CONTENUTO
La morte di Pinelli
La sera stessa della strage di piazza Fontana la polizia ferma circa 80 sospetti, tra cui alcuni anarchici del Circolo anarchico 22 marzo e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa: Pinelli è uno di loro. Il 15 dicembre Pinelli si trova ancora in questura. Il trattenimento di Pinelli è da ritenersi illegale: infatti, oltre le 48 ore, il fermo, deve intendersi revocato e privo di ogni effetto se non convalidato dall’autorità giudiziaria secondo l’art. 13 della Costituzione.
Nella notte tra il 15 e il 16, durante un interrogatorio, Pinelli precipita dalla finestra dell’ufficio al quarto piano della questura in un’aiuola sottostante. Secondo le prime indiscrezioni sono presenti Antonino Allegra, responsabile dell’Ufficio politico della questura, il commissario Luigi Calabresi, quattro agenti della polizia in forza all’Ufficio politico (Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Pietro Mucilli) e il tenente dei carabinieri (nonché agente del Sisdi) Savino Lograno.
La prima versione data dal questore Marcello Guida nella conferenza stampa convocata poco dopo la morte dell’anarchico, a cui partecipano anche Antonino Allegra ed il commissario Calabresi, è quella del suicidio (“Improvvisamente il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra che per il caldo era stata lasciata socchiusa e si è lanciato nel vuoto“), dovuto al fatto che il suo alibi si rivela falso. La versione del questore viene poi ritrattata quando l’alibi di Pinelli si rivela invece credibile.
Il giorno successivo, 16 dicembre, in seguito alla comparsa di un testimone, un tassista, per la strage di Piazza Fontana veniva arrestato Pietro Valpreda, che sarà poi giudicato innocente.
Indagini sulla morte di Pinelli
La prima inchiesta, svolta dal giudice Giovanni Caizzi, nel maggio 1970 rubrica l’accaduto come “fatto del tutto accidentale”. Inoltre, afferma che il commissario Calabresi è assente al momento della caduta di Pinelli.
Sulla morte di Giuseppe Pinelli si apre un primo processo per diffamazione a mezzo stampa intentato da Calabresi nei confronti di Pio Baldelli, direttore del periodico Lotta Continua, iniziato il 9 ottobre 1970, di cui è presidente del consiglio giudicante Carlo Biotti. Gli interrogatori dei testimoni riguardo alla morte di Pinelli presentano alcune discrepanze che spingono la Procura della Repubblica a riaprire il caso Pinelli.
Il presidente Carlo Biotti ordina la riesumazione della salma di Pinelli e la relativa autopsia, ma è ricusato prima in corte d’appello, poi sospeso da ogni funzione, infine accusato di verbale rivelazione di segreti d’ufficio (si sostiene che ha comunicato ad altri la sua convinzione di giudizio), prima con un procedimento disciplinare e poi con un processo penale. Biotti lascia ogni carica, affrontando il processo prima disciplinare e poi penale. La lunga battaglia legale finisce con l’assoluzione di Biotti da ogni accusa in ogni grado di giudizio, con formula piena.
La seconda indagine sul caso Pinelli
La morte di Pinelli diventa un caso e molti credono che si sia trattato di un omicidio. In seguito a tali polemiche e su denuncia della moglie di Pinelli viene aperta una nuova inchiesta, assegnata al giudice Gerardo D’Ambrosio, nominato giudice istruttore il 16 settembre 1972. La salma di Pinelli viene riesumata e analizzata. Viene fatta quindi una seconda autopsia che conferma il risultato della prima.
La sentenza dell’inchiesta sulla morte di Giuseppe Pinelli è emessa nell’ottobre 1975: il caso venne chiuso attribuendo la morte di Pinelli ad un malore, secondo la sentenza del giudice D’Ambrosio. Lo stress degli interrogatori, le troppe sigarette a stomaco vuoto unito al freddo che proveniva dalla finestra aperta avrebbero causato un malore e Pinelli, invece di accasciarsi come nel caso di un collasso, avrebbe subito un’alterazione del centro di equilibrio, causa della caduta.
L’inchiesta della magistratura accoglie le dichiarazioni dei coimputati, secondo i quali il commissario Calabresi non era presente nel momento della caduta. Gerardo D’Ambrosio scrive nella sentenza: “L’istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli“. Erano invece presenti i quattro agenti della polizia ed un ufficiale dei carabinieri, che vengono prosciolti. Il giudice D’Ambrosio non riesce a raccogliere elementi sufficienti per accertare che gli uomini della polizia abbiano gettato dalla finestra Pinelli.
I dubbi sulla versione ufficiale
La versione ufficiale viene considerata contraddittoria ed incongruente: l’ambulanza sarebbe stata chiamata alcuni minuti prima della caduta, Pinelli non avrebbe urlato durante la caduta, avvenuta quasi in verticale (quindi probabilmente senza lo spostamento verso l’esterno che ci sarebbe stato se si fosse lanciato), pur avendo sbattuto contro i cornicioni, sulle mani non avrebbe avuto nessun segno che mostrasse tentativi (anche istintivi) di proteggersi dalla caduta, gli agenti presenti forniranno nel tempo versioni leggermente contrastanti sull’accaduto (in una di queste sostennero di essere riusciti ad afferrarlo, ma di non essere riusciti a trattenerlo, motivando quindi la caduta in verticale senza spostamento dovuto all’eventuale slancio) e infine le dimensioni della stanza, la disposizione dei mobili e delle sedie per l’interrogatorio avrebbero reso difficile gettarsi dalla finestra in presenza di tanti poliziotti.
Secondo una delle diverse versioni date dalla Questura, nel tentativo di trattenere Pinelli per impedire la caduta dalla finestra, nelle mani di un poliziotto sarebbe rimasta una scarpa del ferroviere, prova che i tentativi di trattenerlo erano avvenuti, ma in realtà quando il ferroviere fu raccolto sul selciato indossava ancora entrambe le scarpe.
Riguardo l’ora della caduta, la sentenza cita le testimonianze dei quattro giornalisti presenti nella sala stampa della questura, concordi nell’affermare che il fatto avvenne qualche minuto prima della mezzanotte, informazione definita assolutamente certa. La sentenza poi afferma che l’ambulanza fu chiamata alle 00:01, in base all’ora trascritta sul registro delle richieste di intervento pervenute alla centrale operativa del corpo dei vigili urbani.
Omicidio commissario Calabresi
L’assenza del commissario dalla stanza al momento della caduta di Pinelli non è tuttavia creduta da parte degli ambienti anarchici e della sinistra e lo stesso viene fatto segno di una violenta campagna di stampa avente il risultato di isolarlo. Alla campagna di stampa, condotta in maniera assai forte, aderirono molti esponenti della sinistra italiana. Calabresi viene assassinato nel maggio 1972, da aderenti a Lotta Continua.
Commenti 2