STORIA DELLE GUERRE JUGOSLAVE: RIASSUNTO IN BREVE, ARTICOLI E TIMELINE CON DATE CHIAVE

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25/06/1991
Indipendenza di Slovenia e Croazia
Inizio del processo di disgregazione della federazione jugoslava e dei conflitti
27/06/1991
La guerra dei dieci giorni in Slovenia
Intervento dell'esercito jugoslavo contro la Slovenia. Il conflitto si conclude il 7 luglio
06/04/1992
La guerra in Bosnia-Erzegovina
Inizio dei combattimenti sanguinosi tra bosniaci musulmani, serbi e croati
22/05/1992
La Bosnia-Erzegovina nelle Nazioni Unite
Bosnia formalmente riconosciuta come Stato sovrano dalla comunità internazionale
11/07/1995
Il Massacro di Srebrenica
Genocidio delle truppe comandate da Ratko Mladić contro bosniaci-musulmani
24/03/1999
I bombardamenti NATO sulla Serbia
Inizio dell'operazione “Allied Force”, la NATO bombarda la Serbia

Le cause della dissoluzione della Jugoslavia (1980 – 1990)

La lenta dissoluzione della Jugoslavia e le conseguenti guerre nei Balcani hanno diverse cause: 1) il mutamento del quadro politico mondiale dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989; 2) i problemi del federalismo jugoslavo incapace di mantenere la stabilità in una regione caratterizzata da antiche tensioni etniche; 3) una grave crisi economica durata più di un decennio. Per tutta la Guerra Fredda, in politica estera, la Jugoslavia mantiene una posizione di equidistanza dal blocco sovietico e da quello atlantico, mentre in politica interna, essa è composta da sei stati federati (Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia, Macedonia) e dalle due province autonome di Kosovo e Vojvodina.

Nel 1980, con la morte del Maresciallo Tito, il principale artefice dell’unità della Jugoslavia dopo la sconfitta del nazifascismo, viene meno la forte tenuta governativa comunista dello Stato. Già negli anni Settanta ci sono avvisaglie di tensioni etniche in Croazia e in Kosovo ma Tito, con una forte repressione militare, riesce a placarle. Dopo la morte del Maresciallo, la Repubblica viene governata da una presidenza collegiale presieduta a turno dai presidenti dei singoli Stati federati. Negli anni Ottanta si riaccendono le tensioni ma, mancando un forte governo centrale, non si riesce a pacificarle.

È in questa fase che emerge in Serbia Slobodan Milosevic: nel 1987 conquista la presidenza della Repubblica e nel 1989, come atto di repressione contro le rivolte etniche, toglie l’autonomia alle province di Kosovo e Vojvodina. Intanto in Croazia, nel 1989, viene fondato il primo partito anticomunista, Unione Democratica Croata (HDZ), guidato da Franjo Tudman con una tendenza marcatamente nazionalista e filo-ustascia (il movimento fascista croato). In Slovenia, poi, vengono scoperti documenti segreti su un ipotetico intervento militare jugoslavo da attuare in caso di un’evoluzione democratica e sovranista del Paese, provocando molte proteste.

La guerra in Slovenia (1991)

La prima guerra scoppia proprio in Slovenia. Nel 1990, il referendum per l’indipedenza vede l’88% degli elettori a favore, pur consapevoli che non sarebbe mai stato approvato pacificamente dal governo jugoslavo. La Slovenia decide di avocare a sé il comando delle milizie popolari che il governo centrale vorrebbe eliminare e, il 25 giugno 1991, dichiara formalmente l’indipendenza. Il 26 giugno, alcune unità dell’Armata Popolare Jugoslava (JNA) si schierano lungo il confine sloveno ma dopo dieci giorni di combattimenti vengono respinte. Il 3 luglio viene firmato un cessate il fuoco e la JNA si ritira: gli sloveni prendono rapidamente il controllo del Paese e delle dogane. Il 7 luglio viene firmato l’Accordo di Brioni con il quale si riconosce l’indipendenza della Slovenia e il ritorno della JNA nei propri territori. Termina così la prima guerra jugoslava e inizia la fase più cruenta che porterà poi alla dissoluzione dello Stato.

La guerra in Croazia (1991 – 1995)

L’indebolimento del governo jugoslavo favorisce i nazionalisti croati: dopo l’ultimo congresso della lega dei comunisti, nel 1990 viene fondato il Partito Democratico Serbo nel quale confluiscono tutti i serbi di Croazia. Il 6 maggio si svolgono le elezioni politiche vinte da HDZ con Tudman che forma il nuovo governo. La situazione diventa sempre più tesa: il 25 luglio viene costituita un’assemblea serba che proclama l’indipendenza della regione autonoma di Krajina, dopo un referendum non riconosciuto. I croati reagiscono inviando la polizia mentre Milosevic, che ha assunto il controllo della JNA, fa abbattere alcuni elicotteri dell’esercito croato. Il 25 giugno 1991, la Croazia dichiara l’indipendenza dopo un referendum boicottato dai serbo-croati.

Un mese dopo iniziano gli scontri e la JNA mette sotto attacco le città croate con pesanti bombardamenti sui civili, soprattutto a Vukovar. Dopo una serie di “cessate il fuoco” non rispettati, l’ONU dispiega una forza di mantenimento della pace nelle zone della Croazia detenute dai serbi al fine di controllare il territorio e imporre una tregua in attesa di una soluzione diplomatica. Nel 1992, intanto, l’UE riconosce la Croazia, determinando la ritirata della JNA con la promessa, però, fatta ai serbi di Krajina, di intervenire militarmente in caso di loro pericolo. La guerra continua proprio in Krajina dove i croati nel 1995 mettono in atto l’Operazione Tempesta rioccupando gran parte del territorio della repubblica serba ed espellendo circa 250.000 persone.

La guerra in Bosnia-Erzegovina (1992 – 1995)

Nel 1992, la Bosnia è abitata da tre gruppi di etnie e religioni diverse che devono spartirsi il territorio: i bosniaci musulmani, i croati cattolici e i serbi ortodossi. Dopo il referendum con cui la Bosnia-Erzegovina sancisce la propria indipendenza (1992), inizia una cruenta guerra le cui efferatezze impongono vari tentativi di mediazione da parte di UE, ONU e del gruppo di contatto composto da Francia, Regno Unito, Russia, Germania, USA e Italia. Nel 1992, l’ONU istituisce la missione UNPROFOR per proteggere le popolazioni coinvolte nel conflitto e intervenire con truppe d’interposizione. I caschi blu falliscono, però, a Srebrenica, località della Bosnia dichiarata zona protetta da una risoluzione ONU del 1993 e che, pertanto, non può essere soggetta ad attacchi armati.

La città è invece teatro del massacro perpetrato l’11 luglio 1995 dalle truppe serbo-bosniache del generale Ratko Mladic nel quale muoiono più di 8.000 musulmani bosniaci. Il massacro avviene sotto gli occhi del contingente olandese ONU che non interviene poiché, secondo la posizione ufficiale, le proprie truppe – scarsamente armate – non possono far fronte da sole alle forze di Mladic che sfrutta anche i caschi blu prigionieri nelle sue mani per ottenere la passività dell’ONU. Dopo la strage di Srebrenica, la missione UNPROFOR confluisce nella missione IFOR della NATO che interviene con l’Operazione Deliberate Force bombardando l’esercito, le linee di comunicazione e gli impianti di difesa serbo-bosniaci. L’intervento è decisivo per la fine del conflitto: bosniaci e croati, che nel frattempo si sono alleati, possono riconquistare gran parte del territorio e i serbo-bosniaci accettano di avviare i negoziati di pace. Ciononostante, la capitale Sarajevo rimarrà sotto assedio, isolata e bombardata dall’artiglieria serba fino al 29 febbraio 1996.

Gli Accordi di Dayton (1995)

Gli accordi di Dayton sanciscono la fine della guerra in Bosnia e la nascita di un nuovo Stato composto dalle tre componenti etniche del Paese. A partecipare alla stesura del documento finale sono il presidente della Jugoslavia, Milosevic, il presidente della Croazia, Tudman e il presidente della Bosnia, Izetbegovic. Gli equilibri all’interno del Paese vengono stabiliti su base etnica con la creazione di due entità differenti con propri governi e assemblee: da un lato, la federazione di Bosnia-Erzegovina (51% del territorio), formata da croati e bosniaci; dall’altro, la Repubblica Srpska, formata da serbi. Da allora, la Bosnia-Erzegovina è retta da un presidente coadiuvato da due vice, mentre il potere legislativo è affidato a un parlamento bicamerale eletto a suffragio universale. Il potere esecutivo spetta a un governo formato da un’equa rappresentanza dei membri delle tre comunità etniche e guidato da un primo ministro che, a turno ogni otto mesi, assume la presidenza.

Le conseguenze delle guerre in Jugoslavia

Le guerre jugoslave hanno provocato la morte di 140.000 persone, di cui circa 40.000 civili, e sono state contrassegnate da innumerevoli crimini di guerra, tra cui genocidio, crimini contro l’umanità, pulizia etnica e stupri di massa. I massacri bosniaci sono stati il primo evento bellico europeo a essere formalmente classificati come di carattere genocida dopo i crimini del III Reich tedesco. Molti personaggi chiave del conflitto sono stati accusati di crimini di guerra dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, istituito dall’ONU nel 1993: i serbi, soprattutto, sono stati accusati di aver progettato la pulizia etnica dei bosniaci nelle aree controllate dalle loro forze armate.

Ma cosa resta oggi dell’eredità jugoslava? Di certo non ancora una vera pace. A preoccupare sono soprattutto i sentimenti secessionisti della Repubblica Srpska, a maggioranza serba, e le nuove tensioni in Bosnia tra i principali esponenti delle diverse comunità che alimentano rivendicazioni e rancori mai del tutto sopiti. Il modello della presidenza tripartita tra serbi, croati e musulmani, poi, non riesce a garantire l’unità e la stabilità del Paese. Altro focolaio di tensione è il Kosovo, regione da 1,8 milioni di persone di cui il 95% di etnia albanese, che ha combattuto le forze serbe di Milosevic in una guerra d’indipendenza scoppiata nel 1998-99 e conclusa con un nuovo bombardamento della NATO sulle postazioni serbe. Il 17 febbraio 2008, poi, il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza, ritenuta illegale da Serbia e Russia ma riconosciuta oggi da 109 Paesi nel mondo.

In definitiva, in ex-Jugoslavia rimangono i ricordi di un passato condiviso e l’utopia di un futuro d’integrazione europea. Ma una cosa è certa: il conflitto ha evidenziato la presenza di divisioni etniche e religiose più vive che mai in Europa e sollevato dubbi sulla legittimità delle frontiere nazionali. Soprattutto, ha mostrato ancora una volta come discriminazione, intolleranza e odio etnico non abbiano mai lasciato veramente il continente e siano esplosi con violenza inimmaginabile solo quarantacinque anni dopo la fine della seconda guerra mondiale.

A cura di Angelo Laudiero, laureato in Relazioni Internazionali e iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Campania

Libri (bibliografia) sulle guerre jugoslave

Bianchini S., La Questione Jugoslava, Giunti, Firenze, 1996.

Krulic J., Storia della Jugoslavia, Bompiani, Milano, 1997.

Magno A. (a cura di), La Guerra dei Dieci Anni. Jugoslavia 1991-2001, il Saggiatore, Milano, 2011.

Pirjvec J., Le Guerre Jugoslave. 1991-1999, Einaudi, Torino, 2002.

Documentario: Jugoslavia, morte di una nazione