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Giovinezza e formazione di Goffredo Mameli a Genova
Goffredo Mameli nasce a Genova, con ogni probabilità il 5 settembre del 1827, è primogenito dei coniugi Giorgio Mameli, ufficiale di Marina, e Adelaide Zoagli definita da un contemporaneo piena d’ingegno e coltissima. Assai cagionevole di salute sin dall’infanzia Goffredo viene iscritto alla scuola degli Scolopii, istituto liberale alternativo all’insegnamento dei gesuiti, comoda perché vicina alla sua abitazione e con una buona fama per quel che riguarda gli insegnamenti degli studi classici.
E’ proprio qui che seguendo i corsi di Retorica del docente A. Muraglia avvia il suo percorso di conoscenza dei classici latini e italiani e comincia contemporaneamente a mettere in mostra il suo talento letterario, componendo versi d’ispirazione romantica tra i quali è possibile annoverare: “Il giovine crociato”, “L’amore”, “Il sogno della vergine”, “La vergine e l’amante”. “Studio d’autori in iscuola, scuola d’amor patrio in casa; l’insegnamento fruttava, e 1’adolescente andava su su, facilmente varcando i limiti delle discipline scolastiche”[1].
Nel 1841 il ragazzo entra all’università per frequentare i due anni previsti dedicati allo studio della Filosofia per poi passare al corso di Legge. Nonostante episodi di irrequietezza poco chiari ed un periodo di espulsione dalle attività formative, Mameli nell’agosto del 1847 riesce a conseguire il baccellierato; la laurea, invece, non la conseguirà perché ormai le sue due grandi vocazioni sono diventate la poesia e la politica.
Le poesie del giovane Mameli
Nella vita di Goffredo in questo periodo non ci sono solo gli interessi letterari; intorno al 1844 egli si innamora perdutamente di una fanciulla, Geronima Ferretti, che però, di lì a poco, convola a nozze con un altro uomo. Per lei il ragazzo scrive versi colmi di passione: La vergine e l’amante, leggenda araba; Era notte e il cavaliero; Alla poesia; L’ultimo canto.
Il clima di euforia patriottica travolge a questo punto completamente Mameli che nel marzo del 1847 entra a far parte della Società Entelema, nata negli ambienti universitari e che da letteraria si trasforma ben presto in una realtà politica divenendo il punto di incontro di molti giovani animati da idee liberali e democratiche. In occasione di un incontro pubblico nel mese di maggio Mameli legge un carme in versi sciolti e un’ode di libertà A Roma.
Questi due componimenti non sono i primi che il poeta compone con il buon proposito di spronare gli italiani a costruire e fare grande la patria; dal settembre dell’anno precedente il ragazzo scrive uno dopo l’altro i versi L’Alba, il sonetto A Carlo Alberto, le cantiche La battaglia di Marengo e La buona novella, le odi supreme Dante e l’Italia e Ai fratelli Bandiera.
Inno di Mameli e Novaro
Mosso da un animo inquieto e turbolento Mameli non aspetta di diventare adulto per prendere parte attiva, spesso insieme all’animoso Nino Bixio, alle rivolte e alle manifestazioni patriottiche che scuotono la sua città. Mazziniano convinto e deciso, Mameli grazie al suo impegno incessante nella lotta per l’indipendenza italiana, si fa conoscere molto presto anche al di fuori di Genova.
E’ il mese di novembre di questo fatidico 1847 quando egli scrive i versi de “Il canto degli italiani”, che viene messo in musica dal maestro Michele Novaro a Torino e le cui coinvolgenti strofe divengono subito un simbolo di ribellione. Il canto viene intonato per le vie di Genova fra immenso entusiasmo, procurando all’autore grande popolarità:
“Piacque, pei versi; ed era cantato con entusiasmo. La polizia rincorreva come tante fiere tutti coloro che lo cantavano: ma già il popolo lo avea fatto suo; e in ogni moto, in ogni festa, ufficiale o non ufficiale, l’Inno faceva capolino. Fu proibito fino alla dichiarazione di guerra all’Austria; e da quel giorno, poi, tutte le bande militari lo suonarono. I soldati, quando partivano per la Lombardia , lo cantavano, alzando i caschetti sulla punta delle baionette.”[2]
A questo punto la rivoluzione patriottica per la libertà sembra aver trovato il suo poeta illustre.
Vuoi saperne di più sulla storia dell’Inno di Mameli? Leggi l’articolo di approfondimento! (L’Inno di Mameli: storia, spiegazione e testo completo de Il Canto degli italiani)
Goffredo Mameli il patriota del Risorgimento
Lo spirito antiaustriaco che anima i patrioti tocca probabilmente uno dei livelli più alti durante la grande rievocazione del 10 dicembre 1847 per i 101 anni della rivolta di Balilla e quindi della cacciata degli Austriaci da Genova; anche in questa circostanza il Mameli ricopre un ruolo di primo piano, afferra il tricolore, che è proibito spiegare al vento, e capeggia la folla che compie il rito della patria al mortaio di Portoria.
Nella sua attività indefessa Mameli si fa principale promotore delle manifestazioni genovesi, organizzate per chiedere riforme liberali al sovrano del Regno di Sardegna Carlo Alberto di Savoia, la cui troppo marcata irresolutezza tiene con il cuore sospeso i patrioti delle principali città fino alla sua saggia decisione di venire incontro alle richieste dei sudditi promulgando lo Statuto Albertino.
Non appena il 19 marzo 1848 si diffonde a Genova la notizia che Milano è insorta contro gli austriaci per dare vita alle gloriose Cinque Giornate, Mameli tiene un breve comizio, già in programma, al teatro Diurno dell’Acquasola affollato da una numerosa ed emozionata gioventù giunta per l’evento. Salito sul palcoscenico il giovane pronuncia brevi ma chiare parole rivolgendosi ai presenti: «Cittadini! A Milano si muore: io e parecchi amici partiamo stanotte, per passar domani il confine: chi vuol essere con noi faccia lo stesso»[3].
A questo punto l’entusiasmo contagia tutti e Goffredo, “al comando di trecento giovani, prende il giorno dopo la via del Ticino; il 22 giugno giunge a Gravellona, entra il 24 trionfalmente in Milano, quindi, andato a Treviglio, s’inscrive nella legione del Torres col grado di capitano, e di là prosegue per Crema, Montichiari, Volta Mantovana, dove il Torres lo incarica di ricercare il punto più acconcio per il passaggio del Ticino. Pochi giorni dopo, sciolta la legione del Torres, con la compagnia da lui intitolata Mazzini si congiunge con la colonna mantovana del Longoni, della quale segue le sorti fino alla conclusione della prima guerra dell’indipendenza italiana”[4].
Il 23 aprile è il giorno dell’incontro di Mameli con il suo apostolo Giuseppe Mazzini con il quale ha l’occasione di conferire a Milano. Dopo l’esito infausto della guerra, segue nella ritirata su Parma la sua legione che, unita al corpo d’esercito del generale Alfonso La Marmora (1804-1878), fa ritorno in Piemonte. Tornato a Genova, il patriota riprende le sue attività di tribuno; si scontra con i più animosi che propongono il distacco di Genova dal Piemonte a causa della sconfitta militare di Carlo Alberto, poi protesta vivamente nel mese di agosto per l’armistizio siglato con il nemico austriaco.
E’ in queste settimane che pubblica l’Inno militare, composto un mese prima su ispirazione di Mazzini e musicato da Giuseppe Verdi. Quando il generale Giuseppe Garibaldi arriva a Genova il 26 settembre 1848, Mameli diventa subito uno dei suoi più fervidi seguaci e con il periodico genovese Diario del Popolo, lancia un appello ai giovani per esortali a iscriversi nel corpo dei volontari creato proprio da Garibaldi per combattere nella prossima guerra per la liberazione della patria.
Goffredo Mameli e la Repubblica romana del 1849
Il nostro si trova a Ravenna insieme alla legione di Garibaldi quando il 21 novembre giunge la notizia dell’uccisione a Roma del ministro dell’interno pontificio Pellegrino Rossi seguita pochi giorni dopo dalla fuga di papa Pio IX a Gaeta. Giunto a Roma, Mameli seguendo le direttive di Mazzini, si affretta a fondare un comitato dell’Associazione nazionale per promuovere la convocazione della Costituente.
Mameli si inserisce, sin da subito a Roma, nella battaglia a favore della Costituente, attaccando attraverso articoli di giornali, gli esponenti moderati che fanno parte del Ministero provvisorio guidato da Carlo Muzzarelli e Terenzio Mamiani: “Dovete liberarvi di un Ministero, parte dei cui membri manca di ogni moralità politica…tutti per difetto di volontà e d’energia sono ineguali ai tempi…Voi dunque dovete convocare la Costituente dello Stato”[5].
Il 21 dicembre Terenzio Mamiani presenta durante la seduta del Consiglio dei deputati una proposta di legge che prevede l’espulsione dalla città di tutti quei patrioti, definiti come “forestieri”, che con le loro idee liberali e democratiche stanno surriscaldando un pò troppo gli animi in favore della Costituente. Questa offensiva contro i “perturbatori” dell’ordine pubblico si basa, molto probabilmente, sulla convinzione che, allontanati da Roma i giovani più attivi, la situazione si sarebbe calmata e i moderati avrebbero potuto riprendere agevolmente in mano le redini del governo, proseguendo nella loro azione di continuità istituzionale.
Il progetto del Mamiani viene respinto in massa dal Consiglio, ma ciò non impedisce a Mameli di continuare a lanciare le proprie invettive: “E chi sono, di grazia, codesti perturbatori stranieri? Sono i più rispettabili e conosciuti patrioti di Lombardia, Venezia, Napoli, emigrati per la santa causa della libertà e dell’indipendenza”[6].
Durante le settimane che precedono l’elezione dell’Assemblea Costituente, egli si contraddistingue sempre di più per il suo attivismo senza sosta, impegnandosi a fondo nella costruzione del Comitato dei circoli italiani. Contemporaneamente con i suoi proclami e con gli articoli pubblicati sul giornale romano, Pallade, a partire dal 19 gennaio 1849, svolge un’efficace propaganda a favore della guerra e affronta anche il complesso tema della compatibilità tra religione e libertà, a riprova del fatto che i fatti rivoluzionari di Roma non intendono colpire direttamente il potere spirituale del papa ma restituire ai cittadini la sovranità temporale.
La sua speranza è che il resto d’Italia si affretti a seguire l’esempio dei romani e che la città, in quanto culla della nazione, possa raccogliere un forte esercito con il quale ingaggiare battaglia contro l’Austria. Dopo le elezioni dell’Assemblea Costituente del 21 gennaio 1849, all’inizio di febbraio a Roma viene proclamata la Repubblica; Goffredo non perde tempo e invia a Giuseppe Mazzini, in quel momento in Toscana, un cesariano dispaccio contenente tre parole: «Roma. Repubblica. Venite».
Ormai per Mameli il primo problema per perseguire l’obiettivo dell’indipendenza nazionale è essenzialmente quello militare e, quando nel marzo del 1849 il Piemonte riprende le ostilità contro l’Austria, scrive per Il Pensiero italiano di Genova più di un articolo in cui chiede ai governi dei territori insorti di inviare le loro truppe al Nord. In uno di questi articoli egli offre ulteriore dimostrazione del suo patriottismo innato:
“Fratelli d’Italia…La patria con voce solenne ci chiama tutti alla difesa. E’ richiamo di madre che avvisa i figli a darle vita. Maledetto lo spietato che non si commuove, e ricusa, ingrato, di concorrere a spendere l’esistenza per Lei…Si, la vittoria per noi è certa se ci risolveremo a morire, ma da Romani veri: gloria che fa la morte più soave della vita. Ma che valore ha la vita messa alla discrezione dei Barbari? Che è mai la vita se la Patria è divisa, è schiava? Pena insopportabile non dono di Dio ella è, e a petto dei viventi son fortunati i morti. Alle armi dunque, fratelli Italiani, si combatta con la benda sugli occhi e si distacci lo straniero coi suoi satelliti, o regni sopra un deserto comparso dei nostri cadaveri. Dal sangue dei martiri nasceranno i Vendicatori. Viva l’Italia!”.
Mameli ferito nella battaglia sul Gianicolo
Dopo la sconfitta militare piemontese a Novara, Mameli, a fine marzo, fa ritorno nella sua città natale, dove è scoppiata un’insurrezione, a causa dell’armistizio imposto dagli austriaci e diviene l’aiutante di campo del generale Giuseppe Avezzana che lì comanda la difesa. Con quest’ultimo egli ritorna nella città eterna il 15 aprile, dopo che Genova è stata costretta ad arrendersi all’esercito piemontese. All’inizio dell’assedio francese diventa aiutante di campo di Garibaldi e in tale veste partecipa alla campagna per ricacciare le truppe napoletane dal territorio della Repubblica, distinguendosi per valore sia a Palestrina sia a Velletri.
Il pomeriggio del 3 giugno 1849, nel pieno della battaglia sul Gianicolo contro i francesi che assediano la Repubblica, febbricitante dopo le fatiche di Velletri, il genovese viene ferito alla gamba sinistra riportando la perforazione della tibia e del perone, mentre a capo di un reparto di uomini, sta tentando un assalto per riconquistare le posizioni perdute dai patrioti a villa Corsini. Giuseppe Garibaldi così ricorderà successivamente il triste episodio, in una lettera scritta molti anni dopo alla madre del patriota:
“Era verso sera di quel giorno fatale, quando Mameli, ch’io avevo trattenuto al mio fianco la maggior parte di quel giorno, siccome aiutante mio, mi chiese supplichevole di lasciarlo procedere avanti, ove più ferveva la pugna, sembrandogli ingloriosa la sua posizione presso di me. Dopo pochi minuti egli mi ripassava accanto, trasportato gravemente ferito, ma radioso, brillante nel volto, d’aver potuto spargere il sangue per il suo paese. Non ricambiammo una parola; ma gli occhi nostri si intesero, nell’affetto che ci legava da tanto tempo; egli proseguiva come in trionfo”[7].
Trasportato subito all’ospedale della Trinità dei Pellegrini, Mameli viene immediatamente affidato alle cure dei medici e all’assistenza di alcuni amici più intimi, che con lui hanno partecipato a molte battaglie. Inizialmente la ferita non sembra troppo grave, ma con il passare dei giorni le condizioni del poeta genovese peggiorano sensibilmente a causa della cancrena che gli sta dilaniando il corpo e che rende necessaria l’amputazione della gamba (19 giugno).
Mazzini, che gli è legatissimo per l’amicizia che li unisce da qualche anno, considerandolo quasi come un figlio, gli invia il seguente dispaccio: “Non posso venire io, Goffredo mio, ma ricordatevi che sono stato e sono con voi, che avrei dato anni di vita per salvarvi, giovane e prode come siete, dall’amputazione; ma non si poteva…Fido in voi e nel vostro coraggio morale”[8].
Inoltre ad un amico che lo sollecita a riguardarsi e a non pensare ad altro che alla propria salute, Mameli così risponde, dando ulteriore dimostrazione della sua dedizione assoluta alla causa nazionale: “Mi parli sempre di me: quando assassinano il nostro paese noi non abbiamo altro letto che quello della morte”[9]. E sentendo che fuori i combattimenti continuano incessanti: “Il cannone rimbomba: è tempo di azione e sacrificio; facciamo che i posteri non abbiano a maledirci”[10].
La morte di Goffredo Mameli causata dalla cancrena
Dopo l’operazione la situazione sembra volgere per pochi giorni verso il meglio. Le condizioni di Mameli, però, peggiorano fino all’estremo ed egli si spegne la mattina del 6 luglio, stroncato dalla cancrena. Anche durante il delirio, il suo pensiero continua ad essere rivolto alle sorti dell’Italia e di Roma alle quali lascia in eredità i suoi versi di poeta e la sua giovinezza. In questo modo l’amico Antonio Doria, che lo assiste durante il periodo di degenza in ospedale, descrive in un memoriale i suoi ultimi istanti di vita:
“Unitamente ad un suo servo, genovese, ch’egli soleva chiamare Pio nono per la grande sua rassomiglianza con quel Papa, rimasi ad assisterlo, né lo abbandonai un istante in quegli estremi momenti, e nelle mie braccia spirò, la mattina del 6 luglio, circa alle ore 5. L’ultima sua notte fu straziante per eccessivo delirio. Improvvisò continuamente versi sconnessi sull’Italiana indipendenza. Così finiva Goffredo Mameli in un ospedale, ignorando però che da tre giorni lo straniero era entrato nella patria del suo pensiero, nella sua Roma invitta e immortale”[11].
La tomba e l’eredità storica di Goffredo Mameli
Le spoglie di Mameli vengono sepolte nei sotterranei della romana chiesa delle Stimmate: esumati i resti nel 1872, vengono trasferiti al Verano per poi essere prelevati nel 1941 in occasione della definitiva sepoltura nel sacrario del Gianicolo.
Per la Repubblica romana e per l’indipendenza italiana Mameli immola la sua giovanissima vita, diventando un simbolo e un’icona assoluta della meglio gioventù che, in quegli anni, rinuncia volentieri alla propria esistenza terrena per un ideale. Durante la breve esperienza repubblicana, Mameli non è soltanto il valoroso soldato di Garibaldi, ma è anche il discepolo, l’allievo, il compagno e il collaboratore di Giuseppe Mazzini.
Più di tutti, è proprio quest’ultimo che cerca di fare del giovane il simbolo del poeta soldato, sintesi di pensiero e azione ed esempio di una dedizione assoluta alla Patria, capace di spingere fino al sacrificio di sé: “Diventi la breve, incontaminata sua vita, consulta fra un inno e una battaglia, esempio ed inspirazione ad altre vite”[12].
Il canto della Repubblica Romana di Mameli
Se il papa è andato via
buon viaggio e così sia
Non morirem d’affanno
perché fuggì un tiranno
perché si ruppe il canapo
che ci legava al piè
Viva l’Italia e il popolo
e il Papa che va via
se andranno in compagnia
viva anche gli altri re
Addio, Sacra Corona
Finì la Monarchia
Or ch’è sovrano il Popolo
Mai più ritorni un re
O popoli fratelli
oppressi da mill’anni
Buttate giù i cancelli,
Scacciate i re tiranni!
Mai più sui troni siedano
Imperatori o re!
Questo canto allegro, sarcastico e anticlericale viene cantato dai romani, durante i mesi dell’esperienza rivoluzionaria, ed intonato anche nei drammatici giorni dei combattimenti a Porta San Pancrazio. Può essere considerato, a tutti gli effetti, l’inno della Repubblica romana del 1849 e in esso vi è esaltato, con molta semplicità, l’ideale di libertà contro qualsiasi tipo di tirannia. L’autore dell’arrangiamento musicale rimane anonimo, ma vi è la certezza che i versi che lo compongono siano del giovane Goffredo, che poco prima della sua morte prematura pensava di pubblicarli in una raccolta letteraria.
Goffredo Mameli, riassunto
Goffredo Mameli, poeta e patriota genovese, nasce il 5 settembre 1827. Cresce in una famiglia di cultura: suo padre è un ufficiale di Marina e sua madre, Adelaide Zoagli, è descritta come una donna molto colta. Fin da giovane dimostra fragilità fisica ma grande intelligenza. Studia presso gli Scolopi, una scuola che offre un’educazione liberale, dove inizia a sviluppare il suo talento letterario componendo versi ispirati al Romanticismo.
Nel 1841, Mameli si iscrive all’università per studiare filosofia e legge, ma presto le sue passioni si concentrano su poesia e politica. Intorno al 1844, vive un’intensa delusione amorosa che lo ispira a scrivere versi struggenti. Nello stesso periodo, il fervore patriottico lo coinvolge sempre di più. Nel 1847, entra a far parte della Società Entelema, un’associazione universitaria che si trasforma rapidamente in un movimento politico. A novembre dello stesso anno, scrive i versi de Il Canto degli Italiani, oggi noto come l’Inno di Mameli, musicato da Michele Novaro. Il canto diventa subito simbolo di ribellione e viene cantato per le strade di Genova.
Convinto mazziniano, Mameli si impegna attivamente nelle lotte per l’indipendenza d’Italia. Partecipa con fervore alle manifestazioni patriottiche di Genova e si distingue nelle battaglie contro gli austriaci. Nel marzo 1848, parte con un gruppo di giovani volontari per Milano, dove combatte nelle Cinque Giornate. Diventa amico e collaboratore di Giuseppe Mazzini, con cui condivide ideali e obiettivi.
Nel 1849 Mameli si unisce a Giuseppe Garibaldi e prende parte alle battaglie per la difesa della Repubblica Romana. Il 3 giugno, viene gravemente ferito durante l’assedio del Gianicolo. Nonostante l’amputazione della gamba, la cancrena lo porta alla morte il 6 luglio 1849, a soli 21 anni. La sua breve vita, dedicata all’ideale dell’indipendenza e dell’unità d’Italia, lo rende un simbolo immortale del Risorgimento.
Note:
[1] Anton Giulio Barrili a cura di, Scritti editi e inediti di Goffredo Mameli, Genova, Tipografia R. Istituto Sordomuti, 1902, p. 16.
[2] Ibidem, p. 27.
[3] Ibidem, p. 32.
[4] https://www.treccani.it/enciclopedia/goffredo-mameli_(Enciclopedia-Italiana)/
[5] Claudio Fracassi; La meravigliosa storia della repubblica dei briganti; Mursia; Milano; 2005; pag. 83.
[6] Ibidem pag. 89.
[7] E. Bertotti; Goffredo Mameli e la repubblica romana nel 1849; Studio Editoriale Genovese; Genova; 1927; pag. 121-122.
[8] C. Fracassi; La meravigliosa storia della repubblica dei briganti; Milano; 2005; pag. 430.
[9] Ibidem pag. 488.
[10] Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina.
[11] E. Bertotti; Goffredo Mameli e la repubblica romana nel 1849; Studio Editoriale Genovese; Genova; 1927; pag. 134-135.
[12] Ibidem pag. 17.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Gabriella Airaldi, «L’Italia chiamò». Goffredo Mameli poeta e guerriero, Roma, Salerno Editrice, 2019.
- Massimo Scioscioli, Goffredo Mameli: una vita per l’Italia, Roma, Editori Riuniti, 2011.