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Giustiniano: origini e politica
Giustiniano inizia la sua carriera sotto l’imperatore Giustino I (518-527), che sale al trono alla morte di Atanasio, nominato dai cortigiani perché il regno è privo di un erede ufficiale. Quando il conte degli excubiti riceve la porpora, è quasi settantenne, è ignorante e non dimostra le doti per poter governare un impero, ma dalla sua ha il supporto del figlio adottivo, suo nipote Giustiniano, all’epoca trentaseienne.
All’inizio è un consigliere molto potente e riesce rapidamente a diventare il comandante degli eserciti presenziali. Fin dalle origini zio e nipote aderiscono alla fede calcedoniana (il credo cristiano imposto dal Concilio di Calcedonia del 451) e si adoperano per riavvicinarsi alla Chiesa di Roma, che servirà per i futuri piani di Giustiniano, riuscendo ad imporre il loro credo in quasi tutto l’impero ad eccezione dell’Egitto, dove a causa della stragrande maggioranza di monofisiti, sono costretti ad accettare la loro presenza e la pratica religiosa.
Col passare degli anni, Giustiniano acquista sempre più potere, arrivando a svolgere mansioni che spettano solitamente ad un imperatore. Poco prima della morte di Giustino, s’innamora dell’attrice Teodora, che milita in una delle fazioni dell’ippodromo di Costantinopoli e riesce a sposarla, modificando la legge che vietava ai senatori di contrarre matrimonio con queste donne.
Sua moglie diventerà una compagna fedele e un caposaldo del suo regno, nonostante sia monofisita. Giustiniano viene incoronato co-imperatore dopo il matrimonio e sale al potere in via definitiva alla morte dello zio nel 527. Salito al trono, ha già chiara la sua linea politica: la restaurazione dell’impero romano universale sotto un unico credo, cui aveva già posto le basi riavvicinandosi alla Chiesa d’Occidente.
I primi anni del regno di Giustiniano I e la rivolta di Nika
All’inizio del regno, Giustiniano è occupato per qualche anno in Oriente contro i Persiani, dove decide di affidare il comando dell’esercito d’Armenia a Belisario, un suo subalterno ai tempi in cui era comandante delle truppe. Il conflitto si protrae per molto tempo senza risultati significativi, a differenza della frontiera occidentale, dove vengono respinti con successo Bulgari e Slavi.
La situazione di stallo inizia a cambiare nel 530, quando i Vandali del Nord Africa depongono il loro sovrano che aveva intessuto rapporti di amicizia con Giustiniano. Questo episodio fa scattare l’idea di conquista del regno, ma l’imperatore sa che non può aprire un altro fronte di guerra. Perciò si adopera per scendere a patti con i Persiani per intavolare la pace e nel 532 stringe un accordo con il loro re Khusraw I Anoshakrawan, che interrompe le ostilità in cambio di un tributo annuo.
Questa pace permette a Giustiniano di volgere le proprie attenzioni verso l’Africa vandala e mentre prepara l’esercito per la spedizione, nel 532 scoppia la rivolta di Nika nell’ippodromo. L’ippodromo, oltre che sede delle gare di carri, era il luogo in cui si riunivano le varie fazioni della città (i demi) o partiti popolari, divisi per colori, dove i più famosi erano i “Verdi” o “Prasini” e gli “Azzurri” o “Veneti”.
Fin dal regno di Giustino, Giustiniano aveva dato appoggio agli Azzurri, che lo supportavano ed erano calcedoniani, ma una volta al potere, cerca di liberarsi del giogo dei demi e prende provvedimenti contro di loro. Questo, unito ai gravosi tributi imposti alla popolazione per finanziare le guerre, portano le fazioni all’esasperazione e, quando l’imperatore rifiuta di concedere la grazia ad alcuni membri condannati, scoppia la rivolta.
Dall’ippodromo con rapidità, la sommossa colpisce l’intera capitale, mettendola letteralmente a ferro e fuoco e nello stadio al grido di “Nika! Nika!” (cioè “Vinci! Vinci!”, il grido di supporto dei tifosi al loro auriga durante le corse), incoronano imperatore un nipote di Anastasio I, vestendolo di porpora.
Vedendo la distruzione della città e la proporzione della rivolta, Giustiniano cerca la fuga, ma viene trattenuto dalla volontà e dalla fermezza dell’imperatrice Teodora e dall’intervento di Belisario e di Narsete. Quest’ultimo riesce con la diplomazia a dividere di nuovo le fazioni indebolendole, mentre Belisario, dopo aver chiuso le porte dell’ippodromo per impedire la fuga ai rivoltosi, soffoca la sommossa con il sangue, massacrando migliaia di persone e ponendo fine alla ribellione.
La politica religiosa di Giustiniano I
Per concretizzare al meglio il suo ideale politico di restaurazione, Giustiniano intraprende una vigorosa azione contro i pagani e tutte le minoranze religiose presenti nel territorio dell’impero, riuscendo ad imporre il credo calcedoniano un po’ ovunque tranne che in Egitto, dove a causa dell’elevato numero di monofisiti, deve desistere dall’idea di cacciarli e limitarsi a controllarli.
Uno dei primi passi è la chiusura della Scuola di Atene nel 529, ultimo baluardo pagano in territorio cristiano, dove nonostante il numero esiguo, ha ancora molta influenza tra la gente. Gli insegnanti fuggono ad oriente e si rifugiano presso la corte persiana, portando con loro la cultura greca, sancendo il tramonto definitivo della vecchia religione nell’impero.
Grazie alla sua politica, Giustiniano si erge non solo come protettore della Chiesa, ma anche come suo capo: considera il clero come suo sottoposto, interviene in tutte le questioni religiose, convoca concili e scrive addirittura trattati teologici. Come detto in precedenza, l’imperatore si adopera per imporre un credo unico, anche se vi sono dei problemi importanti che questa scelta avrebbe comportato: da una parte imporre il credo calcedoniano prevede la pace con la Chiesa d’Occidente che avrebbe portato alla rottura con l’Oriente; dall’altra l’avvicinamento alle chiese d’Oriente avrebbe avuto come risultato l’interruzione dei rapporti con Roma e con le regioni che costituiscono il centro dell’Impero. E infine, c’è da prendere in considerazione il fatto che Teodora è monofisita.
Come soluzione Giustiniano convoca il V Concilio ecumenico a Costantinopoli nel 553, dove emana il cosiddetto “Editto dei tre capitoli”, cioè la condanna degli scritti di Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Iba di Edessa, sospettati di nestorianesimo. Nonostante questo e altri tentativi di riavvicinamento con i monofisiti, l’impero rimase diviso dal punto di vista religioso. Rientra nell’ottica della visione religiosa di Giustiniano anche la costruzione, o meglio, la ricostruzione della Basilica di Santa Sofia, distrutta dagli incendi durante la rivolta di Nika.
L’imperatore, nel 532, coglie l’occasione per erigere un grandioso edificio, che diventa il simbolo della cristianità in oriente e che vede la collaborazione di maestranze provenienti da tutto l’impero, sotto la direzione dei due architetti Isidoro di Mileto e Antemio di Tralle, che completano i lavori nel 537. La basilica sarà il luogo dove verranno incoronati i futuri imperatori di Costantinopoli e dopo la caduta dell’impero, viene trasformata in moschea dagli Ottomani.
Giustiniano non costruisce solo a Bisanzio e in oriente, ma dopo la conquista dell’Italia e in particolare di Ravenna, lascia in città una delle più importanti testimonianze di arte bizantina del nostro paese: la basilica di San Vitale (537-548). La chiesa iniziata nel 525, viene consacrata tra il 547-548 e ospita il prototipo del mosaico bizantino, raffiguranti Giustiniano e Teodora con il loro seguito.
Il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano I
Un altro fatto importante del regno di Giustiniano, e quello che in seguito avrà più impatto, è la codificazione del diritto romano. L’obiettivo dell’imperatore è quello di risanare la legislazione, in quanto raccogliendo leggi anche molto antiche, risulta confusionaria. I lavori iniziano nel 529 quando Giustiniano affida il compito di revisione di tutte le leggi romane ad un armeno, Triboniano.
Inizialmente viene fatta una raccolta di tutti i codici di legge esistenti, un corpus che comprende: le leggi varate ai tempi di Adriano, il Codex Theodosianus, le leggi private di Diocleziano, il Codex Gregorianus e il Codex Hermogenianus. Questo insieme di leggi viene pubblicato nello stesso anno con il nome di Codex Iustinianus e cinque anni più tardi, esce la versione più completa e revisionata.
Oltre al Codex, la parte più importante è il Digesto o Pandette, che contiene gli scritti dei giureconsulti romani e imperiali, uscito nel 533, rappresenta il secondo gruppo di leggi dello stato ed è fondamentale perché per la prima volta, si cerca di mettere in ordine le sentenze dei giudici romani.
Successivamente vengono pubblicate le Institutiones, una sorta di manuale per lo studio del diritto e contengono gli aspetti principali delle due raccolte precedenti. A completare l’opera, sono le Novellae, leggi pubblicate postume al Codex e scritte per la maggior parte in greco, mentre il resto è in latino.
Il Corpus Iuris Civilis proclama la libertà di tutti gli uomini, anche se in pratica si è ben lontani da questa idea. Inoltre è caratteristica l’accentuazione al potere assolutistico dell’imperatore, che avrà grande influenza nello sviluppo del potere imperiale a Bisanzio ma anche in Occidente. Infatti nel XII secolo, verrà riscoperto il codice giustinianeo e diverrà la base per lo sviluppo del diritto in questa parte del continente fino ai giorni nostri.
La riconquista dell’impero e le guerre greco-gotiche
Per attuare il suo ideale di restaurazione dell’impero, Giustiniano prepara una serie di invasioni volte a riconquistare gli antichi territori che erano stati sotto il dominio di Roma. Dopo aver sedato la rivolta di Nika e firmato la pace con i Persiani, può dare inizio al suo piano di conquista.
Nel 533 invia Belisario al comando di circa 18.000 uomini sulle coste del regno Vandalo in Nordafrica e con una rapida campagna militare della durata di un anno, riesce ad annientare i Vandali dopo aver inflitto al loro re Gelimero due gravi sconfitte a Decimo e Tricarico, riuscendo ad entrare trionfalmente nella capitale Cartagine. La conquista non comprende solo il territorio africano, ma anche la Sardegna, la Corsica, le Baleari e la costa mediterranea dell’africa fino all’Egitto.
La rapida vittoria porta Giustiniano a intraprendere il conflitto più lungo e impegnativo: la guerra contro il regno italico degli Ostrogoti, conosciuta come guerra greco-gotica (535-553). Il pretesto è l’assassinio della regina gota da parte dei sudditi che porta allo sbarco di Belisario in Sicilia, oggetto di una rapida conquista e inizio della marcia verso nord. Dalla Calabria, giunge e sottomette velocemente sia Napoli che Roma, ma in città rimane vittima di un duro assedio da parte degli Ostrogoti. Nonostante questo, riesce ad aprirsi un varco e aggirare i goti, marciando verso Milano e conquistandola con gravi difficoltà che lo costringono a chiedere aiuti a Bisanzio.
Giustiniano nel 537 invia soldati al comando di Narsete, peggiorando la situazione, in quanto si rifiutava di sottomettersi agli ordini di Belisario. Questo permette agli ostrogoti di riorganizzarsi, di riconquistare e saccheggiare Milano, costringendo l’imperatore a richiamare Narsete. Una volta rientrato, Belisario ha campo libero e nel 540 porta a compimento la conquista dell’Italia a sud del Po, ad eccezione di Ravenna, dove si è ritirato il re goto Vitige, che è ancora sotto assedio.
Belisario riesce a vincere la resistenza ed entrare in città nello stesso anno, sancendo la sconfitta degli Ostrogoti. Giustiniano, preoccupato per il tentativo d’invasione dei Persiani, richiama Belisario per mandarlo in Oriente e tratta la pace con i Goti, lasciandogli i territori a nord del Po e metà del loro tesoro in cambio di Ravenna. Il generale, però, non segue l’idea dell’imperatore e convince i goti a sottomettersi a lui e a cedergli tutto il loro tesoro dopo aver preso la città, completando così la conquista dell’intero territorio italico e partendo poi per l’oriente.
Subito dopo la partenza di Belisario, la situazione in Italia precipita. Gli Ostrogoti insorgono rinvigoriti dal loro nuovo re Totila e l’Italia si ribella al dominio bizantino. Giustiniano richiama il generale dall’oriente per mandarlo nella penisola, ma qui subisce una sconfitta dietro l’altra, perdendo molti territori conquistati in precedenza e cade in disgrazia anche per volere dell’Imperatrice Teodora.
L’imperatore decide d’inviare Narsete che dopo lunghi anni di battaglie, riesce a sconfiggere i goti e riaffermare il dominio di Bisanzio sulla penisola nel 553. La restaurazione imperiale si completa, infine, con la conquista della parte sud-orientale della penisola iberica nel 554, allora dominata dai visigoti, riuscendo a pacificare le continue lotte tra i signori locali.
La peste e la fine del regno di Giustiniano I
Un evento significativo del regno di Giustiano, spesso tralasciato, è l’avvento della peste bubbonica che per la prima volta nella storia colpisce il bacino del Mediterraneo. Il morbo giunge in Egitto nel porto di Pelusio verso la fine del 541, probabilmente dall’Etiopia attraverso scambi commerciali con l’Asia, arrivato lungo le rotte del trasporto del grano.
La malattia si diffonde rapidamente dalle città portuali, anche se dai dati si rileva la minor incisività nelle zone con clima asciutto, come Siria e alcune zone dell’Egitto e i luoghi con scarse risorse alimentari per i ratti. Nel giro di un anno, nel 542 aveva raggiunto quasi tutti i centri orientali e si abbatte sugli eserciti bizantini e persiani che stavano combattendo lungo il confine, elemento che porta alla diffusione della peste in seguito al rientro delle truppe, sia a Costantinopoli sia in Persia.
L’esito è devastante e ne viene colpito anche lo stesso Giustiniano, che però riesce a sopravvivere. Durante la malattia affida il governo e la successione a Teodora, ma le truppe stanziate in oriente, saputa la notizia, candidano Belisario come imperatore. La nomina ne causa la rimozione dall’incarico da parte dell’imperatrice per la possibilità di perdere il trono, mentre dà appoggio al clero monofisita, che ne approfitta per espandersi.
A Bisanzio conosciamo lo sviluppo della peste grazie alle cronache di Procopio di Cesarea, segretario di Belisario, che la descrive ne “Le Guerre” e ne “La Storia Ecclesiastica” di Giovanni di Efeso, in cui emerge tutto il dramma degli abitanti e dei sopravvissuti che convivono con il morbo e con i morti. Secondo i dati, che sono ancora oggetto di dibattito, le vittime nella sola capitale si aggirano intorno ai 300.000 individui, mentre in tutto l’impero, i decessi sono tra i 25 e 50 milioni.
La prima ondata si conclude nel 544 quando con una Novella, Giustiniano dichiara la fine della pandemia, ma si ripresenta nel 558 ancora più virulenta e da quell’anno in poi, ritorna a cadenza di 4 o 6 anni (dipende dalle fonti) per terminare in maniera definitiva nel 750, e ripresenterà il conto secoli dopo nel 1347.
Inoltre, raggiunge l’Occidente alla fine del VI secolo, colpendo Marsiglia nel 588, Roma nel 590 e Ravenna nel 593 e appare in fonti italiche nella “Historia Langobardorum” di Paolo Diacono. L’epidemia lascia dietro di sé oltre ai moltissimi morti, anche una grave crisi sia a livello burocratico che economico e viene accompagnata da una carestia che miete ancora più vittime. Causa inevitabilmente anche l’indebolimento dell’esercito bizantino con la conseguente pressione alle frontiere delle popolazioni barbare, come i Mauri in Africa e i Goti in Italia.
Secondo lo storico Warren Treadgold, la peste è la principale causa dell’indebolimento dell’impero di Giustiniano, perché porta ad episodi che necessitano di massicci interventi sia umani che finanziari per essere risolti, come il proseguimento della guerra in Italia, la protezione della frontiera meridionale in Africa, quella a nord contro Slavi, Unni e Avari, che per la maggior parte si conclude con un pagamento in denaro.
Ha anche ripercussioni sulla religione, perché il Concilio di Costantinopoli e la condanna dei tre capitoli sono la conseguenza dell’espandersi del monofisismo, dovuto alla malattia dell’imperatore. L’impero subisce un forte declino delle città e dell’apparato statale, con una forte riduzione della cultura e delle arti, ma essendo ancora per la maggior parte uno stato con un’economia rurale, riuscì a tamponare la decadenza dei centri urbani e a causa delle faticose vittorie, in particolare in Italia e al contemporaneo declino della Persia, riesce a mantenere un buon esercito campale e la burocrazia.
Nonostante tutte queste difficoltà, nell’ultima parte del regno, il paese rifiorisce sotto il punto di vista culturale e si raggiunge una certa stabilità religiosa, a maggioranza calcedoniana. La restaurazione imperiale operata da Giustiniano è stata completata, ma si rivela effimera perché priva di solide basi che nonostante i grandi provvedimenti e novità da lui introdotte, non sono state efficacemente messe in pratica, a partire dal Corpus Iuris Civilis che essendo per la maggior parte in latino, non era compreso dalla parte più cospicua dei funzionari e dei giuristi, in un momento in cui il latino in oriente si stava avviando al tramonto per essere sostituito dal greco.
Le sue conquiste grandiose hanno dato a Bisanzio molti territori ricchi, ma lasciarono le casse dell’impero quasi vuote, portando ad una grave crisi economico-finanziaria che dopo la sua morte avvenuta nel 565, all’età di 83 anni, caddero una dopo l’altra, riuscendo a mantenere solo una ristretta parte della penisola italica e l’Africa.
Giustiniano è l’ultimo imperatore romano sul trono di Costantinopoli e il suo regno apre le porte al tentativo di rinnovamento che verrà poi portato a termine da Eraclio, dopo la sua incoronazione nel 610. Il suo ideale politico, la visione sacra del sovrano e il suo tentativo di rinnovare la giustizia, saranno riscoperti dai sovrani occidentali successivi, contribuendo a mettere in evidenza la grandezza delle sue riforme e del suo regno.
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- Warren Treadgold, Storia di Bisanzio, Il Mulino, Bologna, 2005.
- Georg Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Einaudi, 2014.
- Uli Schamiloglu, The rise of the Ottoman Empire: The Black Death in Medieval Anatolia and its impact o Turkish Civilization, pp. 255-260, da Academia.eu.