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La crisi argentina
Negli anni ‘70, l’America del sud e in particolare l’Argentina sono sull’orlo del collasso economico. L’Argentina, priva di un governo stabile, non riesce a costruire una politica continuativa e il 24 marzo 1976 una giunta militare depone la presidentessa Isabella Peron assumendo il potere nel Paese. Agli inizi degli anni ottanta, l’Argentina è in una grave crisi economica causata dall’inflazione elevata, che produce una grande recessione economica e l’interruzione di buona parte delle attività produttive.
La gravità della crisi economica e l’aumentare delle tensioni sociali inducono la sostituzione del capo della giunta militare Jorge Rafael Videla con il generale Roberto Eduardo Viola e, successivamente, con il generale Leopoldo Galtieri. Tale avvicendarsi in breve tempo di ben tre diversi generali al vertice del governo argentino testimonia della necessità da parte della giunta di riguadagnare credito presso le masse, soprattutto quelle più nazionaliste, anche attraverso la decisione di recuperare le isole.
La soluzione alla crisi e l’invasione delle Falkland
Galtieri spera di controbilanciare la preoccupazione del popolo suscitata dalla crisi economica e dalle violazioni dei diritti umani perpetrati dal regime con la popolarità che seguirà a una rapida vittoria conseguita recuperando il controllo sulle Malvinas. Crede di rilanciare il Paese facendo leva sul nazionalismo, contando su quella che sembra una facile preda. Situate a circa 500 km dalla costa atlantica argentina, le isole sono occupate militarmente dalla Gran Bretagna da un secolo e mezzo. Ma gli argentini le considerano parte del territorio nazionale e non hanno mai rinunciato a riconquistarle.
L’Argentina fa pressione sull’ONU, anche ventilando apertamente una invasione, ma gli inglesi non reagiscono. Gli argentini interpretano la mancata reazione come un disinteresse per le isole e ritengono che gli inglesi non reagiranno con forza a un’invasione. Interpretano come ulteriori conferme in tal senso sia il ritiro dell’ultima unità della Royal Navy presente nell’arcipelago nel 1981, che è inclusa in un generale ridimensionamento della flotta nei territori britannici, sia l’Atto della Nazionalità Britannica (British Nationality Act) del 1981 che toglie agli abitanti delle Falkland, incluse nei British-Dependent Territories, alcuni dei diritti della piena cittadinanza, che vengono però in parte riapplicati in virtù delle leggi locali sulla immigrazione e cittadinanza. In ogni caso, tale percorso non lineare viene visto dagli argentini come un ulteriore incoraggiamento.
Il 2 aprile l’Argentina invade militarmente le isole dichiarandone la sovranità. L’Argentina è totalmente solidale con il Generale Galtieri, il quale sfida pubblicamente gli inglesi a venire a riprendersi le isole, dall’alto del balcone della Casa Rosada e di fronte ad una folla oceanica in deliro. Il piccolo contingente britannico, colto di sorpresa, viene sopraffatto. L’Argentina sottolinea la vittoria invertendo il senso di circolazione nelle strade, imponendo la lingua spagnola, e cambiando il nome della capitale da Port Stanley in Puerto Argentino.
La risposta inglese
Il Regno Unito è governato dalla Lady di Ferro Margaret Thatcher, che non solo raccoglie la sfida, ma approfitta dell’occasione per rispolverare i fasti di un Impero coloniale oramai in disfacimento ma capace ancora di un grande orgoglio nazionale. Organizza subito una forza d’assalto che raggiunge le Falkland per riprenderne il controllo. La prontezza della risposta britannica sorprende gli argentini.
Il 25 aprile le truppe inglesi conquistano la piccola isola della Georgia australe. Un luogo strategico per puntare alla riconquista dell’arcipelago. Il 2 maggio gli inglesi attaccano l’incrociatore argentino General Belgrano, nonostante si trovi lontano dalle acque delle Falkland. L’affondamento causa la morte di oltre 300 marinai, e segna a livello psicologico un punto di svolta nel conflitto.
Gli argentini capiscono che quello delle Falkland non sarà un facile trionfo come la propaganda ha fatto loro intendere. Ma nonostante le difficoltà logistiche, l’esercito argentino prova a rispondere agli attacchi anglosassoni: il 4 maggio viene affondato il cacciatorpediniere britannico HMS Sheffield. Dai primi di giugno le truppe di sua Maestà puntano sulla capitale Port Stanley.
Le sorti del conflitto sono segnate. Sbarchi di squadre speciali e paracadutisti preparano l’offensiva finale. Il 14 giugno 1982, dopo ore di feroce battaglia, gli argentini si arrendono. Le truppe inglesi issano l’Union Jack nella capitale delle isole, Port Stanley. Alla fine si conteranno 258 vittime britanniche e 649 argentine.
Le conseguenze politiche della guerra delle Falkland
In Argentina le conseguenza politiche della disfatta sono enormi. La dittatura militare risente della sconfitta al punto tale che il generale Galtieri dopo pochi mesi dà le dimissioni, avviando il processo che porterà l’Argentina alla democrazia poco tempo dopo. In seguito al conflitto Margaret Thatcher rafforza la sua posizione e la sua popolarità. Il successo favorirà la sua rielezione avviando il Regno Unito ad un’epoca di grande risalto internazionale ma di enormi conflitti interni, come lo scontro con i minatori che la vede vincitrice nel 1985.
Attualmente le isole Falkland sono ancora territorio di disputa, perlopiù simbolica, da parte dell’Argentina che continua a ritenerle suo territorio. I diversi tentativi di arbitrio internazionale non hanno portato ad alcun risultato. Nel 2013 il 99,8% della popolazione locale ha votato per mantenere l’arcipelago sotto sovranità britannica, anche se secondo la Presidente argentina Kirchner il risultato di tale referendum è da considerarsi una “parodia”.