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Una premessa: il concetto di Giustizia nell’Italia della giovane Franca. Il diritto d’onore
Un tempo, in Italia, se una donna tradiva suo marito poteva essere uccisa perché il delitto d’onore era previsto dalla Legge. Se qualcuno vorrà chiederci in che epoca storica collocheremmo una legge del genere, probabilmente risponderemmo facendo riferimento al Medioevo o, al massimo, alla primissima modernità. Sia le cronache che la letteratura dell’epoca, in effetti, sono costellate di nomi di donne brutalmente assassinate perché adultere.
Prendiamo il Canto V dell’Inferno, ad esempio. Tutti almeno una volta nella vita lo hanno letto, o perlomeno hanno sentito parlare di Francesca da Rimini, la giovane che insieme al suo amante Paolo viene uccisa da Gianciotto Malatesta – marito di lei e fratello di lui – perché colta nell’atto di commettere adulterio. La cosa interessante, però, è che nonostante siano stati loro a essere uccisi Dante Alighieri li colloca nell’Inferno, nel cerchio dei lussuriosi.
Dal modo in cui ce ne parla, tuttavia, avvertiamo una partecipazione emotiva che in poche altre occasioni si coglie, almeno per quanto riguarda l’Inferno.
Francesca, i tuoi martìri / a lagrimar mi fanno triste e pio
dice il nostro Poeta, che più avanti, nella parte conclusiva del Canto aggiunge:
sì che di pietade / io venni men così com’io morisse. / E caddi come corpo morto cade[1].
Quindi, Dante è emotivamente coinvolto, prova pietà, piange e addirittura sviene. Eppure, per quanto possa sentirsi “confuso di trestizia”, sa bene che è proprio quello il posto in cui quei due devono stare. È un errore considerare ingiusta la morte di Francesca e del suo amante, un errore in cui un po’ tutti inciampiamo. Quando l’Inferno viene composto siamo più o meno nel 1304, in pieno Medioevo, e lì è così che funziona. I fatti delle epoche lontane dalla nostra devono necessariamente essere giudicati con gli occhi del tempo, non con quelli di oggi. Questo è il primo passo necessario per chi si approccia alla Storia (Marc Bloch docet!). Quelli sono altri tempi, e per quei tempi Gianciotto ha fatto bene a vendicarsi.
In realtà, la legge sul diritto d’onore è qualcosa che ci riguarda più da vicino, da molto vicino, dato che è stata abroga soltanto nel 1981, il 5 agosto. Nemmeno quarantaquattro anni fa le nostre madri, le nostre nonne o bisnonne correvano il rischio di essere uccise se si innamoravano di qualcun altro, una cosa che – ora possiamo dirlo perché temporalmente più vicina a noi – fa rabbrividire.
Nel testo originale del Codice penale Rocco (1930), e nello specifico nell’articolo 587, si stabilisce che «Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni».
Fino al 1981 inoltrato, dunque, se una donna viene sorpresa in una relazione carnale illegittima, la legge prevede che il marito, il padre o il fratello possa ucciderla, con la certezza che – nella peggiore delle ipotesi – sconterà solo dai tre ai sette anni di carcere. Una punizione irrisoria rispetto ad altre forme di omicidio, punite con pene molto più severe. Perché si possa parlare di delitto d’onore, però, è necessario che l’omicida dimostri di essere stato colto da un raptus improvviso, da una follia omicida. Solo in questo caso lo Stato gli concede uno sconto di pena.

Il matrimonio riparatore
Ma la legge sul diritto d’onore non è l’unico residuo medievale nell’Italia del tempo. Nel Codice Rocco del 1930 compare anche un altro articolo destinato a suscitare indignazione nei decenni successivi: il 544, quello relativo al matrimonio riparatore. Tale articolo stabilisce che «per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530 (reato di stupro), il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali».
In altre parole, l’articolo 544 prevede che il reato di stupro venga cancellato se il colpevole accetta di sposare la vittima.
In quel periodo, la violenza sessuale non è considerata un crimine contro la persona che la subisce, ma contro la morale, contro il buon costume sociale. La donna, dunque, non solo può subire violenza, ma rischia anche di essere costretta a sposare il suo aggressore se vuole salvare la propria reputazione, macchiata dall’aver avuto un rapporto sessuale fuori dal matrimonio – anche se non era consenziente.
Per capire il senso di questa norma, bisogna guardare alla società italiana del tempo, in particolare al sud, dove le tradizioni feudali sono ancora forti. A differenza dell’Italia del nord, infatti, quella meridionale è tendenzialmente conservatrice (basti ricordare che, quando il 2 giugno 1946 viene indetto il Referendum per decidere tra Monarchia e Repubblica, il sud vota quasi interamente per la prima). Il conservatorismo, però, non si riflette solo nelle scelte politiche, ma anche in un altro elemento: quello religioso.
Nella seconda metà del ‘900, la Chiesa mantiene un forte potere e si presenta come un’istituzione in grado di influenzare – attraverso le omelie – i fedeli. Se si considera che le omelie si fondano sulla Bibbia, e che la Bibbia è per molti una guida a cui ispirarsi per vivere una vita cristiana perfetta, allora si capisce perché nel sud dell’epoca il matrimonio riparatore è una pratica accettata e consolidata.
Nella Bibbia, infatti, c’è scritto che l’uomo che ha violato la donna è tenuto a sposarla poiché l’ha sverginata ed è tenuto pure a risarcire suo padre con cinquanta sicli d’argento. In un sud molto religioso come quello di quegli anni, questo verso del Deuteronomio (22:28-29) viene preso alla lettera, in particolar modo dalle donne, che vogliono evitare di essere additate come delle prostitute, termine riservato anche a coloro che hanno fatto sesso fuori dal matrimonio. Quindi, in caso di stupro, piuttosto che dare scandalo, le donne sono disposte a sposare il loro stupratore.
Franca Viola, cenni biografici
Franca Viola nasce il 9 gennaio 1947 ad Alcamo, in Sicilia, da una modestissima famiglia. Bernardo e Vita, sono infatti coltivatori diretti, come la stragrande maggioranza dei siciliani. All’età di 15 anni si fidanza con Filippo Melodia, un giovane molto ricco perché nipote di uno dei più noti mafiosi del trapanese.
Franca, in realtà, non ne è innamorata (ama un altro uomo, Giuseppe Ruisi) ma decide di assecondare la volontà di suo padre: non può fare altrimenti, d’altronde all’epoca i genitori hanno tutto il diritto di decidere cosa è meglio per i figli e cosa non lo è, e suo padre Bernardo ha deciso che è Filippo l’uomo giusto.
Le cose cambiano quando il Melodia viene accusato di furto e di associazione a delinquere. È allora che Berardo cambia idea e decide di interrompere il fidanzamento. La situazione sembra essere tranquilla, almeno fino a quando Melodia – che nel frattempo era emigrato in Germania e aveva scontato un breve periodo di carcerazione- torna in Italia per reclamare quello che gli apparteneva, ovvero Franca.
“Un patto è un patto”, deve aver pensato, e l’idea che Bernardo sia venuto meno alla parola data proprio non riesce a sopporla. Così comincia ripetutamente a minacciare l’uomo, dapprima attuando quello che è un po’ il modus operandi mafioso: vigneti dati alle fiamme, dispetti di ogni genere, per poi farsi sempre più pericoloso, arrivando a minacciarlo addirittura con una pistola:
Chista è chidda che scaccerà la testa a vossia
che tradotto sarebbe «questa (la pistola) è quella che vi farà saltare la testa».
Il rapimento di Franca Viola e la richiesta di paciata
Quando Melodia si rende conto che Bernardo Viola non ha nessuna intenzione di cedere nemmeno davanti a una pistola, decide di agire di strategia. Il 26 dicembre 1965, con dodici amici, si presenta a casa Viola e la distrugge completamente. Non solo: dopo aver picchiato la signora Vita, rapisce Franca e il fratellino di otto anni, Mariano, che verrà poi riconsegnato poco dopo ai familiari.
In un primo momento Franca viene portata in un casolare abbandonato dove – come lei stessa racconta – le è proibito perfino di bere e di mangiare, poi viene trasferita a casa della sorella di Filippo. Durante la sua prigionia nel casolare, Melodia la vessa ripetutamente, prima con le botte, quindi con calci e pugni, e poi passa alla violenza carnale. Franca viene violata della sua verginità e del suo onore. Un doppio dolore.
Il giorno dopo lo stupro, a Capodanno, la famiglia Melodia contatta i Viola per proporre loro la paciata. In dialetto siciliano, il termine indica una sorta di accordo tra le parti. In questo caso specifico, la famiglia Melodia, dopo aver messo al corrente i coniugi Viola del fatto che Franca non è più vergine, offre come soluzione quella del matrimonio riparatore: se vuole, Franca può sposare Filippo e evitare, così, di essere sulla bocca di tutti.
Bernardo e Vita, su consiglio della polizia, accettano la soluzione proposta e così, il giorno successivo (quindi il 2 gennaio) i poliziotti irrompono nell’abitazione della sorella di Filippo e lo arrestano insieme ai suoi complici, ma prima liberano Franca, che dopo otto lunghissimi giorni riabbraccia la sua famiglia.
Il primo no della Storia italiana e il processo a Melodia
Quando Filippo e i suoi scagnozzi vengono arrestati con l’accusa di rapimento appaiono abbastanza tranquilli perché sono convinti che i Viola faranno cadere tutte le accuse, dato che hanno dato la loro benedizione al matrimonio. Sbagliano: una volta che Filippo è in carcere Franca rifiuta il matrimonio e – sostenuta dalla sua famiglia – decide di portare avanti la denuncia contro il suo stupratore. È la prima volta nella Storia di Italia che una donna antepone la Giustizia all’Onore.
Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce.
Mia figlia Franca non sposerà mai l’uomo che l’ha rapita e disonorata
Con queste parole coraggiose – diventate ormai iconiche – Franca Viola e papà Bernardo rendono la loro posizione decifrabile. Il rifiuto di cedere alle leggi culturali apre dunque le strade a un lungo processo, che comincerà a Trapani (9-14 dicembre 1966) e si concluderà a Palermo con l’appello (28 giugno- 1° luglio 1967).
I capi di accusa per Melodia sono diciassette e tra questi il pubblico ministero chiede che venga riconosciuto anche quello di ratto a fine di libidine. Se così fosse, Melodia rischierebbe ventidue anni di carcere. Un conto è infatti la cosiddetta fuitina, che è consensuale, un altro conto è rapire qualcuno contro la sua volontà.
In effetti, è proprio su questo che la difesa batte. La strategia dell’accusa è quella di far passare la ragazza come una che prima ci è stata e poi si è tirata indietro, rendere quindi l’atto sessuale un atto consensuale. Silvano Villani, che insieme a Indro Montanelli viene mandato in Sicilia dal «Corriere della Sera» in qualità di inviato, riporta le parole dell’accusa, secondo la quale:
Filippo avrà anche rapito Franca però è quasi sicuro che Franca ci stava. Anzi è probabile che abbia avuto rapporti ben prima. Se Franca ha poi buttato il candido velo da sposa, se ha rifiutato di sposarlo… peggio per lei: che colpa ha Filippo?[2]
Durante il processo Melodia si palesano due Italie: una schierata con Franca, l’altra contro di lei. È il riflesso di un Paese spezzato, diviso da due culture totalmente opposte, è una disputa tra la modernità, incarnata dal Nord, e la tradizione, incarnata da quel Sud focalizzato sulla Bibbia, su quelle usanze che l’accusa definisce retrograde e medievali perché vedono nel rapimento, nel ratto, l’unico strumento che la donna ha a disposizione per potersi riscattare e sfuggire alle male lingue.
«Prima di modificare l’articolo 544», pronuncia la difesa, «bisogna modificare i costumi».
L’arringa difensiva ha una sua logica, ma non basta: Filippo Melodia viene condannato a undici anni di carcere, una pena irrisoria ma nient’affatto ovvia, visti i presupposti e visto – soprattutto – che non si è mai verificato un processo su un fatto del genere. Melodia viene accusato di violenza sessuale, di lesioni, di minacce e di ratto, ma a scopo di matrimonio: quindi cade il fattore libidinoso che gli avrebbe garantito il doppio degli anni.
Il lascito di Franca Viola
Non abbiamo nessuna qualifica per lanciare la proposta. Ma secondo noi sarebbe bello che a processo concluso – se si concluderà come tutti auspichiamo – questa ragazza e suo padre ricevessero un attestato del loro coraggio morale e civile
Queste parole pronunciate il 14 dicembre del 1966 da Indro Montanelli su un editoriale del «Corriere» intitolato ‘La ragazza di Alcamo’ sembrano premonitrici di quello che accadrà molto tempo dopo. Nel 2014, nel giorno della Festa della Donna, l’allora presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano consegna a Franca Viola l’onorificenza di “Grande Ufficiale al merito della Repubblica Italiana. La motivazione è chiara e non lascia nessuno spazio all’immaginazione: “Per il coraggioso gesto di rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale nella storia della emancipazione delle donne del nostro Paese”.
Il rifiuto di Franca, il suo coraggio, la sua battaglia, sono serviti da esempio per moltissime ragazze del sud, che grazie a lei sono riuscite a dire no ai loro aguzzini, a rifiutare un concetto di cultura tutta incentrata sul machismo, sul patriarcato, sull’oggettificazione della donna.
Quei no sono aumentati anno dopo anno e poi giorno dopo giorno, fino a rendere necessaria l’abrogazione della Legge, mentre una nuova Legge sullo stupro, che lo porterà a essere considerato un reato non più contro la morale ma – questa volta – contro la persona arriverà ancora più tardi, nel 1996.
Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi donna: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori.
Con queste parole, pronunciate proprio durante la consegna dell’onorificenza, Franca Viola ha voluto incoraggiare le donne a non soccombere, a denunciare . Molte, come detto, ci sono riuscite, molte altre ancora no.
Franca Viola oggi
Oggi Franca è madre e nonna. Vive ancora ad Alcamo ed è sposata dal 1968 con Giuseppe Ruisi, l’uomo che ha sempre amato, sin da bambina, e al quale – oltre che a papà Bernardo – ha voluto dedicare il premio ricevuto nel 2014.
Voglio dedicare questo premio a mio padre, che mi ha sostenuta, e a mio marito, che mi ha sposata pur sapendo che era in pericolo di vita.
Con queste parole ha voluto dimostrare tutta la sua riconoscenza al padre, non più in vita, e a suo marito Giuseppe, che l’ha scelta come compagna di vita, scelta per niente scontata. Dai dibattiti dell’epoca, infatti, si capisce che non tutti sarebbero stati disposti a sposare una donna che ha perduto la sua verginità fuori dal matrimonio.
In una puntata di Giovani, andata in onda il 5 gennaio 1967[3] un’assemblea di alcuni ragazzi di Alcamo discorre animatamente sul caso Viola, interrogandosi se sia giusto o meno sposare una donna che ha perso la verginità con un altro uomo. Chiudere con la tradizione vorrebbe dire rispondere positivamente a questa domanda, e non tutti si mostrano d’accordo.
Anche Giuseppe ha rotto tutti gli schemi dell’epoca, decidendo di sposare una donna che per molti meritava di restare zitella a vita, mettendo a rischio la sua vita, minacciata dall’ombra di Filippo Melodia che – ricordiamolo – era un mafioso. Non ho tenuto conto dei giudizi. Più che badare alla verginità di corpo ho badato alla purezza di sentimenti. Non temo l’ambiente sociale.
Così ha dichiarato in un’intervista registrata pochi mesi dopo il matrimonio con Franca. Giuseppe ha trovato il coraggio di dire no a coloro che avrebbero voluto isolarla, guardarla sottocchio, deriderla e mal giudicarla, ha avuto il coraggio di sfidare la mafia e di non temere la lupara.
Opere cinematografiche consigliate
- Primadonna, di Marta Savina, 2022
Note:
[1] D. Alighieri, Inferno, Canto V, vv 116-117; 140-142. [2] Sono le parole riportate dall’inviato del Corriere della Sera Silvano Villani. Villani, insieme a Montanelli, seguì il processo Melodia con moltissima attenzione, riportando sul giornale le parole dell’accusa e della difesa, in modo che gli italiani potessero farsi un’idea più precisa. Il virgolettato è tratto da un articolo del Corriere (https://archivio.corriere.it/Archivio/i-percorsi/franca-viola-nozze-riparatrici-codice-donne-122016.shtml). [3]Dibattito presente sul sito https://www.raiplay.it/video/2023/11/Franca-Viola-il-primo-No—Il-caso-Viola-ae548345-9bac-4d0d-b101-67ea05a0a0f7.html.Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Katja Centomo, Franca Viola. La ragazza che disse no, Enaudi, marzo 2018.