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Home Storia Contemporanea

La Guerra del Kosovo e l’intervento NATO contro la Serbia nel 1999

Il 24 marzo 1999, la NATO avviava l'Operazione Allied Force, la campagna di bombardamenti aerei contro la Yugoslava e contro la Serbia di Milošević.

di Valerio Spositi
20 Marzo 2022
TEMPO DI LETTURA: 3 MIN
guerra kosovo

CONTENUTO

  • La guerra del Kosovo degli anni Novanta
  • L’inizio dell’Operazione Allied Force
  • Intervento della NATO in Serbia: edizione speciale del Tg1

Il 24 marzo 1999, in piena guerra del Kosovo, la NATO avviava l’Operazione Allied Force, la campagna di bombardamenti aerei diretta contro la Repubblica Jugoslava e in particolare contro la Serbia di Slobodan Milošević.

La guerra del Kosovo degli anni Novanta

Il contesto che produsse l’intervento militare della NATO il 24 marzo 1999 fu quello della guerra del Kosovo. All’inizio degli anni ’90, il paese vede revocarsi una serie di garanzie di autonomia al fine di venire inglobato nel progetto della Grande Serbia, allora guidata da Slobodan Milošević.

Un progetto, però, a cui inizia ad opporvisi una resistenza non violenta guidata da Ibrahim Rugova, il quale proclama la repubblica kosovara e indice nuove elezioni. Ad affiancare la resistenza di Rugova, come parte dell’indipendentismo kosovaro, nel 1995 nasce l’Esercito di Liberazione del Kosovo, noto come UCK.

Per circa tre anni, le forze dell’UCK si scontrano con i militari e diverse entità statali, tentando di accrescere il loro consenso. Il punto di svolta avviene nel 1998, quando l’esercito serbo inizia ad attuare rappresaglie anti-insurrezionali anche contro la popolazione civile.

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A seguito di questa pericolosa escalation, l’Alleanza Atlantica minaccia di intervenire militarmente, sotto la legittimazione dell’ONU, con lo scopo di arrivare ad una tregua, che arriva di lì a poco e che dura fino al gennaio 1999, quando a Racak avviene il massacro di circa 60 civili. L’episodio è il detonatore di una nuova crisi e dimostra che la Serbia non sta rispettando il cessate il fuoco stabilito dalla Risoluzione ONU 1199 del settembre 1998.

Così, tra febbraio e marzo, viene convocata una conferenza a Rambouillet alla quale partecipano le parti in conflitto e il c.d. Gruppo di Contatto, composto dai ministri degli esteri di Italia, Francia, Russia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti. Lo scopo della conferenza è quello di portare la Serbia alla resa e di riconoscere l’autonomia del Kosovo. Ma Milošević non ne vuol sapere, in quanto considera la regione la culla della civiltà serba. Il rifiuto del leader serbo provoca una frattura all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU su come agire.

L’inizio dell’Operazione Allied Force

Nel Consiglio di Sicurezza, l’uso della forza viene negato da parte della Cina, che vedeva nell’indipendenza del Kosovo un precedente per quella del Tibet, e della Russia, la quale stava divenendo sempre più fredda e distaccata nei confronti dell’Alleanza Atlantica. Così, l’azione della NATO ha inizio senza alcuna legittimazione da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

La giustificazione fornita dalla NATO è quella di evitare una nuova pulizia etnica contro la popolazione kosovara, che avviene poco dopo, nel mese di aprile. Quest’ultima complica la situazione e fornisce il casus belli alla NATO per iniziare, il 24 marzo, i bombardamenti aerei. Gli obiettivi degli attacchi riguardarono la capacità di difesa aerea serba, gli obiettivi militari e le infrastrutture, tra cui anche quelle civili, come ponti, centrali elettriche e telecomunicazioni.

Durante i bombardamenti, per errore viene colpita anche l’ambasciata cinese. Sebbene l’intervento delle truppe, i c.d. “boots on the ground”, fosse rimasta una opzione sempre sul tavolo, le uniche truppe di terra coinvolte nel conflitto furono quelle dell’UCK, l’esercito di liberazione del Kosovo. L’Operazione Allied Force andrà avanti fino al 10 giugno 1999, quando la Serbia verrà costretta ad arrendersi dinanzi all’incessante campagna di bombardamenti aerei.

Intervento della NATO in Serbia: edizione speciale del Tg1

Valerio Spositi

Valerio Spositi

Ph.D. in Storia degli Stati Uniti presso l'Università degli Studi di Roma Tre. Nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Relazioni internazionali ad indirizzo storico presso l'Università degli Studi di Roma Tre con tesi di laurea in Storia degli Stati Uniti dal titolo: "There is a power in a band of workingmen". Ascesa e declino degli Industrial Workers of the World, 1905-1918. Ha conseguito diversi corsi di specializzazione post-laurea in Storia, Politica e Società degli Stati Uniti d'America presso il Center for American Studies e in Storia Contemporanea presso il CISPEA (Centro Interuniversitario di Storia e Politica Euro-Americana). Ha ottenuto due pubblicazioni sulla rivista European Affairs Magazine. Caporedattore di Fatti per la Storia, cura i rapporti con le Università. Fa parte del Comitato-Scientifico.

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