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Giuseppe Nasi, un ebreo alla corte del Sultano ottomano
Il 2 gennaio 1492 i re spagnoli Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia avevano finalmente completato la reconquista, impadronendosi di Granada, ultimo principato islamico nell’Europa continentale. Animati da questo trionfo, i sovrani cattolici celebrarono il loro successo prendendo due decisioni che avrebbero avuto conseguenze di portata mondiale: finanziare la spedizione di Cristoforo Colombo attraverso l’Atlantico per raggiungere l’India e la Cina e offrire agli ebrei del regno di Spagna la scelta fra conversione ed espulsione (sotto consiglio dell’inquisitore Tomàs de Torquemada).
I sovrani avevano fatto male i loro calcoli: fra i 70.000 e i 150.000 ebrei sefarditi (da Sefard che in ebraico significa “Spagna”) scelsero di lasciare il regno e fuggire a oriente verso territori più tolleranti come l’impero ottomano. A Costantinopoli, il sultano Solimano il Magnifico li accolse con piacere cogliendo la possibilità di sfruttare gli ebrei per sviluppare l’economia dell’impero e dimostrare che il cristianesimo aveva rinnegato la propria eredità ebraica. Da quel momento, a Istanbul, Salonicco o Gerusalemme, gli ebrei sarebbero tornati a predicare i loro culti e a parlare la loro lingua.
La famiglia Nasi
Tra questi ebrei espulsi, vi era la famiglia Nasi, una tra le più in vista della comunità di Lisbona, diventata ricchissima grazie ad un vero e proprio impero basato principalmente sul commercio di spezie. La famiglia si era rifugiata in Portogallo verosimilmente nei primi anni del 1500 dopo l’editto di espulsione degli ebrei dalla Spagna.
Convertitasi, la famiglia Nasi mutò il proprio nome in De Luna, vivendo da cristiani ma continuando occultamente a professare il giudaismo. Francisco Mendes che a Lisbona si occupava di commerci su vasta scala sposò Gracia Nasi – detta Beatrice de Luna – ed ebbe una figlia che battezzò con lo stesso nome della sorella di Gracia, Brianda (“regina” in ebraico), mentre Brianda sposò il fratello di Francisco Mendez, Diogo, e i due diedero alla luce una figlia.
La ditta dei due fratelli Mendes aveva frequenti rapporti con altri paesi, ma anche il Portogallo cominciava a stare stretto a quanti, come i Nasi, erano cristiani solo in superficie. Così, quando morì il marito, Gracia e la ditta Mendes si trasferirono ad Anversa dove già c’era il cognato, anche se non fu facile lasciare il paese visto che i loro beni facevano gola alle più importanti famiglie portoghesi.
Ad Anversa gli ebrei esuli dalla Spagna e dal Portogallo formavano una nutrita comunità che proteggeva i correligionari ai quali era stato impossibile lasciare il proprio paese e aiutava quanti intendevano emigrare in Turchia passando dall’Italia. Ciò è esattamente quello che fa Gracia, che lascia Anversa tra la fine del 1544 e l’inizio dell’anno successivo, mentre nel frattempo, in Europa, la situazione per gli ebrei volge al peggio. Morto il cognato Diogo, Gracia eredita metà del capitale dell’azienda e diviene amministratrice dell’immensa fortuna dei Mendes.
L’azienda “Eredi Francisco e Diogo Mendes” da lei guidata continua la propria attività producendo una ricchezza che in molti casi pone i Nasi al riparo dalle avversità, ma attrae anche ostilità, come quando Francesco d’Aragona, discendente della casa reale, mette gli occhi sulla figlia di Gracia che non ha ancora dieci anni. Gracia, assieme alla sorella e alle relative figlie, decide di lasciare Anversa alla volta prima di Aquisgrana, quindi di Lione, poi di Ferrara e infine di Venezia.
Si tratta di una vera e propria fuga in collaborazione con il nipote di Gracia e di Brianda, Giuseppe Nasi. E’ in quel momento che tra le due sorelle sorgono dissidi: Brianda non accetta la funzione di amministratrice di Gracia, la quale a sua volta non vuole stabilirsi a Venezia, tanto da scegliere nel 1549 Ferrara e la corte del duca Ercole II. Anche Brianda finisce poi col rifugiarsi a Ferrara dopo che a Venezia nel 1550 viene decretata l’espulsione dei marrani.
A Ferrara, le due sorelle trovano un ambiente accogliente, rimanendo dal 1549 al 1552. In Emilia, tornano all’ebraismo e agiscono in favore dei convertiti forzati, aiutandoli a ritrovare la loro identità originaria. Per favorire il reinserimento nell’ambiente ebraico, è soprattutto Gracia a promuovere, finanziandola, la pubblicazione della Bibbia e di altre opere liturgiche in spagnolo. Se Ferrara è il centro della produzione editoriale marrana, nella città estense doña Gracia è l’anima del progetto di rieducazione all’ebraismo e molti ebrei residenti in città le attribuiscono il merito di aver salvato tantissimi correligionari soccorrendoli moralmente e materialmente.
Per ragioni ancora non chiare, le due sorelle lasciano Ferrara e si trasferiscono a Venezia, dove Gracia è costretta al domicilio coatto decretato dalle autorità alle quali si è rivolta Brianda, che paventa la partenza della sorella per la Turchia con tutto il patrimonio. Le due sorelle si sono, infatti, accordate a Ferrara sulla spartizione delle risorse ma non sui programmi futuri giacché Brianda non intende lasciare l’Italia.
Dopo un lungo contenzioso, la questione si appiana e Gracia nel 1553 parte per la Turchia dove può professare, come peraltro faceva già a Ferrara, la religione ebraica in totale libertà. In effetti, in Turchia da tempo trovano rifugio ebrei provenienti da molti paesi che vengono accolti favorevolmente per la necessità dell’impero turco di disporre di persone abili nei commerci e nelle industrie.
Nel 1553 Beatrice de Luna, ormai per sempre Gracia Nasi, viene accolta a Costantinopoli con ogni onore assieme alla figlia. Gli ebrei, orgogliosi di lei, la trattano con devozione chiamandola “Senora”. Come a Ferrara si era dedicata prevalentemente alla ricostruzione delle basi culturali e liturgiche ebraiche perdute, così a Costantinopoli s’impegna a sostenere i correligionari più poveri.
Si diceva che ogni giorno facesse posto alla sua tavola a un’ottantina di indigenti e anche dopo la sua morte, la sinagoga a lei dedicata, “La Senora”, ha continuato ad esistere a lungo. La capacità propositiva e le iniziative di doña Gracia non vanno perse con la sua morte: sulla scena si affaccia il nipote Giuseppe, uomo potente e discusso che condivide molte delle traversie, delle tribolazioni e dei successi di Gracia e che ne sposa la nipote.
Giuseppe Nasi: il “grande ebreo” a Costantinopoli
Nel 1553, infatti, Giuseppe Nasi viene introdotto alla corte di Solimano il Magnifico dal medico ebreo del sultano, divenendo in breve tempo l’agente confidenziale del figlio ed erede Selim. A Costantinopoli, Nasi – noto ai diplomatici europei come “il Grande Ebreo” – gestisce un complesso impero commerciale e funge da inviato del sultano e da eminenza grigia della politica internazionale, arbitro della guerra e della finanza, mediatore tra Oriente e Occidente.
Nasi crede nel ritorno degli ebrei nella Terra promessa e così Solimano gli conferisce il titolo di signore di Tiberiade in Galilea, dove fa stabilire ebrei italiani, ricostruisce la città e promuove l’industria della seta. Una delle imprese più note di Giuseppe Nasi, infatti, è proprio quella legata al ripopolamento ebreo di Tiberiade.
C’è chi sostiene che l’attività, in realtà, sia stata avviata da sua zia, Gracia, ma a partire dal 1561 Nasi avvia la ricostruzione delle mura cittadine, la produzione e la lavorazione della seta, incentivando l’immigrazione degli artigiani ebrei.
Quando Solimano muore dopo quarantacinque anni di regno, Giuseppe interviene nella contesa successoria tra i figli del sultano scegliendo apertamente di appoggiare Selim piuttosto che Bayezid. E’ proprio Selim II, noto come “l’ubriacone” a uscire vincitore dalla lotta per il trono, dovendo molto agli intrighi dell’amico Giuseppe che ora vive nel lusso del Palazzo Belvedere di Costantinopoli. Grazie alla protezione di Selim e ai suoi numerosi contatti in Europa, Nasi diviene ben presto un diplomatico d’alto rango e nominato dal nuovo sultano duca di Naxos.
Ma Nasi è anche un abilissimo stratega di politica internazionale, manovratore dello scacchiere europeo e mediterraneo, giocando un ruolo importante nel favorire i turchi a scapito delle potenze cristiane. Il suo primo, grande successo in campo internazionale è la pace con la Confederazione polacco-lituana che gli garantisce, da parte del sultano, la concessione del monopolio sul commercio della cera d’api con la Polonia e del vino con la Moldavia, seppur interferendo ripetutamente con la politica estera dei moldavi.
In secondo luogo, Nasi, grazie ai suoi contatti con Guglielmo I d’Orange, gioca un ruolo determinante nel provocare la guerra degli ottant’anni (1568 – 1648) tra i ribelli olandesi e la Spagna: il conflitto rappresenta una delle cause del progressivo declino della potenza spagnola e vede sorgere un nuovo stato, la Repubblica delle Sette Province Unite, che sarebbe presto divenuta una delle potenze mondiali del XVII e del XVIII secolo, distinguendosi per il suo dinamismo in campo commerciale, scientifico e culturale (il cosiddetto “secolo d’oro olandese”), occupando enormemente la potenza spagnola a vantaggio dei turchi ottomani.
Infine, Nasi sfrutta i suoi contatti tra gli ebrei di Cipro per interferire attivamente nel conflitto diplomatico tra Venezia e Istanbul che sarebbe maturato nella guerra di Cipro (1570 – 1573) per il predominio nel Mediterraneo orientale. La guerra si concluderà con l’occupazione turca dell’isola ma sembra che siano stati i complotti di Nasi a provocare l’espulsione da Cipro degli ebrei di Famagosta nel 1568.
Proprio per la sua influenza, i veneziani sviluppano una vera e propria psicosi nei suoi confronti: una paranoia che non fa altro che enfatizzare quelle che, seppur notevoli, sono le reali capacità di azione di Giuseppe. Tuttavia, proprio lo scoppio della guerra fa naufragare il progetto di trapiantare a Tiberiade gli ebrei dello Stato Pontificio.
Giuseppe Nasi dopo la battaglia di Lepanto
Nonostante la presa di Cipro, la dura sconfitta patita dalle forze ottomane nella famosa battaglia di Lepanto del 1571 provoca il progressivo crollo dell’influenza di Giuseppe a corte. Perso lo scontro con la fazione a lui avversa, capeggiata dal gran visir Mehmet Sokollu, viene meno anche il favore del sultano. Giuseppe trascorre i suoi ultimi anni in agiatezza, ricchissimo, ma ormai ininfluente.
Alla sua morte, nel 1579, il sultano Murad III espropria tutti i beni della vedova e cugina di Giuseppe, doña Reyna Nasi, ad eccezione della dote stabilita nel contratto matrimoniale, del valore di 90.000 dinar. Con ciò che le resta, Reyna apre una stamperia ebraica in un sobborgo di Costantinopoli, continuando a far vivere il nome dei Nasi nella città che più di tutte li aveva accolti e dove la loro ascesa non conobbe limiti.
I libri consigliati da Fatti per la Storia per approfondire la figura di Giuseppe Nasi!
- Montefiore S., Gerusalemme. Biografia di una città, Mondadori, 2018.
- Pasachoff N., Littman R., A Concise History of the Jewish People, Lanham, 2005.
- Roth C., Doña Gracia Nasi, Parigi, 1990.