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Vita e opere di Gustave Le Bon
Gustave Le Bon nasce in una famiglia di origine bretone a Nogent-le-Rotrou, città che abbandona alla sola età di otto anni a causa del trasferimento del padre che, in quanto funzionario, riceve un incarico lavorativo dal governo francese a Tours. Qui il giovane Le Bon frequenta il liceo. In seguito, intraprende gli studi di medicina, laureandosi all’Università di Parigi nel 1866. Nello stesso anno pubblica il libro De la mort apparente et des inhumations prématurées, riguardo alla definizione di morte, argomento che avvierà una serie di dibattiti legali durante il ventesimo secolo.
Le Bon attua le sue prime ricerche nell’ambito della fisiologia, pubblicando diversi articoli e un testo intitolato Traité pratique des maladies des organes génito-urinaires (1869). Dopo aver partecipato alla guerra franco-prussiana (1870-1871) come medico a comando di una divisione di ambulanze militari, decide di non dedicarsi alla pratica formale sanitaria, ma inizia a pubblicare articoli. Inoltre, le sue riflessioni sulla disciplina militare, sulla leadership e sul comportamento dell’uomo in uno stato di stress e sofferenza ottengono il plauso dei generali a tal punto da diventare oggetto di studio in alcune accademie militari francesi. Alla fine della guerra, Le Bon ottiene la nomina di Cavaliere della Legione d’Onore.
La sconfitta francese contro la Prussia e la testimonianza diretta della Comune di Parigi (1871) plasmano fortemente la sua visione del mondo. Assistere all’incendio da parte delle folle rivoluzionarie parigine, del Palazzo delle Tuileries, della biblioteca del Louvre, dell’Hôtel de Ville, della Manifattura dei Gobelins, del Palazzo di Giustizia e di altre opere architettoniche stimolano le sue osservazioni riguardo all’irrazionalità della folla. In questo periodo rivela il suo animo conservatore e reazionario scagliandosi contro i pacifisti e i protezionisti socialisti, in quanto li ritiene colpevoli di rallentare lo sviluppo marziale della Francia e di soffocarne la crescita industriale. Le sue critiche nei confronti del maggioritarismo e del socialismo lo porteranno ad essere malvisto in alcuni settori dell’ambito accademico e scientifico francese.
I viaggi di Le Bon
Tra gli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento viaggia in vari luoghi dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa, durante i quali approfondisce l’archeologia e la nascente antropologia, analizzando le diverse etnie. Influenzato dalle teorie di Charles Darwin, Herbert Spencer ed Ernst Haeckel, Le Bon si rivela un sostenitore del determinismo biologico e di una visione gerarchica delle razze e dei sessi. In seguito alle lunghe ricerche sul campo nei diversi continenti, ipotizza una correlazione tra la capacità cranica e l’intelligenza che espone nel volume Recherches anatomiques et mathématiques sur les variations de volume du cerveau et sur leurs relations avec l’intelligence (1879). In questo periodo inventa anche un cefalometro tascabile per la misurazione del cranio, che nomina “Compasso per coordinate”. Nel 1881 pubblica un articolo intitolato Il cefalometro tascabile, o bussola delle coordinate, dove descrive in dettaglio la sua invenzione e la sua applicazione.
Nel 1884 viene incaricato dal governo francese di stilare un resoconto sulle civiltà asiatiche. Durante il viaggio in Asia Le Bon matura la convinzione che la cultura è influenzata principalmente da fattori ereditari, come le caratteristiche razziali uniche dei popoli. Per esempio, ne La Civilisation des Arabes (1884) elogia gli arabi per il loro contributo alla civiltà, ma critica l’islamismo come agente di stagnazione e descrive, inoltre, la cultura araba come superiore a quella dei loro governatori turchi, alimentando così i primi nazionalisti arabi che si ispireranno alle traduzioni della sua opera.
Successivamente pubblica Voyage au Népal (1886), dove descrive la sua esperienza come primo francese a visitare il Nepal, e Les Civilisations de l’Inde (1887), in cui elogia l’architettura, l’arte e le religioni indiane, ma sostiene l’inferiorità degli indiani rispetto agli europei nei progressi scientifici, che rileva come causa della dominazione britannica. Nel 1889 pubblica Les Premières Civilisations de l’Orient, in cui delinea una panoramica delle civiltà mesopotamiche, indiane, cinesi ed egiziane. Nello stesso anno pronuncia un discorso al Congresso coloniale internazionale a Parigi dove critica le politiche coloniali volte all’assimilazione culturale, sottolineando di lasciare “agli indigeni i loro costumi, le loro istituzioni e le loro leggi”. L’ultimo libro riguardo ai viaggi è Les monuments de l’Inde (1893) nel quale elogia le realizzazioni architettoniche del popolo indiano.
Il ritorno a Parigi
Dopo queste esperienze in Oriente, Le Bon torna a Parigi nel 1892, dove rischia di morire cadendo da cavallo. Afflitto dall’incomprensione dei motivi dell’incidente, intraprende uno studio sui suoi errori commessi come cavaliere, pubblicato in L’Équitation actuelle et ses principes (1892) che diventa un manuale di cavalleria molto apprezzato. Dagli studi sul comportamento dei cavalli, sviluppa, inoltre, le sue teorie sull’educazione della prima infanzia.
Rientrato definitivamente in ambito accademico, inizia a scrivere una serie di libri contenenti i concetti scaturiti dalle sue ricerche, nelle quali si avvicina alla sociologia e alla psicologia. Nel 1894 pubblica Les Lois psychologiques de l’évolution des peuples che si rivela un successo editoriale, ma è l’anno successivo che formula le sue teorie più conosciute ne Psychologie des Foules (1895), tradotto in diciannove lingue nell’arco di un anno. Ne La Psicologia delle folle sono contenute diverse osservazioni già presenti in L’Homme et les sociétés, opera scritta da Le Bon nel 1881 e citata dal sociologo Émile Durkheim ne De la division du travail social (1893).
Fisica
Ottenuto successo e visibilità, Le Bon scrive altri due libri di psicologia, Psychologie du Socialisme (1896) e Psychologie de l’Éducation (1902), i quali però suscitano l’irritazione dell’establishment accademico francese, tendenzialmente socialista. Nonostante l’approfondimento in questi ambiti di studio, s’interessa anche alla fisica e nel 1896 teorizza una presunta nuova radiazione che chiama “luce nera”, definendola come distinta ma correlata ai raggi X e ai raggi catodici. La scoperta genera un diffuso interesse tra gli scienziati a tal punto che viene candidato al Premio Nobel per la fisica nel 1903.
L’esistenza di quella tipologia di radiazione però non verrà mai confermata e ad oggi è considerata inesistente. Le Bon mantiene la passione per la fisica parallelamente alla formulazione delle sue teorie psicologiche e sociologiche, eseguendo diversi esperimenti e pubblicando libri divulgativi. Nel 1902 inizia ad organizzare les déjeuners du mercredi, pranzi durante i quali ogni mercoledì raggruppa nobili, politici e intellettuali per discorrere di vari temi di ricerca e di attualità. Tra questi spiccano Henri e Raymond Poincaré, Paul Valéry, Henri Bergson, Alexander Izvolsky, Marcellino Berthelot e Aristide Briand.
In questo periodo Le Bon continua ad occuparsi di fisica. Ne L’Évolution de la Matière (1905), anticipa l’equivalenza massa-energia e ne L’Évolution des Forces (1907) profetizza l’era atomica. In uno scambio epistolare con Albert Einstein del 1922 affiorerà la loro diatriba riguardo a queste teorie in quanto Le Bon si lamenterà del mancato riconoscimento dell’equivalenza tra massa-energia. Einstein ammetterà la lungimiranza dello studioso francese, ma sosterrà che tramite la teoria della relatività è riuscito dimostrarla in modo più convincente. Alcuni studiosi come Gaston Moch attribuiranno a Le Bon il merito di aver anticipato la teoria della relatività di Einstein.
Ultimi anni e morte di Gustave Le Bon
Nel 1908 interromper le sue ricerche nel campo della fisica per dedicarsi esclusivamente alla psicologia pubblicando diversi articoli e libri tra il 1910 e il 1914 riguardo al pensiero affettivo e razionale, alla psicologia della razza e alla storia della civiltà: Psychologie politique et la défense sociale; Les Opinions et les croyances; La Révolution Française et la Psychologie des Révolutions; Aphorismes du temps présent; La Vie des vérités. Durante la Prima guerra mondiale, Le Bon continua a pubblicare in modo prolifico: Enseignements Psychologiques de la Guerre Européenne (1915), Premières conséquences de la guerre: transformation mentale des peuples (1916) e Hier et demain. Pensées brèves (1918).
Alla fine del conflitto si dimette dal suo incarico come professore di Psicologia e Scienze affini all’Università di Parigi per dedicarsi alla scrittura da casa. In questo periodo pubblica Psychologie des Temps Nouveaux (1920), Le Déséquilibre du Monde (1923), Les Incertitudes de l’heure présente (1924), L’évolution actuelle du monde, illusions et réalités (1927). Queste opere sono caratterizzate da un profondo pessimismo dato dall’instabilità del periodo tre le due guerre. Nel 1929 diviene Grand-Croix della Legion d’Onore.
La sua tendenza all’eclettismo lo accompagna fino alla sua morte avvenuta a Marnes-la-Coquette nel 1931 alla veneranda età di 90 anni, non prima di aver pubblicato un’ultima opera intitolata Bases scientifiques d’une philosophie de l’histoire (1931). Non farà in tempo a vedere i regimi totalitari che affioreranno da lì a poco e che si ispireranno largamente alle sue teorie sulla folla.
Psicologia collettiva
“Pensare collettivamente è la regola generale. Pensare individualmente è l’eccezione.”
Gli allievi di Cesare Lombroso, Ferri e Sighele avevano già affrontato un iniziale dibattito riguardo alla psicologia delle folle. Scipio Sighele aveva pubblicato La Folla Delinquente nel 1891, distribuito anche in Francia, Germania e Inghilterra. Tra i francesi che si sono occupati di psicologia collettiva spiccano invece Gabriel Tarde e Hippolyte Taine. Tutti questi studiosi sono accumunati da una visione negativa della folla.
Tarde analizza l’origine e il funzionamento del potere basandosi interpretandolo come un processo suggestione reciproca di ogni aggregato umano che resta solido tramite la necessità umana di obbedire per sentirsi sicuri e in pace. Questo avviene con l’imitazione, in quanto le persone nascono nel sociale e riproducono schemi di comportamento e subordinazione già presenti. Quindi la società è basata sulla relazione, un elemento intrapsichico tra gli individui che i leader strumentalizzano per influenzare i processi interpretativi.
Le legge dell’imitazione sociale, già prerogativa della Scuola di Francoforte, si associa al nuovo elemento di passività delle folle (coesione mentale e aggregazione spirituale). Data l’illusione inconscia che i sentimenti degli individui sono comuni, Tarde afferma che il consenso politico può essere organizzato e quindi l’opinione pubblica viene prodotta e unificata.
Il filosofo francese Hippolyte Taine ne Origines de la France contemporaine (1876-1894) descrive il passaggio della Francia dall’ancien régime alla Rivoluzione francese, interpretando quest’ultima come una deviazione dal percorso naturale, causata delle teorie razionalistiche degli illuministi, i quali hanno prodotto un delirio della ragione. Da convinto conservatore, Taine non apprezza le modalità del governo francese nel gestire la folla, la quale si riversa nelle strade deliberatamente e in modo indisciplinato. Interpreta la folla come assassina e la rivoluzione come una barbaria collettiva.
Nella sua opera ricostruisce la storia della Francia sulla base dei diari degli aristocratici che descrivono il popolo come una plebaglia capace soltanto di distruggere, divertendosi nell’atto criminale. Questa lettura conservatrice getta le basi per un’interpretazione delle brutalità attuate dalle folle su base scientifica, oltre che morale, e criminalizza la rivoluzione. Per lui ciò che si presenta come anarchico, e quindi non strutturato, è sinonimo di dissoluzione. Non crede quindi nella capacità delle folle di autogovernarsi, perché le interpreta come caratterizzate da istinti individuali animali, in una retrocessione allo stato selvaggio che può essere fermata soltanto tramite l’educazione.
Allo stesso modo il filosofo Joseph de Maistre legge la Rivoluzione francese come satanica e sostiene quindi che non è possibile tentare di spiegarla in modo razionale. Allineandosi alla visione degli autori francesi che si sono occupati di psicologia collettiva, Le Bon tenta di studiare scientificamente il comportamento delle folle. Anche lui è convinto che il loro comportamento non sia razionalmente interpretabile e che, per questo motivo, vadano represse.
La folla come nuova potenza
Le Bon legge le trasformazioni politiche dell’epoca in cui vive come un profondo gcambiamento nelle idee dei popoli. Secondo lui, dagli sconvolgimenti storici sono scaturiscono i rinnovamenti che operano nelle opinioni, nelle concezioni e nelle credenze. Matura questo pensiero in quanto assiste a tre importanti eventi nei quali la folla è protagonista: la comune di Parigi (1871), l’ascesa di Georges Ernest Boulanger (1885-89) e l’affare Dreyfus (1894-1906). Abita inoltre a Parigi in un periodo di enorme crescita industriale e culturale della città. Interpreta così l’epoca in cui vive come un periodo di transizione in cui le vecchie idee sono ancora saldamente radicate ma quelle che le sostituiranno sono in via di trasformazione e definisce questo limbo come un’esposizione al rischio di anarchia.
Alla base della trasformazione del pensiero umano vi sono due fattori fondamentali: la distruzione delle credenze religiose, politiche e sociali da cui derivano tutti gli elementi della nostra civiltà e l’avvento di condizioni di vita e di pensiero nuove, indotte dal progresso scientifico e dall’industrializzazione. Le Bon sostiene che le antiche credenze vacillano e scompaiono, mentre l’azione delle folle è una nuova potenza il cui prestigio accresce giorno dopo giorno. Le politiche tradizionali e le tendenze individuali dei governanti pesano poco rispetto alla voce preponderante delle folle, acuita dall’avvicinamento dei ceti popolari alla vita politica.
Le idee radicate negli animi hanno favorito la progressiva associazione degli individui e la realizzazione della loro forza. Le rivendicazioni delle folle sono capaci di distruggere le fondamenta dalla società. La creazione dei sindacati e delle borse del lavoro ne sono esempi lampanti. Le folle non sono propense al ragionamento, ma si adattano all’azione e quindi il loro predominio rischia di sfociare nel disordine. Se la civiltà implica e richiede regole basate sulla razionalità, le folle sono invece distruttive, incoscienti e brutali. Le Bon, da convinto conservatore, sostiene che bisogna contenerle per impedire l’anarchia.
Governare le folle
Il punto cardine del suo ragionamento è il concetto secondo il quale i leaders sono da sempre eccellenti psicologi che possiedono un’idea accurata dell’anima delle folle. Solo tramite la conoscenza della psicologia delle folle sono in grado di governarle, in quanto costituisce la risorsa principale dell’uomo di Stato.
L’uomo di stato o l’élite deve conoscere e imparare a sfruttare la psicologia delle folle per governarle. Se questo non accade, vi è il rischio che capiti l’opposto. Se prima i comportamenti collettivi erano determinati da fattori etico-biologici oppure etnico-culturali, nel Ventesimo secolo gli elementi irrazionali della folla distruggono quelli creati dall’etnia (cultura, storia, valori). Una nuova logica politica si affaccia nella storia e si impone strutturalmente. La politica deve rapportarsi con le masse, un nuovo fenomeno nato nel Novecento, che può essere guidato e definito come oggetto del potere.
Bisogna quindi identificarne i caratteri peculiari e proporre tecniche volte a guidarle e controllarle. Applicando un paradigma di studio scientifico derivato dall’approccio clinico, Le Bon spiega i meccanismi interni della folla che portano all’emergere dell’emotività scaturita dall’istintualità e dall’inconscio, altrimenti repressi negli individui dal controllo sociale.
Anima collettiva
Le Bon definisce la folla come un agglomerato di uomini che possiede caratteri nuovi, ben diversi da quelli appartenenti ai singoli individui di cui si compone. All’interno della folla la personalità cosciente svanisce e i sentimenti e le idee di ognuno sono orientate nella stessa direzione.
Si tratta quindi di un’anima collettiva che attua comportamenti comuni. La folla psicologica è un’entità provvisoria, nella quale i singoli perdono la propria personalità cosciente. I loro sentimenti, pensieri e azioni si amalgamano e cambiano rispetto alla loro individualità. Il singolo è capace di dominare gli istinti mentre la folla agisce inconsciamente in base agli input che riceve perché pensa per immagini. Il leader evoca quindi un’immagine semplice, in modo tale che venga assimilata facilmente senza l’utilizzo della ragione. In questo modo i sentimenti e le idee delle varie individualità si orientano in una direzione unica.
Considerando che la folla agisce sotto l’influenza di determinati stimoli, gli individui non devono essere necessariamente raggruppati in un unico punto, ma l’influsso di una violenta emozione è necessario per creare una folla psicologica e quindi organizzata.
Suggestione e contagio
Secondo Le Bon la folla è caratterizzata da un sentimento di invincibilità, in quanto la sua forza è data dall’ingente numero di persone che la compone. Questo consente di cedere agli istinti e agire in modo anonimo e irresponsabile. Inoltre, Le Bon intende la folla come un gruppo di individui caduti in una sorta di ipnosi. Tramite il predominio della personalità inconscia, la folla segue un unico orientamento determinato dalla suggestione e dal contagio.
Per suggestione s’intende l’ipnotizzazione degli individui all’interno della folla, dove le loro facoltà psichiche sono annullate. L’ipnotizzatore conduce la folla tramite suggestioni, più o meno esaltanti, manovrandola a suo piacimento. Questo accade grazie al contagio mentale che influenza l’orientamento della folla, nella quale ogni azione e sentimento sono trasmissibili, a tal punto che l’individuo sacrifica ogni suo personale interesse per quello collettivo. La suggestione e il contagio sono gli stessi per tutti le persone che compongono la folla e, in quanto reciproci, si alimentano. L’irreale predomina sul reale generando una consapevolezza di onnipotenza.
Folla violenta e folla eroica
Le Bon aggiunge che nella moltitudine, l’uomo discende di diversi gradi nella scala della civiltà e infatti la folla è contrassegnata dall’istintualità, dalla violenza e dall’audacia degli esseri primitivi. Per questo motivo le folle sono tendenzialmente criminali, ma in determinate circostanze possono essere anche valorose. Ciò dipende dal modo in cui vengono suggestionate. La folla può tendere verso passioni violente e incontrollate oppure verso atti di eroismo e di alta moralità in base agli impulsi che riceve.
La propensione alla violenza oppure alla prodezza dipende dalla manipolazione effettuata dai leaders carismatici. Se si rivelano sagaci e responsabili nella promozione delle idee l’influenza delle folle diventa un fenomeno positivo e costruttivo. Tramite questa riflessione Le Bon considera lacunosi i ragionamenti di autori come Ferri e Sighele che consideravano solo l’aspetto criminale della psicologia delle folle.
Influenze della Psicologia delle folle
Le teorie di Le Bon sulla psicologia delle folle ottengono un’enorme influenza sulla comprensione del comportamento collettivo fin dalla prima metà del Novecento. Studiosi come Max Weber ed Émile Durkheim utilizzano le teorie di Le Bon per approfondire diversi concetti sociologi. Weber utilizza La psicologia delle folle per studiare i movimenti rivoluzionari e il concetto di leadership, mentre Durkheim per i cambiamenti sociali e il ruolo delle masse nella società.
Nello stesso periodo anche Sigmund Freud sviluppa le sue teorie psicanalitiche sull’inconscio e sulle dinamiche psicologiche che influiscono sulla personalità umana. I suoi studi si accavallano con quelli di Le Bon perché rivelano lo stesso interesse per il comportamento delle masse. Le Bon analizza le modalità in cui le folle possono essere manipolate e influenzate, mentre Freud nella sua opera Psicologia delle masse e analisi dell’Io, esamina le dinamiche psicologiche all’interno delle masse. Il rapporto tra le loro teorie costituisce una base filosofica e scientifica fondamentale per gli studi psicologici dell’intero Novecento.
Le teorie di Le Bon influenzano quindi diversi studiosi che si occupano del ruolo delle masse nella propaganda e nella formazione dell’opinione pubblica, come Walter Lippmann (Public Opinion, 1922), Edward Bernays (Propaganda, 1928), ma anche la formazione del gruppo dinamico di Wilfred Bion e Ernest Jones e l’analisi della comunicazione di massa di Hadley Cantril e Herbert Blumer. Inoltre, Noam Chomsky si avvale degli studi di Le Bon per le sue teorie sulla fabbricazione del consenso.
Il pensiero di Le Bon non viene ripreso soltanto in ambito accademico, ma anche in quello politico in un periodo in cui la politica è ormai massificata. Il protagonismo delle masse è un fenomeno che caratterizza il fascismo e il nazismo, ma anche la politica statunitense e quella sovietica. Oltre ad essere utilizzata dai leader politici come Lenin, Theodore Roosevelt e Winston Churchill, La psicologia delle folle è stata adoperata da Adolf Hitler, Benito Mussolini e Stalin, i quali hanno attuato una propaganda mirata per manipolare le folle, avvalendosi delle tecniche di persuasione proposte da Le Bon.
Nonostante fosse ammirato dagli estremisti, Le Bon aveva profetizzato l’era dei regimi totalitari, criticando le derive del leninismo e del nazismo, ma dopo la sua morte il panorama culturale lo ha rilegato ai margini. Ancora oggi le teorie di Le Bon vengono criticate da molti psicologi contemporanei, i quali sostengono che le folle possono essere guidate anche dalla ragione e dall’intelligenza, in quanto non sono sempre suscettibili alle suggestioni. La Psicologia delle folle rimane però una delle opere più influenti al mondo e anche i politici odierni provenienti dalla più svariate fazioni ideologiche continuano a leggerla, da Trump a Macron.
Folle digitali
Al giorno d’oggi le teorie di Le Bon vengono utilizzate per analizzare le folle che si formano online sui social media o altri spazi digitali. Come sostiene Giò Fumagalli, le folle digitali presentano le medesime caratteristiche di quelle fisiche. Gli utenti online formano delle folle che agiscono attraverso il potere della ripetizione tramite la condivisione e, a causa della coesione e della suscettibilità alle suggestioni, l’individuo perde il pensiero critico e la capacità analitica.
Oggi i mezzi di comunicazione sono lo strumento più efficace per influenzare migliaia di persone. La natura digitale delle folle però ha anche delle proprie peculiarità come gli algoritmi, i contenuti sponsorizzati, la velocità e la capillarità della diffusione. Le teorie di Le Bon si rivelano quindi un mezzo fondamentale per analizzare le manipolazioni delle tendenze contemporanee e per comprendere come gestire in modo efficace e responsabile le folle digitali.
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- Gustave Le Bon, Psicologia delle Folle (1895): il più antico manuale sulla manipolazione mentale di massa, con una nuova espansione sulle folle digitali (Prefazione di Eugenio Miccoli, Traduzione e Postfazione di Giò Fumagalli), Ibex Edizioni, Monza-Brianza, 2021.
- Edward L. Bernays, Propaganda. L’arte di manipolare l’opinione pubblica (1928), Piano B Edizioni, Prato, 2018.
- Noam Chomsky, Edward S. Herman, La fabbrica del consenso. La politica e i mass media, Il Saggiatore, Milano, 2023.
- Walter Lippmann, L‘opinione pubblica (Prefazione di Nicola Tranfaglia, Traduzione di Cesare Mannucci), Donzelli Editore, Roma, 2018.
- Emilio Gentile, Il capo e la folla, La genesi della democrazia recitativa, Bari, Editori Laterza, 2021.