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Giovanni Giolitti: biografia, politica, governi e riforme

Un uomo, un’epoca: l’eta’ giolittiana dominata da uno statista che traghettò l'Italia dal secolo della sua unificazione a quello del suo sviluppo economico e sociale. Un politico discusso e discutibile le cui scelte segnarono tre lustri di storia patria tra luci ed ombre che ancora oggi per certi aspetti sono attuali.

di Umberto Diana
4 Giugno 2025
TEMPO DI LETTURA: 17 MIN

CONTENUTO

  • Giovanni Giolitti: origini familiari e formazione
  • L’ascesa politica di Giolitti
  • Il primo governo Giolitti
  • Il secondo governo Giolitti: politica e riforme
  • Il terzo governo di Giovanni Giolitti: il lungo ministero
  • Un abile colpo di mano
  • Il quarto governo Giolitti
  • Gli anni della prima guerra mondiale
  • Il quinto governo Giolitti
  • L’avvento del fascismo
  • La morte di Giovanni Giolitti a 86 anni
  • Eredità e giudizio storico su Giovanni Giolitti

Giovanni Giolitti: origini familiari e formazione

Giovanni Giolitti nasce a Mondovì,in provincia di Cuneo, il 27 Ottobre 1842 da una benestante famiglia borghese e rimasto orfano di padre in tenera età si trasferisce con la madre a Torino nella casa degli zii che circonderanno il piccolo Giuanin, come veniva chiamato in famiglia, di ogni attenzione e premura. Alcuni problemi di salute gli rendono necessari periodi di villeggiatura in Val Maira, presso il nonno materno e questi soggiorni formeranno l’amore per la montagna piemontese che accompagnerà Giolitti per tutta la sua vita.

Dopo gli studi liceali consegue la laurea in Giurisprudenza all’Università di Torino a soli 19 anni e, grazie ad uno degli zii che era stato deputato nel 1848, comincia a frequentare gli ambienti politici sabaudi, conosce Cavour che accompagna, insieme allo zio, nelle sue passeggiate serali sotto i portici di Piazza Castello. A causa del suo status di orfano viene esentato dal partecipare alla Seconda Guerra d’Indipendenza e per i tempi il non avere partecipato alla vita militare non era fatto usuale, tanto che in futuro gli avversari politici lo accuseranno di non conoscere adeguatamente le esigenze delle Forze Armate e quindi di non tenerle nella giusta considerazione. Nelle sue memorie Giolitti a questo proposito dichiarerà di non aver potuto per legge abbandonare la madre, facendo comunque trapelare che considerava il fatto un suo pericoloso tallone d’Achille nei confronti degli avversari, precisando di avere impiegato il tempo sottratto alla guerra studiando e preparandosi a servire la Patria in modo pacifico.

Privo pertanto del sacro fuoco risorgimentale e guerriero, il suo carattere si modella su idee moderate e liberali, facendo tesoro anche del pensiero che Cavour stesso gli espone durante le loro passeggiate. Nel 1962 si impiega al Ministero di Grazia Giustizia e Culti, da cui nel 1869 passa a quello delle Finanze, arrivando in breve tempo ad alte qualifiche collaborando con personalità come Quintino Sella e Marco Minghetti di cui diventa braccio destro nel tentativo di giungere alla riforma tributaria del Regno. Sul fronte privato sposa Rosa Sobrero, nipote di Ascanio Sobrero, l’inventore della nitroglicerina, da cui ha l’unica figlia: Enrichetta.

L’ascesa politica di Giolitti

Nel 1888, forte dell’inarrestabile carriera nelle stanze ministeriali (nel 1877 è magistrato alla Corte dei Conti ) viene eletto Deputato e da subito la sua attenzione parlamentare si rivolge a contenere gli eccessi di spesa militare voluta dal Governo Depretis: in un suo intervento alla Camera Giolitti afferma: “Mai lasciarsi trascinare nelle spese militari al di qua di quel che è necessario per difendere la dignità del paese”, parole che a 150 anni di distanza si rivelano drammaticamente attuali. Nel 1889 Francesco Crispi lo vuole come Ministro del Tesoro nel suo secondo governo, ma ancora una volta a causa delle sue idee contrarie a forti stanziamenti militari Giolitti rassegna le proprie dimissioni.

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Il primo governo Giolitti

Nel 1891 la stella politica di Francesco Crispi comincia ad oscurarsi a causa di insuccessi nella politica coloniale e re Umberto I conferisce a sorpresa l’incarico di formare il Governo proprio a Giovanni Giolitti, allora ancora aderente al gruppo dello statista siciliano ma da cui progressivamente si andava staccando proprio a causa di divergenze insanabili in tema di politica finanziaria. Il primo Ministero Giolitti non ha vita lunga a causa dello scandalo della Banca Romana che determina nel paese un profondo malcontento e disordini di piazza che il Primo Ministro rifiuta di sedare con l’uso della forza così come richiesto dagli industriali e dai grandi proprietari terrieri..

Il comportamento ritenuto troppo morbido nei confronti delle ragioni espresse dalle classi sociali operaie e contadine alienano a Giolitti le simpatie dei ceti borghesi ed egli è costretto ad abbandonare la guida dell’esecutivo. Seguono sette anni in cui Giovanni Giolitti non ricopre incarichi ministeriali, alla sua politica di mediazione viene preferito il decisionismo ed il colonialismo di Francesco Crispi che nel frattempo ha riguadagnato la fiducia del Re e dei potentati economici. Giovanni Giolitti matura le proprie convinzioni liberali ponendosi su posizioni assolutamente alternative alle politiche repressive dei governi che in quegli anni si succedono nel Regno.

Nel 1901 viene chiamato al governo Giuseppe Zanardelli, noto per la riforma del Codice Penale, uomo capace ed autorevole ma già avanti con l’età e Giovanni Giolitti, oltre a ricoprire la carica di Ministro degli Interni, ne diventa de facto il sostituto nella soluzione dei problemi importanti imponendo ad esempio un cambio di passo verso le proteste popolari e le nuove organizzazioni con le quali inizia un dialogo che fino ad allora non era mai stato presente nelle agende degli esecutivi. Giolitti favorisce pertanto la formazione di movimenti operai organizzati e si confronta con Filippo Turati che ne è il propulsore, intuendo che il bene della società è nello scambio ideologico e non nella contrapposizione.

Il secondo governo Giolitti: politica e riforme

Il teorema ha il suo compimento quando Giolitti viene chiamato a guidare il governo il 3 Novembre 1903. Egli abbandona definitivamente il gruppo crispino e arriva addirittura ad offrire a Turati un ministero, proposta rifiutata a malincuore dal leader socialista che temeva di alienarsi irrimediabilmente le correnti massimaliste del movimento operaio. La grande intuizione politica giolittiana consiste nel capire che un migliore status economico delle classi meno abbienti avrebbe loro permesso un più elevato potere d’acquisto permettendo un aumento della produttività industriale e conseguente benessere e crescita della collettività.

Il suo disegno consiste pertanto nel convincere il Partito Socialista ad abbandonare le idee rivoluzionarie che fino ad allora lo avevano caratterizzato ed al contempo premere sulla borghesia industriale e terriera affinchè rinunci a parte dei propri privilegi e permetta il varo di piccole ma importanti riforme. Il progetto  di Giovanni Giolitti non è di semplice attuazione perchè richiede un elevato equilibrio ed il sapiente spostamento della barra politica talvolta verso la sinistra rivoluzionaria e talvolta verso la destra reazionaria, riesumando così il trasformismo già sperimentato anni addietro da Agostino Depretis seppure con finalità ed obiettivi diversi.

Gli atteggiamenti del governo guidato da Giolitti nei confronti degli scioperi e delle richieste sindacali, ad esempio, sono molto diverse rispetto a quelli dei precedenti Presidenti del Consiglio: sono passati appena cinque anni da quando il generale Bava Beccaris su ordine dell’esecutivo reprime nel sangue la rivolta popolare di Milano. Precisando che oggi è scontato che un governo tuteli ogni forma di diritto dei lavoratori, occorre ribadire che agli albori del ‘900 era inaudito accettare che l’esecutivo non sedasse  una manifestazione contraria agli interessi delle classi dirigenti.

Così quando nel 1904 in occasione del primo sciopero generale della storia italiana proclamato dalla Camera del Lavoro di Milano Giolitti decide di non usare la forza per impedirne lo svolgimento, ottiene due importanti risultati politici: sgonfia le idee rivoluzionarie dei massimalisti guidati da Arturo Labriola e convince gli industriali a concedere qualche richiesta salariale per riprendere la produzione. Lo sciopero convince anche lo Stato a concedere ai lavoratori alcune importanti riforme in materia di tutela personale quali il diritto al riposo settimanale e la limitazione del lavoro dei fanciulli.

Nel 1905 l’opinione pubblica manifesta il favore alla nazionalizzazione delle ferrovie che lo stesso Giolitti sostiene ma che non si sente ancora pronto ad attuare ed usando un suo collaudato metodo per sfilarsi dai problemi più spinosi, si dimette accusando dei non meglio precisati problemi di salute, affidando a suoi fedelissimi l’onere e l’onore di scontrarsi ( ed eventualmente bruciarsi ) su temi così divisivi. Manovrando dietro le quinte Giolitti appoggia il governo dell’amico Alessandro Fortis che riesce a sancire la nazionalizzazione della rete ferroviaria e resta in carica fino al 1906 quando, dopo una breve parentesi, lo statista piemontese decide che è il momento di tornare alla guida del Paese.

Il terzo governo di Giovanni Giolitti: il lungo ministero

Nel maggio 1906 entra in carica il terzo governo Giolitti, passato alla storia come il “ lungo ministero “. E’ un esecutivo che deve affrontare grandi problemi in tema economico e mettere mano ad un enorme debito pubblico che viene riformato attraverso un complesso sistema di conversione delle rendite governative detenute dagli istituti di credito ed un capillare convincimento dell’opinione pubblica che l’investimento nel tesoro statale avrebbe significato un altissimo valore di risanamento e unificazione nazionale.

Il successo dell’operazione arride a Giolitti che aumenta enormemente il suo consenso politico, convincendo anche i più scettici quando gli ingenti capitali introitati consentono allo stato di migliorare ferrovie, strade ed attuare importanti opere pubbliche quali l’acquedotto pugliese ed il traforo del Sempione. La stabilità monetaria della Lira in quegli anni rimane leggendaria: sui mercati internazionali la nostra moneta era quotata più dell’oro ed era preferita negli scambi commerciali addirittura alla sterlina inglese. Questo Eden politico – economico si offusca in occasione dell’evento naturale più disastroso in Europa per numero di vittime: il terremoto di Messina del 28 Dicembre 1908.

Il Governo viene da subito accusato di ritardo colpevole nei soccorsi , ma soprattutto una serie di scandali relativi alla gestione dei fondi per la ricostruzione ne scuote la credibilità anche sul piano internazionale. Il sindaco di Roma Ernesto Nathan, ad esempio, è accusato di avere dirottato i denari da lui ricevuti per le vittime del cataclisma ad amici e parenti del suo entourage con la copertura (e forse qualcosa di più) dello stesso Giolitti che però gode di una tale fiducia nel paese da non venire neppure sfiorato dall’idea di dimissioni e la cui solidità politica gli permette di ottenere altri importanti risultati in tema economico, soprattutto con la riapertura degli interscambi commerciali con la Francia interrotti dall’ideologico ostracismo dei precedenti governi crispini.

Un abile colpo di mano

Nel 1909 si svolge una tornata elettorale da cui la maggioranza giolittiana esce molto rafforzata, ma dopo avere incassato il premio delle urne inaspettatamente Giovanni Giolitti rassegna le dimissioni del suo governo perchè, come già in occasione della nazionalizzazione delle ferrovie, non intende affrontare in prima persona l’annoso problema della riorganizzazione della marina mercantile  che vedeva impegnati in lotte dagli interessi enormi grossi potentati armatoriali che chiedevano al governo interventi sia logistici che fiscali.

Seguono anni nei quali si alternano esecutivi a guida Sonnino e Luzzatti ma sempre con la regia politica dello statista piemontese, che saranno impegnati anche nel furioso dibattito sull’introduzione o meno del suffragio universale maschile e sulla concessione del voto alle donne. Su questo tema Giolitti sa che l’allargamento della base elettorale rafforzerebbe le sinistre, e quindi abilmente stringe con i cattolici il Patto Gentiloni che lo impegnava, una volta tornato alla guida del governo, ad accantonare la proposta di legge sul divorzio proposta da Zanardelli ed ottenere il loro appoggio politico con il quale bilanciare un inevitabile aumento di forza dei socialisti.

Il quarto governo Giolitti

Puntualmente Giovanni Giolitti viene chiamato a presiedere l’esecutivo da Re Vittorio Emanuele III . Il 30 Marzo 1911 si insedia un Ministero che per la prima volta viene varato con l’appoggio del partito socialista e che immediatamente promulga l’introduzione del Suffragio Universale Maschile che prevede il diritto di voto per coloro che avessero compiuto 30 anni, con un reddito di almeno 19,80 lire ed in possesso della licenza elementare o in alternativa a questa il congedo militare; la base elettorale con questa riforma passò da 3 a 8 milioni di aventi diritto.

Sul fronte economico sono anni di grande sviluppo industriale: si forma il triangolo tra Milano, Torino e Genova e la modernizzazione in agricoltura produce notevoli effetti in tema di qualità e quantità dei prodotti coltivati. Di contralto il paternalismo liberale di Giolitti comincia a dimostrare i propri difetti di fronte alla richieste delle forze sociali produttive sempre piu’ consapevoli dei loro diritti ma al contempo tra loro non coese e che cominciano a palesare i primi corti circuiti tra cattolici, socialisti e nazionalisti che esplodono nel 1912 quando Giolitti autorizza la conquista della Libia per affermare la potenza coloniale italiana ed aumentare il prestigio internazionale del Regno.

Come ogni conflitto anche la Guerra di Libia, si dimostra più impegnativa e costosa del previsto e per piegare la resistenza ottomana il governo è costretto a richiamare alle armi mezzo milione di uomini e superare di gran lunga gli stanziamenti economici previsti. Giovanni Giolitti spesa che la conquista della Libia appaghi le spinte nazionaliste che nel frattempo si erano notevolmente rafforzate nel paese, ma purtroppo per lui in realtà il conflitto contribuisce a destabilizzare il fragile equilibrio politico e nel partito socialista prevale la linea massimalista guidata da un giovane Benito Mussolini e termina ogni collaborazione tra i liberali di Giolitti e le sinistre.

Le elezioni del 1913 vedono un calo dei suffragi in favore dello statista di Mondovì ed un cospicuo aumento dei voti per i socialisti ed i radicali e da subito appare chiaro che questi ultimi sono indispensabili per il prosieguo della vita del governo: alla riapertura della Camera Giolitti deve difendere l’operato dei suoi ministri nella gestione del conflitto coloniale ma quando il 4 Marzo 1914 chiede ulteriori stanziamenti per promuovere lo sviluppo della nuova colonia i radicali escono dalla maggioranza costringendolo alle dimissioni. Abituato com’è a ritirarsi nell’ombra e manovrare comunque la scena politica, Giolitti suggerisce al Re la nomina del suo fedelissimo Antonio Salandra alla guida del nuovo dicastero, convinto di poter continuare a guidare il paese attraverso il suo subalterno.

Gli anni della prima guerra mondiale

L’attentato di Sarajevo coglie di sorpresa le cancellerie europee e nel giro di pochi mesi tutta l’Europa è coinvolta dalla più spaventosa  guerra fino ad allora combattuta sul proprio territorio. Salandra, senza coinvolgere le istituzioni e con il solo appoggio del Sovrano firma il Patto di Londra il 26 Aprile 1915 che impegna l’Italia ad entrare in guerra contro gli Imperi Centrali entro un mese. Il gesto del Primo Ministro non tiene assolutamente conto dell’opinione pubblica ancora provata dalla recente guerra di Libia e fortemente contraria ad un coinvolgimento nel conflitto 

La situazione dell’ordine pubblico rischia di precipitare e Salandra, temendo di non essere in grado di poterle gestire, rassegna le dimissioni permettendo a Giolitti di ritornare sulla scena politica, confidando nel fatto che egli potesse, con il suo carisma, convincere il re a denunciare il Patto di Londra ed abbandonare le velleità militari che esso stabiliva. Questa volta però sia gli ambienti vicino alla Corona ed all’Esercito e soprattutto gli interventisti guidati da Gabriele D’Annunzio hanno il sopravvento sulle idee pacifiste di Giolitti che viene addirittura minacciato di morte se avesse pronunciato discorsi contro la guerra, e che viene invitato dalla Questura di Roma ai non presentarsi in Parlamento perché la sua incolumità non poteva essere garantita.

L’anziano statista non attende pertanto la riapertura della Camera e si ritira nel suo Piemonte, lontano dal fermento politico della capitale. Questa è dunque la prima grande sconfitta di Giovanni Giolitti, che pur avendo dalla sua parte sia la maggioranza parlamentare che, forse, quella sociale non riesce ad impedire quello che il governo Salandra, con un vero colpo di mano aveva posto in essere con la complicità di Vittorio Emanuele III.

Il resto è storia: il 15 Maggio 1915 l’Italia entra in guerra e Giolitti si ritira a Cavour dove resta per tutta la durata del conflitto in un silenzio politico interrotto solo saltuariamente da sporadiche prese di posizione sempre e comunque contrarie alle scelte fatte ed ammonendo sulle conseguenze tragiche che la guerra avrebbe comportato in termini sia umani che economici. Al termine delle ostilità Giovanni Giolitti si candida alle elezioni politiche del 1919 e ritorna a Roma sempre su posizioni ideologicamente contrarie ai modi con cui era stata gestita la crisi pre-bellica. Tuttavia la sua stagione sembra tramontata essendo le sue idee post risorgimentali ormai lontane dalle nuove problematiche nate in Italia nel dopoguerra.

Il quinto governo Giolitti

Inaspettatamente e forse perchè pressato dagli industriali che volevano ristabilire la pace sociale nel paese messa a dura prova dalla devastante crisi economica successiva al conflitto, Vittorio Emanuele chiama l’anziano statista a guidare il suo quinto ministero nel giugno del 1920. A 78 anni l’uomo che in gioventù passeggiava con Cavour sotto i portici di Via Po a Torino formandosi le sue idee liberali e paternalistiche, si doveva misurare con problemi enormi e con personaggi destinati a dominare la scena politica degli anni successivi, uno su tutti Benito Mussolini.

Il primo provvedimento approvato, seppure con grandi difficoltà dalla Camera, e’ una modifica allo Statuto Albertino che attribuiva al Sovrano il potere di dichiarare la guerra, in modo che non si potesse ripetere il colpo di mano avvenuto nel 1915. Questo fatto compromette per sempre i rapporti tra Giovanni Giolitti e Casa Savoia. La grave crisi economica acuisce la contrapposizione tra la classe operaia e gli imprenditori, ed a questo Giovanni Giolitti risponde come sempre attuando una politica di comprensione verso il proletariato e non dando seguito alle sempre pressanti richieste di uso della forza per sedare con la forza i numerosi scioperi che segnano il paese: a Giovanni Agnelli che chiese con insistenza l’impiego dell’esercito per porre fine all’occupazione della FIAT egli risponde ironicamente che l’unica soluzione era “bombardare lo stabilimento”.

Giolitti comprende che le agitazioni delle classi meno abbienti non sono dettate solo da motivi economici ma si stava introducendo nel paese un vero e profondo conflitto ideologico tra socialisti e reazionari. Questo clima naturalmente non giova alle finanze italiane. Rispetto all’anteguerra il potere d’acquisto della lira si e’ ridotto dei due terzi ed a questo Giolitti cerca di reagire imponendo una coraggiosa riforma fiscale che colpisce in modo cospicuo i profitti di guerra, le tasse di successione e i profitti azionari oltre che abolire il prezzo politico del pane.

Queste misure sono rivolte in larga misura contro le classi più agiate e determinano, come è facile comprendere, un progressivo disamoramento di queste verso la leadership dello statista di Mondovi’. A partire dalla seconda metà del 1920 sul fronte interno il neonato movimento fascista aveva esplicitamente preso di mira le istituzioni statali e per dare un segnale di vitalità Giolitti si concentra sulla questione di Fiume ratificando con la Jugoslavia il Trattato di Rapallo con cui si sancisce che la città sarebbe divenuta “libera” e che Zara sarebbe stata annessa all’Italia.

Tale accordo causa le ire di Gabriele D’Annunzio e del suo Governo Illegale che nel frattempo si era insediato a Fiume e che, non riconoscendo gli accordi imposti da Roma, decide di resistere all’imposizione di liberare la città. Il governo questa volta risponde duramente ordinando al generale Enrico Caviglia di sedare con la forza la resistenza e dopo il famoso Natale di sangue il 31 Dicembre 1920 D’Annunzio è costretto ad abbandonare la città. Questi avvenimenti inaspriscono ancora di più il malcontento sia a causa dell’uso della forza adottato da Giolitti e soprattutto per l’abbandono dell’italianità di Fiume e della costa dalmata ed in questa circostanza Giolitti commette un grave errore politico poichè è convinto che il tollerare le azioni delle squadre fasciste nelle manifestazioni di piazza sia un valido modo per frenare le sempre piu’ frequenti agitazioni dei socialisti che egli erroneamente ritiene molto più dannose in tema di ordine pubblico ed in cuor suo e’ persuaso che una volta esaurito il suo compito di “freno” nei confronti dei socialisti, il fascismo puo’ essere inglobato nel mare magnum della politica e diventarne una garanzia di ordine sociale.

Questo convincimento porta Giolitti a sciogliere il Parlamento pensando che nuove elezioni rafforzeranno il centro liberale in alleanza con i fascisti di Mussolini ed i nazionalisti di Corridoni. In realtà le urne non lo premiamo piu’ di tanto, ma sanciscono l’ingresso alle Camere del partito fascista che Giolitti è sicuro di potere assimilare al sistema come aveva fatto in passato con i socialisti di Filippo Turati.

La nuova composizione parlamentare non rende possibile il prosieguo del suo dicastero e Giolitti si dimette suggerendo a re Vittorio Emanuele la nomina di Ivanoe Bonomi che non ha però la statura politica per affrontare il clima di guerra civile che inizia a serpeggiare in Italia e i tentativi del re di richiamare al Viminale (fino al 1961 il Primo Ministro italiano risiedeva al Viminale, oggi sede del Ministero dell’Interno) lo statista di Mondovì vengono bloccati dal granitico veto dei cattolici a causa delle sempre più convinte scelte anti clericali dello statista piemontese. Giolitti riesce comunque ad ottenere la nomina a Primo Ministro di un suo fedelissimo : Luigi Facta.

L’avvento del fascismo

È assodato che nelle ore cruciali della marcia su Roma del 28 Ottobre 1922 si cerca con febbrili trattative di riportare Giolitti al governo, nel quale egli ha ottenuto peraltro l’ingresso dello stesso Mussolini, ma il diniego dei cattolici, in particolare di Don Sturzo, escludono questa prospettiva. Giolitti comunica a Vittorio Emanuele la propria disponibilità a raggiungere Roma “con qualunque mezzo” ma sia l’indecisione del Re e sia l’ambizione di Facta, convinto di poter gestire la crisi, rendono definitivamente impraticabile l’ipotesi e così si apre la strada verso la ventennale dittatura fascista .

Giolitti raggiunge infine Roma ma da semplice parlamentare e vota la fiducia al primo governo Mussolini il 31 Ottobre 1922, criticato aspramente per questo gesto sia dai socialisti che dai cattolici che lo accusano di incoerenza con i principi democratici e liberali. Nelle successive elezioni del 1924, mentre molti suoi seguaci spintonano per confluire nel listone fascista, Giolitti si candida con una propria lista denominata Democrazia in Piemonte, Liguria e nel Lazio risultando eletto insieme a due suoi fedelissimi Marcello Soleri e Egidio Fazio e continuando ad appoggiare Mussolini e criticando la scelta dell’Aventino attuata dai parlamentari all’indomani dell’omicidio di Giacomo Matteotti sostenendo che “la Camera era l’unico luogo atto a condurre le battaglie”.

La morte di Giovanni Giolitti a 86 anni

Da politico navigato qual è, Giolitti però comincia a capire che la stagione della democrazia in Italia è al tramonto, e che il fascismo ha ormai svelato il proprio vero carattere e nel dicembre 1925 quando il Consiglio Provinciale di Cuneo, di cui da tempo immemore egli è presidente, gli chiede di aderire al partito fascista per poter continuare il mandato egli si dimette clamorosamente sia dalla carica di Presidente che da quella di Consigliere, rimarcando così la propria distanza dal regime e scegliendo di vivere appartato nel suo Piemonte gli ultimi anni della propria esistenza. Il 10 Luglio 1928 è colpito da broncopolmonite nella sua casa di Cavour e la sua agonia, che dura una settimana, vede stazionare sotto la sua casa squadre di fascisti che esulteranno   all’annuncio della sua morte avvenuta il 17 Luglio ad 86 anni.

Eredità e giudizio storico su Giovanni Giolitti

La storia italiana ha avuto in Giovanni Giolitti uno statista che ha senz’altro saputo traghettare il paese da un fine ottocento ancora pervaso dalle idee risorgimentali e garibaldine ad un inizio novecento dove nascono forti movimenti  di contrapposizione politica e rivendicazioni sociali epocali. Il suo merito è stato il saper portare l’Italia da un ruolo assolutamente subalterno nei confronti delle altre potenze a quello di nazione moderna ed al passo con i tempi, anche se con il cammino segnato dalla catastrofe del primo conflitto mondiale.

Giolitti è forse più un burocrate che un leader nel senso moderno del termine, non trascina le folle come faranno Mussolini o Nenni, ma il suo punto di forza è capire il punto debole dell’avversario politico e lavorare su questo per trasformarlo da nemico in alleato. Con questo sistema, nel lungo periodo della sua permanenza al potere, Giovanni Giolitti è riuscito a rendere meno distanti le posizioni delle varie classi sociali, talvolta concedendo ad una o all’altra un vantaggio che la convince della bontà degli accordi la lui proposti.

Lo stesso Benito Mussolini, all’alba del proprio successo politico, teme un ritorno dell’anziano statista come ultimo argine alla sua ambizione di potere e  anche con il dittatore fascista, così come già successo con Turati, forse Giolitti, se ne avesse avuto modo, sarebbe riuscito a contenerne gli eccessi. L’ars oratoria gli è estranea ma la sua capacità di mediare convince l’interlocutore di avere concluso un buon affare ed in questo modo con lui vengono sdoganate le richieste delle classi sociali più disagiate fino ad allora considerate inaccettabili ed in alcuni casi addirittura represse con qualsiasi mezzo. E proprio da questa “pace sociale” decolla lo sviluppo economico del paese che assicura a Giovanni Giolitti un posto nell’ipotetico Pantheon della politica italiana.

Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!

  • Massimo L. Salvatori, Giolitti. Un leader controverso, Donzelli Editore, 2020.
  • Aldo Mola, Giolitti. Il senso dello Stato, Rusconi Libri, 2019.
  • Giovanni Giolitti, Le memorie della mia vita, Independently published, 2021.
Letture consigliate
Umberto Diana

Umberto Diana

Torinese di nascita ma Genovese di adozione alla rispettabile età di 66 anni scopre la novità di poter scrivere articoli di Storia e poterli condividere con tutti. Dopo avere conseguito la maturità scientifica, svolge la propria attività lavorativa nell'azienda familiare e dopo avere raggiunto la pensione, ritorna alla propria curiosità di gioventù: la storia. Appassionato soprattutto di Storia Italiana dal Risorgimento alla Prima Repubblica, amai trovare nelle pieghe degli avvenimenti importanti i particolari che li rendono curiosi ed inaspettati e personaggi non di levatura eccelsa che hanno però contribuito a fare diventare un fatto di cronaca un fatto storico.

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