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Origini, infanzia, matrimonio di Francesco Crispi
Francesco Crispi nasce a Ribera in provincia di Agrigento, il 4 Ottobre 1818 da una borghese famiglia di commercianti la cui peculiarità era una diretta discendenza ed appartenenza alla minoranza albanese della città, tanto da annoverare tra i propri membri anche maestri di culto della Santa Chiesa Orientale di rito greco. Egli peraltro per tutta la vita avrà un profondo rispetto per cultura di quel popolo e ne osserverà anche alcuni usi e tradizioni non mancando , quando diventerà un importante uomo politico, di appoggiare apertamente le ragioni di Tirana in occasione dei tentativi di secessione dell’Albania dall’impero Ottomano.
Nel 1816,due anni prima della nascita di Francesco, Ferdinando di Borbone riunisce sotto un’unica corona, il Regno delle Due Sicilie, i suoi domini fino ad allora distinti tra “quello al di qua del faro” con capitale Napoli e quello “al di là del faro” con capitale Palermo e pone fine ad una sparuta autonomia della Sicilia. Questo gesto cominciò a far serpeggiare tra il popolo di qualunque estrazione sociale un desiderio di indipendenza che negli anni successivi diventerà lotta aperta nei confronti del sovrano, e proprio dalla Sicilia prenderanno le mosse che determineranno la caduta dei Borboni.
L’infanzia di Francesco Crispi trascorre serena, grazie alle agiate condizioni economiche della propria famiglia ed egli dimostrando da subito un carattere estroverso e curioso, compie i propri studi presso il Seminario Greco Albanese di Agrigento di cui è rettore lo zio paterno Giuseppe. Il primo episodio che dimostra apertamente la sua esuberanza avviene nel 1837 quando, giovanissimo, si unisce in matrimonio, all’insaputa dei genitori, con Rosa D’Angelo da cui ha, nei due anni successivi, due figli ma la famiglia così repentinamente costituita, viene distrutta solo due anni dopo, quando sia la moglie che i bambini muoiono per malattia e questo episodio, come è facile credere, segnerà per sempre l’esistenza di Francesco rendendolo duro e refrattario ad ogni forma di empatia.
La formazione politica e il Risorgimento di Francesco Crispi
Per voltare pagina e ricominciare, Francesco Crispi lascia Agrigento per Palermo dove si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza della locale Università da cui esce laureato nel 1843 e con il prestigioso titolo di studio in tasca raggiunge Napoli per intraprendere la carriera forense. Grazie alla professione raggiunge una certa agiatezza economica e, cosa più importante, conosce personaggi vicini alle idee liberali che formeranno le sue convinzioni politiche negli anni a venire.
Nel 1846,infatti,l’elezione al Soglio Pontificio di Pio IX aveva fatto ben sperare in una svolta più democratica e nei salotti napoletani e di altre città italiane si cominciava ad intravedere un futuro unitario, anche se le difficoltà apparivano ancora enormi. In questo contesto Francesco Crispi conosce Giovanni Raffaele un patriota siciliano ricercato dalla polizia borbonica che gli affida, prima di fuggire a Marsiglia, il delicato compito di fungere da collegamento tra i cospiratori napoletani e quelli palermitani.
Con questo importante ruolo, il 20 Dicembre 1847 raggiunge l’isola e prepara, con altri patrioti tra cui spiccava Rosolino Pilo, i piani per una rivoluzione che avrebbe acceso le polveri il 12 Gennaio successivo, giorno del compleanno di Ferdinando II. Tutto si svolge secondo i piani, e quel giorno i rivoltosi riescono a prendere il controllo della città di Palermo con Crispi in prima linea nella gestione degli eventi e con l’importante responsabilità della gestione delle barricate difensive.
La sommossa ha successo e gli insorti si impadroniscono dell’intera Sicilia proclamando il 25 marzo 1848 il Parlamento Autonomo di cui Crispi diventa deputato per Agrigento. In questo periodo affiorano le sue idee anti monarchiche: la Sicilia deve essere federata alle altre regioni italiane ma non sotto una corona comune, bensì in una forma repubblicana dove ogni realtà geografica mantiene la propria indipendenza politico-amministrativa. Nel frattempo i Borboni si riorganizzano militarmente e agli ordini del generale Filangieri sbarcano sull’isola con l’intento di riconquistarla.
La resistenza militare dei rivoltosi non è efficace anche a causa di contrasti interni tra i suoi capi ed il 15 maggio 1849 venne posta fine allo Stato Siciliano con grande delusione di Francesco Crispi che avrebbe voluto una ben più strenua resistenza. Dopo questi eventi, non rientrando nell’amnistia offerta da Ferdinando II, egli è costretto a rifugiarsi in Piemonte dove vive un periodo di serio disagio economico, non potendo svolgere la sua attività forense e dove ,per vivere, si improvvisa giornalista.
Anche a Torino viene introdotto nei circoli liberali e nel 1853 viene coinvolto in una cospirazione mazziniana in seguito alla quale deve riparare a Malta dove conosce e sposa Rosalia Montmasson, fervente patriota passata alla storia per essere stata l’unica donna a far parte della spedizione dei Mille. L’isola mediterranea non è sufficiente per appagare le ambizioni di Francesco che si reca pertanto a Londra dove vive esule Giuseppe Mazzini da lui ritenuto maestro ispiratore e al quale dichiara di volersi unire nella lotta per l’unità d’Italia
Il soggiorno londinese non ha grande durata e, non appena le circostanze lo permettono, Francesco Crispi rientra nella rete clandestina ed in incognito fa ritorno in Italia dove comincia ad elaborare il proprio sogno di liberare la sua Sicilia attraverso una vera e propria spedizione militare.
Crispi e la spedizione dei mille
Nel dicembre 1859 Crispi espone queste sue convinzioni ad alcuni politici, essendo ormai in lui maturata l’idea che le rivoluzioni “dal basso” non avrebbero potuto reggere la reazione dei Borboni e la loro forza militare. A questo scopo incontra prima Rattazzi e poi Farini che gli procura un colloquio con lo stesso Cavour, dal quale però riceve un secco rifiuto giustificato dal timore che una liberazione della Sicilia manu militari avrebbe troppo premiato i rivoluzionari mazziniani e compresso a dismisura le ambizioni di Casa Savoia sull’unificazione italiana.
Per nulla intenzionato ad abbandonare il progetto, Crispi decide, su consiglio di Rosolino Pilo, di interpellare sulla fattibilità della missione l’Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi e nel marzo 1860 gli invia due lettere alle quali ottiene però risposte interessate ma non entusiaste. Le cose mutano poche settimane più tardi quando Cavour per ottenere l’annessione al Piemonte della Toscana e dell’Emilia Romagna è costretto a cedere alla Francia la Savoia e Nizza, suscitando le ire di Garibaldi che lo portano ad un repentino suo avvicinamento sia a Mazzini che a Crispi ed alle loro idee anti monarchiche.
I patrioti siciliani, nel tentativo malcelato di convincere Garibaldi, fanno scoppiare tumulti nella città di Palermo ed agli inizi dell’aprile 1860 Francesco Crispi, cui si era unito per l’occasione Nino Bixio, si reca a Torino dove stavolta incontra un euforico Garibaldi con il quale progetta una spedizione che partendo da Genova sbarchi in Sicilia e la liberi dal giogo borbonico. Il 6 maggio 1860 da Quarto parte la piccola flotta che vede Francesco Crispi nel ruolo di indiscusso protagonista.
Fin dallo sbarco a Marsala assume il ruolo di cervello politico dell’iniziativa e forma un governo provvisorio che proclama Giuseppe Garibaldi dittatore e che, grazie ai successi militari, consolida il potere sull’isola e permette alla diarchia Crispi-Garibaldi di governare con un esecutivo che oggi sarebbe definito populista ed autoritario procedendo con l’abolizione degli odiati dazi sul grano, la distribuzione ai braccianti delle terre incolte ma anche con l’introduzione della corte marziale e conseguente pena di morte per i reati più gravi .
Il 27 maggio 1860 i garibaldini si insediano stabilmente a Palermo e Crispi preme per estendere la spedizione verso il continente e liberare Napoli e anche Roma entrando in questo modo in apertissimo contrasto con Cavour che, sempre temendo lo spirito rivoluzionario dei Mille,, invia un proprio uomo, Giuseppe La Farina, a Palermo per cercare di raffreddare gli spiriti bellicosi dell’avvocato agrigentino che però gode dell’incondizionato appoggio dello stesso Garibaldi.
Il disegno di Cavour è chiaro: la Sicilia doveva essere annessa al Regno di Sardegna e le velleità di Crispi per la liberazione di Napoli e Roma potevano attendere. Con un colpo di mano Garibaldi espelle La Farina da Palermo ed il 7 settembre entra a Napoli dove però il suo governo provvisorio, dopo la battaglia del Volturno, vive un momento di difficoltà e per riavvicinarsi a casa Savoia è costretto a destituire Crispi dalla carica di Segretario di Stato. Garibaldi accetta il plebiscito per l’annessione del Regno di Napoli al Piemonte abbandonando Crispi che invece avrebbe voluto un’assemblea parlamentare locale e la prosecuzione della rivoluzione verso Roma.

Francesco Crispi: uomo di punta della sinistra storica italiana
Il 28 Ottobre 1860 il Plebiscito sancisce l’unione del Regno di Napoli al Regno di Sardegna e segna il tramonto delle idee rivoluzionarie di Francesco Crispi che, a differenza di Mazzini, accetta l’idea che l’Italia debba nascere come monarchia sotto Casa Savoia. Intraprende la carriera politica nel neonato Regno d’Italia venendo eletto deputato nel gennaio 1861 al Parlamento di Torino e sedendo sui banchi dell’estrema sinistra da cui si propone di condurre una feroce lotta a Cavour e alle sue idee conservatrici.
A questo proposito è curioso sottolineare che Crispi propose la propria candidatura nel collegio di Palermo, dove non venne però eletto ma a sua insaputa un proprietario terriero lo aveva candidato anche a Castelvetrano dove ottiene il pass per Torino. La nomina al governo di Urbano Rattazzi riapre la “questione romana” che vede Crispi in un primo momento appoggiare l’idea di Garibaldi di tentare un colpo di mano verso la Città Eterna salvo poi sfilarsi quando il governo annuncia che l’impresa era contraria agli interessi nazionali poiché avrebbe determinato una pericolosa reazione francese.
Il dibattito politico acceso in quei mesi acuisce le divergenze tra i repubblicani e Crispi ,portando quest’ultimo sempre più vicino alle idee monarchiche, fino a fargli pronunciare alla Camera il famoso discorso “ la Monarchia ci unisce, la Repubblica ci dividerebbe” del 10 Novembre 1864 cui rispose Mazzini accusandolo di tradimento ed opportunismo. A Torino Crispi diventa, grazie alla sua professione, un uomo ricco e politicamente la sua posizione abbandona sempre più la sinistra estrema per avvicinarsi all’area governativa e riformista ed in politica estera simpatizza per la Prussia allontanandosi sempre più da Napoleone III e dalla Francia che è ormai vista come l’ultimo ostacolo per la liberazione di Roma e la sua annessione al Regno d’Italia.
Tutto cambia dopo la sconfitta di Sedan del 1870 che vede il tramonto definitivo della stella dell’imperatore francese ed il conseguente via libera ai disegni italiani: il 20 Settembre 1870 con la Breccia di Porta Pia viene abbattuto lo Stato Pontificio e l’unità d’Italia può dirsi completata. Sono di quegli anni alcuni problemi personali di Crispi: difficoltà economiche dovute a speculazioni sbagliate e una crisi matrimoniale lo rendono assente dall’attività politica importante nonostante la sua rielezione al Parlamento che nel frattempo si è spostato a Roma. Ottiene una sorta di divorzio ante litteram da Rosa Montmasson che accetta di disconoscere il matrimonio maltese in cambio di un assegno di mantenimento, e sposa Lina Barbagallo dalla quale nel 1871 ha un figlio, Luigi e nel 1873 una figlia, Marianna cui rimane particolarmente legato per tutta la vita.
Crispi uomo di governo: da ministro a Presidente del Consiglio
La sua elezione a Presidente della Camera gli spalanca le porte per la ribalta politica e viene chiamato da Agostino Depretis nella compagine del suo secondo governo come Ministro degli Interni diventando protagonista del dibattito acceso in occasione della morte di re Vittorio Emanuele II. Casa Savoia preme per tumulare il Re Galantuomo nella Basilica di Superga e per appellare il nuovo re Umberto con il numerario quarto , continuando la tradizione della Famiglia Reale, Francesco Crispi vince le non poche resistenze torinesi e della corte ed ottiene la sepoltura al Pantheon e la nomina di Umberto come Umberto I, sancendo in questo modo il distacco netto tra il tramontato Regno di Sardegna ed in neonato Regno d’Italia, ma soprattutto rende Roma a tutti gli effetti Capitale e Casa Savoia affrancata per sempre dalle sue tradizioni subalpine, riconoscendo al Risorgimento l’unificazione italiana sottraendola all’esclusiva paternità del Piemonte.
L’onore si sa porta nemici e Francesco Crispi non si sottrae alla regola. Nel 1878 dopo avere sposato Lina Barbagallo in seconde nozze viene accusato di bigamia per essere ancora per la legge dei tempi unito in matrimonio con Rosa Montmasson. Riesce ad evitare il carcere, ma lo scandalo lo costringe a dimettersi dal Governo, iniziando un altro periodo di oblio politico da cui cerca di uscire lavorando alla creazione di un’opposizione forte a sinistra contro il trasformismo di Depretis che adesso è visto come la forza da abbattere e non più come l’alleato riformatore da sostenere.
Insieme a Cairoli, Zanardelli, Nicotera e Baccarini fonda il movimento politico della pentarchia che aveva lo scopo di frapporsi alla logica politica del trasformismo di Depretis e Rattazzi ,leader rispettivamente della sinistra e della destra che nel tentativo di frenare gli estremismi avevano deciso di collaborare sui temi più importanti di politica estera ed interna. Nel 1887 Depretis muore, e contro ogni previsione Umberto I nomina Crispi Presidente del Consiglio, confidando forse che il suo spirito decisionista potesse risolvere alcuni gravi problemi che affliggevano il Regno.
Le riforme di Francesco Crispi: modernizzazione e colonialismo
In effetti il nuovo governo mette da subito in cantiere importanti provvedimenti il più eclatanti dei quali sono senz’altro il nuovo codice penale con l’abolizione della pena di morte e l’allargamento della base democratica con l’eleggibilità diretta dei sindaci fino ad allora di nomina prefettizia. Di contralto l’aumento delle spese militari dovute ad una politica estera marcatamente anti francese e una congiuntura internazionale sfavorevole determinano una crisi economica che il Governo non appare in grado di fronteggiare, determinandone il 28 febbraio 1889 la caduta.
La lezione politica serve a Crispi per capire che se vuole governare deve allargare la base parlamentare e, ottenuto dal Re il reincarico, forma un esecutivo a più grande consenso chiamando tra gli altri un giovane Giovanni Giolitti al Ministero delle Finanze con il difficile compito di mediare tra le esigenze di espansione della spesa statale e le casse erariali in sofferenza. In politica interna conferma le sue spiccate idee anticlericali arrivando a far erigere a Roma in Campo dè Fiori una statua di Giordano Bruno provocatoriamente orientata verso il Vaticano.
Ma ciò che distingue i governi guidati da Francesco Crispi è la spinta colonialista che viene intrapresa dall’Italia in quegli anni dove, approfittando di una debolezza dei potentati locali, l’esercito italiano conquista Asmara e l’Eritrea divenne il primo territorio oltremare del Regno italiano, qualche mese dopo Crispi ottenne dai potentati locali un Protettorato su territori somali, costituendo di fatto la Somalia Italiana dove, pur non avendo formalmente il possesso politico, l’Italia esercita di fatto il potere economico ed amministrativo.
Questi successi determinano una spinta nazionalista interna notevole, tanto che anche autorevoli voci anti colonialiste quali Giosuè Carducci e Giovanni Giolitti, plaudono ali successi militari e diplomatici dello statista siciliano. Sull’onda della popolarità ottenuta Francesco Crispi mira a migliorare il tenore di vita degli italiani e a seguito dell’epidemia di colera del 1884 istituisce il Servizio di Sanità Pubblica, con la creazione del Medico Provinciale e l’importante principio secondo cui lo Stato era responsabile della salute dei propri cittadini.
Accanto a questa venne varata una legge in base alla quale a livello locale venivano istituite le Congregazioni di Carità dove a spese pubbliche dovevano essere assistiti i bisognosi e coloro che non potevano sostenersi con i propri mezzi fisici. Le varie istanze dovevano essere vagliate da apposite commissioni da cui dovevano essere esplicitamente esclusi i parroci e le altre autorità religiose , regola che svegliò le ire di papa Leone XIII che la bollò come “blasfema e antireligiosa.”
Il successo politico di Crispi è al culmine e viene premiato nel 1890 con un successo elettorale enorme ma che ben presto viene offuscato da nubi minacciose sia sul fronte estero che su quello interno. L’Etiopia denuncia l’Italia di ingerenza nella sua politica estera sottraendosi dal suo status di protettorato accusando Crispi di avere ingannato e fuorviato i termini degli accordi quasi in modo fraudolento, determinando uno scandalo internazionale e convincendo lo stesso Giolitti a rassegnare le dimissioni non riconoscendosi nei metodi messi in campo dal Presidente del Consiglio.

Sul fronte interno il governo cerca di mettere ordine nei conti pubblici attraverso tassazioni che colpiscono i redditi più alti determinando malcontento tra i potentati che fino ad allora erano stati tra i più fedeli alleati del Primo Ministro e quando il nuovo ministro delle Finanze dichiarò alla Camera che il disavanzo era superiore del previsto e che quindi erano necessarie misure straordinarie l’esecutivo non ottiene la fiducia necessaria per il prosieguo dell’iniziativa e Crispi deve rassegnare le proprie dimissioni il 31 Gennaio 1891. La stella politica di Crispi appariva nuovamente offuscata e nel panorama politico italiano sorge la figura di Giovanni Giolitti destinato negli anni successivi a guidare le sorti del Regno d’Italia.
Dopo un effimero tentativo di Di Rudini, infatti, Umberto I affida allo statista piemontese l’incarico di Primo Ministro il cui esecutivo non conta però su una solida compagine ed è travolto, nel dicembre 1892, dallo scandalo della Banca Romana, un enorme crac finanziario che arriva a coinvolgere persino la Casa Reale e determina ,oltre alla caduta di Giolitti, anche una enorme crisi istituzionale nel Regno che però non coinvolge lo statista siciliano ma che anzi gli permette un clamoroso ritorno al potere grazie proprio alla sua sostanziale estraneità dai fatti determinati dal fallimento dell’istituto di credito romano.
Crispi il reazionario e colonialista
Nel novembre 1893 Francesco Crispi e’ nuovamente Primo Ministro e deve subito affrontare la presa di coscienza dei proletari che fondano il Partito dei Lavoratori Italiani la cui combattività e’ particolarmente alta in Sicilia dove la presenza dei Fasci Siciliani rende incandescente la situazione tanto da far imporre al governo lo stato d’assedio con la creazione di Tribunali Militari e la limitazione della libertà di stampa..
Queste decisioni trovano molti consensi nel paese e rafforzano la posizione di Crispi, da molti considerato l’uomo giusto per fronteggiare il difficile momento. I suoi successi in tema di ordine pubblico, tuttavia, non sono sufficienti per arginare le proteste dei proprietari terrieri che si sentono minacciati dalle nuove tasse che il ministro delle Finanze Sonnino intende varare per mettere ordine nei conti pubblici e il terzo governo Crispi rassegna le dimissioni il 4 giugno 1894 salvo risorgere dalle proprie ceneri in quanto il Re non trova alternative a Crispi che vara nello stesso mese il suo quarto governo sacrificando sull’altare del compromesso la tanto odiata tassa sui terreni.
Due giorni dopo il giuramento del suo esecutivo Francesco Crispi è vittima di un attentato da parte del giovane anarchico Paolo Lega, da cui esce miracolosamente illeso. ma che giustifica un notevole inasprimento della lotta dello stato contro le frange anarchiche con l’inasprimento delle pene detentive per i reati contro l’ordine pubblico e l’introduzione del domicilio coatto per i sospettati di sovversione.
La posizione coloniale italiana, nel frattempo continua a destare preoccupazioni perché nonostante un notevole sforzo finanziario, i risultati militari e diplomatici non sembrano soddisfacenti e nel dicembre 1895 un contingente italiano viene attaccato e sconfitto duramente sull’Amba Alagi in Etiopia. Il campanello d’allarme anziché indurre a miti consigli Crispi ne esalta lo spirito di rivalsa e ottenuto dalla Camera un cospicuo rifinanziamento per potenziare le forze dell’esercito ordina di continuare “ a tutti i costi” la guerra d’Africa determinando così la catastrofica sconfitta di Adua del 1 Marzo 1896.
Le dimissioni e la morte di Francesco Crispi
I disordini che si verificano in Italia all’arrivo della notizia determinano le dimissioni del governo che vengono accettate dal Re il 4 Marzo 1896 e sanciscono il definitivo tramonto della stella politica di Francesco Crispi che peraltro negli anni a venire non si sentirà mai responsabile della disfatta nonostante da piu’ parti lo si accusi di avere condotto una guerra personale i cui interessi nazionali non erano cosi’ tanto dimostrati.
E’ ormai un uomo anziano con problemi economici dovuti ad una mai attenta accuratezza nelle gestione delle proprie risorse tanto da dover accettare un vitalizio da parte della Corona “ per i servigi svolti “e con notevoli deficienze fisiche soprattutto nella vista e nella deambulazione. Si ritira a vita privata a Napoli e la sua ultima apparizione pubblica avviene a Roma il 9 Agosto 1900 in occasione dei funerali di Umberto I. Nel luglio del 1901 viene colto da un attacco cardiaco da cui non riesce a riprendersi e l 11 agosto 1901 muore a 82 anni e per sua volontà il corpo viene mummificato da Alberto Salafia e particolare curioso per un uomo che si era sempre professato ateo e anticlericale, viene sepolto a Palermo nella chiesa di San Domenico in una cripta alla destra dell’Altare Maggiore.

Crispi amato dal fascismo
Francesco Crispi è stato sicuramente per Benito Mussolini se non un ispiratore almeno un esempio da cui trarre continuità. Nell’ottobre 1927 il Duce fa affiggere ad Enna una targa che inneggia alle doti dello statista agrigentino e nei discorsi che riguardavano la fame coloniale del fascismo un riferimento alla vendetta della sconfitta di Adua era puntuale. Nei caratteri si coglie una certa affinità tra Crispi e Mussolini: ambedue decisionisti, ambedue disposti ad aggirare le regole per ottenere un risultato ma sicuramente Crispi non sarebbe mai stato disposto a spingersi oltre come invece fece il Duce.
Lo stesso Antonio Gramsci definisce Crispi il “precursore del fascismo” a causa del suo bellicismo ed autoritarismo e questa patente di antidemocraticità lo ha bollato come tale per gran parte del Novecento. Solo recentemente si può rivedere questo giudizio rivalutando quanto di buono egli ha fatto nell’Italia post unitaria a cominciare dalla riforma del codice penale e soprattutto con l’istituzione del primo servizio sanitario nazionale i cui principi e i cui obiettivi sono le basi di quello ancora oggi in vigore.
A differenza di Giolitti egli non era diplomatico, calcolatore e utilitarista ma diretto e a volte troppo irruente ed ingenuo, ma sicuramente aveva un alto senso dello stato come dimostra la sua estraneità agli arricchimenti personali a seguito dello scandalo della Banca Romana che invece coinvolsero Giolitti e lo stesso Umberto I.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Michele Graziosetto, Francesco Crispi, Rubettino, 2011.
- Sara Trovalusci, L’ultimo titano del Risorgimento, Viella, 2023.
- Fernando Jacopini, Storia di Francesco Crispi, Youcanprint, 2021.