CONTENUTO
Un secolo di crisi in Spagna
Per la Spagna il XIX secolo è un periodo di decadenza. Persi nei primi due decenni i suoi domini nelle Americhe, il paese iberico trascorre gli anni successivi dilaniato dalle guerre carliste, dai continui pronunciamentos militari e da un’effimera esperienza repubblicana durata undici mesi tra il 1873 e il 1874. Tra le conseguenze della crisi va annoverata la crescita del protagonismo del settore castrense, che nel corso dell’800 assume progressivamente una funzione politica data il progressivo venir meno della sua funzione difensiva verso le minacce esterne provocata dalla perdita dell’Impero.
Di fronte alle cocenti sconfitte contro le forze indipendentiste in America Latina e soprattutto contro gli Stati Uniti nella guerra del 1898 il corpo ufficiali diffuse il mito che simili rovesci erano da addebitare interamente ai governi civili, indegni di conseguenza di governare il paese. Un protagonismo e una convinzione che non saranno privi di conseguenze.
Nonostante la congiuntura positiva del regno di re Alfonso XII di Borbone (1857 – 1885), con il suo successore Alfonso XIII (1886 – 1941) la situazione volge al peggio: nonostante la concessione nel 1890 del suffragio universale maschile, la riforma invece che attirare i ceti subalterni verso un’accettazione delle istituzioni ha l’effetto opposto per l’assenza di trasparenza nel processo elettorale. Così in settori sempre più vasti della società spagnola si diffonde il rigetto di uno Stato visto come appannaggio esclusivo delle classi dominanti e l’adesione all’ideologia anarchica.
L’anarchismo attecchisce in terra iberica come in nessun altro paese europeo, mantenendo solide radici fino alla guerra civile. È in questo periodo che si organizzano le principali sigle della sinistra spagnola, dal Partido Socialista Obrero Español (PSOE) fino agli anarchici della Confederación Nacional del Trabajo (CNT). Risale invece al 1921 la fondazione del Partido Comunista de España (PCE).
Superato in modo relativamente indenne un tentativo rivoluzionario nel 1917, Alfonso XIII tre anni dopo deve far fronte alla grave sconfitta subita ad Annual dalle forze indipendentiste marocchine, spalancando la strada al pronunciamento del generale Miguel Primo de Rivera (1870 – 1930) nel 1923, destinato a governare per i sette anni successivi. Caratterizzato da una certa crescita economica e da una temporanea conciliazione politica, il regime di Primo viene appoggiato dalla corona e dalla Chiesa cattolica riuscendo al contempo a cooptare importanti esponenti socialisti.
Ciò nonostante il generale mette in atto una deliberata distruzione delle basi della monarchia parlamentare, annientando il centro politico spagnolo e lasciando invece intatte le forze radicali: un’eredità avvelenata pregna di avere gravi conseguenze. Il suo regime non regge inoltre agli effetti della Crisi del ’29, che travolgono la Spagna provocando un terremoto politico di cui proprio il generale è la prima vittima, e se il regime di Primo è giunto al termine neanche la monarchia gode di buona salute: la sua compromissione con il dittatore oltre che la sua opposizione al liberalismo impediscono ad Alfonso XIII di presentarsi come sovrano costituzionale, aspetto che ha un riflesso nelle elezioni amministrative del 1931, che vedono prevalere i repubblicani nei principali centri urbani. Preso atto della situazione il re rinuncia a resistere ad oltranza e si esilia a Roma, spalancando le porte alla nascita della Seconda Repubblica spagnola.
Una repubblica divisa (1931–1936)
Le prime elezioni della neonata Repubblica (1931) vedono l’affermazione della coalizione repubblicano-socialista composta dal PSOE e dal partito repubblicano di Manuel Azaña (1880 – 1940). Quest’ultimo viene messo alla guida del nuovo esecutivo, che avvia un vasto programma riformista inclusivo di una riforma in ambito agrario e scolastico, l’istituzione dell’autonomia catalana e un marcato anticlericalismo. Buona parte di quanto promesso viene attuato, concedendo alla Catalogna uno statuto di autonomia, mettendo mano a una parziale ridistribuzione dei terreni agricoli e riformando i rapporti tra Stato e Chiesa.
La Costituzione del 1931 riprende parte del programma della coalizione, in particolare il suo anticlericalismo così come espresso negli articoli che proibiscono il finanziamento pubblico alle congregazioni religiose, sciolgono la Compagnia di Gesù e laicizzano l’istruzione. In questo campo si verifica la prima frattura tra le istituzioni e una parte considerevole dell’opinione pubblica: pur configurandosi come semplice revisione dei rapporti fra Stato e Chiesa, anacronistici per molti aspetti, le misure del 1931 vanno oltre la necessità di stabilire una pacifica separazione sul modello statunitense, insistendo sulla necessità di limitare e controllare molti ambiti dell’espressione pubblica della Chiesa, educazione in primis.
Del resto il clima anticlericale è piuttosto acceso nel periodo, e raggiunge il suo (temporaneo) zenit con la quema de conventos del maggio 1931: in quest’occasione un centinaio di edifici religiosi vengono dati alle fiamme senza che le autorità intervengano per difenderli. Tutto questo non fa altro che approfondire il solco tra quei cattolici che sono disposti ad accettare le nuove istituzioni, provocando una spaccatura gravida di conseguenze negative. È infatti dall’opposizione all’anticlericalismo che sorge un’unione delle destre.
Il primo triennio repubblicano vive alcune contestazioni armate all’ordine costituito, rappresentate da due abortite insurrezioni anarchiche e dal colpo di Stato del generale José Sanjurjo (1872–1936). Privo del sostegno della destra spagnola, il pronunciamento di quest’ultimo viene facilmente represso e termina con la condanna all’ergastolo del graduato.
Nel 1933, poco prima delle elezioni, viene fondata la Confederación Española de Derechas Autónomas (CEDA) dall’avvocato José María Gil-Robles (1898–1980). Erroneamente definita un partito fascista dai suoi detrattori, la CEDA è in realtà una formazione eterogenea in cui coesistono “democristiani”, tradizionalisti e monarchici, risultando nel complesso un partito di ispirazione cattolica, corporativa e caratterizzato da un forte integrismo. Alla riorganizzazione della destra è parallelo il divorzio tra il PSOE e la sinistra repubblicana di Azaña, entrambe avvenute poco prima della tornata elettorale.
Questa vede prevalere di larga misura la coalizione tra la CEDA e il Partido Radical di Alejandro Lerroux (1868 – 1949), segno di come parte dell’elettorato rigetti alcuni aspetti del riformismo del triennio precedente, in particolare il suo anticlericalismo. Inizialmente il governo viene composto dai soli radicali con il sostegno esterno della CEDA, ma nel 1934 Gil-Robles pretende e ottiene tre ministeri minori (agricoltura, lavoro e giustizia) per esponenti del suo partito. Il loro ingresso nell’esecutivo accelera i preparativi di un tentativo rivoluzionario che il PSOE sta organizzando dall’ottobre del 1933, mascherato da insurrezione democratica per difendere la democrazia dal fascismo.
Iniziato il 4 ottobre, lo sciopero generale rivoluzionario fallisce in quasi tutta la Spagna. A Barcellona il tentativo indipendentista del presidente della generalitat catalana Lluís Companys (1882–1940) viene frenato dall’esercito, mentre nelle altre regioni le agitazioni rientrano in tempi brevi. Unica eccezione è rappresentata dalle Asturie, dove l’insurrezione viene messa in atto dai minatori in accordo con tutte le forze della sinistra, anarchici inclusi.
Forte di 20.000 miliziani, la comune asturiana resiste fino al 19 ottobre quando l’esercito ha ragione degli ultimi insorti: è la fine della Rivoluzione spagnola del 1934. In totale, questo evento ha un costo umano di 1.300 persone fra i rivoluzionari (di cui almeno 1.100 nelle sole Asturie), mentre l’esercito e la polizia perdono circa 450 effettivi. Almeno quaranta civili vengono fucilati dai rivoluzionari asturiani, e i militari giustiziano sommariamente altrettante persone. Particolarmente dura è la repressione nelle Asturie, dove si verificano casi di atrocità a danno dei prigionieri.
In questo periodo crescono le organizzazioni politiche di estrema destra, sia di nuova fondazione che preesistenti. Si afferma in particolare il gruppo di Renovación Española (RE) di José Calvo Sotelo (1893–1936), già ministro di Primo, e i carlisti riuniti nella Comunión Tradicionalista (CT). Questi vantano il miglior braccio armato della destra iberica, il requeté. Nel 1933 viene fondata la Falange spagnola da José Antonio Primo de Rivera (1903 – 1936), figlio di Primo, unico partito che può effettivamente fregiarsi dell’appellativo di fascista. Pur non ottenendo mai grandi successi alle urne, finisce per diventare la formazione più importante dell’ultradestra.
Complessivamente va rilevato come l’affezione alla democrazia nella Seconda Repubblica sia quasi del tutto assente tra i principali partiti. Ad eccezione del centro, elettoralmente sempre meno consistente, abbiamo da un lato una sinistra repubblicana di Azaña che avrebbe volentieri governato come il PRI in Messico e dall’altro una CEDA in cui è presente la tentazione autoritaria. E se si possono avanzare dei fondati dubbi sulla democraticità della CEDA e della formazione di Azaña, non ve ne sono affatto riguardo alla sua assenza nella Falange, nella CT e in RE così come nel PCE e nel PSOE.
Sconfitta la rivoluzione l’esecutivo mette in atto un meccanismo repressivo a danno dei suoi partecipanti, sospese l’autonomia catalana e annulla la precedente riforma agraria. Alle elezioni del 1936 i partiti di sinistra si coalizzano nel Fronte popolare, mentre la CEDA non riesce ad accordarsi con Calvo presentandosi divisa favorendo quindi la vittoria della formazione avversaria, che si afferma di stretta misura. A capo del governo torna Manuel Azaña, con un programma più radicale rispetto a quello del 1931.
Nel periodo successivo alle elezioni la tensione aumenta esponenzialmente. Alla violenza politica e al crescente anticlericalismo si somma un peggioramento della congiuntura economica, il tutto nel contesto di un generale deterioramento dell’ordine pubblico provocato anche dalle speranze innescate dal Fronte popolare. Un ostacolo ai piani dell’esecutivo è rappresentato dal presidente della Repubblica, il centrista Niceto Alcalá-Zamora (1877 – 1949), data la sua facoltà di sciogliere le Cortes. Una mozione dei socialisti ne ottiene però la destituzione, facendo sì che il suo incarico sia assunto dallo stesso Azaña.
Questi riesce quasi del tutto nel suo intento di ripristinare il pieno dominio politico delle sinistre, e di fare in modo che queste controllino la maggioranza delle istituzioni. Solo una sfugge al suo controllo: l’esercito. E le conseguenze non tardano a farsi sentire. Infatti Azaña, nel rimuovere dai luoghi chiave i generali ritenuti poco favorevoli al governo, in alcuni casi mostra poca accortezza: invia Francisco Franco (1892 – 1975) alle Canarie, isole da cui è facile raggiungere quel Marocco spagnolo dove risiedono le truppe migliori, che Franco ha già comandato ai tempi delle guerre marocchine.
Dal Marocco viene rimosso il generale Emilio Mola (1887 – 1937) per essere trasferito a Pamplona. Qui però trova terreno fertile per attività cospiratorie: Pamplona è la capitale di quella Navarra cattolica e conservatrice, dove è concentrato il grosso del carlismo. Nella primavera del 1936 alcuni generali quali Mola, Franco e Manuel Goded (1882 – 1936) iniziano a valutare l’idea un colpo di Stato, designando inizialmente Sanjurjo come leader dei golpisti. Franco in questa fase mantiene un profilo defilato, essendo poco convinto dell’opportunità di un golpe.
A metà luglio il solco tracciato è ormai invalicabile. Gil-Robles e Calvo vengono informati dei preparativi di un golpe e gli promettono il loro appoggio. Gli eventi precipitano il secondo finesettimana del mese: per vendicare l’omicidio di un militante del PSOE un gruppo composto da militanti di estrema sinistra e della Guardia de Asalto (la polizia militare della Repubblica) preleva Calvo dalla sua abitazione e lo assassinano. Questo evento è il detonatore che trasforma una cospirazione militare incerta in una ribellione che avrebbe conteso agli avversari ogni metro di terra, facendo sì che altri graduati si uniscano ai golpisti tra cui lo stesso Franco, che fino ad allora tentennava. La partecipazione di Franco si rivela cruciale per le sorti della guerra civile: era infatti a capo dell’esercito d’Africa, composto dalle truppe migliori. L’insurrezione viene preparata dal generale Mola, e altri importanti congiurati sono i generali Gonzalo Queipo del Llano (1875 – 1951) e Joaquín Fanjul (1880 – 1936).
Il piano di Mola prevede un’azione congiunta nei centri nevralgici del paese in modo da stroncare velocemente ogni resistenza nel giro di pochi giorni. Si tratta tuttavia di una velleità, dato che solo 8 generali di divisione su 23 partecipano alla cospirazione, emblematico segno della divisione presente nell’esercito. Intanto, la notte tra il 16 e il 17 luglio, in una strada del Marocco spagnolo i regulares ricevono l’ordine illegale di marciare verso Melilla. Azaña fa un tentativo in extremis per far desistere i golpisti, effettuando un rimpasto di governo con elementi più moderati, ma Mola risulta irremovibile. La guerra civile è iniziata.
Nata tra grandi entusiasmi e aspettative, la Seconda Repubblica finisce nella tragedia dopo appena cinque anni. Minata al suo interno da contrasti sociali, estremismi politici di destra e di sinistra, tensioni centrifughe di intere provincie, e dalla presenza di un movimento rivoluzionario forte come pochi altri nell’Europa degli anni Trenta, crolla nell’estate del 1936. L’affezione alla democrazia si è rivelata patrimonio di pochi, troppo pochi per garantire una pacifica convivenza. E le contraddizioni interne, invece che diminuire, si esacerbano fino ad esplodere.
La guerra civile spagnola (1936–1939)
La divisione dell’esercito rappresenta il preludio della divisione della Spagna. Un golpe progettato per riuscire in tempi rapidi viene invece represso in più di metà del paese, dando inizio ad una guerra civile conclusa solo nella primavera del 1939 con l’entrata di Franco a Madrid. Riuscito nel Marocco spagnolo e in parte della Spagna settentrionale, il colpo di Stato fallisce nel resto del paese: nelle grandi città con forte presenza dei partiti di sinistra i golpisti vengono sconfitti, mentre trovano terreno fertile nelle province rurali e conservatrici o in quelle presidiate dai migliori reparti ribelli. I militari sollevati mancano inoltre i loro obiettivi in Catalogna e nel Paese Basco, dove le forze autonomiste locali rimangono leali alla Repubblica.
Si delineano in questo periodo i due fronti contrapposti nel conflitto civile, da un lato i c.d. nazionalisti capitanati dai generali Mola, Franco, Queipo del Llano e Sanjurjo. Leader ufficiale doveva essere quest’ultimo, ma la sua morte avvenuta in un incidente aereo al suo rientro in Spagna gli impedirà di assumerne il ruolo. Col tempo crescerà tra i nazionalisti il prestigio di Francisco Franco, che dopo la morte di Mola nel 1937 assumerà i vertici del suo bando.
A contrapporsi al colpo di Stato abbiamo il governo della Seconda Repubblica e i quadri dell’esercito rimasti fedeli ad essa. Questi comporranno la fazione dei repubblicani, sostenuta dai partiti della sinistra spagnola nonché dagli autonomisti baschi e catalani. La Chiesa cattolica, dopo un periodo di neutralità, si vedrà costretta a schierarsi coi nazionalisti nel 1937 in seguito alle violenze subite per mano repubblicana.
La situazione nell’estate del 1936 non è delle più rosee per i golpisti: le truppe migliori (i regulares marocchini e la Legione spagnola) sono bloccati in Marocco, mentre in più di metà del paese il golpe è fallito e i suoi autori uccisi o incarcerati. L’impasse viene risolto grazie ad un ponte aereo che permette il trasferimento delle truppe dall’Africa al Continente, consentendo a Franco di conquistare l’Extremadura nel mese di agosto e ridando fiato alle aspirazioni dei nazionalisti. Una simile vittoria ottenuta in così poco tempo contribuirà a rendere Franco il leader dei sollevati. Nel frattempo nel nord del paese la campagna di Guipúzcoa condotta da Mola porta all’occupazione di parte del Paese Basco.
Agli inizi di novembre i nazionalisti mettono in atto un’offensiva volta all’occupazione di Madrid, che avrebbe con ogni probabilità comportato la loro vittoria in guerra. Tuttavia l’inferiorità numerica e gli ostacoli geografici, sommati all’efficace controffensiva repubblicana, impediscono la realizzazione dei piani di Franco le cui truppe non riescono a piegare la tenace resistenza nemica. Il tentativo di prendere Madrid è fallito, e la capitale pur permanendo in stato d’assedio sarebbe rimasta sotto il controllo della Repubblica fino alla fine del conflitto.
La violenza nelle retrovie di entrambi i fronti rappresenta uno degli aspetti più cupi e controversi della Guerra civile spagnola. Entrambi i bandi mettono in atto un meccanismo repressivo avente come oggetto gli esponenti della parte avversa e i loro simpatizzanti veri o presunti, seminando una scia di morte che ancora oggi è causa di divisione nell’opinione pubblica del paese.
Le fasi della guerra civile spagnola
Per quanto riguarda le retrovie repubblicane, la decisione di armare i civili è gravida di conseguenze: poco influente sotto il profilo bellico, ha però fatto sì che ogni partito e movimento della sinistra avesse la sua milizia, dando vita a un contesto caratterizzato da una forte decentralizzazione e scarso controllo da parte delle istituzioni. È in questo frangente che abbiamo il c.d. terror rojo (terrore rosso), ovvero esecuzioni di massa che hanno riguardato militari sollevati, esponenti della destra e del clero cattolico, per un totale di circa 50.000 vittime tra il 1936 e il 1939.
Particolarmente colpita è quest’ultima categoria, con una virulenza che non si vedeva dai tempi della Rivoluzione francese: si contano infatti più di 5.000 omicidi tra i prelati, di cui 13 vescovi. Luogo simbolo del terrore rosso sono le checas, località dove vengono torturati e assassinati oppositori veri o presunti dell’ordine costituito. Le checas sono gestite da esponenti dei vari partiti del Fronte popolare.
Laddove le truppe nazionaliste si impongono danno inizio ad una serie di esecuzioni a danno degli aderenti al governo della Repubblica e dei loro fiancheggiatori: è il terror blanco (terrore bianco), che provoca circa 70.000 vittime per tutta la durata della guerra. Nei primi mesi di guerra le stragi sono talvolta condotte con una carica di sadismo estrema, e particolarmente feroci a riguardo sono i regulares.
Più centralizzata rispetto a quella della controparte, la repressione franchista miete un maggior numero di vittime grazie alla sua vittoria nel conflitto, potendo esercitarsi in tutta la Spagna a differenza di quella repubblicana. Sia nel caso del terrore rosso che di quello bianco dopo i primi mesi di epurazione selvaggia si ha una “razionalizzazione” e “moderazione” nella repressione, con l’istituzione dei tribunali popolari nel primo caso e dei tribunali castrensi nel secondo, fermo restando che le vittime di entrambe le parti continuano a essere mietute fino alla fine del conflitto.
La Guerra civile spagnola ha suscitato un vasto coinvolgimento internazionale, vedendo diversi paesi schierarsi con una delle parti in lotta. Nonostante la creazione del Comitato di non intervento da parte di Francia, Inghilterra, Italia e Germania nel 1936, le potenze fasciste iniziano fin da subito a offrire il loro sostegno ai militari insorti. Benito Mussolini invia nel paese decine di migliaia di uomini riuniti nel Corpo Truppe Volontarie (CTV), composto da soldati del Regio Esercito e da camicie nere, ottenendo sul campo risultati mediocri. Più incisiva è la Legione Condor mandata in Spagna da Adolf Hitler, unità di aeronautica militare al servizio della causa di Franco. Tristemente nota per il bombardamento di Guernica del 1937, la Condor sperimenta sul suolo spagnolo tattiche e armi utilizzate in seguito nella Seconda guerra mondiale.
Prendono invece le parti della Repubblica la Francia, il Messico e l’Unione Sovietica, con solo quest’ultima che invia sostegno militare diretto. Fin dal primo periodo di guerra infatti Mosca fornisce consiglieri militari e ingente materiale bellico, mentre Parigi e Città del Messico si limitano ad appoggiare diplomaticamente i repubblicani senza però contribuire con aiuti militari.
A cercare di colmare questa distanza ci pensa il volontarismo: accorrono infatti a combattere a fianco della Repubblica numerosi volontari provenienti da diversi paesi, riuniti dall’ottobre del 1936 nelle Brigate Internazionali. Arrivando a contare oltre 50.000 uomini e aventi base ad Albacete, queste vengono integrate da miliziani di diverso orientamento politico: dai comunisti e socialisti arrivando ai socialdemocratici passando per gli anarchici, pur con una relativa prevalenza dei primi. Combattenti celebri delle Brigate Internazionali sono gli scrittori George Orwell, Ernest Hemingway e il futuro cancelliere tedesco Willy Brandt.
Fallito il tentativo di prendere Madrid, Franco rivolge le sue mire sul nord. Iniziata a marzo con l’invasione del Paese Basco, la Campaña del norte sarebbe proseguita fino ad ottobre con la conquista delle Asturie preceduta da quella di Santander. La sconfitta repubblicana non si spiega solo con la superiorità tecnica del nemico, ma innanzitutto con la divisione interna: esistono di fatto tre governi diversi dovuti alle differenze politiche (i nazionalisti baschi, uno a Santander e uno nelle Asturie) con tre eserciti distinti, con evidenti problemi di coordinamento e facilitando il compito a Franco.
È nel corso di queste operazioni che è avvenuto il noto bombardamento della città basca di Guernica, colpita dalla Legione Condor in quanto sede di importanti industrie, che ha ispirato il celebre dipinto di Pablo Picasso (1881–1973). Conquistato il nord i nazionalisti controllavano ora un territorio ricco di carbone e industrie di armamenti, potendo concentrare tutti i loro sforzi sul fronte sud.
Alla fine del 1937 la situazione è quindi critica per la Repubblica. La caduta del nord in mano franchista rende sempre più difficoltoso l’arrivo degli aiuti sovietici, mentre i nazionalisti organizzano una nuova offensiva su Madrid. Per scongiurare la pressione sulla capitale i vertici militari repubblicani decidono di colpire le linee nemiche nella città di Teruel, nelle montagne aragonesi: oltre a rappresentare un importante snodo avrebbe costretto Franco a distogliere l’attenzione da Madrid per impedire lo sfondamento.
La vittoria dei nazionalisti di Francisco Franco
Iniziato a dicembre, nel gennaio del 1938 l’attacco repubblicano riesce a penetrare nel centro urbano ottenendo la resa della guarnigione nemica, complice l’impossibilità di ricevere rinforzi dato il rigido clima invernale. Quella che poteva essere la più importante vittoria repubblicana viene però sprecata per l’incapacità di sfruttare i vantaggi conseguiti sul campo, cedendo l’iniziativa ai nazionalisti che a fine febbraio hanno già riconquistato Teruel dopo un’efficace controffensiva.
La riconquista di Teruel da parte franchista viene seguita dal collasso della linea del fronte nell’area, portando le truppe di Franco ad arrivare fino al mare isolando la Catalogna dalla Castiglia repubblicana. Con la rottura della contiguità territoriale della Repubblica la vittoria di Franco è solo una questione di tempo. L’Esercito popolare tenta un assalto alle linee franchiste sul fiume Ebro nel 1938, che dopo un successo iniziale risulta in una grave sconfitta.
La battaglia dell’Ebro oltre a essere la più lunga e sanguinosa della guerra civile ha aperto le porte alla caduta della Catalogna, che sarebbe avvenuta nel febbraio del 1939 con l’entrata a Barcellona dei nazionalisti. A marzo restano quindi in mano repubblicana solo la Castiglia meridionale, Valencia e Murcia. Nonostante la situazione fosse disperata sotto il profilo militare e sociale, il governo di Juan Negrín è intenzionato a resistere a oltranza nella speranza che lo scoppio di un conflitto europeo risollevi le sorti della Repubblica. La linea oltranzista dell’esecutivo viene però rigettata da parte delle stesse forze armate repubblicane, che a marzo organizzano con successo un colpo di Stato che detronizza Negrín.
Messo in atto dal colonnello Segismundo Casado, il golpe avrebbe dovuto ottenere condizioni più miti che però Franco nega di concedere. Vista l’impossibilità di ottenere altro se non una resa senza condizioni, Casado e l’esecutivo golpista si rifugiano all’estero mentre i franchisti lanciano la loro offensiva finale che porta al crollo della Repubblica tra la fine di marzo e l’inizio di aprile. Una volta entrato a Madrid l’uno del mese, il generale Franco dirama un proclama via radio che annuncia la fine delle ostilità.
La vittoria franchista rappresenta l’inizio dell’esodo di numerosi esponenti repubblicani, che decidono di riparare all’estero per evitare le rappresaglie dei vincitori. Circa mezzo milione di spagnoli (tra cui diversi membri del governo come lo stesso Azaña) lascia quindi la madrepatria alla volta della Francia, paese che li ospita in campi profughi a ridosso dei Pirenei. Non pochi si rifugiano invece in Messico, paese tradizionalmente amico della Repubblica. L’invasione tedesca della Francia (1940) segna il peggioramento delle condizioni di vita dei rifugiati, in parte costretti al lavoro forzato per l’industria bellica del Reich e in parte deportati nei campi di concentramento. 7000 di loro finiscono infatti a Mauthausen, di cui solo metà farà ritorno.
Diverse le ragioni della sconfitta repubblicana. Sicuramente influisce molto la compattezza del fronte avversario, soprattutto se paragonata alle divisioni esistenti nella Repubblica: alla guida ferrea di Franco, capace di appianare le divergenze comunque esistenti tra i suoi sostenitori politici e militari, non esiste un corrispettivo in campo avverso. Più efficace inoltre il sostegno internazionale ricevuto dai franchisti, i quali giovano dell’appoggio materiale italiano e soprattutto tedesco, mentre la Repubblica si trova isolata militarmente pur con la rilevante eccezione degli aiuti sovietici e delle Brigate Internazionali.
Le difficoltà dell’apparato militare repubblicano sono emblematicamente rappresentate nella sua incapacità di prendere l’iniziativa, che se escludiamo l’episodio di Teruel è sempre saldamente in mano franchista: pur ottenendo importanti vittorie difensive l’Esercito popolare non è quasi mai in grado di passare alla controffensiva strappando al nemico territori conquistati. Con la rottura della continuità territoriale nel 1938 l’unica speranza per la moribonda Repubblica risiede nel coinvolgere la guerra civile nel più vasto conflitto europeo di cui si presagisce l’inizio imminente, un proposito mancato di appena sei mesi.
L’ultimo sussulto dei repubblicani lo si ha nel 1944 con la fallita invasione della Val d’Aran, area pirenaica al confine con la Francia, messa in atto da miliziani rifugiatisi oltralpe dopo il 1939 con l’intento di provocare una sollevazione che rovesciasse il regime di Franco. La pronta reazione dell’esercito stronca il tentativo in pochi giorni.
Tuttavia forme di resistenza armata al franchismo sarebbero andate avanti fino agli anni ’60: si tratta del maquis, movimento guerrigliero antifranchista attivo nelle aree più impervie della Spagna dal 1939 fino alla sua progressiva disarticolazione, ultimata nel 1965 con la morte degli ultimi guerriglieri. Il contesto della Guerra Fredda ha del resto posto fine alla speranza che gli Alleati invadessero il paese o si attivassero in maniera incisiva per un cambio di governo, assottigliando sempre di più la possibilità che forme di resistenza armata potessero prevalere.
Il regime di Francisco Franco (1939–1975)
La caduta di Madrid segna la fine della Seconda Repubblica e l’avvento della Spagna franchista, destinata a sopravvivere alle intemperie della Seconda guerra mondiale grazie alla sua politica di neutralità (fatti salvi alcuni tentennamenti a riguardo) fino alla morte del caudillo, avvenuta nel 1975. Si tratta di uno dei regimi più longevi dell’Europa occidentale, che vive fasi distinte che possono distinguersi in un Primer franquismo (1939 – 1959) e un Segundo franquismo (1959 – 1975), il primo caratterizzato dal progressivo abbandono delle suggestioni fasciste e da un marcato nacionalcatolicismo, e il secondo dalle venature “tecnocratiche” e relativamente immobiliste allo stesso tempo.
La repressione dei repubblicani è un tratto saliente del primo periodo del regime di Franco. Iniziata dall’indomani dell’entrata a Madrid dei nazionalisti, questa si basa sulla Ley de Responsabilidades Políticas (1939), che considera retroattivamente come atti di sedizione l’adesione a partiti e sindacati della sinistra a partire dal 1934, rovesciando su chi sostenne la Repubblica l’accusa di ribellione. All’epurazione della pubblica amministrazione si affiancano le numerose condanne a morte decretate dalle Auditorías de Guerra, tribunali che concedono ben poche garanzie agli imputati.
Tra questi vi sono effettivamente delle persone coinvolte nel terrore rosso, ma la maggior parte di loro è colpevole unicamente di aver occupato dei posti di un certo rilievo nella fazione sconfitta. Le vittime della repressione post-bellica sono circa 28.000, mietute in un arco di tempo che va dal 1939 fino al 1948, anno in cui lo stato di guerra proclamato nel 1936 viene fatto decadere. La maggior parte delle esecuzioni avviene tra il 1939 e il 1941. Tra le vittime celebri si annovera anche Lluís Companys, nonostante si fosse attivato per limitare il terrore rosso in Catalogna.
Lo scoppio della Seconda guerra mondiale sorprende la Spagna nella fase più difficile della sua storia. Le devastazioni materiali e i lutti del recente conflitto civile, sommati all’impreparazione dell’esercito, sconsigliano un’entrata in guerra a fianco di Berlino. Ciò nonostante le fulminanti vittorie tedesche nei primi due anni portano Franco a proclamare la propria non belligeranza nel 1940, segnale colto da molti come un preludio della sua entrata in guerra. Non fu così: nonostante gli incontri con Hitler e Mussolini rispettivamente a Hendaye (1940) e Bordighera (1941) le richieste del dittatore spagnolo per la sua partecipazione al conflitto sono talmente esorbitanti da non poter essere soddisfatte.
Pur inviando dei volontari (la Legión Azul) a combattere contro l’Unione Sovietica Madrid non interverrà direttamente nelle vicende belliche. I rovesci patiti dall’Asse nel 1943, in particolare a Stalingrado, spingono Franco ad archiviare l’ipotesi della guerra in favore della stretta neutralità. Abbandonata la non belligeranza e ritirati i volontari dalla Russia (1944), il franchismo inizia inoltre a smarcarsi dai regimi fascisti abbandonandone la simbologia e i richiami per assumere quel volto conservatore, clericale e reazionario che lo caratterizzerà di lì in poi.
Superata la fase della tentazione bellica, la Spagna di Franco riesce a mettere fine all’isolamento del Dopoguerra ottenendo l’ingresso nell’ONU (1955) e sopravvivendo tra alti e bassi come regime cattolico e conservatore fino alla metà degli anni ‘70. Il periodo successivo alla dipartita del dittatore una serie di accordi tra i principali partiti politici e la guida di re Juan Carlos di Borbone garantiscono al paese una transizione pacifica alla democrazia, diventata effettiva con le elezioni del 1977 (le prime dopo quelle del 1936) e l’emanazione di una Costituzione democratica (1978) ancora attualmente in vigore. Dopo quattro anni di guerra civile e oltre trenta di regime autoritario, la Spagna è riuscita a pasar página.
Consigli di lettura: clicca sul libro e acquista la tua copia!
- Hugh Thomas, Storia della Guerra civile spagnola, Einaudi, Torino 1961.
- Payne, The Spanish Civil War, Cambridge University Press, Cambridge 2012.
- Bartolomè Bennassar, La guerra di Spagna. Una tragedia nazionale, Einaudi, Torino 2006.