CONTENUTO
Il contesto politico mediterraneo alla fine del V secolo
All’inizio del VI secolo il volto politico del mondo mediterraneo è radicalmente mutato rispetto ai precedenti secoli. La parte occidentale dell’Impero romano si è dissolta e, al suo posto, sono sorti i cosiddetti regni romano-barbarici che, dal nord della Gallia fino all’Africa settentrionale, si insediano nelle antiche province imperiali.
Alcune popolazioni, come i Franchi e i Burgundi, mantengono stretti legami con l’autorità imperiale, riuscendo a contrastare quelle più aggressive, come Vandali, Visigoti e Alani, sostituendo l’autorità romana locale in maniera graduale, permettendo alla classe dirigente romana autoctona di mantenere un saldo controllo sulle comunità locali e di far carriera tra i propri ranghi.
L’impero romano d’Oriente
L’impero d’Oriente invece, riesce a prosperare e a garantire un certo grado di stabilità, sia sul piano interno che su quello esterno, agendo varie volte per tutelare l’esistenza stessa della controparte Occidentale, supportandone i piani offensivi contro i Vandali alla fine degli anni 60 del V secolo, installando imperatori scelti dallo stesso augusto d’Oriente, come Antemio, e inviando varie volte contingenti armati in difesa della capitale, Ravenna. L’Ostrogorsky offre invece un giudizio ben poco lusinghiero nei confronti della corte di Costantinopoli, definendola una spettatrice politicamente passiva nei confronti dell’Occidente, ma soprattutto terrorizzata dalle ripetute minacce barbariche.
Il regno Ostrogoto
In Italia, dal 476 al 493, domina la figura di Odoacre, generale barbaro che, al comando dell’esercito romano in Italia, aveva deposto l’Imperatore d’Occidente Romolo Augustolo, inviando in seguito le insegne imperiali a Bisanzio e sancendo la “riunificazione” dell’Impero sotto la guida dell’imperatore di Costantinopoli.
Verso la fine del V secolo tuttavia, i territori dei Balcani controllati dai Romani d’Oriente sono frequentemente minacciati dagli Ostrogoti, liberatisi dal dominio unno sotto la guida del loro capo Valamiro, a seguito della morte di Attila, dopo il 453. Nel 487 i loro attacchi si spingono fino ai sobborghi della stessa capitale. L’Impero deve trovare una soluzione a questo problema.
La soluzione è quella di incentivare questo popolo a stanziarsi in Italia, sotto la guida di Teoderico, goto della dinastia degli Amali, divenuto sovrano del suo popolo negli anni 70 del V secolo. Il piano presenta un duplice obiettivo:
- Recuperare formalmente il controllo dell’Italia, legittimando l’invasione gota e l’autorità di Teoderico, inserendolo nella gerarchia politico-militare romana (nel 484 era stato nominato dall’imperatore Zenone magister militum praesentalis, ovvero comandante di uno dei due eserciti che presiedevano nei dintorni della capitale dell’Impero).
- Liberarsi da uno scomodo vicino e alleggerire dunque la pressione militare lungo il Danubio.
Teoderico, dopo aver sconfitto Odoacre nel 493, governa l’Italia in nome dell’Impero d’Oriente, restaurando per intero la Prefettura d’Italia, comprendente anche i territori dalmati.
La situazione politica alla morte di Teodorico (526-535)
Dopo aver regnato per ben 33 anni, nel 526 Teodorico muore, lasciando il regno nelle mani di suo nipote Atalarico, di soli otto anni. Per la sua tenera età viene posto sotto la tutela della madre Amalasunta, figlia del defunto sovrano. A Costantinopoli è salito invece al trono Giustiniano, energico imperatore che è fermamente convinto di poter inaugurare e portare a termine un vasto progetto di riconquista dei territori dell’Occidente romano, anche grazie all’immensa disponibilità fiscale che può disporre, merito delle accorte politiche economiche dei suoi predecessori, in particolare di Anastasio del padre Giustino.
A Ravenna, tuttavia, la posizione politica di Amalasunta inizia ben presto a deteriorarsi. I nobili di corte non sopportano l’atteggiamento filo-romano della co-regnante, indirizzato alla tutela degli interessi dei Romani autoctoni contro i soprusi dei goti, e al rafforzamento delle relazioni con la corte Bizantina. Procopio riferisce persino di trattazioni segrete tra Amalasunta e Giustiniano circa la cessione diretta del regno goto all’Impero d’Oriente.
La prematura morte di Atalarico, nell’ottobre 534, costringe Amalasunta a sposare suo cugino Teodato, già duca di Tuscia, antica provincia romana corrispondente all’attuale Toscana. L’anno seguente Amalasunta viene prima fatta arrestare per ordine del suo stesso marito, poi confinata sull’isola di Martana e, come ultimo atto, assassinata da esponenti nobiliari a lei ostili, che Teodato probabilmente sostiene e che quindi non punisce.
Si presenta perciò il pretesto perfetto che serve a Giustiniano per intervenire in Italia. Dopo la “campagna lampo” in Africa settentrionale contro i Vandali nel 533, le truppe per l’invasione potevano dirsi già pronte per intraprendere quest’impresa.
Il primo decennio della guerra gotica (535-545)
Per la spedizione viene scelto il generale Belisario, autore della vittoriosa difesa del fronte orientale contro i Persiani e conquistatore del regno dei Vandali. Al comando di circa 7.500 uomini, il generale salpa dalla capitale, con l’obiettivo di raggiungere e approdare in Sicilia. Di questi 7.500 uomini, circa 4.000 sono truppe di federati e regolari, mentre 3.000 sono reparti di Isauri, reclutati nell’omonima regione anatolica. Ad un primo sguardo il lettore può chiedersi, come mai per l’invasione di un territorio vasto quanto la penisola italiana, sono stati inviati così pochi uomini?
Probabilmente l’estrema rapidità con cui il regno vandalo era caduto aveva prodotto un’ondata di fiducia e ottimismo tra i ranghi militari dell’esercito bizantino, e ci si aspettava che un ristretto numero di soldati, ben addestrati, ben comandati e con il vitale supporto della flotta, potesse avere la meglio sull’esercito avversario, che, nel caso dei Goti, poteva arrivare a contare all’incirca 30.000 unità.
Come si vedrà spesso nel corso della guerra, il controllo del territorio richiederà molte più truppe di quelle previste, anche perché la benevolenza della popolazione locale non sempre simpatizzava verso i conquistatori.
Lo sbarco avviene nell’ottobre del 535 e Catania è la prima città a cadere. All’inizio del 536 tutta la Sicilia è occupata. Nel frattempo il generale Mundo compie degli attacchi diversivi nei Balcani, cercando di mantenere l’esercito goto indeciso su quale azione intraprendere. Belisario invece continua l’avanzata, riuscendo a risalire l’Italia e a occupare Napoli.
Teodato, a questo punto, viene deposto dall’assemblea del popolo in armi e sostituito da Vitige, che decide di proporre un’alleanza con i Franchi, decidendo in seguito di raggruppare il proprio esercito a Ravenna per contrastare l’invasione bizantina sia a sud e sia in Dalmazia, dove gli attacchi di Mundo si spingevano fino alla città costiera di Salona.
La marcia delle truppe romane procede e, il 9 dicembre del 536, Roma viene occupata per la prima volta dal 476, mentre alcuni generali di Belisario invadono la Tuscia. Tuttavia, nel febbraio del 537, il sovrano goto, consapevole dell’esiguo numero di soldati bizantini, raduna una massa di circa 30/40.000 uomini lanciandosi alla riconquista dell’importante città laziale e costringendo Belisario a prepararsi per il sempre più certo assedio.
Seppur con forze numericamente molto inferiori, Belisario riesce a respingere l’attacco nemico, permettendo così alle truppe di rinforzo di arrivare. Nonostante ciò, fu solo nel marzo del 538 che i Goti si ritirano verso nord, a causa della minaccia romana alla loro stessa capitale, Ravenna. Nel giugno del 538, il generale romano Narsete arriva in Italia con ulteriori rinforzi e con l’obiettivo di tenere sotto controllo Belisario, forse pericolosamente troppo potente agli occhi di Giustiniano.
L’anno successivo Ravenna e le città del Veneto, eccetto Verona, vengono occupate dalle truppe imperiali. Nel 540 Belisario sembra riuscire a portare a termine il conflitto, catturando lo stesso Vitige. Lo sfortunato sovrano però, poco prima della sconfitta, riesce ad inviare degli emissari al sovrano di Persia Cosroe I, per proporgli un’alleanza strategica contro l’imperatore.
Cosroe attacca dunque i confini orientali dell’Impero, spingendosi fino all’importante sede patriarcale di Antiochia e pagando i Bulgari affinché procurino grossi grattacapi alle esigue truppe romane lungo le frontiere danubiane. Nel 541 la situazione per l’Impero è critica, aggravata dallo scoppio di una grave epidemia di peste, che si diffonde rapidamente nella capitale ed in altri territori, compresi i domini dello stesso Stato persiano. Con somma fortuna per l’Impero, i Sasanidi accettano la pace nel 545, consentendo a Giustiniano di concentrare nuovamente le risorse per la campagna contro i Goti.
Gli ultimi anni della guerra greco-gotica (545-554): vincitori e vinti
Questi sotto la guida di un nuovo sovrano, Totila, nell’arco di qualche anno riescono a recuperare buona parte dei territori caduti nelle mani dei Bizantini. Roma viene occupata nel 546, riconquistata dai romani due anni più tardi, e occupata nuovamente nel 549. I Goti iniziano anche a dare grossi fastidi al potere romano sui mari, riuscendo a imbastire una potente flotta con la quale minacciano le coste siciliane, dalmate e sarde.
Il nuovo pericolo navale goto, tuttavia, viene messo fuori uso dalla flotta romana di fronte alla città di Senigallia, nel 551, e una spedizione al comando del generale bizantino Artabane riconquista la Sicilia, in precedenza occupata dalle truppe nemiche.
La voragine fiscale che questa guerra sta provocando, convince Giustiniano a tentare una rapida conclusione del conflitto. Decide quindi di inviare un’armata di 20.000 uomini al comando di Narsete, per cercare di provocare Totila in una risolutiva battaglia campale. Procopio ci informa che, di questi 20.000 uomini, ben 6000 sono Longobardi, sotto il comando di Auduino, mentre altri 4.000 sono Eruli. Totila decide di affrontare l’esercito invasore nei pressi di Busta Gallorum, l’odierna Gualdo Tadino.
La battaglia è una decisiva vittoria dell’organizzazione e della professionalità dell’esercito romano, contro il mal guidato e male organizzato esercito ostrogoto. Lo stesso sovrano muore nel corso della battaglia e al suo posto viene nominato Teia. Narsete, alla fine, con un’ultima decisiva battaglia presso i Monti Lattari, in Campania, sconfigge definitivamente l’esercito di Teia, ponendo di fatto fine al regno inaugurato da Teoderico il Grande, è l’ottobre del 552. L’ultimo atto di guerra nella penisola avviene due anni più tardi, nel 554, quando Narsete riesce a fermare nei pressi di Capua un’orda di Franchi e Alamanni, discesi lungo il territorio italico.
Nello stesso anno Giustiniano, con l’emissione della Prammatica sanzione, estende anche nei territori appena recuperati la validità delle leggi e degli editti in vigore in Oriente, compreso il gravoso pagamento delle imposte arretrate. La guerra ha avuto un effetto devastante per la popolazione locale e per la struttura economica tardoantica, che declina definitivamente con la calata dei Longobardi, a partire dal 568.
Truppe private di Belisario e dei generali bizantini nella guerra gotica
Procopio inserisce più volte all’interno della sua opera la presenza e le gesta di truppe non regolari dell’esercito imperiale, che costituiscono una vera e propria “truppa privata” del generale.
La loro diffusione nel mondo romano si inizia a vedere intorno alla prima metà del V secolo, anche se le leggi che legittimano il loro arruolamento da parte di proprietari privati vengono emesse verso la seconda metà del V secolo. Il fenomeno riflette le mutate condizioni politiche e militari di quest’epoca, in cui prevalgono soprattutto scontri orientati al saccheggio e all’ottenimento del bottino, sia da parte di generali romani che barbari. In seguito queste truppe diventeranno sempre più unità di cavalieri d’elite, soprattutto nell’Oriente del VI secolo.
Procopio definisce questi armati con il termine di “dorifori”, spesso interpretati anche come vere e proprie guardie del corpo, alternandolo a “ypaspistaís”, che indica sempre truppe al seguito di generali bizantini, talvolta tradotto con il termine “scudieri”. Oltre a Procopio, in Oriente, troviamo anche i vocaboli “bucellari” e “ermigeron”, che mantengono un significato simile a quelli utilizzati dall’autore bizantino e che si consolidano proprio tra il VI ed il VII secolo, andando incontro ad un inevitabile declino con il mutamento delle condizioni politiche e militari di fine VII e soprattutto di inizio VIII secolo, specialmente a seguito della travolgente espansione araba.
In un papiro, datato al 561 e proveniente dall’Egitto, si ha testimonianza della distribuzione del salario ad una trentina di questi armati. Il documento specifica inoltre il loro nome, offrendo testimonianza dell’eterogenea composizione di questa tipologia di truppe, composta da uomini provenienti da territori tra loro molto distanti, come Salona, in Dalmazia (Papiri di Ossirinco, vol. XVI, 1903).
Anche in Occidente è attestata la presenza di milizie private, in particolar modo al soldo di aristocratici locali, intenti a difendere le loro proprietà terriere oppure a tutelare le comunità locali da attacchi di fazioni opposte o dei vari gruppi barbarici. Una chiara testimonianza ce la offre, in una sua epistola, il gallo-romano Sidonio Apollinare, che racconta di come il dux Ecdicio Avito, nel 474, per difendere la città di Clermont, assediata dai Visigoti di Eurico, arruola “una sorta di esercito pubblico con risorse private” vista la mancanza di aiuti provenienti dal governo centrale, ormai impotente al di fuori dei territori italici (Sidonio, Ep. III, 3).
In ogni caso anche all’interno dei regni romano-barbarici vi è la probabile presenza di truppe private, che spesso si confondono con le guardie del corpo dei vari sovrani, come nel caso di Teodorico I, sovrano visigoto che aveva disposto dei “comes armiger” a difesa del suo trono e degli “armati regi” a protezione del tesoro regio (Sidonio, Ep. I, 2). In Occidente troviamo più spesso il termine “armigero” per definire delle milizie private, anche se poteva indicare più genericamente un uomo d’arme.
Un caso ben più esplicito ci viene offerto dallo stesso Procopio, che ci racconta di come Teudi, generale di Teoderico il Grande e futuro sovrano visigoto, arruola circa 2000 “dorifori” dalle sue proprietà, divenendo di fatto un signore indipendente (Procopio, Guerre, V, 12).
I libri consigliati da Fatti per la Storia per approfondire la guerra greco-gotica!
- John Haldon, The Byzantine Wars, History Press, Gloucestershire, 2011.
- Georg Ostrogorsky, Storia dell’Impero Bizantino, Einaudi Ed., Torino, 2014.
- Gasparri, C. La Rocca, Tempi barbarici, l’Europa occidentale tra antichità e medioevo (300-900), Carocci Editore, Roma, 2017.
- Gastone Breccia, Lo Scudo di Cristo. Le guerre dell’impero romano d’Oriente, Edizione Laterza, Bari, 2023.
- Procopio di Cesarea, La guerra Gotica, Garzanti, 2005.