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Gli anni ‘60 volgono al termine e in Italia si apre una stagione di attentati che lascia in eredità al Paese migliaia di feriti e quasi un centinaio di morti. Lo scontro tra forze politiche estremiste sfocia in episodi di violenza che lasciano i cittadini costantemente sconvolti e che generano quel clima di angoscia tipico di quella che è stata denominata strategia della tensione, quel periodo istituzionalmente collocato tra il ‘69 e il ‘74 nel quale risulta più chiaro che mai quanto i contorti rapporti tra forze politiche extra-parlamentari e organizzazioni di matrice massonica e mafiosa, abbiano rappresentato un pericolo reale di rovesciamento dello Stato. È questo il frangente nel quale si colloca il golpe Borghese, quel tentativo di colpo di Stato che rientra tra la serie di episodi oscuri di quegli anni sui quali non è mai stata fatta chiarezza.
Anni particolari per la Repubblica Italiana
Nel ‘69 si apre in Italia il quinquennio degli attentati. Le stragi che si collocano all’inizio di questo periodo, tutte attribuibili alla destra eversiva, hanno però una caratteristica da non trascurare: hanno come obiettivo quello di far risultare colpevoli i gruppi di estrema sinistra. L’intento che sta alla base di questa logica è chiaramente quello di scongiurare il “pericolo rosso” e di evitare in qualsiasi modo che l’instabilità politica concretizzatasi in Italia con l’instaurazione dei governi di centro sinistra si risolva in un’apertura al PCI, che sta avanzando sempre di più nei sondaggi.
I comunisti in Parlamento sono qualcosa che spaventa. Questo è tra l’altro quanto sostenuto dalle ricostruzioni che a posteriori dipingono il (progetto di) golpe che Borghese e i suoi hanno in mente come un appoggio al governo democristiano al quale avrebbero permesso di varare leggi speciali per fermare l’avanzata del pericolo rosso. Il piano dell’ex comandante della X mas ha però un altro aspetto: quello di un golpe volto al sovvertimento delle istituzioni democratiche.
A muovere le marionette di questo spettacolo sono elementi delle destra extra-parlamentare, Fronte Nazionale, Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale (AN), i cui rapporti con ufficiali, esponenti di organizzazioni massoniche e mafiose e rappresentanti politici, sono sempre più stretti dall’obiettivo comune della frenata del comunismo.
Chi era Junio Valerio Borghese?
Junio Valerio Borghese, ex comandante della X Mas, al tempo della Repubblica Sociale Italiana, dopo l’8 settembre 1943, decide di proseguire la guerra al fianco dell’ex alleato tedesco. Dopo il conflitto sfugge alla condanna per collaborazionismo grazie a un’amnistia e compare tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano (MSI), dal quale si allontana poi per divergenze con il segretario Michelini e si avvicina ai movimenti extra-parlamentari.
Il Comandante (così viene chiamato) è in questo momento a capo del neonato Fronte Nazionale, fondato a Roma nel settembre del ‘68, che raccoglie diversi ex militari repubblichini e che ben presto si radica in tutto il territorio italiano. Negli orientamenti programmatici si legge la volontà riformatrice dello Stato.
Ma quelli del Fronte Nazionale, che ha aperto un dialogo collaborativo con Ordine Nuovo e AN, non sono solo progetti velleitari e discorsi sull’Amor di Patria. Borghese inizia a fare il “giro delle 7 chiese” e trova diversi uomini facoltosi disposti a finanziare le attività che il Fronte ha in mente. Ma oltre ad armatori e imprenditori ci sono altri interessati dai programmi del “Principe nero”. Sono uomini dei servizi di sicurezza italiani (SID) e uomini appartenenti a organizzazioni mafiose. E così dopo un anno dalla fondazione del Fronte, Borghese si trova a chiacchierare con capi della ‘Ndrangheta al loro summit annuale e a contrattare con Cosa Nostra uno scambio di uomini per un colpo di stato e per amnistie da parte del nuovo Governo.
Non finisce qui. C’è un altro potenziale interlocutore che Borghese non trascura di coinvolgere, un altro degli importanti attori delle vicende più nebulose della storia della Repubblica, ovvero i servizi segreti e l’ambasciata statunitensi. Anche se, mentre alcuni racconti riportano il favore del Segretario di Stato Henry Kissinger all’azione, i documenti statunitensi palesano che non c’era interesse ad appoggiare il golpe.
Un golpe in preparazione
Una volta assicurati tutti i contatti “giusti”, il Fronte guidato dal Comandante, insieme a uomini delle altre organizzazioni della destra eversiva o a esse legate, inizia a prepararsi all’azione definitiva. Nell’estate del 1970 ci si dedica a lezioni e addestramenti per guerra rivoluzionaria.
Sono proprio documenti americani a chiarire quanto il pericolo di colpo di stato fosse in quell’estate oramai reale e, tra le altre cose, di come tanto il presidente Saragat quanto la Presidenza del Consiglio ne fossero al corrente.
Siamo nel dicembre 1970 e quello che sarà poi noto come golpe Borghese è pronto per essere attuato. Nei giorni precedenti il colpo di Stato, delegati del Fronte vanno e vengono dagli uffici di Orlandini, il secondo del Comandante. Tra il 7 e l’8 gli uomini dei gruppi clandestini di estrema destra, con il sostegno dell’Esercito italiano, di organizzazioni massoniche e mafiose, sono pronti a prendere il controllo del Ministero dell’Interno, di quello della Difesa e delle sedi dei canali di comunicazioni, in primis la RAI. Poi sarebbe arrivato, il giorno successivo, il momento dei rastrellamenti delle persone che è “opportuno allontanare coattivamente da Roma”, per il quale è previsto l’aiuto dei carabinieri. Il Principe nero ha pronto il suo proclama e il programma del nuovo regime per rivolgersi alla Nazione “a cose fatte”:
“Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo.
La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato e ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della nazione.
Le forze armate, le forze dell’ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d’altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che, per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi.
Italiani, lo stato che insieme creeremo sarà un’Italia senza aggettivi, né colori politici. Essa avrà una sola bandiera: il nostro glorioso tricolore!
Soldati di terra, di mare, dell’aria, forze dell’ordine, a voi affidiamo la difesa della patria e il ristabilimento dell’ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali, né verranno istituiti tribunali speciali; vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi.
Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d’amore: Italia, Italia. Viva l’Italia”.
Ci siamo. Gli uomini reclutati per il golpe stanno per dirigersi verso Viminale ecc, ma qualcosa li ferma. È un ordine dello stesso Borghese. Perché a un passo dall’obiettivo, la cui strada è stata preparata da tempo, il Comandante decide fermare la macchina? Le ragioni restano un mistero. Borghese, che prende la decisione dopo una breve telefonata con un interlocutore ignoto, dice semplicemente che è mancata la collaborazione di un gruppo ufficiale che dovrebbe aprire da dentro il ministero della Difesa e, poi, dichiara di aver attuato ordini “superiori”, che vengono attribuiti da alcuni a niente meno che Licio Gelli, il cui nome compare tra le novità emerse sul caso del golpe durante un’inchiesta degli anni ‘90 su Piazza della Loggia.
Golpe Borghese: un caso su cui restano ombre
Il golpe è fallito ma il Fronte è riuscito a mantenere segreto il suo piano per la notte di Tora Tora e tornano a incontrarsi. Il 17 gennaio Borghese viene estromesso dall’organizzazione. Da qui un tentativo di ripresa del progetto, stroncato però poco dopo da un giornale.
Gli italiani restano all’oscuro di quanto ha rischiato la Repubblica fino al 17 marzo del 1971, quando il quotidiano ‘Paese Sera’ riporta la notizia in prima pagina. A quanto pubblicato segue, lo stesso giorno, il discorso alla Camera di Francesco Restivo, il ministro degli Interni, che conferma pubblicamente e ufficialmente la veridicità dei fatti: nel dicembre del 1970 c’è stato un tentativo di colpo di Stato. Intanto partono dalla magistratura i vari ordini di cattura, che seguono l’inchiesta giudiziaria già avviata, per tentativo di insurrezione armata contro lo Stato.
Tra i nomi dei destinatari c’è quello di Juno Valerio Borghese, che si rifugia in Spagna. Altri componenti del Fronte, che viene completamente ristrutturato, aderiranno poi ad altri movimenti, in particolare all’organizzazione atlantista Rosa dei Venti.
Chiarezza sui fatti non è mai stata fatta. Anzi, la pericolosità del tentativo di golpe del “Principe Nero”, è stata minimizzata in tutti i gradi del processo, sino alla Cassazione. Certo è che l’obbiettivo dei golpisti, l’estromissione della sinistra dai governi, a furia di tentativi falliti come quello della notte di Tora Tora e più “riusciti”, come le stragi di Piazza della Loggia e dell’Italicus, è stato portato a casa. In un certo senso, come dichiarato dal membro di AN Gaetano Lunetta, “il golpe c’è stato ed è riuscito”.