitto alcune sconfitte ai romani penetrano fino ad Aquileia e la pongono sotto assedio; Marco Aurelio a causa della penuria di soldati per le ragioni anzidette ricorre a misure straordinarie, arruolando, come è accaduto diverse volte in passato in situazioni di emergenza, persino schiavi e gladiatori. In questo modo riesce a difendere l’Italia dalla penetrazione barbarica e a togliere l’assedio ad Aquileia, passando poi al contrattacco oltre il Danubio, che tarda di alcuni mesi anche a causa dell’insubordinazione del generale della campagna partica Avidio Cassio, il quale si autoproclama imperatore ma che ben presto viene eliminato dai suoi stessi soldati.
Le operazioni sono affidate a Pompeiano a al futuro imperatore Pertinace e nel 172 termina la prima campagna contro Quadi e Marcomanni, grazie alla quale l’imperatore può fregiarsi del titolo di Germanicus. In seguito tra il 173 e il 175 vengono sconfitti nuovamente i Marcomanni e i Sarmati e Marco Aurelio riceve anche il titolo di Sarmaticus potendo così celebrare il trionfo nel 176.
Tra il 177 e il 179 sono necessarie nuove campagne per stabilizzare la situazione a causa di continue rivolte tra i popoli appena sconfitti ma anche perché il progetto dell’imperatore è ormai di occupare stabilmente la porzione settentrionale oltre il Danubio, le terre chiamate Marcomannia e Sarmatia; Marco Aurelio però muore all’inizio del 180 e Commodo contro l’opinione dei suoi generali stringe un accordo con le popolazioni germaniche oltre il Danubio, cessando le ostilità. Nonostante ciò saranno necessari altri due anni, fino al 183 per pacificare completamente la situazione oltre che una nuova campagna nel 189.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Andrea Frediani, Le Grandi Battaglie di Roma Antica, Newton Compton Editori, 2002.
- Adrian Goldsworthy, Storia completa dell’Esercito romano, Logos, 2007.
- Yann Le Bohec, Geopolitca dell’Impero romano, Leg Biblioteca, 2014.