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Fra Dolcino nelle fonti e nella storiografia
Un concorso importante a questa notorietà deriva inoltre dal fatto che Dolcino è stato immortalato dal sommo poeta Dante Alighieri nel canto 28 dell’Inferno:
“Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve.” (vv.55-60)
Dante destina Dolcino alla bolgia dei seminatori di discordie e degli scismatici; tuttavia poiché l’azione della Commedia è ambientata nel 1300, quando egli era ancora vivo, Dante non lo incontra durante la sua visita all’Inferno, ma è Maometto, che si trova in quella stessa bolgia, a preannunciargli il suo arrivo.
Si tratta di una delle numerose “profezie” che l’autore fiorentino inserì nel poema per poter citare personaggi ancora viventi nel 1300 o eventi posteriori a tale data (ma già avvenuti, ovviamente, nel momento in cui egli scriveva).
Anche nel caso di Dolcino, come avviene per quasi tutti i movimenti ereticali, non ci sono pervenuti scritti originali e il suo pensiero ci è giunto solo attraverso le tracce lasciate dai suoi avversari, infatti la sua fu una condanna senza appello in tutte le cronache coeve, dall’Historia fratris Dulcini heresiarche, scritta dal cosiddetto Anonimo sincrono, che racconta i fatti svoltisi tra il 1304 e il 1307, ai resoconti di Giovanni Villani e Benvenuto da Imola.
Altre preziose fonti sono ovviamente gli atti inquisitori dei processi svoltisi a Bologna fra il 1291 e il 1310 e il De secta dell’inquisitore domenicano Bernardo Gui (altro protagonista del romanzo di Eco). La connotazione negativa dell’immagine dolciniana contraddistinse la storiografia fino a tutto il secolo XVIII, una storiografia che faticava a distinguere la realtà storica dal mito.
Una dimensione quella del mito, fortemente presente soprattutto nella storiografia marxista che vide in Dolcino un antesignano delle idee socialiste e un prototipo di rivoluzionari, presentando erroneamente il movimento dolciniano con termini come «lotta contadina» e «ideologia di classe». Oggi la storiografia tende a privilegiare nell’esperienza dolciniana il pensiero religioso, inserendolo all’interno del filone escatologico-apocalittico.
Il pensiero eretico di Fra Dolcino e l’eresia dolciniana
Chi fu dunque Dolcino e quali furono le sue principali linee di pensiero? Si ipotizza che nacque intorno al 1260 a Prato Sesia (Novara) e che nel 1291 entrò tra le fila del movimento pauperistico degli Apostolici. Pochissimo sappiamo di questo personaggio precedentemente alla morte di Gerardo Segarelli (capo del movimento degli Apostolici) avvenuta nel 1300, anno in cui Bernardo Gui fa risalire la prima di tre lettere indirizzate da Dolcino «a tutti i cristiani in generale, e in particolare ai suoi seguaci».
In questa lettera Dolcino si proclamava capo degli Apostolici, costretti a vivere in clandestinità dalla necessità di sottrarsi alle persecuzioni della Chiesa di Roma, da loro vista come opulenta e corrotta. Dolcino a differenza di Segarelli, fu un uomo di una certa cultura, con una buona conoscenza del latino e delle Scritture; costruì, partendo dalle intuizioni della precedente guida degli apostolici, una dottrina di stampo gioachimita (ispirata cioè all’escatologia dell’abate e predicatore Gioacchino da Fiore), una dottrina innovativa che non esprimeva semplicemente un disagio esistenziale ma un vero e proprio insegnamento articolato.
Dolcino contrappose il suo modello di Chiesa perfetta a quello decadente della Chiesa romana, promuovendo una totale conformità di vita col Cristo e una radicale attuazione del messaggio evangelico. In base a quanto riportato da Bernardo Gui nel De secta, egli suppose per la storia della Chiesa una periodizzazione quadripartita, ovvero quattro stati di santità: il primo caratterizzato dalla perfezione dei padri dell’antico Testamento che vide, verso la fine, l’allontanamento dallo stato spirituale positivo dei progenitori; il secondo fondato sulla castità e sulla povertà, ed ebbe inizio con la venuta di Cristo e dei suoi apostoli; il terzo cominciò con papa Silvestro al tempo dell’imperatore Costantino, quando la Chiesa iniziò a possedere beni propri. Da quel momento diversi uomini richiamarono la Chiesa al rispetto della sua scelta di povertà (San Benedetto, San Francesco e San Domenico) ma con scarsi risultati.
Il quarto stato, destinato a durare fino alla fine del mondo, ebbe inizio con Gerardo Segarelli, quando, nel momento di maggiore crisi della Chiesa, lo Spirito Santo era calato nuovamente sugli apostoli. Il compito di realizzare un’età di pace fu assegnato dal leader degli Apostolici a Federico III d’Aragona, Re di Sicilia, considerato dai contemporanei la guida dei ghibellini nella lotta contro il papato. Federico III avrebbe dovuto occuparsi dell’eliminazione di papa Bonifacio VIII per permettere l’avvento di un unico papa santo, mandato ed eletto in modo straordinario da Dio.
Nel suo quadro apocalittico Dolcino menzionò anche sette angeli delle sette chiese d’Asia (riferimento al Libro dell’Apocalisse 2-3): le chiese erano Efeso, Pergamo, Sardi e Laodicea e i corrispondenti angeli erano San Benedetto, papa Silvestro, San Francesco e San Domenico, l’angelo di Smirne era Gerardo Segarelli e quello di Tiatira Dolcino stesso. L’ultimo angelo, quello di Filadelfia, sarebbe dovuto essere il papa santo.
I Dolciniani
I dolciniani conducevano una vita segnata da frequenti digiuni e preghiere, lavorando o chiedendo l’elemosina, senza imposizione di celibato, predicavano l’obbedienza alle Scritture; affermavano il dovere di disobbedire anche al papa quando questo si fosse allontanato dai precetti evangelici, il diritto dei laici a predicare, l’imminenza del castigo celeste provocato dalla corruzione dei costumi ecclesiastici, e la necessità di vivere in assoluta povertà. Quest’ultimo punto scatenò l’ira della Chiesa di Roma (i dolciniani stessi, d’altronde, furono accusati di depredazioni e rapine decisamente maggiori di quelle che sarebbero state strettamente necessarie a garantire la loro sopravvivenza).
I dolciniani inizialmente si stanziarono in Trentino, nella zona del lago di Garda, presso Arco di Trento, dove nel 1303 Dolcino conobbe la giovane Margherita Boninsegna, figlia della contessa Oderica di Arco ed educanda in convento, che divenne la sua compagna affiancandolo nella predicazione. Durante gli spostamenti effettuati in Italia settentrionale per diffondere le proprie convinzioni e accrescere il numero dei seguaci, Dolcino e i suoi furono ospitati tra il Vercellese e la Valsesia, qui nel 1304 Dolcino decise di occupare militarmente il territorio e di farne una sorta di territorio franco dove realizzare concretamente il tipo di comunità teorizzato nella propria predicazione.
La morte di Fra Dolcino e la fine dei Dolciniani
Stanco delle scorribande dei dolciniani, fra il 1306 e il 1307 papa Clemente V bandì una crociata, guidata dai vescovi di Vercelli e Novara e dal marchese di Monferrato. I dolciniani resistettero a lungo, fino a quando, provati dall’assedio e dalla mancanza di viveri, che la popolazione locale, divenuta oggetto di vere razzie, non poteva né voleva più fornire loro, furono sconfitti e catturati nella settimana santa del 1307.
Quasi tutti i prigionieri furono passati per le armi; Dolcino, processato e condannato a morte, fu giustiziato pubblicamente il 1º giugno a Vercelli, dopo avere assistito al rogo di Margherita e del suo luogotenente Longino da Bergamo.
I superstiti dolciniani furono ripetutamente condannati dal Sinodo di Treviri nel 1310, da quello di Lavaur del 1368 e da quello di Narbona del 1374. Circa un secolo dopo la tragica vicenda della Valsesia, in Trentino era segnalata ancora la presenza di dolciniani.
Nel 1907 sul luogo della sua ultima resistenza fu eretto, a cura degli operai biellesi e valsesiani, un obelisco commemorativo che fu poi distrutto nel 1927 per ordine dei fascisti, per esser poi ricostruito in dimensioni più modeste come cippo nel 1974.
Fonte: “Le eresie medievale“, Barbara Garofani, Carocci Editore, 2009.