CONTENUTO
La politica estera del Pci negli anni di Enrico Berlinguer (1972–1984)
Seppur avvolta dalle polemiche e dalle controversie che accompagnano la perenne discussione tra sostenitori e detrattori, la figura storica di Enrico Berlinguer resta ancora poco affrontata, mancando molti temi di un’autentica riflessione storiografica e di una reale collocazione. In particolare, le vicende internazionali del Partito Comunista Italiano (PCI) durante la guerra fredda non appaiono pienamente comprensibili senza un’analisi del ruolo e dell’azione di Berlinguer negli anni in cui fu segretario del partito, dal 1972 al 1984.
È necessario, infatti, dare una reale collocazione storica alla figura di Berlinguer negli aspetti internazionali relativi al ruolo del PCI nella guerra fredda tra gli anni Settanta e Ottanta. Del resto, una reale comprensione del ruolo e dell’azione di Berlinguer risulta quantomeno difficile se ci si limita alla sola vicenda nazionale e non si tiene conto delle specificità decisive del suo rapporto con la politica internazionale. La questione non riguarda solo il graduale distacco dall’Unione Sovietica (URSS) e la nascita dell’eurocomunismo, ma l’ideazione di una vera politica estera del PCI della quale Berlinguer fu il principale artefice e senza la quale la proposta del “compromesso storico” non avrebbe avuto sufficiente forza e credibilità.
La distensione e il dialogo tra le due superpotenze, il lancio di un europeismo dei comunisti italiani, il riconoscimento delle alleanze politico-militari dell’Italia e l’idea di un futuro superamento dei blocchi, sono le colonne portanti di questa politica estera che, però, non avrebbe mai rinnegato il proprio antimperialismo. La politica di Berlinguer appare, in realtà, come un adeguamento necessario al contesto delle relazioni internazionali degli anni Settanta: avere una propria politica estera candida il PCI ad esercitare un ruolo nelle relazioni Est-Ovest, specie nel sostegno ai processi di integrazione europea durante la distensione.
La conversione europeista del PCI ridefinisce il ruolo internazionale del partito: Berlinguer non prende solo coscienza della collocazione dei comunisti italiani nel mondo occidentale, ma cerca di offrire una propria risposta alle crisi e alle emergenze dell’Italia negli anni Settanta, nel solco di un cambiamento più generale della politica europea. Al tempo stesso, è consapevole che il comunismo occidentale deve attraversare una profonda fase di revisione se vuole sopravvivere alla perdita di rilevanza del comunismo sovietico e alla crescente percezione negativa del socialismo reale nelle giovani generazioni.
Va anche compreso fino in fondo il rapporto tra la nuova politica del PCI e l’eredità del legame ideologico, organizzativo e finanziario con l’URSS: nonostante questo rapporto non sia più quello saldo dell’epoca di Palmiro Togliatti, rivela comunque una persistenza non marginale. In effetti, il legame con il comunismo sovietico interagisce fino alla fine con le scelte, gli orientamenti, la cultura, l’immagine e le percezioni del comunismo italiano nel contesto nazionale e internazionale. Ovviamente, Berlinguer terrà sempre conto dell’interazione con l’URSS e con il Partito Comunista Sovietico (PCUS), pur perseguendo una propria politica estera che assicura al comunismo italiano una risonanza nel mondo mai posseduta in passato e mai più recuperata dopo la scomparsa del suo principale ideatore.
Il Partito Comunista Italiano (PCI) in politica estera
Le tappe della nascita della politica estera del PCI sono ben delineate. In primo luogo, già nel 1968 i comunisti italiani manifestano il loro dissenso di fronte all’invasione sovietica della Cecoslovacchia e il contestuale sostegno alla “Ostpolitik” di Willy Brandt: è il primo tentativo di revisione dell’internazionalismo comunista. La difesa della “primavera di Praga” si lega a una scelta politica che vede il PCI orientato verso un cambiamento politico in Europa che abbia la distensione come terreno privilegiato della propria azione internazionale. I comunisti italiani rifiutano ben presto la “dottrina Brezhnev” che impedisce ai paesi del blocco orientale di lasciare il Patto di Varsavia – alterando gli equilibri dei regimi a partito unico – e che viene usata proprio per giustificare l’invasione della Cecoslovacchia.
Il PCI, tuttavia, non riconosce che il dissenso sull’invasione della Cecoslovacchia abbia richiesto una generale revisione dell’allineamento filo-sovietico adottato all’epoca dell’invasione dell’Ungheria nel 1956. Ciononostante, il PCI si proietta non solo come partito politico favorevole alla distensione in Europa, ma come forza investita della missione di costruire un ponte tra Est e Ovest. In questo contesto, Berlinguer non liquida mai il nesso tra la difesa del “socialismo dal volto umano” e l’orientamento verso la distensione europea.
In secondo luogo, il PCI degli anni Settanta spinge non solo in favore dell’integrazione europea ma anche verso il tentativo di costruire un polo comunista occidentale. Sull’impatto degli avvenimenti di quegli anni, Berlinguer intensifica l’azione di revisione del giudizio del PCI sulla Comunità Europea e sulle sue conseguenze per l’Italia. Il PCI, infatti, prende atto del fatto che l’adesione alla Comunità Europea abbia favorito lo sviluppo economico italiano e da qui il tentativo di legittimare il proprio europeismo diventando forza aggregante per tutti i comunisti occidentali.
Il policentrismo togliattiano e l’autonomia dei partiti comunisti rispetto al PCUS sono concretizzati da Berlinguer nella proposta politica del cosiddetto “eurocomunismo”. Ufficialmente lanciato nel 1977 da Berlinguer, Marchais (Partito Comunista Francese) e Carrillo (Partito Comunista Spagnolo), l’eurocomunismo indica il progetto politico-ideologico di un comunismo sviluppato in senso riformista e democratico che coinvolga i principali partiti comunisti europei. Tuttavia, il fatto che solo per i comunisti italiani questo termine alluda all’ideale di un socialismo occidentale nella democrazia e a una scelta europeista, significherà un’inconsistente alleanza con gli altri comunisti occidentali e una debolezza sostanziale dell’eurocomunismo.
In terzo luogo, Berlinguer s’impegna nel tentativo di rimuovere la contraddizione tra europeismo e anti-atlantismo: per il segretario del PCI, l’Europa non è antisovietica né antiamericana e perciò il partito deve rinunciare a chiedere la fuoriuscita dell’Italia dalle sue alleanze politico-militari, anche perché la prospettiva del socialismo in occidente sarebbe stata meno a rischio nel contesto della NATO rispetto a quello del Patto di Varsavia.
Nonostante queste intenzioni, Berlinguer è sempre visto con diffidenza dal segretario di Stato americano Henry Kissinger ma anche dai principali governanti europei che vedono il comunismo italiano come un fenomeno autonomo e inaffidabile. È proprio questa autonomia, però, a permettere al PCI di partecipare all’esperienza dell’unità nazionale e in particolare al voto comune sulla politica estera italiana espresso dal parlamento nel novembre 1977.
Il PCI, tuttavia, deve mantenere una linea politica che lo differenzi dalle altre forze nazionali e da quelle della sinistra europea: si oppone perciò all’istituzione del serpente monetario europeo e contesta la decisione occidentale dell’installazione degli euromissili senza, però, mettere mai in dubbio l’appartenenza dell’Italia alla NATO.
Lo strappo politico tra il PCI e l’URSS: verso l’eurocomunismo
Berlinguer non è l’unico leader comunista occidentale ad avanzare una critica del modello sovietico, ma è il solo a realizzare il distacco di un grande partito comunista occidentale dal campo socialista, dal sistema di relazioni internazionali dominato dalla politica di potenza di Mosca e dalla sua cornice ideologica.
La polemica del PCI contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia non è in realtà destinata a produrre questo esito, ma l’azione politica di Berlinguer sposta gli elementi costitutivi del legame con l’URSS dalla fedeltà ideologica all’orientamento politico: mantiene cioè una posizione favorevole alla distensione ma sviluppa una concezione diversa e conflittuale con quella sovietica incentrata sull’idea che la distensione implica anche un cambiamento politico in Europa.
In questo senso, la vera radice politica della separazione tra il PCI e l’URSS è l’europeismo dei comunisti italiani e la costruzione di un polo comunista occidentale. Ed è proprio la concezione della distensione come processo di cambiamento politico in Europa propugnata da Berlinguer a preoccupare maggiormente i sovietici. L’europeismo del PCI viene visto come l’anticamera di uno scisma che certifica la perdita dell’influenza sovietica in Europa occidentale e la conseguente modifica degli assetti politici fuori dagli schemi preordinati della guerra fredda.
Alla presa d’atto che la leadership di Berlinguer non consente ai sovietici di esercitare un’influenza sul PCI, la diffidenza da sempre nutrita verso il segretario italiano diviene vera ostilità e le relazioni tra il PCUS e il PCI si deteriorano definitivamente: l’attacco portato a Berlinguer da Brezhnev nel 1977-78 significa la richiesta di abbandonare l’eurocomunismo e di rinunciare alla propria politica estera. Il fatto che Berlinguer non solo disattenda quei diktat, ma rinunci addirittura al finanziamento diretto dell’URSS appare come il punto di non ritorno nelle relazioni tra i due partiti. La conseguente campagna di discredito dei sovietici nei confronti di Berlinguer è solo il preludio dell’ostilità di Mosca verso le prospettive di governo del PCI.
Con queste premesse, gli eventi internazionali tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta costituiscono il terreno della definitiva separazione del comunismo italiano da quello sovietico. Berlinguer critica l’invasione dell’Afghanistan (1979) e condanna la risposta autoritaria sovietica di fronte alla nascita del sindacato Solidarnosc in Polonia (1980); i sovietici reagiscono con un durissimo attacco pubblico e con il congelamento delle relazioni col partito italiano che passa alla storia come lo “strappo tra il PCI e l’URSS”.
Il PCI tra realtà e illusioni
Se il PCI critica pesantemente la politica di potenza sovietica, ciò non significa un abbassamento dei toni nella critica rivolta all’imperialismo americano. Pur non riconoscendo la minaccia rappresentata dall’URSS alla sicurezza dell’Europa occidentale, i comunisti italiani continuano a giudicare negativamente la politica americana tanto da attribuire unicamente agli Stati Uniti (USA) tutte le responsabilità della fine della distensione e ad assolvere ampiamente l’URSS.
Nonostante lo sgretolamento delle relazioni con i sovietici, i dirigenti del PCI continuano a nutrirsi di aspettative (e di illusioni) verso l’URSS: anche se il comunismo sovietico richiede una riforma, i comunisti italiani pensano a un processo più generale nel quale sarebbe stato il comunismo occidentale a promuovere un nuovo socialismo europeo. Il PCI avrebbe assunto una funzione di leadership, rovesciando la gerarchia con i sovietici e garantendo il futuro dell’esperienza comunista, consolidando la sicurezza e la pace europea. In questa visione, vi è anche la lettura della crisi economica capitalistica degli anni Settanta: una lettura che però ignora la trasformazione post-fordista in atto nelle principali economie occidentali.
La prospettiva del comunismo riformatore di Berlinguer proviene non solo da motivazioni ideologiche ma anche da questioni più strettamente politiche: la rottura tra URSS e Cina, la primavera di Praga, i tentativi di modifica dei caratteri più repressivi del comunismo al potere in Europa orientale, la capacità di impiantare radici di massa del comunismo occidentale, sono tutti fattori che segnano un momento storico decisivo di evoluzione tra le tendenze che aspirano al cambiamento.
Berlinguer esercita la propria azione politica capendo che la tradizione comunista si confronta con un dilemma identitario e che il movimento necessita di una revisione attraverso nuove risorse politiche e culturali. Questa visione si sarebbe rivelata corretta poco dopo la morte dello stesso Berlinguer: l’avvento al potere di Gorbaciov in URSS segna l’inizio di aspirazioni riformatrici e dà nuovo vigore alle speranze dei comunisti italiani sulle idee di cambiamento nelle classi dirigenti dell’Europa orientale. In tal senso, l’eurocomunismo del PCI appare come uno dei fattori che contribuiscono a modificare l’ambiente della guerra fredda in Europa, entrando a far parte di quel processo complesso che porrà, poi, fine alla contrapposizione tra i blocchi.
Le illusioni del comunismo riformatore avrebbero potuto essere colte quando Berlinguer era ancora in vita ma l’eurocomunismo non riuscì a generare un vero movimento politico europeo. Il fallimento di una matrice riformista interna al comunismo significa la marginalizzazione di Berlinguer e del PCI, pur rappresentando l’ultimo movimento politico organizzato che si qualifica come l’erede del socialismo rivoluzionario in Europa occidentale.
Il progetto di Berlinguer mostra, così, il volto di un comunismo nazionale che si è adattato al mutamento civile e sociale post-‘68, anche se rappresenta un fenomeno anomalo nel panorama europeo con le sue ambiguità, contraddizioni e illusioni. Tuttavia, il tema della politica estera del PCI di Berlinguer va ancora largamente esaminato e approfondito per trarre un bilancio storico che superi le posizioni ideologiche e i pregiudizi di parte e per aprire un terreno di confronto tra punti di vista – generazionali, storici ed emotivi – diversi.
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- Gurrieri T., Enrico Berlinguer: una vita migliore, Clichy, Firenze 2014.
- Macaluso E., 50 anni nel PCI, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003.
- Pons S., La formazione della politica internazionale di Berlinguer, in Craveri P. e Quagliariello G. (a cura di), Atlantismo ed europeismo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003.