CONTENUTO
Nel presente intervento si sottolineano le criticità economiche e sociali temporaneamente sopite da una politica interna ed esterna rivolta a favorire una politica economica di investimenti e sviluppa idee innovative per fronteggiare i problemi di bilanciamento del debito estero sempre aggravato dalle riparazioni di guerra. Lo si tenta di contenere con misure di liberalizzazione delle concentrazioni industriali sostenute dalla partecipazione di imprese nordamericane che incentivano la crescita dei consumi e l’aumento dell’occupazione.
Inoltre permane la debolezza della coesione sociale, la spaccatura della sinistra socialista fra favorevoli e contrari alle direttive unitarie bolsceviche, la notevole presenza di partiti conservatori di centro destra, spesso legati a nostalgie politiche imperialiste e tradizionaliste, di stampo vetero cattolico rilevanti nelle aree contadine del sud bavarese. Alle estreme emerge un forte partito comunista (KPD) e un allarmante crescita dei corpi franchi armati di destra che cominciano a irrompere violentemente nei raduni popolari, a stento frenati da una polizia sempre più incerta per le ambiguità dell’indirizzo politico di maggioranza, frammentata dalle continue questioni di unità politica fra il centro riformatore, spesso in minoranza rispetto alla sinistra socialista tacciata dalla centrale sovietica di “Socialfascismo”.
Del pari, la cultura democratica presenta autori legati all’età dell’oro imperiale – Thomas Mann, Jacob Wassermann, Carl Schmitt, Oswald Spengler, Otto Wagner – che con qualche distinguo aderiscono alla Repubblica democratica. Oppure, di tendenza rivoluzionaria – Döblin, Berg, Pabst, Brecht, Weil – che spingono l’acceleratore su un terreno spiccatamente socialista e proletario. Importantissima, per il senso di sconforto e di rassegnazione, è la presenza di una cultura piccolo borghese dolente per la crisi quotidiana economica e morale – Musil, Schönberg, Heidegger, Fallada, Köstener – non lontana dall’adesione al miraggio di un “ritorno all’ordine” che vedrà parecchi grossi esponenti culturali aderire alle tendenze politiche autoritarie, oppure ad emigrare all’estero insieme ai compagni di sinistra, parimenti maturando l’idea di abbandonare un paese che giudicano irredimibile.
Giudizi che si svilupperanno nel periodo 1929-1932, quando la crisi romperà ogni ponte per effetto del crollo di Wall Street del 1929: vedremo un balletto di quattro politici – Hinderburg, Brüning, von Papen, Hitler – che a poco a poco e a forza di decreti presidenziali, sospendono per più volte le libertà parlamentari e civili, fino a cancellare ogni regola costituzionale. Divamperà una guerra civile fra le estreme, un regime di polizia sempre più rigido, un succedersi di elezioni anticipate a ritmo parossistico, finché una “pace tacitiana” metterà a tappeto di fatto, ma anche legalmente, il tessuto giuridico e sociale che i padri fondatori della Repubblica hanno faticosamente costruito. Ultimo grande testimone di tale disastro sarà l’alfiere della libera stampa, Carl von Ossietzky, che combatterà fin all’ultimo Hitler, Goebbels e Arthur Rosemberg, a loro volta padri dello stato autoritario, dello stato autocrate della comunicazione e dello stato razzista.
1928: economia, politica e società di nuovo in oscillazione nella Repubblica di Weimar
Di fronte agli evidenti successi in politica estera del Ministro degli Esteri Gustav Stresemann – ultimo dei quali è l’appoggio al famoso Patto di rinunzia alla guerra come metodo di risoluzione dei conflitti fra Stati, fra il francese Briand e il segretario di Stato U.S.A. Kellog – produsse in politica interna la rivitalizzazione del commercio estero con la Russia, dando uno spazio minimo al protezionismo economico con il vantaggio temporaneo della diminuzione della disoccupazione. Si assiste ad una concentrazione bancaria e industriale che mantiene fermi i salari. Ma provoca nel medio periodo una flessione della concorrenza e nel lungo periodo, una ricaduta dell’occupazione a causa dell’imminente crisi epocale del 1929. Uno “stop and go” dei consumi e dei salari che irrigidirà i risparmi delle classi medie.
In politica, le oscillazioni governative derivano dalla parallele frammentazioni che assillano il partito socialdemocratico di maggioranza relativa. Al 7° congresso dell’Internazionale comunista a Mosca compare la linea staliniana purista di lotta alla socialdemocrazia, considerata troppo tollerante dei Fascismi occidentali e ormai rivolta a isolarsi ideologicamente da ogni alleanza con i partiti di centro sinistra.
La vittoria del 20 maggio alle elezioni in Germania del SPD (il partito socialdemocratico) a guida di Hermann Müller – insieme al cattolico Stresemann – induce il Presidente Hindenburg a conferire a Wilhem Marx la carica di Cancelliere al Reichstag, che mantiene una risicata maggioranza relativa, vista la precedente scissione del partito che si alleerà col KPD ( il partito comunista); mentre la scelta del Partito Nazionalsocialista di correre da solo senza i nazionalpopolari, non solo non li ripaga perché ottengono meno seggi della precedente elezione, ma anche favorisce la lotta interna fra la corrente populista di Röhm e quella di ispirazione conservatrice di Hitler.
La sfilata delle formazioni armate reciproche di trentamila aderenti del 21 agosto, al terzo congresso nazionale di Norimberga, testimonia la divisione ideologica, che però non sarà sufficiente a riportare l’unità di intenti nel sovvertire la legalità democratica. Del pari, l’evidente polemica politica a sinistra non promette nulla di buono per la prosecuzione della legislatura, dove la bollatura del SPD come “socialfascimo” non allontanerà il favore permanente per il Governo di centrosinistra.
Piuttosto, una nuova crisi ideologica traspare dietro le pagine dei tre romanzi che il pubblico di ogni classe premierà nelle classifiche di vendita: in primo luogo, Il caso Mauritius di Jakob Wassermann, che narra il conflitto dopo la perduta guerra Guglielmina, fra un padre alto magistrato e il figlio che viene da questi protetto a danno di innocenti in piena crisi sociale dopo la proclamazione della Repubblica. Un noir poliziesco ben descritto in un contesto di crisi di valori che spiega magistralmente la crisi psicologica e sociale degli anni ’20. E se il pubblico femminile maturo plaude per i maneggi dell’ambiguo magistrato, la classe operaia invece legge il realismo sociale di Berlino Alexanderplatz di A. Doblin, trepidando per la vita di operai in una società cinica ed inumana.
Quanto alla classe intellettuale, ci pensano le musiche di Alban Berg per Lulù, un’opera lirica dodecafonica espressionista, su libretto tratto dal dramma di Frank Wedekind e trasposto in film da Georg Pabst, intitolato Il vaso di Pandora: un immenso affresco espressionista dove grottesco, dramma e mito sensuale esprimono il male oscuro di quella società ormai abituata a nascondere il male sotto il tappeto. Un periodo di false certezze che Ingmar Bergmann – L’uovo del serpente (1977) – e Luchino Visconti – La caduta degli dei (1969) – ci metteranno impietosamente sotto gli occhi negli anni critici successivi alla crisi culturale del 1968.
1929-1930: la crisi delle istituzioni e la gravissima situazione economica della Repubblica di Weimar
Un primo segnale di turbamento sociale è la manifestazione dell’1 maggio del 1929. Il conflitto fra KPD all’opposizione e SPD al Governo sfocia nella violazione del divieto di manifestare la festa del lavoro. Ben 13.000 agenti di polizia vengono mobilitati, ma a Berlino la guerriglia divampa. A Wedding e Neukölln (quartieri operai di Berlino) compaiono barricate e il KPD tenta di ripetere i disordini spartachisti del 1919. Il coprifuoco per tre giorni di disordini produce 30 morti e 200 feriti. I sindacati si dividono sempre per la questione del “socialfascismo”. La spaccatura politica fra governati e governanti cresce, ma anche la maggioranza silenziosa borghese sente ormai un certo affanno, per quel dirigismo industriale concentrato in gruppo che esclude dal mercato molte piccole imprese e condiziona i consumi.
Del resto, il malessere sociale rende frammentaria il numero dei partiti al Parlamento. La collaudata coalizione di centrosinistra – SPD, Zentrum cattolico e il partito popolare (DVP) di Stresemann – deve aprire ai Conservatori Bavaresi e ad altri gruppi moderati nazionalisti. Malgrado il canto del cigno dell’accorta politica di Stresemann, che il 7 agosto a Parigi ottiene un nuovo piano di rateizzazione del debito di guerra con l’appoggio del Ministro americano Young; la destra Nazionalista e il Partito Nazista di Hitler e Röhm boicottano con numerose manifestazioni squadriste la propaganda diffusiva del nuovo Piano.
Il contraccambio a tale necessaria rateazione – dietro la quale permaneva lo spettro dell’inflazione causata dall’eccessiva circolazione monetaria e dalla parallela deflazione che limita la produzione e quindi i consumi – è quella di fissare dal 1930 lo sgombro dell’occupazione della Germania Renana e della Ruhr. Patto che è giudicato una “vergogna” e un’altra “pugnalata alla schiena”. Le violente manifestazioni naziste rivolte alla vittoria di un referendum antipiano Young spingono Stresemann – ormai stremato da una politica di patteggiamenti continui con la Francia di Poincaré a sua volta sordo alle insistenze di Briand amico del tedesco – a chiedere e a far conseguire nel 1930 il ritiro dai territori Renani della Francia.
Sarà un ritiro che Stresemann non vedrà perché morirà d’infarto il 3 ottobre del 1929. E non vedrà neppure l’inizio della fine della sua politica di mediazione fra le classi sociali del precedente lustro: il secondo Governo Müller, composto da una coalizione molto debole che dovrà affrontare la tempesta economica e finanziaria scatenata dal Crollo di Wall Strett, il 24 ottobre 1929. Si spalanca un quinquennio terribile del Paese per effetto del contagio del disastro finanziario americano, stante il fatto che la politica monopolistica dei grandi cartelli finanziari formatosi fra USA e Germania, con il piano Young e il precedente piano Dawes, fa da detonatore dei tagli produttivi alle imprese tedesche.
Un pullulare di fallimenti, di dismissioni e rotture di contratti e di “default” insostenibile per le imprese tedesche nell’inverno 1929-1930. Ritornano gli spettri del 1921-1922 e si ricontano di nuovo 3 milioni di disoccupati. Secondo i maggiori analisti di quegli anni, i partiti della grande coalizione, guidata dal socialdemocratico Müller, non recepiscono rapidamente gli effetti a catena della crisi finanziaria fino al propagarsi della contemporanea morsa deflattiva e inflattiva lungo i mesi invernali.
Il Parlamento resta impantanato tanto che alla fine di marzo la fiducia viene meno. Hindenburg allora procede a un primo colpo di stato: senza aspettare la formazione di un nuovo patto politico, si rivolge al partito cattolico di centro e conferisce il Cancellierato a Heinrich Brüning, un esponente politico moderato che lo Stresemann ha indicato come successore fin dal 1928. Necessita un progetto di bilancio che approvi il piano Young, dove il pagamento rateale presuppone aumenti fiscali e tagli al bilancio, misure che avrebbero fermato l’inflazione galoppante, ma che deprimono ancora di più l’occupazione perché limitano i consumi. Lo SPD rompe ogni appoggio e si avvicina al KPD; Hindenburg scioglie allora l’Assemblea. Per diversi mesi si rimane a Parlamento chiuso, con disordini in tutto il paese.
La soluzione di limitare la moneta corrente diminuendo gli stipendi pubblici e aumentando la tassazione al dettaglio, con ambigui sgravi ai notori a profittatori di guerra – che appare di tutta evidenza nelle commedie di Brecht e di Weil nei teatri di Berlino e nei drammi di Friedrich Wolf a Stoccarda – provoca la prima grande catastrofe della democrazia. Il partito nazista passa dal 2% del 1928 al 18 %, il KPD raggiunge il 13%, il Centro cattolico e lo SPD rimangono stabili con una maggioranza che non può che essere al governo in coalizione, a pena di mancanze di fiducia parlamentare che avrebbero travolto la legalità democratica.
Hindenburg è cosciente del rischio, anche se l’anima militarista e nazionalista rimane ottusa a provvedimenti popolari di intervento statale, che già l’economista Keynes invoca per le economie occidentali fiaccate dalle fiammate deflattive del ’29. Che fare? Mentre la piazza e le campagne soffrono senza speranze di ripresa; con un cancelliere freddo e legato agli schemi che privilegiano misure formali rivolta all’aggiustamento automatico della domanda e dell’offerta, dando spazio a strumenti tributari che spengono ogni speranza di crescita; con l’ordine pubblico in crisi per le ondate di scioperi fomentati dai sindacati che richiedono provvedimenti più incisivi a carico delle classi più ricche, peraltro anch’esse colpite dalla crisi finanziaria; Hindenburg non ha che lo strumento dell’art. 48 per aggirare il conflitto permanente fra il Governo e i partiti politici.
Di qui un uso smodato di ordinanze di necessità e urgenza, rivolte ad aggirare le maggioranze parlamentari contrarie e che segna un maggiore solco fra governati e governanti. Un clima di sfiducia generalizzato. Va dato al binomio politico di Hindenburg e Brüning la palma del temporaneo successo nella politica economica della seconda metà del 1930: le ordinanze di necessità economiche riescono a far discendere il debito pubblico interno e ad onorare il famoso debito estero. Ma al prezzo di ribassare il livello dei consumi e delle importazioni e a far risalire la soglia di povertà.
Il cittadino comune non capisce quale interesse poteva ricavare dal mero pagamento del debito estero senza avere in cambio un salario sufficiente e dignitoso per sé e per la famiglia. Le pagine di Hans Fallada – in Adesso pover’uomo – e di Kästner – Fabian e Emil il detective – sono una forte testimonianza dello stato morale della classe media impossibilitata a sposarsi, a mantenere famiglia, nonché alla crisi etica nei confronti delle regole permissive e della corruzione che oggi riscopriamo in non poche letterature europee di quegli anni.
Intanto, la politica espansiva subdola di Hitler approfitta della crisi politica fra Governo e Parlamento: un insperato varco alla tacita esclusione del suo partito, gli deriva dal boicottaggio che il PSD oppone al Governo Brüning, costringendo questo a ripetere le predette ordinanze ex art. 48. Non poche volte il NSDAP (il partito nazionalsocialista) vota a favore delle proposte di Brüning e copre l’assenza del SPD, visto che le precedenti elezioni lo avevano aumentato di deputati. Gli evidenti segni di stanchezza del sistema parlamentare democratico non si esauriscono affatto nel biennio in questione nel conflitto fra esecutivo e potere politico.
Come un fiume carsico, la cultura imperialista dei primi anni ’20 risalta nelle opere di Carl Schmitt, un giurista cattolico conservatore erede del pessimismo storico di Spengler; nel tradizionalismo artistico di Ernst Berger, pittore a Monaco negli anni ’20 lontano dagli eccessi espressionisti di un Kandinsky, oppure dell’architetto classico Otto Wagner, il cui progettare all’ombra del governo moderato postasburgico è legato alle idee moderniste più sobrie di Adolf Loos, che deve emigrare a Praga, per edificare la semplice villa Müller. Del pari è significativa la scelta dodecafonica di Anton Schönberg, mentre le critiche tradizionaliste invece esaltano Richard Strauss, considerato il campione della scuola operistica di fine secolo.
Interpretazioni conservatrici che alcuni eventi artistici tentano di penetrare nel sentire civile culturale. In primo luogo, la pubblicazione di uno dei capolavori letterari del secolo, L’uomo senza qualità, una grandiosa rassegna dei motivi di crisi della modernità, elencati da Robert Musil, che dal podio della caduta dell’impero asburgico, immobile e tetragono, ne coglie i germi che lo corrodono e attribuisce alla Grande Guerra il sintomo mortale. Nondimeno due film basilari scuotono le coscienze del buon borghese: L’angelo azzurro di Joseph von Sternberg, con la demoniaca presenza di Marlene Dietrich, e Westfront di Georg Pabst, l’uno rivoluzionario dei costumi e l’altro sovvertitore del militarismo trionfante antifrancese.
Senza contare il cambio della guardia della scuola architettonica della “Bauhaus” che vede il fondatore Gropius passare la mano al più talentuoso Mies van der Rohe, che sostituisce a poco a poco gli aspetti sociali e volge l’attenzione a nuovi aspetti formali razionali, progettando subito grattacieli come enormi involucri di vetro che compariranno nella “Grande Mela” di Manhattan.
In realtà, l’evidente declino della Repubblica, ormai inesorabile biennio 1929-1930 e poi dilagato nei cinque anni successivi divenendo una orribile dittatura, rappresenta un periodo culturale irripetibile presto cancellato a causa della intrinseca minoranza delle forze repubblicane e democratiche, nonché per le divisioni del mondo operaio. I luoghi culturali di mediazione più opportuni, la scuola e l’università, per esempio, accolgono docenti e studenti profondamente schierati dalla parte nazionalsocialista. L’esempio di Heidegger è notoriamente calzante.
Inoltre la cultura di Weimar appare divaricata propriamente fra tradizione urbana e provinciale: l’una in movimento costante, l’altra statica per la dimensione veteroagraria. Due forze culturali che si contrappongono a macchia di leopardo e che non a caso nel secondo dopoguerra incarnano la società renana e a prevalenza occidentale francese e anglosassone nella età della Repubblica Federale Tedesca; oppure la società agraria e operaia conservatrice di ideologia comunista della Repubblica Democratica.
Divisione ideologica fra democrazia e dittatura superata solo nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, ma anche presente nelle vicende democratiche connesse ai rapporti fra i Paesi dell’est emancipato e la Russia, rimasta ancorata ad un panslavismo autoritario le cui vicende attuali della guerra russo-ucraina stanno tragicamente ripetendosi.
La situazione economica nella Repubblica di Weimar
1931-1933: la conquista del potere
John Maynard Keynes, il già noto economista anglosassone per aver previsto nel 1920 in un suo saggio – Le conseguenze economiche della pace – gli effetti perniciosi del risarcimento dei danni di guerra sull’economia tedesca di fronte agli squilibri del suo paese prendendo a modello proprio l’economia dissestata della Germania, pubblica nel 1930 il Trattato della moneta dove critica la tesi di maggioranza che imputa le cause della crisi del ciclo economico a semplici temi monetari. Invece rileva che il Governo Brüning nel limitare gli investimenti, da una parte ha frenato l’inflazione, ma ha favorito gravi carenze dei consumi e quindi la depressione economica ormai irreversibile.
Del resto, nella primavera del ’31 le banche federali, che hanno in possesso i famosi titoli statunitensi scoperti, li annullano e li ritirano, collocandoli a garanzia dei loro anticipi, lasciando sul lastrico i titolari dell’investimento azionario. Di qui il fallimento dei risparmiatori piccoli e medi con le piccole banche che crollano a catena. Sportelli chiusi per vari giorni e conseguente illiquidità, una catena critica che si estende alla Banca di Credito austriaca e a tutte le banche europee, ivi comprese quelle italiane.
Il risultato è la discesa della produzione industriale del 50%, rispetto al crollo del 25% del 1930. Brüning si trova di nuovo in difficoltà anche perché l’idea di un’unione doganale con l’Austria, la Polonia, la Danimarca e la Cecoslovacchia diventa irrealizzabile. Nuove elezioni presidenziali intanto nell’ottobre riportano Hindenburg in carica e la posizione di Brüning in Parlamento non sembra mutare. Tuttavia, la stampella nazista in Parlamento amplia il suo consenso all’interno dell’elettorato impiegatizio e piccolo borghese. Infatti il coevo saggio di Alfred Rosenberg (1893-1946) Der Mythus des 20. Jahrhunderts (Il mito del ventesimo secolo), rappresenta il massimo inno all’ideologia razzista del Nazismo, poiché spiega la grave crisi economica e sociale della Germania per effetto della primazia commerciale della razza ebraica e dunque istigando la loro “Shoah”.
A nulla vale opporre la teoria neopositivistica che respinge ogni commistione fra linguaggio scientifico e linguaggio sentimentale, dove appunto quest’ultimo è improprio nella edificazione di una classificazione razziale. Neurath e Carnap, della scuola sociologica di Vienna invano contrastano scientificamente l’ideologia della supremazia della razza ariana rispetto alla “razza ebraica”. Invano fioccano le critiche alle deviazioni sentimentali nostalgiche degli epigoni di Rosenberg, per esempio il sociologo Moeller van den Bruck.
Merita attenzione al riguardo l’opposizione dell’“Istituto per il socialismo di Francoforte”, fondato nel 1923 da Felix Weil, il cui nuovo direttore, Max Horkheimer – con l’appoggio dei filosofi Herbet Marcuse, Theodor W. Adorno e Erich Fromm – porta avanti in modo organico le teorie sociologiche e psicologiche sociali, una nuova visione del marxismo alternativo al Comunismo Leninista, cercando una mediazione culturale col socialismo democratico occidentale.
Fatto è che già nel febbraio del 1932, la disoccupazione arriva al massimo: 6 milioni di disoccupati, un tedesco su tre della totale forza lavoro. Il tira e molla col Parlamento è sempre al culmine. Nelle ennesime elezioni anticipate, Hindenburg e Hitler si contendono i vertici dello Stato. Vince ancora il primo, benché l’altro perde il ballottaggio di misura. Brüning ancora ritorna alla guida del Governo. E gioca una nuova carta: di fronte a numerose vicende di violenza politica in ogni parte del paese – come già avvenuto in Italia fra il 1919 e il 1922 – Brüning e il suo ministro dell’Interno di comune accordo finalmente col Parlamento, adottano ancora una volta il famigerato art. 48 della Costituzione, dove con ordinanza d’urgenza vengono dichiarati illeciti i gruppi armati nazisti (S. A. e S. S.). Iniziativa che fallisce e che diventa occasione di ulteriori gravi disordini, tanto più che anche il KPD tenta di formare una propria guardia armata.
Alla fine di maggio, Hindenburg punta su due nuovi esponenti peraltro poco fedeli alle libertà democratiche: il cattolico von Papen alla Cancelleria e il generale von Schleicher come Capo di Stato Maggiore dell’esercito. La carta autoritaria centrale è l’ultima scelta mentre in Parlamento persiste la via democratica di sfiduciare von Papen perché filohitleriano. Hindenburg, sempre per la solita via dello stato di eccezione, scioglie le assemblee degli stati locali a maggioranza nazista, quali il Württemberg , nonché la Prussia, l’Hamburg e l’Anhalt.
Nondimeno nel giugno di quell’anno, von Papen e Schleicher ripetono l’assoluto divieto di restaurare i corpi franchi paranazisti. Scintilla che riapre la guerra civile nelle strade della Germania. Fra gli scontri fra polizia, forze democratiche e corpi franchi nazisti, le cronache contano almeno 300 morti. Von Papen conscio del pericolo per la democrazia e preoccupato per i tanti morti sulle barricate da Dresda a Monaco, per riacquisire un po’ di consensi fra i partiti in Parlamento, nonché per contenere la fortissima disoccupazione e povertà – il serbatoio elettorale del NSPD – indìce a Losanna (9 luglio) un convegno con le potenze vincitrici per rivedere il piano dei pagamenti delle riparazioni di guerra. Francia e Inghilterra accettano di condonare buona parte del debito di guerra, forse temendo che il contagio comunista si rinfocolasse nei loro paesi. Però a sorpresa il governo americano nega ogni abbuono.
La manovra di von Papen non ottiene quanto sperato. Appena 3 miliardi di marchi vengono risparmiati, neppure meno della metà del totale, una quantità irrisoria per gli investimenti pubblici che fanno risalire di poco il prodotto interno lordo. Una seconda linea di intervento federale dal lato politico è però nella mente di von Papen: su mandato di Hindenburg il 20 luglio in Prussia viene sciolto d’impero il SPD locale, accusato di aver fomentato i disordini del mese precedente. Di fatto, il governo del Land più importante passa in mano all’NSPD. Un ulteriore colpo di stato che, pur nel rispetto delle elezioni già svolte, liquida l’ultimo fronte democratico antinazista.
Il 31 luglio vengono poi indette le immancabili elezioni parlamentari che confermano l’inarrestabile ascesa del partito nazista, vale a dire 14 milioni di voti con 230 seggi, primo partito del Parlamento federale. Ormai i cattolici conservatori di von Papen e il partito nazista di Hitler, dietro le baionette di Schleicher, si impongono in Parlamento, peraltro forte di una risicatissima maggioranza parlamentare che rappresenta il sentimento di stanchezza morale ed economica di tutte le classi sociali.
Il mandato alla Cancelleria del 13 agosto per Hitler di Hindenburg è cosa fatta. Ma a settembre, si assiste all’ultimo sussulto del Parlamento: una sfiducia improvvisa a quel pasticciato governo che obbliga Hindenburg a chiamare ancora alle urne il popolo, perché quella maggioranza di qualche settimana prima aderisce in parte a una mozione di sfiducia improvvisa del KPD, 512 seggi su 608 deputati. I votanti sono allo stremo: si è perso il conto delle elezioni anticipate; diminuisce il lavoro ogni giorno, cadono i vantaggi produttivi e concorrenziali anche all’estero. Un grido di stanchezza che soffoca la domanda di democrazia e la cultura innovativa di cui si è detto, anzi la cessione di passo al bisogno di tranquillità politica e di stabilità economica.
Neppure alle elezioni anticipate del 12 settembre si ha un decremento elettorale del partito nazista: anzi, dal precedente 29%, si va al 33%, la percentuale di preferenze più alta mai raggiunta per un partito della Repubblica. E’ di nuovo, la partita a 4 fra Hindenburg, von Papen, Schleicher e Hitler, quasi un gioco delle parti pirandelliano che viene esercitato a danno dei cittadini, con i partiti politici divisi, con la tentazione di appoggi delle estreme, con un Presidente che resta attaccato alla carica senza alternative a più di 80 anni. Tanto che la stampa di opposizione sottolinea nella settimana successiva all’ultima elezione, lo stallo dei partiti e la conseguente guerriglia urbana che non è affatto mutata. Né vi è un cambio della guardia alla Cancelleria fra i soliti uomini graditi al Presidente, cioè da von Papen a Schleicher.
Due cose sembrano certe all’occhio dei cittadini: da una parte la sempre più aggressiva presenza di Hitler fra i candidati cancellieri; nonché la preminenza nel dare le carte del vecchio Hindenburg, gradito ai militari, all’alta finanza, alla confindustria e agli agrari. Al contrario la massa piccolo borghese individua in Hitler quello che si è visto in Mussolini un decennio prima: l’uomo solo al comando che mette le cose a posto e restituisce alla Nazione un certo ordine e una nuova stabile crescita economica.
All’arroccamento dei partiti di sinistra sdegnosamente silenti e ai partiti di centro liberali alquanto conniventi fa eco una “pièce” teatrale sarcastica alla tedesca di Brecht e Weil, La resistibile ascesa di Arturo Ui, dove Hitler viene presentato come un gangster di Chicago che arriva a guidare il consiglio direttivo della “mala” scalando a colpi di mitra la conquista della città. E in tale ironica commedia una parte centrale era quella del sindaco Dogsborough, titolare di un’impresa di cavolfiori utilizzati da Ui per assicurarsi la protezione delle autorità di giustizia e di polizia.
In realtà, Brecht fra le righe rilegge lo scandalo degli Junker prussiani del 1929. All’epoca infatti, fa rumore sulla stampa di sinistra – specialmente la rivista Die Weltbühne di Carl von Ossietzky su cui fra poco ritorneremo – la partecipazione delittuosa degli Junker prussiani con Oskar von Hindenburg, figlio del Presidente, che da sempre è legato ad Hitler e congiura insieme ai gruppi militaristi per porre fine alla Repubblica, approfittando delle non più nascoste incapacità neurologiche del vecchio generale. Una congiura che ha a cuore l’interesse del padre coinvolto nei programmi di sviluppo agricolo nell’est del paese, dove società fittizie acquistano terreni agricoli a basso prezzo per rivenderli a prezzo maggiorato, fissato dal governo federale. La manovra illecita è riconosciuta da Hitler che tenta però di ricattare il Presidente.
Circostanza che negli ultimi giorni del 1932 induce il vecchio Presidente ad ipotizzare l’arresto di Hitler per mano del generale Schleicher, succeduto ancora una volta a von Papen come cancelliere. Qui le fonti di Carl von Ossietzky, forse al limite del gossip o delle fake news, non ci dicono se questa singolare manovra di palazzo abbia come obiettivo di riacquistare il potere in Parlamento o sia soltanto una contromanovra per difendere la sue reputazione, un po’ compromessa dal conflitto permanente coi Partiti Politici e dalla violenze quotidiane, nonché dalle perpetue violazioni costituzionali. Certo è che il sentire sociale diverge dalle domande che la classe culturale si pone da vari punti di vista.
In quel convulso autunno del 1932 molti intellettuali prendono posizione: Karl Barth, già insigne teologo svizzero evangelico, nella sua Teologia dommatica testimonia la legittimità del dialogo spirituale con l’altro e il diverso; Marcuse, appartenente alla scuola marxista neoilluminista espone la fenomenologia di Hegel non solo alla luce dello storicismo fondato sui rapporti di forza ma anche in relazione al liberalismo sociale rivolto ai diritti civili e alle istituzioni costituzionali; il filosofo neokantiano Cassirer, mette in discussione il nazionalismo romantico e torna al Kant difensore della pace perpetua; il filosofo Jaspers – in netta opposizione all’esistenzialismo individualista e pessimista di Heidegger – spinge l’attenzione sull’altro e sul quotidiano.
La domanda di mediazione fra le classi sociali e l’istanza di una politica della responsabilità contraria all’ideologia radicale delle convinzioni teoriche, cozza contro il pensiero del filosofo nazista Alfred Rosenberg che nella sua Storia del Bolscevismo torna a ribadire l’equazione ebraismo, comunismo, antisemitismo e disprezzo per le cosiddette razze inferiori. Nondimeno, il liberista von Miese si scaglia contro l’interventismo di Stato, a suo dire la vera causa dell’autocrazia.
Malgrado le vivaci discussioni politiche e culturali che agitano il paese, la questione istituzionale in Germania si fa sempre più critica all’inizio del 1933. Il paese è attraversato da lotte intestine, da una crescente spaccatura fra governati e governanti; al punto che il partito nazista raccoglie elezione dopo elezione consensi notevoli anche in prospettiva nettamente autoritaria. L’opinione pubblica intellettuale e democratica, in netta minoranza, sembra però disponibile ad accettare una dittatura militare pur di salvare la democrazia parlamentare. Il paragone col 1922 in Italia non è affatto peregrino, perché si spera in un colpo di Stato che una volta per tutte risolva le violenze di destra e di sinistra. Ma Hindenburg, con qualche non infondata sorpresa, licenzia Schleicher – pronto alla legge marziale come Facta in Italia la sera del 27 ottobre del 1922 – e incarica Hitler, capo del partito di maggioranza relativa alla carica di Cancelliere, come farà Vittorio Emanuele III in Italia.
Faranno parte del Governo tedesco altri due nazisti e altri ministri di centrodestra, fra cui lo stesso von Papen. Una formazione di governo che ha all’ordine del giorno la abrogazione della Costituzione democratica (30 gennaio 1933). A suggello della svolta autoritaria un evento che oggi non è stato compiutamente definito nelle sue responsabilità penali, benché strettamente connesso alla e predette vicende politiche: il proditorio incendio del Palazzo del Parlamento (Reichstag) avvenuto il 27 febbraio. Poi per rispettare il simulacro della democrazia, l’ultima elezione “democratica” è accompagnata dai consueti disordini fomentati dal KPD, di fatto ormai divenuto clandestino. Seguirà un progressivo incalzare delle abrogazioni esplicite della Costituzione, che consente il suicidio costituzionale per effetto delle ordinanze di urgenza e necessità.
Le elezioni del 5 marzo sanciscono la vittoria del NSPD col 44% dei voti. Di più: una legge speciale governativa conferma i poteri eccezionali del Governo, il licenziamento dai pubblici uffici di non ariani e oppositori; la istituzione della polizia politica (Gestapo), l’abolizione delle autonomie dei singoli Länder e di ogni forma di federalismo, mentre si normativizza una pubblica amministrazione fortemente centralizzata. Nella stessa estate sono sciolti il SPD e gli altri partiti democratici accusati di altro tradimento (22 giugno). E il 14 luglio entra in vigore l’ordinanza che riconosce il NSPD partito unico, provvedimenti che tanto somigliano a quelli fascisti di 10 anni prima.
L‘autunno nero della democrazia repubblicana di Weimar passa infine da altri due eventi: il 14 ottobre il ritiro definitivo della Germania dalla Società delle Nazioni, che ribadisce la solitudine internazionale già adombrata a Losanna quando si è già avuta la freddezza anglofrancese e la negazione statunitense per ulteriori dilazioni o rinunzie dei pagamenti per danni di guerra. Isolamento che vede ancora solidale alle Potenze Occidentali l’Italia fascista, all’epoca paurosa per la minaccia di “Anschluss” nei confronti della piccola Austria e per i conseguenti timori per il Trentino. Nondimeno, il 12 di novembre un plebiscito farsa consacra la cancellazione finale del Parlamento e la fine formale della democrazia parlamentare.
Come sempre però la comunità intellettuale insiste nelle linee di opposizione al nuovo Regime, ripubblicando e intervenendo sui resti della libera stampa e sui sempre più limitati spazi che il mondo universitario ancora lascia aperti. Per esempio, la minaccia genocida ebraica spinge un notissimo romanziere, Franz Werfel, esperto di fiction storiche, a rievocare con il romanzo Die vierzig Tage des Musa Dagh (I quaranta giorni di Musa Dagh), la tragedia dello sterminio e delle persecuzioni ad opera dei turchi delle comunità armene cristiane durante la Grande Guerra. E merita pure attenzione il tentativo di Luigi Pirandello che scrive il soggetto di Acciaio film sonoro diretto dal regista tedesco Walter Ruttmann, rivolto ad offrire una mediazione fra le opposte ideologie lavoriste e in senso palesemente ispirato alla politica di cogestione delle imprese volute da Goebbels. Operazione non riuscita naturalmente per la distanza sempre più ampia fra la domanda popolare di svago e “la tendenza al serio” tipica della cultura di opposizione.
E va altresì menzionata la tragica vicenda del giornalista d’assalto Carl von Ossietzky. Socialista e neutralista, anglofono, renitente alla leva nel 1915 e prigioniero nelle carceri militari fino al 1918. Durante la rivoluzione spartachista fra il 1918 e il 1920 dirige il mensile Mitteilungsblatt, pervaso dalle idee pacifiste di Bertha von Suttner e del nostro Ernesto Teodoro Moneta, primi vincitori del premio Nobel per la pace. Combatte sulla stampa le posizioni bolsceviche di Tucholsky e le idee di Jünger fautore delle attività nostalgiche imperiali, tanto da difendere in più articoli la nuova Repubblica dagli attacchi dei Corpi Franchi.
Dopo una militanza operativa nel SPD, non sempre è coerente con le direttive sovietiche, mentre sostiene il governo Müller durante la coalizione di centro sinistra con Stresemann. Nel 1918 fonda la rivista di opposizione Die Weltbühne con lo stesso Tucholsky, ma anche con l’elzevirista Erich Kästner e la femminista Annette Kolb. E’ una gazzetta di critica sociale e letteraria, che negli anni migliori di Weimar fustiga le deviazioni del regime democratico e individua la mina vagante nazista, difendendo la politica di mediazione di Stresemann e segnalando la corruzione e le violenze del KPD e del nascente NSPD.
Goebbels ne capisce la grandezza e da genio del male intuisce la necessità di eliminarlo a tutti i costi dalla scena politica. Già nel 1931 i nazisti imbastiscono un furioso processo penale contro la direzione del giornale che ha messo in luce lo scandalo di Oskar von Hindenburg sopra accennato. Lo spirito di von Ossietzky è quello di educare i concittadini alla pace, alle libertà civili, alla democrazia, amando e rispettando ogni avversario politico. Inoltre, alla presa del potere di Hitler, contro l’inerzia o la paura del popolo, von Ossietzky continua a scrivere contro il nuovo Regime, propone una rilettura meno negativa del Trattato di Versailles, critica aspramente il riarmo e la creazione della Luftwaffe.
Goebbels lo prende sempre di mira e lo fa condannare finalmente per spionaggio, tradimento e per il significativo nuovo delitto di “apologia della democrazia”. Indomito, influenzato dalle azioni di Gandhi, tanto da intrattenere con lui un famoso carteggio, non si fa affatto intimidire nel dialogare con i lettori delle pagine del suo giornale, soppresso, riaperto e richiuso dal Governo che lo va inseguendo da un punto all’altro della Germania e perfino nella Svizzera di lingua tedesca.
Una sua originale speranza, presto però frustrata dal consenso dal consenso che non diminuisce per il dittatore, è quello di credere che la chiusura del Parlamento sia un gesto errato del Regime, idoneo a interrompere lo stato di rassegnazione dei cittadini. I suoi incitamenti alla disobbedienza passiva di massa non hanno effetto: come sappiamo, già nel 1935, con l’emanazione delle miserabili leggi di Norimberga, perfide disposizioni razziali, il sentimento autoritario popolare rimane ancora largamente favorevole. Von Ossietzky, malgrado il premo Nobel per la pace nel 1935, muore di tifo nel campo di concentramento di Sonneberg. Un eroe della pace che dovremmo ristudiare in questo tempo di guerra.
1934: il consolidamento del potere
Consolidato all’interno il Regime, Hitler volge lo sguardo al fratello maggiore fascista. Il 14 giugno del 1934 avviene il suo incontro con Mussolini a Venezia. Primeggia il timore dell’”Anschluss” austriaco e le pressioni al Duce dell’amico Dollfuss che non ammette compromessi. Poco dopo, Mussolini dà immagine di potenza e di forte alleanza al paese di confine ordinando alle truppe di frontiera di intervenire in caso di aggressione tedesca. Il golpe interno previsto da Hitler viene annullato e la Gran Bretagna di Churchill spera che nel prossimo futuro l’Italia non si allei con i nazisti.
Intanto, il 2 agosto muore il Presidente Hindenburg. Hitler annulla le regolari elezioni presidenziali con la solita ordinanza ex art. 48 e assume la carica di Presidente del Rech unificandola con la carica già posseduta di Cancelliere. Poco dopo avviene la resa dei conti all’interno del NSPD: la notte dei Lunghi coltelli (30 giugno 1934). La complessità dei fatti qui ci impone di segnalare appena che i maggiori esponenti della corrente socialista del Nazismo – influenzata dal bolscevismo e guidata da Ernest Röhm, capo delle squadre armate SA – sono massacrati in uno scontro finale che permetterà a Hitler un maggiore controllo del Partito, l’obbedienza dell’esercito e l’alleanza con le grandi industrie, grate al Führer per aver soffocato ogni prospettiva socialista.
A riprova di tale patto, il Regime emana varie norme incostituzionali a danno della libertà di associazionismo sindacale e del pari istituisce il Sindacato Unico dei Lavoratori, limita la circolazione dei lavoratori all’interno del paese e vieta l’emigrazione economica. Infine le leggi sul lavoro del 20 gennaio del 1934 non solo impongono la cogestione delle imprese, ma anche istituiscono una magistratura amministrativa per le cause di lavoro. E’ il trionfo del Corporativismo Economico di Stato, chiaramente derivato dal collaudato sistema fascista.
Infine, buona parte della cultura tedesca, nella persona dei suoi più famosi esponenti, dopo le tristi vicende della progressiva revoca delle norme costituzionali, prende la via dell’esilio: per esempio Heinrich Mann, Musil, Döblin, Brecht e la Seghers fuggono nei paesi occidentali o verso l’Unione Sovietica. Altri addirittura si suicidano, come Stefan Zweig nel 1942, perché si vergognano di aver abbandonato la patria e per di più perché ebrei e dunque fuggiti senza batter ciglio. Klaus Mann esprimerà in romanzi minori il fallimento del loro essere esuli. Benjamin, dopo anni di girovagare per l’Europa, tenta di raggiungere la Spagna a guerra iniziata, morendo però suicida per paura di essere preso al confine dei Pirenei.
Werfel, invece, riesce a raggiungere Lourdes e li scriverà una splendida biografia di Bernadette, acquisendo una fede cattolica che fino all’epoca ha rifiutato. Fra le tante storie di esuli, spicca però la scelta del regista teatrale espressionista Erwin Piscator, che realizza in URSS un dramma sottilmente critico del regime sovietico, La rivolta dei pescatori, dalla cui rappresentazione non guadagna più il favore della “intellighenzia” sovietica, fatto che illumina già nel 1934 il progetto di Stalin rivolto ad eliminare la dissidenza. Anche Walter Gropius, di fronte alla menzionata svolta soggettivista del “Bauhaus” peraltro chiusa per ordine di Goebbels, fugge in Inghilterra. Thomas Mann resiste per qualche anno, rifugiandosi nel mito e nella storia antica, in occasione della collana biblica Giuseppe e i suoi fratelli per poi andare esule negli Stati Uniti a metà degli anni ’30.
Non mancano artisti che si mimetizzano dietro profondi equilibrismi espositivi, che allontanano il pubblico borghese dalle sale, come nel caso di Paul Hindemith che trova una linea d’ombra con la sinfonia Mathis der Maler, dove il testo e le musiche accolgono canti popolari che lo rendono gradevole a quel pubblico. Ma da tale “musica accomodante” l’autore si distacca ritornando all’esperienza dodecafonica o parzialmente atonale, come nella Kammermusik nr. 1 op. 24, che assembla sonorità alquante opposte e che lo qualifica – insieme all’opera lirica Cardillac del 1926 – un esponente della c.d. arte degenerata, secondo la definizione di Goebbels. La futura mostra di tali arti a Monaco nel 1937, produrrà ulteriori episodi che impoveriranno la cultura tedesca fino alla catastrofe finale come scrisse Friedrich Meinecke.
I libri consigliati da Fatti per la Storia
Hai voglia di approfondire l’argomento e vorresti un consiglio? Scopri i libri consigliati dalla redazione di Fatti per la Storia, clicca sul titolo del libro e acquista la tua copia su Amazon!
- FRIEDRICH MEINECKE, La catastrofe della Germania, Wiesbaden 1947, traduzione di Ettore Bassan, ed. la nuova Italia, Firenze, 1948
- PETER BURKE, Sociologia e storia, ed. Il Mulino, 1980, cap. 3, ed.
- LADISLAO MITTNER, Storia della letteratura tedesca, Torino, Einaudi, vol. 3°, tomi I, II, III, 1978.
- DIETHER RAFF, Deutsche Geschichte von Alten Reich zur Zweiten Republik, Vorlag Hueber, 1985, S. 233-261.
- Su Karl von Ossietzky, vd. CATRINE CLAY, Gli uomini che sfidarono il nazismo, ed. Newton Compton, Milano 2020
- ENZO COLLOTTI, La Germania nazista, Torino, Ed. Einaudi, 1962.
- RAYMOND POIDEVIN – SYLVAIN SCHIRMANN, Storia della Germania dal Medioevo alla caduta del Muro, Bologna, ed. Bompiani, 2001, pagg. 152-163.
- JEAN MARABINI, La vita quotidiana a Berlino sotto Hitler, Ed. BUR Rizzoli, 2018,
- Spiegel-Geschichte, fasc. nr. 1/2020, Die 20 er, zwischen Exzess und Krise – wie ähnlich sich damals und heute sind, molto importante per la rassegna fotografica d’epoca.