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Il 15 giugno 1978 il Presidente della Repubblica Giovanni Leone rassegna le dimissioni con sei mesi e quindici giorni di anticipo rispetto alla scadenza del mandato. Le sue dimissioni arrivano in seguito a una serie di insinuazioni, accuse e attacchi che mirano a screditarlo personalmente e a demolirne l’immagine pubblica.
Giovanni Leone Presidente della Repubblica
L’elezione di Leone alla presidenza della Repubblica è stata la più lunga della storia: per eleggerlo furono necessari 23 scrutini. All’inizio delle votazioni, il 9 dicembre 1971, Amintore Fanfani è il candidato ufficiale della DC. Per sei scrutini consecutivi i “franchi tiratori”, ovvero i parlamentari che votano diversamente dalla linea decisa dal gruppo, bloccano la sua elezione. Su una delle schede, che Fanfani esamina una ad una in quanto presidente del Senato, è scritto: «Nano maledetto, non sarai mai eletto». Per i primi sei scrutini e poi di nuovo all’undicesimo, Fanfani viene candidato senza mai riuscire a ottenere la maggioranza. La sua candidatura viene ritirata definitivamente.
Nell’assemblea dei grandi elettori DC, la candidatura di Giovanni Leone prevale di stretta misura su quella di Aldo Moro. Leone è una figura terza, lontana dagli scontri interni al partito e che può mettere d’accordo tutti quanti. La situazione di stallo va avanti sino al 22º scrutinio, quando si trova un accordo tra Democrazia Cristiana, PSDI, PLI e PRI per portare Leone al Quirinale.
Anche Leone, tuttavia, non rimane immune dall’azione dei “franchi tiratori”. Infatti, manca l’elezione al primo tentativo per un solo voto (503, contro i 504 del quorum richiesto). Leone viene comunque eletto Capo dello Stato il 24 dicembre 1971 al ventitreesimo scrutinio, con 518 voti su 1008 “grandi elettori”. Per il raggiungimento del quorum, furono determinanti i voti del MSI.
L’elezione di Leone è il frutto di precari equilibri politici anche interni al suo stesso partito ed espressione di una maggioranza di centro appoggiata dalla destra che, a metà degli anni settanta, è accantonata e considerata ormai improponibile. Per cui si scatena presto contro di lui una diffusa ostilità da parte della sinistra. Anche la stessa DC è assai flebile nel difenderlo dinanzi alle critiche virulente che gli vengono rivolte.
Discorso di insediamento di Giovanni Leone
La campagna denigratoria contro Giovanni Leone
I principali e più feroci attacchi giungono dal Partito Radicale e dai suoi leader Marco Pannella ed Emma Bonino, dal giornale Osservatore Politico diretto da Mino Pecorelli e dal settimanale L’Espresso. Essi portano avanti una campagna molto dura nei confronti di Leone.
E’ in sostanza accusato di essere un presidente di destra, con tendenze autoritarie e amicizie poco limpide. Non gli perdonano l’essere stato eletto con i voti del MSI e di rappresentare nelle istituzioni una destra da sempre incline alle tendenze autoritarie. Lo accusano anche di intrattenere frequentazioni poco trasparenti e di condurre una vita privata di dubbia moralità. Altre critiche gli arrivano per la condotta della moglie, Vittoria Leone, che ha vent’anni meno di lui e compare spesso sulle riviste di moda femminile, e per quella dei suoi figli.
Negli ultimi tre anni del suo mandato da Presidente della Repubblica Leone viene raggiunto da accuse martellanti e insinuazioni insistenti, che lo vogliono coinvolto in scandali internazionali e responsabile di imperdonabili gaffes, come le famose corna con cui risponde al grido “Morte a Leone!” di un contestatore all’Università di Pisa il 18 ottobre 1975. Giornali e libri sono complici della diffusione di queste insinuazioni, ulteriormente amplificate persino da un film (Signore e signori, buonanotte).
La giornalista dell’Espresso Camilla Cederna raccoglie le innumerevoli accuse contro il Presidente della Repubblica in un libro Giovanni Leone: la carriera di un Presidente, pubblicato nei primi mesi del 1978. Al termine del processo per diffamazione che segue la pubblicazione del libro, la Cederna viene poi condannata al pagamento di un ingentissimo risarcimento.
Presidenza Leone: lo scandalo Lockheed
L’argomento principale dei suoi accusatori è senz’altro lo scandalo Lockheed, scoppiato negli Stati Uniti nel 1975. L’errata interpretazione del linguaggio in codice di alcuni documenti segreti attribuisce a Leone pesanti responsabilità.
Si scopre che nello scandalo è coinvolto anche un presidente del Consiglio perché nel 1976 la Lockheed consegna il “cifrario” con cui decrittare i suoi messaggi in codice. In uno dei messaggi c’è scritto che alcune tangenti sono pagate nel 1968 ad “Antelope Cobbler” (antilope ciabattina).
I due termini, nel cifrario, stanno per “Italia” e “primo ministro“. Nel 1968 i presidenti del consiglio italiani sono stati due: Mariano Rumor e Giovanni Leone. Le speculazioni si concentrano immediatamente su Leone per due motivi: è un amico personale dei fratelli Lefebvre, indagati come mediatori nell’affare, e quel nome in codice lascia aperte molte speculazioni.
Ad esempio, ipotizza qualcuno, “Cobbler” può essere una trascrizione sbagliata di “Gobbler”. L’”antilope ciabattina” così diventerebbe “mangiatore di antilopi”, cioè il leone. Altri ancora dicono che, durante una visita negli Stati Uniti, Leone si è soffermato in un negozio ad osservare alcune scarpe di antilope.
Sono tutte ricostruzioni false. La Corte Costituzionale decreterà che “Antelope Cobbler” è probabilmente Mariano Rumor, che però non viene mai messo formalmente in stato di accusa. Leone è dichiarato estraneo ad ogni episodio poco chiaro. L’effetto della diffusione di queste rivelazioni consegna di fatto Leone alla gogna pubblica.
Le dimissioni di Giovanni Leone nel 1978
Così, dai primi mesi del 1978, bersagliato dagli attacchi personali e umiliato da durissime e talvolta offensive vignette, Leone perde progressivamente l’appoggio del suo partito, la Dc, e si trova isolato di fronte all’opinione pubblica.
Giovanni Leone cerca di difendersi dalla accuse che montano contro di lui, ma i giudizi di diffamazione contro L’Espresso e Cederna, sia il giudizio sul caso Lockheed arriveranno troppo tardi.
Il 14 giugno la direzione del PCI decide di richiedere formalmente le dimissioni del Presidente della Repubblica, un gesto mai avvenuto fino ad allora.
Leone rassegna le dimissioni con un messaggio televisivo agli italiani, durante il quale scandisce parole drammaticamente sincere:
“Nel momento in cui la campagna diffamatoria sembra aver intaccato la fiducia delle forze politiche, ho il dovere di dirvi che avete avuto come Presidente della Repubblica un uomo onesto”.
Dopo il discorso, firma l’atto ufficiale delle dimissioni e, accompagnato soltanto dalla moglie, lascia da solo il Quirinale senza alcuna cerimonia.
Le scuse di Pannella e Bonino
Negli anni successivi, chiarita l’infondatezza delle accuse e ridimensionata l’inadeguatezza delle frequentazioni di Leone, inizia lentamente il processo di riabilitazione.
In occasione del suo novantesimo compleanno, il 3 novembre 1998, è promosso dalla presidenza del Senato un convegno in suo onore a Palazzo Giustiniani. Prima della manifestazione, Marco Pannella ed Emma Bonino stringono la mano all’anziano ex presidente della Repubblica e si scusano pubblicamente per gli attacchi di vent’anni prima.
Superate ormai la violenza delle polemiche, Pannella e Bonino scrivono all’ex Presidente, un’accorata lettera di scuse:
“Le siamo grati per l’esempio da lei dato di fronte all’ostracismo, alla solitudine, all’abbandono da parte di un regime nei confronti del quale, con le sue dimissioni altrimenti immotivate, lei spinse la sua lealtà fino alle estreme conseguenze, accettando di essere il capro espiatorio di un assetto di potere e di prepoteri, che così riuscì a eludere le sue atroci responsabilità relative al caso Moro, alla vicenda Lockheed, al degrado totale e definitivo di quanto pur ancora esisteva di Stato di diritto nel nostro Paese.
Ed inoltre:
“Poté accaderci di eccedere. Non ne siamo convinti. Ma se, nell’una occasione o nell’altra, questo fosse accaduto, e non fosse stato pertinente attribuire al Capo di quello Stato corresponsabilità politico-istituzionali per azioni altrui, la pregheremmo, Signor Presidente, di accogliere l’espressione sincera del nostro rammarico e le nostre scuse.”
Con queste parole viene impresso il sigillo definitivo sulla vicenda personale e pubblica di Giovanni Leone, ingiustamente accusato e crudelmente demonizzato di fronte al Paese.