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Alla fine del 1920 in Italia ha inizio un fenomeno che non ha alcun riscontro in nessun altro paese europeo e che ha origine nelle campagne: lo sviluppo improvviso del fascismo agrario.
Fino all’autunno di quell’anno, il fascismo ha svolto un ruolo marginale nella vita politica, ma all’inizio del ’21, il movimento subisce un rapido processo di mutazione che lo porta a fondarsi su strutture paramilitari (le cosiddette squadre d’azione) e a puntare le sue carte su una lotta spietata contro il partito socialista, in particolare contro le organizzazioni contadine della Valle Padana.
Questa trasformazione si spiega da una parte con una scelta di Mussolini, che decide di cavalcare l’ondata di riflusso antisocialista seguita al biennio rosso e dall’altra va ricollegata alla particolare situazione delle campagne padane, dove il fascismo agrario si sviluppa: zone in cui la presenza delle leghe rosse è forte. In due anni di lotte aspre e quasi sempre vittoriose, le leghe socialiste non solo hanno ottenuto notevoli miglioramenti sindacali, ma hanno creato un sistema inattaccabile. Attraverso i loro uffici di collocamento, le leghe controllano il mercato del lavoro. Inoltre dispongono di una fitta rete di cooperative e hanno in mano buona parte delle amministrazioni comunali, delle quali si servono per sostenere le lotte dei salariati agricoli.
La Strage di Palazzo d’Accursio e le spedizioni squadriste
L’atto di nascita del fascismo agrario viene individuato nei fatti di Palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920, a Bologna, quando i fascisti si mobilitano per impedire la cerimonia d’insediamento della nuova amministrazione comunale socialista. Ci sono scontri e sparatorie dentro e fuori il municipio. Per un tragico errore, i socialisti incaricati di difendere il palazzo comunale sparano sulla folla, composta in gran parte dai loro stessi sostenitori, provocando una decina di morti. I proprietari terrieri scoprono così nei Fasci lo strumento capace di abbattere il potere delle leghe e cominciano a sovvenzionarli generosamente. Nel giro di pochi mesi, il fenomeno dello squadrismo dilaga in tutte le province padane, estendendosi anche in Toscana e Umbria. L’offensiva squadrista ha ovunque le stesse caratteristiche.
Obiettivo delle spedizioni sono i municipi, le camere del lavoro, le sedi delle leghe, le case del popolo, che vengono sistematicamente devastati e incendiati. I dirigenti e i semplici militanti socialisti, sottoposti a ripetute violenze e spesso costretti a lasciare il loro paese. Buona parte delle amministrazioni rosse della Valle Padana sono costrette a dimettersi. Centinaia di leghe sono sciolte e molti dei loro aderenti sono indotti ad aderire a nuove organizzazioni costruite dagli stessi fascisti, che promettono di incoraggiare la formazione della piccola proprietà coltivatrice. I socialisti si trovano a combattere una lotta impari contro un nemico che gode di un notevole margine di impunità, potendo giovarsi della benevola neutralità, o addirittura dell’aperto sostegno, di buona parte della classe dirigente e degli apparati statali.
Quasi mai la forza pubblica, portata a vedere nei fascisti dei naturali alleati nella lotta contro i rossi, si oppone con efficacia alle azioni squadristiche. La stessa magistratura adotta nei confronti dei fascisti criteri ben diversi da quelli usati contro i sovversivi di sinistra. Pesanti sono anche le responsabilità del governo. Giolitti, infatti, pur evitando di favorire apertamente lo squadrismo, guarda con malcelata compiacenza allo sviluppo del movimento fascista. Pensa di servirsene per ridurre a più mite pretese i socialisti e di poterlo in seguito costituzionalizzare assorbendolo nella maggioranza liberale.
Fascismo, le elezioni del 1921
In questa strategia si inquadra la decisione di convocare nuove elezioni per il maggio 1921 e di favorire l’ingresso di candidati fascisti nei cosiddetti blocchi nazionali, ossia nelle liste di coalizione in cui conservatori, liberali e democratici si uniscono per impedire una nuova affermazione dei socialisti e dei popolari. I fascisti ottengono così una legittimazione da parte della classe dirigente, senza per questo dover rinunciare ai metodi illegali. Anzi, la campagna elettorale fornisce loro lo spunto per intensificare intimidazioni e violenze contro gli avversari. Ciononostante, i risultati delle urne deludono chi ha voluto le elezioni. I socialisti subiscono una lieve flessione, nonostante le condizioni anomale in cui si è votato e la scissione comunista. I popolari si rafforzano, mentre i gruppi liberal-democratici non riescono a riacquistare il completo controllo del Parlamento. La maggior novità è costituita dall’ingresso alla Camera di 35 deputati fascisti.
Patto di Pacificazione e III Congresso dei Fasci
L’esito delle elezioni mette fine all’ultimo governo di Giolitti. Il suo successore Bonomi favorisce una tregua, conclusa nell’agosto 1921, con la firma di un Patto di pacificazione tra socialisti e fascisti. Il patto rientra nella strategia di Mussolini, che teme il diffondersi di una reazione popolare contro lo squadrismo. Questa strategia non è però condivisa dai fascisti intransigenti, che si riconoscono nello squadrismo agrario e nei suoi capi locali, i cosiddetti ras. Essi sabotano il patto di pacificazione e giungono a mettere in discussione la leadership di Mussolini.
La ricomposizione della frattura si ha al III Congresso dei Fasci tenutosi a Roma ai primi di novembre del ’21. Mussolini sconfessa il patto di pacificazione, mentre i ras riconoscono la sua guida politica e accettano la trasformazione del movimento fascista in partito. Nasce così il Partito nazionale fascista. Con la costituzione del governo Facta, l’agonia dello Stato liberale entra nella sua fase culminante. La scarsa autorità politica del nuovo governo dà ulteriore spazio alla dilagante violenza squadrista. L’estremo tentativo socialista di arginare le violenze squadristiche è di proclamare per il 1° agosto uno sciopero generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali. I fascisti colgono il pretesto per atteggiarsi a custodi dell’ordine e per lanciare una nuova violenta offensiva contro il movimento operaio: per un’intera settimana le camicie nere si scatenano contro sezioni, circoli, sedi di organizzazione e giornali socialisti. Sbaragliato il movimento operaio, il fascismo si pone il problema della conquista dello Stato.
Fascismo, la Marcia su Roma
In questa fase delicata Mussolini gioca, come al solito, su due tavoli. Da un lato tratta con i principali esponenti liberali per una partecipazione fascista a un nuovo governo. Dall’altro lascia che le milizie fasciste si preparino per un colpo di Stato, pensando di servirsi della mobilitazione come un mezzo di pressione politica. Comincia così a prendere corpo il progetto di una marcia su Roma. L’inizio della mobilitazione è fissato al 27 ottobre. La mattina del 28 il re Vittorio Emanuele III rifiuta di firmare il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio, che è stato preparato in tutta fretta dal governo dimissionario. Il rifiuto del sovrano apre alle camicie nere la strada di Roma e al loro capo la via del potere.
Mussolini non si accontenta di una partecipazione fascista a un governo guidato da un conservatore, ma chiede e ottiene di essere chiamato a presiedere il governo. La mattina del 30 ottobre, mentre alcune migliaia di squadristi cominciano ad entrare nella capitale senza incontrare alcuna resistenza, Mussolini è ricevuto dal re. La sera stessa il nuovo gabinetto è già pronto. Ne fanno parte, oltre a cinque fascisti, esponenti di tutti i gruppi che hanno partecipato ai precedenti governi.