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Il Grande Scisma d’Oriente del 1054: cause e conseguenze

Lo Scisma fra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente avviene nel 1054, anno definito dagli storici come punto di arrivo del contrasto secolare tra Roma e Bisanzio. Un contrasto i cui protagonisti sono papa Leone IX, esponente del monachesimo di Cluny, e Michele Cerulario, patriarca della capitale bizantina dal 1043, dove però la figura chiave della rottura tra le due chiese è quella del patriarca di Bisanzio, Fozio.

di Gaia Di Stefano
1 Aprile 2023
TEMPO DI LETTURA: 5 MIN

CONTENUTO

  • Grande Scisma d’Oriente: patriarca Fozio e la questione filioque
  • Dal simbolo niceno all’evangelizzazione nei Balcani
  • Dall’evangelizzazione nei Balcani al Grande Scisma del 1054

Grande Scisma d’Oriente: patriarca Fozio e la questione filioque

A metà del IX secolo – quindi due secoli prima del grande scisma – Fozio si scontra con Roma e il Papato. Quando Michele III, ultimo esponente della dinastia amoriana, diventa imperatore dell’Impero bizantino decide di nominare Fozio come nuovo patriarca della capitale la notte di Natale dell’857, avendo avuto forti contrasti con il suo predecessore. A Fozio, un laico che in breve tempo (sei giorni) viene ordinato sacerdote e successivamente patriarca, dobbiamo la “Biblioteca”, un’opera costituita da una lunga serie di capitoli contenenti notizie ed estratti di 279 codici che riguardano opere religiose e profane, dall’epoca classica a quella bizantina.

L’ascesa di Fozio provoca una forte opposizione da parte dei sostenitori del patriarca precedente, Ignazio. Michele III diventa imperatore poco dopo la restaurazione del culto delle immagini, una lotta dalla quale si creano due fazioni: i rigoristi, che condannano gli iconoclasti, e i moderati, che invece si dimostrano più accondiscendenti con i penitenti allontanando chiunque abbia commesso crimini o persecuzioni.

In questa lotta tra i rigoristi di Ignazio e i moderati di Fozio si inserisce la Chiesa, alla quale l’Imperatore di Bisanzio chiede il riconoscimento della nomina del patriarca da lui prescelto. Papa Niccolò I decide tuttavia di sostenere la fazione opposta a quella bizantina, quella dei rigoristi, ed entra così in contrasto non solo con Michele III, ma soprattutto con Fozio.

A seguito della scelta del Papa a Bisanzio si tiene un sinodo che porta alla nomina di Fozio come patriarca ufficiale, il quale a sua volta scomunica il Papa, accusandolo di aver alterato il Simbolo niceno costantinopolitano. Il “Credo” risale al concilio di Nicea e il patriarca accusa la chiesa di Roma di aver aggiunto l’espressione “filioque” – che procede dal padre al figlio – che nella versione originale non c’è.

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L’aggiunta, che sembra esser presa dal vangelo di Giovanni, è stata adottata dalla chiesa di Spagna, legata a quella di Roma, in funzione antiariana, in quanto l’arianesimo era molto diffuso nel territorio. Successivamente si diffonde anche nella chiesa di Francia e Roma, che non l’ha mai adottata finora ufficialmente e allo stesso tempo non ha mai preso posizioni contro chi l’ha introdotta.

L’attacco che Fozio rivolge a Niccolò I sul piano dottrinale ha un motivo pretestuoso: per giustificare un’offensiva sul piano personale nei confronti del Papa, il patriarca di Bisanzio è costretto a contrapporsi dal punto di vista teologico. Si sarebbe arrivati ad uno scisma già a metà del IX secolo ma Michele III è deposto e Fozio viene cacciato dal nuovo imperatore Basilio I, il quale cambia politica religiosa perché vuole mantenere buoni rapporti con la chiesa latina essendo salito al trono senza esserne il legittimo erede.

Dal simbolo niceno all’evangelizzazione nei Balcani

Approfondendo la vicenda, l’attacco personale di Fozio nei confronti del Papa non riguarda soltanto il mancato appoggio da parte di quest’ultimo nei confronti del patriarca di Bisanzio. Evidentemente la questione va oltre il Simbolo niceno o la questione delle immagini, è più geopolitica e molto più vasta: in questo periodo inizia l’evangelizzazione nei Balcani.

Riuscire a portare sotto la propria influenza e dominio le popolazioni slavo-bulgare, significa per Bisanzio riuscire ad espandersi ulteriormente, andare oltre confine. Così, il governo della capitale non si lascia sfuggire questa opportunità e, su suggerimento proprio del patriarca Fozio, viene inviata in Moravia una delegazione guidata da Cirillo e da Metodio, due fratelli appartenenti all’alta aristocrazia bizantina. Questa spedizione però risulta in un fallimento e dopo la morte di Metodio, stabilitosi in Moravia a capo dell’organizzazione ecclesiastica che crea insieme al fratello, il paese finisce per orientarsi in senso cattolico sotto l’influenza di Roma.

Per l’Impero non rimane altro che convincere, o costringere, il khanato bulgaro ad accettare la pressione politico militare di Bisanzio, dopo un’iniziale propensione alla chiesa latina: nel 865 il khan Boris riceve il battesimo da un vescovo greco e con lui tutta la sua famiglia e il clan aristocratico a lui legato. L’evangelizzazione di queste popolazioni slavo-bulgare appare così come una strumentalizzazione politica ideologica più che religiosa: il divario tra Roma e Bisanzio continua ad allargarsi sempre di più.

Rappresentazione di Cirillo e Metodio

Dall’evangelizzazione nei Balcani al Grande Scisma del 1054

All’inizio del 1053 Leone di Ohrid, un prelato della chiesa di Bulgaria sottoposta a quella di Bisanzio, invia una missiva ad un suo collega di origine pugliese, Giovanni di Trani, legato quindi a Roma, in cui il primo rimprovera alla chiesa latina alcune pratiche che ritiene non corrette: l’utilizzo del pane azzimo (il rito ortodosso prevedeva l’uso del pane lievitato) e la pratica del digiuno in Quaresima (la chiesa d’Oriente prevedeva soltanto il venerdì mentre quella latina anche il sabato).

La discussione riguardo queste norme liturgiche giunge al Papa attraverso la traduzione delle lettere, che la Curia di Roma utilizza per far credere che la polemica sia stata ispirata proprio dal patriarca bizantino, Michele Cerulario.

Sebbene in questo caso lo scambio di missive avvenga tra due sacerdoti apparentemente slegati dalla chiesa bizantina, il fatto che il patriarca Michele sia promotore di Bisanzio come depositaria delle vere e autentiche tradizioni ecclesiastiche, della vita e della fede religiosa, e che soprattutto sia l’artefice di una campagna proprio contro il Simbolo niceno costantinopolitano, non aiuta nei rapporti tra Roma e la capitale dell’Impero, ormai sempre più divise.

Il consiglio da parte di Leone di Ohrid al vescovo di Trani di adeguarsi a Bisanzio e ai suoi riti, ripudiando così i riti occidentali in favore di quelli greci, non piace in particolare al cardinale Umberto di Silvacandida. L’esponente del monachesimo riformato di Cluny nonché consigliere di Papa Leone IX, arriva a condannare la chiesa d’Oriente e il patriarca stesso. Per cercare di risolvere la situazione piuttosto critica, Leone IX decide di mandare una delegazione a Bisanzio di tre prelati, guidati proprio da Umberto di Silvacandida: il Papa vuole indagare e essere certo di una notizia arrivata a Roma secondo cui Michele Cerulario avrebbe chiuso delle chiese latine poiché irrispettose del rito greco.

L’esito dell’incontro è un fallimento e la situazione degenera perché, dopo una serie di scontri tra la delegazione romana e il Patriarca, il 16 luglio del 1054 i legati romani e il cardinale Silvacandida depositano una bolla di scomunica presso la chiesa di Santa Sofia per il patriarca Michele Cerulario e i suoi sostenitori. In questa bolla si riportano una serie di accuse al patriarca, tra cui anche la questione già sollevata da Fozio alla metà del IX secolo – quella del filioque – ma ribaltandola: mentre Fozio diceva che la Chiesa di Roma ha aggiunto l’espressione, i legati papali questa volta accusano la Chiesa orientale di aver tolto quella parte nella formula.

Scomunicato il Patriarca, la delegazione romana lascia Bisanzio per non farvi più ritorno. La reazione che ne segue da parte di Michele Cerulario è, a sua volta, la scomunica dei tre delegati papali e l’anatema sul loro provvedimento.

In tutta questa situazione però, un particolare spinge a chiedersi se la decisione da parte della Chiesa di Roma verso il patriarca di Bisanzio abbia un vero significato. Papa Leone IX nel momento della bolla di scomunica è morto e la sede papale risulta vacante. Alla morte di un papa, le decisioni prese vengono sospese in quanto non vi è un’autorità effettiva. Quindi Umberto di Silvacandida arroga su di sé un diritto che non avrebbe potuto avere: la sua autorità, come legato pontificio, è già venuta meno, e per questo motivo non può scomunicare il patriarca Cerulario, il quale infatti non scomunica papa Leone IX, ormai morto, ma soltanto i legati romani.

Nessun concilio dichiarò mai lo scisma, ma la frattura non si è mai sanata: le fonti contemporanee bizantine non riusciranno a capire quanto sia importante per Bisanzio il rapporto con la Chiesa di Roma fino alla prima crociata, quando i bizantini verranno visti con sospetto dai crociati latini fino al punto di essere accusati di favorire i nemici islamici.

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  • G. Ravegnani, Introduzione alla storia bizantina, 2008, Il Mulino
Gaia Di Stefano

Gaia Di Stefano

Ha conseguito la laurea in Lettere presso l’Università degli studi “Gabriele D’Annunzio” di Chieti con una tesi in Storia contemporanea dal titolo “I crimini di guerra fascisti ai danni delle popolazioni balcaniche” con la votazione di 110 e lode. Attualmente studentessa del corso magistrale in Scienze storiche, Medioevo, Età moderna, Età contemporanea presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza.  Appassionata di storia moderna e contemporanea con particolare riferimento alle tematiche bioetiche, alla storia d’Italia e alla storia dell’Europa orientale.

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