CONTENUTO
Gli anni della formazione illuminista di Francesco Pagano e la scuola giusnaturalistica napoletana
Francesco Mario Pagano nasce l’8 dicembre 1748 a Brienza di Basilicata. Primogenito di una famiglia appartenente al ceto togato, all’età di dieci anni si trasferisce a Napoli, presso uno zio prete, per proseguire gli studi. Nella capitale, la sua formazione viene affidata a personalità illustri, quali il grecista Giovanni Spena e il filosofo Antonio Genovesi.
In questi anni Pagano sviluppa l’amore per la ricerca erudita e per la filosofia del reale, teorizzata dallo stesso Genovesi, il quale abbandonata la ricerca metafisica, si dedica all’insegnamento dell’etica, elevandola al rango di scienza e dell’economia. Concorrono, dunque, alla formazione di Pagano, gli insegnamenti del filosofo illuminista, la cui speranza è riposta negli intellettuali quali depositari del prioritario strumento di civiltà: la cultura, da lui esortati ad attuare riforme istituzionali e politiche finalizzate a un miglioramento economico della società.
Nella Napoli settecentesca, un regolare percorso di studi universitari, non preclude il contemporaneo ricorso all’insegnamento privato, ragione per cui agli studi tecnici e alla pratica del diritto, Pagano affianca l’approfondimento delle suggestioni provenienti dalla tradizione giusnaturalista napoletana. La memoria e l’influenza di Giambattista Vico sono ancora profondamente radicate nella cultura partenopea durante gli anni di formazione di Pagano e l’ammirazione che questi nutre per il filosofo, si evince sin dalla sua prima opera, come rilevato anche da Vincenzo Cuoco nella seconda edizione del suo “Saggio sulla rivoluzione di Napoli del 1799”.
Il “Politicum” e l’esercizio della professione forense
Nel 1768 termina gli studi in giurisprudenza con la stesura della sua prima opera “Politicum universae Romanorum nomothesiae examen“, dedicata all’amico grecista Giuseppe Glinni e al Granduca Pietro Leopoldo di Toscana. Un’esplicita scelta di campo riformista, confermata dalla fiducia riposta nel granduca. Leopoldo di Asburgo-Lorena ha intrapreso, proprio in questi anni, un percorso di innovazioni economiche e politiche, destinato a culminare in una serie di riforme economiche e nella promulgazione di uno nuovo Codice Criminale, chiamato anche Codice Leopoldino, nel 1786, con il quale viene abolita la pena di morte.
Nel “Politicum” Pagano sostiene con forza la necessità di riforme politiche, di un riordinamento legislativo su base razionale e condivide le polemiche contro il disordine e la scarsa applicabilità del diritto romano comune. Egli aspira alla realizzazione di una legislazione attuata da un principe illuminato capace di avviare le riforme partendo innanzitutto dalla creazione di un sistema educativo efficiente. D’altra parte il nesso filosofia-riforme illuminate è presente anche in un’altra importante opera del periodo, il breve saggio “Dei Delitti e delle pene“, scritto dal conte Cesare Beccaria e pubblicato anonimo nel 1764 a Livorno.
Nel 1770 Pagano supera un concorso pubblico e viene nominato lettore di etica presso l’Università di Napoli. Tuttavia, spinto dalla necessità di garantirsi introiti regolari che purtroppo il percorso accademico, governato da rigide dinamiche cetuali ed elitarie, non poteva assicurare, intraprende la carriera forense nel 1775. La giurisprudenza criminale in questi anni è ancora suddivisa in due ambiti ben distinti: gli eruditi, che ne insegnano i fondamenti nel contesto accademico e i pratici, che operano quotidianamente nel foro. Tale ripartizione dei ruoli rispecchia le gerarchie sociali e contribuisce per molti versi a un condizionamento della condotta forense e dell’intero ordine giudiziario.
La resistenza della magistratura napoletana nei confronti dei tentativi di riforma giudiziaria in questo periodo storico spinge Gaetano Filangieri, giurista illuminista e autore di “Scienza della legislazione“, a scrivere le “Riflessioni politiche su l’ultima legge del sovrano che riguarda la riforma della giustizia”, nelle quali ben si delinea la polemica illuminista contro i forensi e l’arcana juris.
In questa cornice si inserisce il tentativo di definire una particolare forma di giurisprudenza filosofica, messo in atto da Pagano, generato dal connubio tra elaborazione teorica e pratica forense e dal marcato desiderio di riforma. Della sua attività come avvocato, restano solo tre allegazioni, documenti nei quali l’avvocato sostiene le ragioni del proprio cliente che anticipano l’arringa difensiva. In esse, Pagano non si limita a motivare la difesa del cliente, ma coglie l’occasione per sostenere la necessità di una riforma delle istituzioni giudiziarie e della revisione del sistema processuale.
L’ingresso di Pagano nella Massoneria e la prima edizione dei “Saggi politici”
Pagano, don Glinni, Filangieri e altri amici riformatori, che in seguito parteciperanno alla congiura del 1794 e alla rivoluzione del 1799, nei primissimi anni ottanta aderiscono tutti a una delle logge inglesi presenti nella capitale. Pagano sarebbe stato introdotto al culto massonico e alla decodificazione dei simboli in esso utilizzati dal suo vecchio insegnante don Glinni. Lo stesso Glinni, con il supporto di Filangieri, convince Pagano a pubblicare i “Saggi politici de’ principii, progressi e decadenza della società” nel 1783.
L’opera viene aspramente criticata dal clero, nonostante avesse già superato il vaglio della censura e Pagano è accusato di empietà. Per questa ragione il secondo volume viene stampato solo due anni dopo, con l’inserimento di alcune note del revisore, al fine di evitare il fraintendimento di alcune espressioni dell’autore. Anche questa pubblicazione suscita una recensione anonima negativa alla quale Pagano risponde con una Lettera apologetica ai revisori nell’intento di difendersi dai suoi nemici che stanno nuovamente muovendo accuse di empietà e irreligione. La difesa viene accolta dai revisori che lo assolvono.
I “Saggi politici” rappresentano un prodotto della cultura illuminista e del clima intellettuale delle logge massoniche partenopee. In quest’opera Pagano sostiene la necessità di studiare la storia e lo sviluppo dello spirito umano, per poter conoscere e comprendere l’uomo, scevro dalle imposizioni dovute al culto, al governo o al contesto storico. Il focus dell’analisi viene posto sul mero spirito, indagabile con il supporto della filosofia, la quale viene riproposta nel riferimento al principio aristotelico, condiviso da Pagano, ovvero l’inalienabilità della parità dei diritti civili, fatta eccezione per l’attività politica, lasciata in appannaggio ai migliori.
Le “Considerazioni sul processo criminale” e la produzione letteraria di Pagano
L’opera che procura a Pagano la fama a livello europeo è “Considerazioni sul processo criminale“, pubblicata nel 1787 con una prefazione-dedica a Luigi Medici, capo della polizia del Regno partenopeo e reggente della Gran Corte della Vicaria. Seguendo l’insegnamento dell’amico Filangieri, Pagano ambisce al perfezionamento del diritto penale, conferendogli un impianto scientifico e quindi postulando i principi sulla cui base costruirlo. Egli ritiene che la riforma del diritto possa essere utile al sovrano illuminato per apportare migliorie al governo e ponga rimedio al disordine e alla crisi che caratterizzano la giustizia penale.
Le leggi che regolamentano l’ambito penale sono intese da Pagano come indice di civiltà di un popolo e riformare, nella sua proposta, non assume un significato innovativo, ma anzi un ripristino del processo accusatorio in auge durante la Repubblica romana. Tale tipologia di processo, a suo avviso, è l’unica che possa assicurare una giusta punizione per i rei e contestualmente garantire la libertà dei cittadini. Nella sua trattazione il focus è posto sulla pena, la cui tempestività e concretezza garantiscono la sicurezza sociale, ma parimenti sulla necessità di tutelare la libertà degli individui attraverso il principio della certezza della prova oltre ogni ragionevole dubbio.
L’odio per la tirannide, l’amore per la libertà e la patria, argomenti già esposti nei “Saggi Politici”, sono ripresi nella sua prima tragedia “Esuli tebani” (1782), dedicata all’amico Filangieri, nella quale l’autore ribadisce l’importanza della legge, quale strumento atto a garantire la felicità pubblica. Il giurista non intende proporre una sovversione violenta dell’ordine costituito, egli reputa infatti illuminato il governo di Maria Carolina e Ferdinando di Borbone e nutre ancora la convinzione che nel Regno la libertà non sia minacciata.
Proprio per tale ragione dedica la seconda e la terza delle sue opere teatrali “Gerbino” e “Agamennone“, entrambe pubblicate nel 1787, alla regina Maria Carolina. Anche nella tragedia “Gerbino” Pagano ripropone alcune delle tematiche già trattate nei “Saggi Politici”, quali la condanna della tortura, il disprezzo per la corruzione e gli intrighi di corte e l’elogio per il principe virtuoso. Nell'”Agamennone”, opera concepita in forma di monodramma lirico con accompagnamento musicale con l’intento di renderla più interessante ai cittadini, Pagano riprende i temi della giustizia e delle fatali conseguenze provocate dalle passioni dei regnanti e dagli intrighi dei cortigiani.
Francesco Mario Pagano e l’influenza francese
Gli eventi della Francia rivoluzionaria sono in questi anni fonte di enorme preoccupazione per i sovrani partenopei e per il clero, che inaugura una campagna contro la filosofia, considerata alla base del movimento rivoluzionario. Con l’intento di non alimentare il clima di tensione in un contesto politico già particolarmente instabile, la corte inizialmente non si mostra apertamente ostile nei confronti delle opere francesi. Ciononostante dopo il 1791 si interrompe in ogni ambiente il moto di riforma e gli scrittori illuministi sono circondati da un alone di sospetto.
Nel 1792, a seguito del mancato riconoscimento del ruolo dell’ambasciatore francese Mackau a Napoli e delle pressioni esercitate dal governo Acton affinché Costantinopoli non accetti l’ambasciatore Sémonville, viene inviata nella capitale una spedizione francese capitanata dall’ammiraglio Latouche-Tréville. Questi riesce a concludere favorevolmente la trattativa condotta con i Borbone e a ripartire per la Francia, ma l’opera di propaganda politica attuata dai francesi inizia a dare i primi riscontri positivi e, con le idee giacobine, si diffondono anche illusioni e speranze.
Nel 1793 nasce a Napoli la prima Società patriottica o Società Giacobina di Napoli, sotto la guida di Carlo Lauberg (già fondatore dell’Accademia di Chimica, circolo a favore della Rivoluzione francese) eletto presidente in attesa che si costituisca il nucleo centrale della società. La medesima, che vanta principalmente un intento educativo, ha vita breve a causa dei dissidi interni tra moderati e rivoluzionari, ma soprattutto per gli arresti di alcuni membri che comportano la fuga dello stesso Lauberg e gli altri capi della Società.
In seguito allo scioglimento del nucleo centrale, la Società venne suddivisa in due fazioni: Romo (Repubblica o morte), formata da repubblicani con a capo Andrea Vitaliano, uomo di origini plebee che teorizza una congiura democratica nella quale il popolo è un attore fondamentale, e Lomo (Libertà o morte), guidata da Rocco Lentini e composta da moderati che bramano la nascita di una monarchia costituzionale.
La congiura del 1794 e il processo
Nel gennaio del 1794 il governo nomina una Giunta d’Inquisizione che procede con i primi arresti, avvenuti in seguito alla delazione di tale Frongillo, a cui il fratello di Vitaliano aveva rivelato parte del piano di Andrea, ovvero assaltare Castel Sant’Elmo e uccidere Caccia, responsabile della Giunta. Il reggente della Vicaria de’ Medici, effettua ulteriori arresti, dopo le confessioni dei congiurati già in custodia, ma la maggior parte degli organizzatori, tra cui Andrea Vitaliano riesce a fuggire. Il decreto del 14 agosto 1794 stabilisce che i congiurati siano processati per “cospirazione e congiura ordita contro la Religione, la Monarchia e lo Stato” e viene richiesta l’applicazione della Lex Iulia maiestatis.
Su sollecitazione dei familiari degli imputati, in seguito a concessione regia, Pagano ottiene la carica di difensore di fiducia nella “Gran causa de’ rei di Stato” che inizia il 16 settembre del 1794. Nella Difesa di Pagano, manoscritto di sessanta pagine di cui resta una sola copia, il giurista procede con una narrazione dei fatti avvenuti tra il 1792 e il 1794, cui fa seguito la richiesta di un’applicazione moderata della Lex Iulia in quanto non è stato commesso delitto, ma rilevata la mera intenzione. Egli si discosta in tal modo da quanto aveva in precedenza sostenuto nei “Principi del Codice penale” (opera pubblicata postuma) e sostiene fermamente la mancanza di prove e la sola presenza di testimonianze estorte con tortura o promesse.
Il processo si conclude il 3 ottobre, con la sentenza di morte per Emmanuele de Deo, Vincenzo Galliani e Vincenzo Vitaliano, che pagano con la vita la fedeltà ai compagni. La sentenza comporta l’allontanamento del ceto intellettuale e dello stesso Pagano dalla monarchia e un inasprimento delle misure adottate dalla Giunta, che nel 1796 arresta Pagano, quale autore dei “Saggi Politici”, testo che sarebbe stato d’ispirazione per i congiurati del 1794 e messo all’Indice sia dall’autorità civile che da quella religiosa.
La fuga a Roma e la rivoluzione napoletana del 1799
Pagano viene rilasciato dopo ventinove mesi con il divieto di proseguire la carriera universitaria e la professione forense, inoltre, non essendo stata provata la sua innocenza, vi è il rischio che egli sia sottoposto a nuove persecuzioni. Come molti altri nella sua condizione, il giurista tenta la fuga nell’agosto del 1798 e cerca protezione a Roma, dove in seguito all’occupazione francese dello Stato Pontificio è stata proclamata la Repubblica. Un’attestazione della sua presenza a Roma, dove gli viene assegnata la cattedra di diritto privato presso il Collegio Romano, è la pubblicazione di un sonetto in cui omaggia la città ospitante sul “Monitore romano”.
L’esercito di Ferdinando IV di Borbone entra a Roma il 27 novembre ponendo così fine all’esperienza della Repubblica Romana e Pagano è nuovamente costretto a fuggire, si trasferisce a Milano e nella Repubblica Cisalpina è costretto a vivere con il sostegno economico degli amici. Frattanto l’avanzata francese prosegue anche nel Regno partenopeo e alla fine del mese di dicembre Ferdinando IV lascia la capitale con la famiglia alla volta della Sicilia. Napoli versa in uno stato di anarchia, il comitato dei patrioti occupa Castel Sant’Elmo e il 21 gennaio 1799 viene destituita la monarchia e proclamata la Repubblica Napoletana.
Il giorno successivo il generale Championnet entra a Napoli e nomina coloro che faranno parte del governo provvisorio, tra i quali figura proprio Mario Pagano, che inoltre presiederà il Comitato Legislativo. Pagano svolge la sua attività spinto da spirito riformatore e il primo provvedimento approvato è l’abolizione dei fedecommessi e dei diritti di primogenitura, garantendo in tal modo l’uguaglianza tra fratelli e la libertà delle proprietà. Il secondo progetto al vaglio della commissione è l’abolizione dei feudi, a seguito di varie modifiche viene deliberata l’abolizione integrale, ma con la concessione di un quarto delle terre feudali ai baroni in libera concessione.
Per informare i cittadini in merito alle riforme legislative e contestualmente insegnare il significato di concetti quali democrazia, libertà e uguaglianza anche a Napoli nasce il giornalismo politico il cui riferimento principale, con due uscite settimanali, è il “Monitore napoletano” diretto da Eleonora Fonseca Pimentel. Su proposta della stessa, la Commissione legislativa presieduta da Pagano, esorta quella esecutiva affinché si pubblichi periodicamente un bollettino scritto sia in italiano che in napoletano, così da poter informare regolarmente anche i cittadini più umili. Con lo stesso scopo vengono istituite le sale d’istruzione, il teatro democratico, le feste civiche e organizzato un sistema scolastico nell’ottica di un’educazione civica e democratica permanente.
Il 1 aprile viene ufficialmente presentato il Disegno della Costituzione della Repubblica Napoletana alla cui stesura partecipa lo stesso Pagano, egli si rifà alla Costituzione francese del 1793 e a quella del ’95, discostandosi da alcuni valori, perché per Pagano, il cui pensiero giuspolitico è fondato sul diritto naturale, i diritti dell’uomo non sono intesi come valore morale, ma la condizione essenziale per l’esistenza del diritto stesso. Inoltre egli divide il potere legislativo in due ambiti distinti: un Senato cui spetta la facoltà di legiferare e una Camera che ha il compito di discutere e approvare le proposte del Senato. Per quando concerne il potere giudiziario, Pagano sostituisce il processo inquisitorio con l’accusatorio, estende la competenza dei giurati anche ai reati minori e abolisce la tortura.
La morte di Francesco Mario Pagano
Nel mese di maggio, però la sopravvivenza della Repubblica è ormai a rischio, in seguito alla partenza dei Francesi, il 5 giugno i cittadini sono invitati ad armarsi per difendere l’esistenza stessa della Repubblica Napoletana: i sovrani borbonici appoggiati dalla flotta inglese e dalle truppe guidate dal cardinale Ruffo stanno riconquistando il Regno.
Dal 19 al 25 giugno le fortezze di Castelnuovo, Castel del Carmine, Castel dell’Ovo, Castel Sant’Elmo, del Palazzo nazionale e di San Martino sono poste sotto assedio e costrette a capitolare, solo a Castel Sant’Elmo la resistenza si protrarrà fino al 12 luglio, mentre i realisti hanno già dato inizio alla repressione. I patrioti che hanno pagato con la vita la loro lotta per la libertà sono 122 e tra questi c’è Mario Pagano, giustiziato il 29 ottobre 1799.
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- Francesco Mario Pagano, Considerazioni sul processo criminale, il Mulino, Bologna, 2010.
- Anna Maria Rao, La Repubblica napoletana del 1799, Newton, Roma, 1999.
- Giulio De Martino, L’illuminismo meridionale. La tradizione filosofica del Regno di Napoli tra ‘600 e ‘700, Liguori, 1995.