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La crisi degli anni Settanta e la necessità di coordinamento tra le grandi economie
Gli anni Settanta del secolo scorso si sono caratterizzati per essere un periodo di profonda crisi, in particolar modo a livello economico e finanziario, dopo circa due decenni di sviluppo ininterrotto e fiducia in un progressivo e inarrestabile aumento del benessere in buona parte del mondo.
Nel 1971, a seguito del protrarsi della guerra del Vietnam e del conseguente impiego di ingenti risorse militari, il presidente degli Stati Uniti Nixon annuncia la sospensione della convertibilità del dollaro in oro dando inizio all’irreversibile crisi del cd. sistema di Bretton Woods, composto dall’insieme degli accordi finanziari e commerciali ratificati nel 1944 dalle principali potenze occidentali che fino a quel punto aveva garantito una sostanziale stabilità.
A peggiorare l’incertezza sui mercati, con pesanti ricadute macroeconomiche, arriva nel 1973 la decisione dei paesi maggiori produttori di petrolio a livello mondiale (Arabia Saudita, Iraq e Kuwait in particolare) di quadruplicare il prezzo della materia prima; tale misura viene adottata dopo che nell’ottobre di quell’anno l’esercito egiziano aveva attaccato Israele per riconquistare la penisola del Sinai, perduta durante la cd. guerra dei sei giorni nel 1967, venendo però duramente respinto e mobilitando perciò il mondo arabo in suo favore.
Le turbolenze finanziarie e la crisi petrolifera alimentano dunque una sensazione di crisi globale: nei principali paesi industrializzati si assiste in particolare a quel fenomeno definito “stagflazione”, che si sostanzia di un aumento generalizzato dei prezzi accompagnato, però, da un brusco arresto della produzione industriale e da una stagnazione generale dell’economia e dei consumi.
È evidente che uno stato di crisi così complesso e che coinvolgeva le grandi economie divenute sempre più interdipendenti richiedeva interventi il più coordinati possibile, almeno all’interno del blocco capitalista. Nel 1973 il segretario al Tesoro statunitense convoca un vertice ristretto con i suoi omologhi di Francia, Gran Bretagna e Germania ovest nella biblioteca della Casa Bianca, da cui il nome di “gruppo della biblioteca” ad indicare questo primo abbozzo di coordinamento tra i ministri delle finanze delle quattro grandi economie industriali; nel 1974 l’incontro si ripete con l’aggiunta del titolare del ministero del tesoro giapponese, delineando un modello di confronto a cinque paesi.
Anche se non si possono sicuramente ritenere irrilevanti, i vertici con questo formato avevano evidentemente un peso politico abbastanza ridotto e comunque limitato all’area economica e finanziaria, nella quale si ricercava un coordinamento di massima, e soprattutto di natura tecnica, tra i governi coinvolti a livello ministeriale.
Il primo vertice di Rambouillet 1975 e l’evoluzione del modello G7
Il salto di qualità nella partnership tra i principali paesi ad economia di mercato arriva nel novembre 1975 con l’invito rivolto dal presidente francese Valéry Giscard d’Estaing ai leader di Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Germania ovest e Italia – l’originario nucleo del G6 – ad incontrarsi nella suggestiva location del castello di Rambouillet per discutere della complessa situazione internazionale e in particolare delle persistenti difficoltà economiche derivanti dall’instabilità monetaria e dalla crisi energetica.
L’iniziativa francese, che sostanzialmente amplia e potenzia le riunioni ristrette dei ministri economici, è motivata in particolare dalla volontà di affermare un diverso format di incontro tra capi di Stato e di governo a fianco dei tradizionali vertici diplomatici, ritenuti troppo estesi, dispersivi e rigidamente formali: al contrario, il G6 intendeva caratterizzarsi come una riunione informale tra un gruppo ristretto di leader, da tenersi in più giornate con diverse sessioni di lavoro che prevedessero il confronto diretto tra i partecipanti in modo da favorire una discussione più aperta, immediata e schietta al più alto livello politico.
L’anno successivo un incontro di analogo tenore è ospitato dal presidente degli Stati Uniti Gerald Ford a Puerto Rico, con la partecipazione del Canada in aggiunta ai sei membri originari: si ufficializza, pertanto, la costituzione del Gruppo dei Sette (G7) con l’impegno di tenere riunioni annuali.
Il summit tenutosi a Londra nel 1977 vede per la prima volta la partecipazione della Comunità Economica Europea; a partire dal vertice di Ottawa 1981 la Comunità Europea – oggi Unione europea – diventa quindi invitato permanente alle riunioni.
Nel 1998 anche la Russia post-sovietica viene invitata a partecipare alle discussioni tra i “grandi della Terra” inaugurando il format del G8; nel 2014, a seguito dell’annessione manu militari della Crimea, la partecipazione della Federazione Russa agli incontri è stata sospesa ritornando alla sola composizione a sette.
L’agenda e l’articolazione del G7 si sono andate via via ampliando: mentre negli anni Settanta il focus era prettamente finanziario e commerciale, negli anni Ottanta si è aggiunta la discussione su temi di politica estera, difesa e sicurezza arrivando, dagli anni Novanta ad oggi, a ricomprendere tutti i grandi temi globali trasversali, comprese quelle emergenze che non toccano direttamente i paesi membri – si pensi alle carestie o all’alfabetizzazione – ma su cui essi intendono comunque assumere iniziative di ampio respiro.
Seppur con alcune evoluzioni, la cornice delle riunioni dell’odierno G7 non è mutata rispetto al modello inaugurato a Rambouillet nel 1975; tale soggetto non è configurabile come un’organizzazione internazionale, ma è piuttosto un modello di incontro e discussione volto a privilegiare l’informalità dei lavori e favorire il confronto diretto, senza eccessive intermediazioni, tra i leader dei sette paesi membri. Non essendo, nei fatti, connotato da alcuna ufficialità il G7 non può adottare atti o provvedimenti di natura giuridica, ma i suoi lavori sono finalizzati all’elaborazione di una dichiarazione congiunta contenente impegni politici di massimo livello sottoscritti dai partecipanti.
Parallelamente agli incontri tra i capi di Stato o di governo all’interno del Gruppo dei Sette si svolgono anche vertici tematici a livello ministeriale, così come in diverse occasioni è stato previsto il coinvolgimento di Stati terzi in sessioni di lavoro congiunte per affrontare specifici dossier: nel G8 tenutosi nel 2009 all’Aquila, ad esempio, sono intervenuti numerosi leader africani per discutere un piano di aiuti contro la povertà nel continente.
L’ingresso dell’Italia tra i “grandi”, tra diplomazia e tensione politica
Qualche considerazione a parte merita la genesi della partecipazione dell’Italia al Gruppo dei Sette. A rappresentare il nostro paese nel primo vertice in Francia è il presidente del Consiglio Aldo Moro, che parteciperà anche all’incontro successivo nel 1976; tuttavia, in quest’ultima occasione Moro partecipa come premier in carica per il mero disbrigo degli affari correnti, in attesa della formazione di un nuovo governo dopo le elezioni politiche tenutesi appena qualche giorno prima.
A proposito di tali vicende è degno di nota il contributo del diplomatico Antonio Badini, già consigliere diplomatico di Bettino Craxi e rappresentante personale del presidente del Consiglio italiano proprio presso il G7, che in alcune interviste ha ricostruito il percorso di accreditamento dell’Italia nel gruppo dei “grandi”.
Secondo Badini il coinvolgimento del nostro governo nell’originario vertice di Rambouillet è stato fortemente sostenuto dall’amministrazione statunitense, che riesce a vincere le resistenze di Francia e Germania grazie anche all’atteggiamento prudente e costruttivo di Roma in sede internazionale: in particolare, all’Italia sarebbe stata riconosciuta una grande forza diplomatica derivante da un atteggiamento di basso profilo e propensione alla mediazione piuttosto che all’azione muscolare, il cui contributo era ritenuto necessario nel consesso delle principali potenze.
Tuttavia, le turbolente vicende interne dell’Italia di quegli anni erano sempre monitorate con attenzione e inquietavano i partner stranieri: nel vertice del 1976, in particolar modo, sarebbe emersa tutta la preoccupazione per il possibile coinvolgimento del Partito Comunista nel governo a seguito del risultato elettorale della settimana precedente, e più in generale era evidente l’allarme per la tensione sociale e politica nel paese degli anni di piombo.
In ogni caso, anche grazie alla fermezza di Moro durante il vertice di Puerto Rico, le pressioni internazionali non si sarebbero concretizzate in manifeste interferenze, e nel luglio del 1976 si forma il cd. “governo della non sfiducia” presieduto da Giulio Andreotti, entrato in carica grazie all’astensione del PCI che esce così, seppur parzialmente, dal totale isolamento parlamentare degli anni precedenti.
Con un viaggio negli Stati Uniti nel dicembre successivo il presidente del Consiglio rassicurerà poi gli alleati sulla solidità della nostra collocazione atlantica, e specie con gli anni Ottanta si assisterà ad un accrescimento dell’impegno internazionale dell’Italia sia nel processo di integrazione europea sia nel campo atlantico e multilaterale di cui il G7 è fondamentale espressione.
Sitografia selezionata
Sito web istituzionale del G7 Italia 2017:
Origine ed evoluzione
http://www.g7italy.it/it/storia/index.html
Come funziona il G7
http://www.g7italy.it/it/cose-g7/index.html
Sito web istituzionale del G7 Germania 2022:
The history of G7
https://www.bundesregierung.de/breg-en/service/the-history-of-the-g7-397438