CONTENUTO
Che ci crediate o no, la coppia di crittoanalisti (marito e moglie) più importante nella storia statunitense della decifrazione di codici segreti nemici, deve le proprie capacità alla teoria “baconiana”, riferita a dubbi sulla reale paternità shakespeariana delle opere del grande maestro del teatro inglese.
Ma facciamo un passo alla volta, iniziando da William (reale nome di battesimo Wolfe) Frederick Friedman, nato il 24 settembre 1891 a Chisinau, allora in Russia ed ora capitale della Moldavia. Aveva solo un anno quando suo padre emigrò a Pittsburgh, negli Stati Uniti, e con il resto della famiglia lo raggiunse poco dopo. Il padre, di origine ebrea, padroneggiava nove lingue ed era un esperto del Talmūd (la raccolta delle norme etiche, giuridiche, rituali del popolo ebraico) sicché William crebbe negli studi, sino a conseguire prima un baccalaureato in genetica alla Cornell University e successivamente ottenere una specializzazione in agraria.
I Riverbanks Laboratories
Nel 1915 gli fu offerto un lavoro a Geneva, nell’Illinois, 40 miglia a ovest di Chicago, come direttore del Dipartimento di genetica presso la tenuta Riverbank, per migliorare i ceppi delle colture. Lì incontrò Clara Elizebeth Smith, la più piccola di nove fra fratelli e sorelle, quasi coetanea poiché nata nel 1892 in Indiana, un’appassionata linguista fin dalla tenera età. Laureata nel 1915 all’Hillsdale College in Michigan pagandosi gli studi grazie ad un “prestito d’onore”, si era specializzata in Letteratura inglese.
Il suo autore preferito era William Shakespeare. Proprio questa sua passione e qualificazione la portò a lavorare a sua volta a Riverbanks. Il motivo lo chiariamo presentando la terza figura che entra nella nostra storia: il proprietario della tenuta e fondatore nel 1911 dei Riverbanks Laboratories, un uomo d’affari nel mondo del tessile, ricco ed eccentrico. Si chiamava George Fabyan, ma per tutti era il Colonnello (seppure non avesse mai militato nelle forze armate).
Aveva attrezzato un laboratorio di ricerca privato multidisciplinare all’avanguardia, specializzato nell’allora nascente studio dei messaggi cifrati, ma anche nelle applicazioni dell’acustica ed altre materie non sviluppate da ricerche universitarie. Fabyan tempo prima aveva conosciuto Elizabeth Wells Gallup, una docente propugnatrice della teoria baconiana. Si trattava di una credenza emersa per la prima volta a metà del diciannovesimo secolo, sulla base delle corrispondenze percepite tra le idee filosofiche trovate negli scritti di Bacon e nelle opere di Shakespeare.
Per sostenere tale teoria, allusioni cifre e codici crittografici furono apparentemente scovati nelle opere teatrali e nelle poesie, così da far guadagnare nel tempo popolarità alla supposizione. Insomma, in parecchi cominciarono a sostenere che l’aristocratico Sir Francis Bacon avesse scritto lui le opere teatrali pubblicamente attribuite al popolano William Shakespeare, ed in più che avesse inserito un cifrario con due diversi stili di testo per nascondere significati aggiuntivi.
Ma mancavano le prove. Fu nel 1895 che la Gallup affermò di aver trovato negli scritti dei messaggi nascosti, applicando un cifrario chiamato “bilaterale”, e Fabyan – che aveva letto un libro di lei sull’argomento – nel 1915 si unì allo sforzo (si appropinquava il 300 ° anniversario della morte di Shakespeare, e forse il Colonnello intravedeva la possibilità di fare qualche affare).
Crittografia, questa sconosciuta
Prima di proseguire nella storia proviamo però a spiegare cosa sia la cifratura/crittografia di comunicazioni e perché sia così importante, nei conflitti armati come negli scambi di messaggi diplomatici. Per trovare un esempio utile risaliamo sino a Giulio Cesare. Grazie a Svetonio sappiamo che Cesare in battaglia utilizzava dispacci cifrati con l’intento di proteggere gli ordini inviati ai suoi generali. Tali direttive, se il messaggero latore degli ordini fosse stato intercettato dal nemico, sarebbero risultate incomprensibili.
Il cifrario era piuttosto semplice: la lettera in chiaro veniva sostituita dalla lettera che la segue di tre posti nell’alfabeto: la lettera A dalla D, la B dalla E, e così via. Se Cesare avesse voluto indicare “muovete le truppe all’alba”, il messaggio cifrato (con “lista cifrante” – per nostra comodità – l’alfabeto italiano e, come detto, una chiave “di tre”) sarebbe stato quindi un a prima vista incomprensibile “PARBHZH OH ZUASSH DOO DOED”.
Cesare in realtà usava una tabella circolare formata da un anello con due cerchi concentrici: nel primo, in elenco, le lettere dell’alfabeto latino e nel secondo l’alfabeto spostato in base al “passo” di cifratura. È la matrice di quello che, secoli dopo Leon Battista Alberti, a sua volta crittoanalista ante-litteram descriverà – opportunamente modificato – nel suo trattato De cifris. Dal nostro elementare esempio si comprende come, semmai il latore del messaggio fosse stato intercettato e però fosse stata conosciuta dai nemici la “chiave di decrittazione”, questi avrebbero avuto un grande vantaggio nella conduzione delle future operazioni di combattimento.
Ora che ne sappiamo di più su questa oscura materia possiamo tornare al cifrario “bilaterale”, quello che la Gallup riteneva utilizzato da Bacon nelle sue vesti shakespeariane, avvertiti però che da una parte crittografare (o cifrare, o se preferite criptare) una comunicazione è cosa diversa da codificarla (che è il semplice processo di conversione di un messaggio da un formato ad un altro) e che la steganografia è invece quella tecnica che nasconde le informazioni non destando sospetti (sì, proprio l’uso dell’ inchiostro invisibile, che “restituisce” il messaggio con l’applicazione di luce o calore).
Come detto, il Colonnello e la Gallup avevano necessità di comprovare la loro tesi. Fu contattato John Matthews Manly, un professore di letteratura inglese e filologia della vicina Università di Chicago, specializzato negli studi dei lavori di Shakespeare, che a sua volta coinvolse la sua collaboratrice Edith Rickert, e furono inseriti William Friedman ed Elizebeth Smith nella squadra di cinque-sei ricercatori per scovare elementi nascosti nelle opere dei due autori inglesi. Il primo -che nasceva agronomo-genetista – fu utilizzato inizialmente come fotografo e addetto agli ingrandimenti delle immagini degli scritti, la seconda per la sua conoscenza della letteratura inglese.
Le forzate romantiche letture di Bacon e Shakespeare favorirono evidentemente l’amore tra William ed Elizebeth, che si sarebbero sposati nel 1917, poche settimane dopo l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, segnando per altro uno dei primi matrimoni misti nella comunità ebraica di Pittsburgh.
I casi dei messaggi cifrati tedeschi e l’ingresso degli USA nella Grande guerra
Torniamo indietro di qualche mese, quando la Grande guerra per gli Stati Uniti si stava approssimando. L’esercito aveva sin dagli anni 80 dell’Ottocento una abbozzata organizzazione di intelligence ma mancava di una sezione dedicata a criptazione e decrittazione dei messaggi (una funzione che in ambito militare anglosassone viene ricompresa nel signal service e che nel linguaggio attuale è indicata come sigint). In territorio americano, intanto, si andava sviluppando una guerra segreta tra Germania e Gran Bretagna, che coinvolgerà proprio la decrittazione di messaggi. I tedeschi avevano tutto l’interesse a tenere gli Stati Uniti fuori dalla guerra, come vedremo creando pure qualche diversivo ad hoc, mentre gli inglesi spingevano per farveli entrare. Questi ultimi furono in grado in due occasioni di intercettare scottanti comunicazioni tedesche, sì da ottenere lo scopo.
Vi fu un episodio che ebbe una vastissima eco: un telegramma cifrato inviato dal ministro degli esteri della Germania Zimmermann al governo del Messico, che proponeva a quest’ultimo di entrare in guerra contro il Stati Uniti, in cambio della futura annessione di Texas, Nuovo Messico, e Arizona (conquistati 70 anni prima dagli USA). Intercettato e decifrato dalla Marina britannica, grazie al centro dell’Ammiragliato chiamato Room 40, fu passato al governo americano che lo rese noto all’opinione pubblica, assicurandosene il sostegno per l’ingresso in guerra contro gli imperi centro-europei.
Ciò dimostrava anche che i crittologi americani avrebbero dovuto lavorare duro per pareggiare le capacità dei loro alleati europei, in particolare i britannici, che, quando gli americani arrivarono in Francia nell’estate del 1917, avevano già 3 anni di esperienza sul campo nell’utilizzo di codici e sistemi cifrati. Fu quindi creato il primo ufficio di codifica e cifratura dell’esercito, noto originariamente come American Cryptographic Bureau e più popolarmente come MI-8 (Military Intelligence, Section 8), affidato al ventottenne Herbert O. Yardley, un operatore telegrafico del Dipartimento di Stato che per diletto e sfida aveva decifrato in due ore una comunicazione tra il proprio presidente Woodrow Wilson ed un suo aiutante.
Due settimane dopo la pubblicazione del telegramma di Zimmermann sui giornali americani, Fabyan pensò bene di offrire i suoi avanzati servigi alla Difesa americana, grazie all’esperienza intanto maturata dai Laboratories e dai suoi esperti: inviò una lettera al (peraltro inesistente) “Ufficio dell’Intelligence” del Dipartimento della Guerra, spiegando il suo interesse per i cifrari e la sua collezione di libri sull’argomento, e chiese se il materiale potesse essere utile al governo. Dopo primi contatti, nell’autunno dello stesso anno ai Riverbank Laboratories fu assegnato il compito di decifrare i messaggi intercettati, compresi quelli del caso della cospirazione Indù, in cui naturalmente vennero coinvolti i Friedman.
Principalmente sulla West Coast e a Chicago vi erano immigrati indiani attivisti e membri di organizzazioni come il Ghadr party, che complottavano per la liberazione dell’India dal dominio britannico. Un agente inglese consegnò a Riverbank una decina di lettere intercettate, che evidenziavano una trama non perfettamente chiara tra questi residenti e la Germania. Stante il sostegno di Fabyan al governo, Friedman si mise a lavorare sulle lettere, mettendone in luce il vero significato sovversivo. Le autorità arrestarono degli immigrati indiani e alcuni tedeschi per violazione delle leggi sulla neutralità degli Stati Uniti.
In trentacinque (nove tedeschi, nove americani e diciassette indiani) furono condannati in due processi. In uno anche William fu chiamato a testimoniare sulla sua attività di decrittazione dei messaggi scambiati. In più, a Fabyan venne dato il compito di addestrare una ottantina di ufficiali selezionati del Signal Corps nella compilazione di crittosistemi da utilizzare per conto proprio e risolvere quelli del nemico. La formazione dei militari fu condotta proprio dai Friedman. Elizebeth era consapevole che erano dei pionieri in questo campo: “eravamo al tempo stesso studenti ed insegnanti”, scrisse in seguito.
Intanto Yardley aveva assunto all’ MI-8 il 51enne professor Manly con il grado di capitano come suo secondo in comando, e lo stesso William insisteva per fornire il proprio contributo sul campo (nonostante Fabyan cercasse di sabotare la sua volontà per tenerlo presso di sé), tanto che riuscì a partire nel maggio 1918 per la Francia per sostenere la American Expeditionary Forces (AEF) del Generale Pershing sul fronte occidentale, sfruttando le sue abilità nella sezione di risoluzione dei codici avversari, la General Staff Radio Intelligence Section, nota con la sigla G2-A6.
Colla gran parte del lavoro crittografico svolto presso l’MI-8 a Washington, la partenza di Friedman, e il fastidio dei dirigenti dell’esercito per alcune notizie apparse sui giornali riguardo i corsi nella nuova e teoricamente riservata materia svolti a Riverbank, i Laboratories erano divenuti gradualmente irrilevanti allo sforzo bellico. Inoltre, per Elizebeth lavorare per il Colonnello Fabyan non era così piacevole. Egli apriva la posta dei ricercatori e interferiva con la loro vita personale, e pubblicava i loro lavori non riconoscendo loro la paternità. Non trovandosi a proprio agio ed essendo il padre malato, lei pensò bene di rientrare nella sua casa ad Huntington.
Una nuova vita al servizio del Paese
Al ritorno di William dalla guerra nel febbraio del 1919, era giunto il momento di pianificare il futuro. Il Colonnello Fabyan, che aveva chiaro il valore della coppia, insistette affinché riprendessero servizio presso di lui, concedendo loro in via eccezionale di vivere fuori dalla tenuta e promettendo che avrebbe versato comunque il salario di William anche per il periodo trascorso in Francia. I Friedman si convinsero, ma il Colonnello si guardò bene dallo sborsare il denaro promesso, insistendo anzi acché proseguissero il lavoro sull’inconsistente codice “bilaterale” di baconiana memoria.
Per fortuna il Signal Corps dell’esercito venne in aiuto: fu offerto a William un contratto quale consulente, che egli si affrettò ad accettare, cosicché nel gennaio 1921 i due si trasferirono a Washington. Elizebeth dopo un periodo dedicato alla nascita ed all’accudimento di due figli, dal 1927 tornò a tempo pieno ad un impiego nel settore, prima con la Marina e quindi con il Dipartimento (noi in Italia diremmo Ministero) del Tesoro.
La migliore eredità del periodo trascorso a Riverbank fu l’amicizia tra Manly e William Friedman. Manly per primo propose il termine “crittoanalitica” per descrivere la scienza di decifrare i crittogrammi. Questa definizione, unitamente ad altre come “crittologia”, apparve per la prima volta in “Elements of Cryptanalysis” di Friedman, un manuale di addestramento che scrisse per l’esercito americano e che fu pubblicato nel 1923. Negli anni ’20 e ’30 Manly e Friedman intrattennero una corrispondenza su diversi aspetti della crittologia, seppure vi fu un momento di tensione tra i due nel giugno del 1931.
Yardley aveva perso il lavoro poiché il suo MI-8, nel dopo guerra divenuto una struttura di intercettazione conosciuta nell’ambiente come Black Chamber, era stato chiusa dal Segretario di Stato (il nostro ministro degli Esteri) con una ingenua motivazione rimasta leggendaria (“i gentlemen non leggono la posta degli altri”). Egli pensò quindi di prendersi una subdola rivincita, pubblicando le proprie memorie in un libro, citando Manly come suo sostenitore nella tesi che i codici americani utilizzati sul campo di battaglia durante la Prima guerra mondiale fossero insicuri. Friedman – che sul campo vi era stato e voleva preservare la reputazione sua e di coloro con cui aveva lavorato – contestò la citazione e libro di Yardley.
Più tardi nel tempo Friedman con una punta di orgoglio segnalerà come gli statunitensi avessero in realtà raggiunto rapidamente il Regno Unito e la Francia, superando addirittura gli alleati nella sofisticazione dei propri codici. Il suo contributo alla materia in quel periodo fu anche di ordine concettuale, con lo sviluppo dell’”indice di coincidenza”, una tecnica statistica utilizzata per valutare la probabilità che un dato testo sia o meno prodotto da un semplice codice di sostituzione.
I Friedman diedero il loro apporto investigativo, inoltre, nello scandalo denominato Teapot Dome, un caso di tangenti pagate ad altissimo livello politico in cambio di concessioni petrolifere statali. Nel 1924, il Dipartimento di Giustizia statunitense aveva necessità di analizzare le prove crittografiche raccolte durante le indagini, che furono decifrate dai nostri due che stabilirono i legami criminali tra i protagonisti della vicenda.
Elizebeth si trovò poi coinvolta dalla Guardia Costiera (un Corpo della Marina, posto in quel tempo negli USA a disposizione del Ministero del tesoro), la quale aveva bisogno di sviluppare rapidamente la capacità di decifrare i codici, proteggendo allo stesso tempo le proprie comunicazioni dai criminali che monitoravano i messaggi del governo alle navi della propria organizzazione a tutela delle coste. Mentre oggi la US Coast Guard è parte dello sforzo per contrastare l’ingresso via mare di stupefacenti negli Stati Uniti, allora il compito era quello di evitare il contrabbando in entrata di alcolici, definito “rum-running”.
Siamo infatti nel pieno degli anni della legislazione proibizionista (il Volstead Act del 1920), che vietava di produrre, vendere e trasportare bevande alcoliche e diede vita ad un fiorente mercato illegale ad opera di bande di criminali, che iniziarono quella che fu definita la “guerra del rum”, che gestivano basandosi su un centinaio di stazioni radio clandestine, mediante le quali fornivano le rotte alle navi provenienti da Canada, Messico, Bahamas e dalle isole francesi di St Pierre e Miquelon, nonché le indicazioni sui punti di sbarco, le ordinazioni di alcolici e la condotta generale dell’attività.
La Guardia Costiera grazie ad una sua apposita squadra tecnica (Coast Guard Communications Intelligence Section) ed in collaborazione con altre agenzie governative coinvolte, intercettava messaggi con le sue “torri radio” sulla costa orientale – originariamente utilizzate per scopi di ricerca e salvataggio – e nella primavera del 1927 aveva un arretrato di intercettazioni senza alcuno che le riuscisse a decodificare. Elizebeth si mise al lavoro. In due mesi appianò l’arretrato e risolse nel tempo numerosissimi messaggi, calcolati in 25.000, in diversi sistemi di codice utilizzati dai contrabbandieri, fornendo un notevole contributo alla lotta all’introduzione di alcolici vietati negli States.
La Cryptanalytic Unit consisteva nella Friedman e … un solo impiegato. Fu quindi distaccata presso il Ministero del Tesoro, competente sul proibizionismo, per un miglior coordinamento inter-agenzie. Vi fu anche la possibilità per William di collaborare: accadde che egli fu imbarcato sulla motovedetta CG-210 (un battello di 22 metri attrezzato appositamente per l’intercettazione di segnali radio) per una crociera di due settimane nella baia di New York. Durante questo periodo, riuscì a violare il codice utilizzato da un gruppo di contrabbandieri, scoprendo gli ordini operativi per le navi. Tale codice fu reso disponibile per l’uso da parte di altre unità della Guardia Costiera. In questo contesto un altro importante caso dai risvolti diplomatici che vide Elizebeth protagonista fu quello del vascello “I’m alone”.
Nel marzo 1929, questa nave battente bandiera canadese che trasportava rum fu affondata della Guardia Costiera statunitense, ed un marinaio francese affogò. Il Canada inviò una protesta formale chiedendo un risarcimento, sostenendo che in base a un trattato del 1924 gli Stati Uniti avevano accettato di non perquisire e sequestrare navi a più di un’ora di navigazione dalle coste degli Stati Uniti, a meno che l’inseguimento non fosse stato avviato nelle loro acque territoriali.
I due paesi portarono il caso ad un arbitrato internazionale. Le decrittazioni di Elizebeth di 23 messaggi dei tre anni precedenti della nave canadese aiutarono gli investigatori federali a dimostrare che il vascello era di proprietà di gangster americani che avevano il chiaro intento di contrabbandare alcolici in Louisiana. Gli arbitri concordarono per le pubbliche scuse degli Stati Uniti per aver sparato “sulla bandiera canadese” e una multa minima. Il lavoro fu elogiato, e la fama guadagnata dalla Friedman fece sì che fu posta a capo di una squadra di sei persone. Un anno dopo, un ufficio di intelligence della Guardia Costiera di stanza a Mobile, Alabama, intercettò centinaia di messaggi radio che incriminavano il gruppo di contrabbando di alcolici di Al Capone, nel cui relativo processo la stessa Elizebeth fu la principale teste per l’accusa.
Dopo l’abrogazione del proibizionismo nel 1934, i venditori di rum passarono al contrabbando di eroina e morfina. Elizebeth a sua volta si dedicò alla decrittazione di messaggi tra trafficanti di narcotici. Nel 1938, la polizia a cavallo canadese la invitò a Vancouver per analizzare i messaggi intercettati di un commerciante cinese. Lei si dotò di un dizionario in quella lingua e scoprì un traffico di contrabbando di armi canadesi verso Hong Kong in cambio di droga. La sua testimonianza in tribunale portò alla condanna di tutti gli imputati.
Se è vero che i Friedman ebbero una vita familiare apparentemente normale tra le due guerre, allevando due figli e trasferendosi in una casa di Chevy Chase, vi è da segnalare che lo stress stava segnando William, tanto da farlo necessitare di cure, che non gli impedirono comunque di continuare a dedicarsi al lavoro. Ed invero questo aumentava, in vista del secondo conflitto mondiale. Nel 1930 di fatto era subentrato a Yardley (con il quale come si ricorderà aveva polemizzato), quando gli fu richiesto di organizzare un nuovo vero e proprio servizio segreto dell’esercito, il Signals Intelligence Service, finalizzato alle funzioni di criptazione e decrittazione. Fu nel 1935 che Friedman, con Frank B. Rowlett, progettò la cifrante elettromeccanica ECM Mark II, più nota con il nome di SIGABA.
Le macchine cifranti a rotori – nuova frontiera delle comunicazioni segrete – avevano iniziato a diffondersi in quel decennio. Si trattava di sostituire gli strumenti sino ad allora utilizzati con un sistema meccanizzato a prova di forzatura. Era, con ogni evidenza, un vero salto di qualità – automatizzato – nella criptazione dei messaggi. La SIGABA sarà adottata dalla Marina e dal 1940 e dall’esercito e rimarrà inviolata per tutta la propria carriera.
Il codice Purple
La squadra capeggiata da William aveva raggiunto successi parziali nella decodifica dei messaggi militari dei potenziali prossimi nemici tedeschi ed italiani. La sfida consisteva però nella forzatura del codice diplomatico giapponese, l’apparentemente inviolabile Purple, che era stato utilizzato a partire dal 1937. Negli anni ’30 i giapponesi avevano ideato una nuova macchina cifrante che presentava novità significative, non utilizzando tra l’altro i classici rotori bensì più moderni dispositivi di tipo telefonico. Insomma, la macchina, che gli Americani designarono con il nome in codice Purple e che i giapponesi chiamavano “97-shiki o-bun in-ji-ki” (o più semplicemente “J”) appariva realmente inattaccabile.
Friedman nel settembre 1940 riuscì a violarne il codice, ricostruendone parzialmente una copia funzionante (va notato che un suo esemplare originale non fu mai posseduto dagli americani). Seppure alcuni storici affermino che l’accesso alla cifratura diplomatica giapponese – non trattandosi della intercettazione di comunicazioni militari – ha dato un minor contributo alla vittoria della guerra rispetto alla violazione della macchina cifrante Enigma utilizzata dalle truppe tedesche, rimane un apporto importante da parte di una squadra all’epoca ridotta nel numero di addetti. Nel dopo-guerra un aspetto polemico sull’utilizzo di “Magic” (il materiale decrittato da Purple) riguardò l’analisi dell’attacco giapponese alla flotta americana a Pearl Harbour.
William difese il suo lavoro in un lungo memoriale del 1956, nel quale spiegò che non era possibile prevenire tramite la decrittazione dei messaggi l’attacco giapponese: egli chiarì che in ambito Ministero degli esteri giapponese l’aggressione non era nota (e Purple decrittava solo i messaggi diplomatici) e contestò la “tesi complottistica” secondo la quale il presidente Roosevelt avrebbe avuto conoscenza dell’incursione, ma l’avrebbe permessa sì da condurre gli Stati Uniti in guerra.
Curioso notare che William nell’immediato dopo guerra era stato inviato in Germania per verificare le capacità cui erano giunti i nazisti nella materia di suo interesse e in quella circostanza ricevette una copia ciclostilata del suo corso di quattordici lezioni sui codici e i cifrari militari, che – evidentemente giunto in mani nemiche – era stato tradotto ed utilizzato per addestrare gli ufficiali tedeschi.
Anche Elizebeth nel periodo bellico oramai coinvolgente anche gli Stati Uniti non restò con le mani in mano. Seppure formalmente alla guida della sua Coast Guard Unit 387 del Dipartimento del tesoro, fornì il suo apporto anche ad altre amministrazioni statali. L’11 luglio 1941, il presidente Franklin D. Roosevelt aveva creato l’ufficio del Coordinatore delle informazioni (COI), che possiamo definire predecessore della CIA, con la missione di raccogliere, analizzare e diffondere l’intelligence.
Il compito di guidarlo fu assegnato ad un avvocato di spicco, William J. Donovan, che volle la Friedman con sé per creare una sezione di crittologia e per costruire una rete di comunicazioni sicura. Qualche mese dopo, il leggendario direttore dell’FBI J. Edgar Hoover la interessò nelle indagini tese a smascherare una rete di spie naziste infiltratesi in America Latina, nelle nazioni che potenzialmente potevano offrire utili materie prime allo sforzo bellico statunitense. Questa infiltrazione (denominata in codice Operazione Bolivar) comportava la creazione di una rete segreta di comunicazioni radio da stazioni in Brasile e Argentina (fino a quindici messaggi al giorno) che si moltiplicarono nel tempo in altri Stati, nonché un sistema di corriere che prevedeva l’uso di navi mercantili spagnole per la spedizione delle informazioni su carta.
La fine della II Guerra mondiale
Alla fine della guerra, il governo fuse le attività crittografiche di diverse agenzie, nello sforzo di costruire il quadro di una moderna struttura di sicurezza nazionale. Ciò portò al ridimensionamento della posizione di Elizebeth nella Guardia Costiera. Passò al Fondo Monetario Internazionale (FMI), lavorando dal 1946 al 1949 come consulente nelle Comunicazioni.
Nell’ambito della contestuale revisione delle Forze Armate, fu creata nel 1949 la Armed Forces Security Agency (AFSA), che aveva come missione lo svolgimento di attività di intelligence delle comunicazioni e della loro sicurezza, che fu sostituita nel 1952 dalla tuttora esistente NSA, National Security Agency, posta alle dipendenze dirette del Ministro della Difesa. William divenne assistente speciale del Direttore e vi lavorò sino alla pensione. Continuò poi peraltro a svolgere la professione come consulente nel Comitato Consultivo Scientifico dell’NSA.
William Friedman – che nel corso della sua vita a causa dello stress ebbe tre severi attacchi di cuore e si sottopose a trattamenti psichiatrici – si ritirò dall’incarico governativo nel 1955, e morì nel 1969. Elizebeth morì nel 1980. Nel 1999 la National Security Agency li ha inseriti nella “sala d’onore” dell’agenzia. Un edificio è stato intitolato loro nel complesso della NSA, sito nel Maryland.
I cifrari di Shakespeare
Se vi chiedete se i Friedman avessero dimenticato il codice “bilaterale” e la teoria baconiana, sappiate che nel 1957 pubblicarono un libro dal titolo “I cifrari di Shakespeare esaminati” (The Shakespearean Ciphers Examined), con il quale si presero la soddisfazione professionale di demolire l’ipotesi che negli scritti del maestro potessero essere nascosti messaggi segreti. Inoltre, continuarono a dedicarsi a libri, articoli, documenti e curiosità sulla crittografia, raccogliendo tale massa di materiale nella Friedman Collection, catalogata dalla G. Marshall Foundation, che l’ha resa disponibile al pubblico sul proprio sito web.
È stato possibile conoscere il contributo di entrambi solo in tempi recenti, dopo che i documenti che li riguardavano sono stati declassificati e quindi resi disponibili al pubblico. Per un lungo periodo, infatti, non fu concesso a William di partecipare a dibattiti o scrivere opuscoli sulla crittografia e crittoanalisi, benché lui volesse lasciare una sua testimonianza storica, mentre la leggendaria Unità 387 di Elizebeth è rimasta riservata per 62 anni, fino al 2008. Lei in particolare raccontò la loro – e la sua – straordinaria avventura al servizio del Paese, rimasta segreta nel tempo, nel modo più semplice: “Gli uomini del governo continuavano a presentarsi alla mia porta, e l’unico modo per liberarmi di ciò, era dire sì e risolvere gli enigmi che mi sottoponevano”.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Max Hastings, La guerra segreta, Beatedizioni, 2020.
- Robert Louis Benson, A History of U.S. Communications Intelligence during World War II: Policy and Administration, Center for Cryptologic History – National Security Agency, 1997.
- Ronald Clark, The Man Who Broke Purple, A&C Black, 2011.