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Zaman Hujan Au: la pioggia di cenere del 1815
Nell’Aprile del 1815 il vulcano Tambora si risveglia, diventando protagonista della più distruttiva eruzione vulcanica della storia dell’umanità. Punto d’inizio di quello che verrà definito come ‘’anno senza estate’’, le conseguenze dell’esplosione persistono per anni, mutando per sempre la realtà storica dell’occidente. Ma cosa succede esattamente in quelle giornate? In ‘’Tambora: The Eruption that Changed the World’’ lo storico del clima Gillen D’Arcy Wood racconta passo dopo passo le vicende di quei momenti strazianti.
La stagione dei raccolti
Aprile 1815. Mentre in Europa Napoleone Bonaparte e il duca di Wellington si occupano dell’organizzazione di imponenti armate da dirigere in quella che sarà la battaglia decisiva per la fine dell’età napoleonica, dall’altra parte del mondo è l’inizio della stagione secca. Sull’isola di Sumbawa in Indonesia, i contadini si preparano per l’indaffarata stagione dei raccolti.
In poche settimane il re di Sanggar ordinerà ai suoi sudditi di prodigarsi per la raccolta del riso ormai pronto. Nel frattempo, gli uomini del villaggio continuano a lavorare nelle foreste per procurarsi il legno di sandalo essenziale per la costruzione delle barche che garantiscono la fluidità degli scambi commerciali nei mari delle Indie orientali olandesi.
La prosperità diffusasi dopo la colonizzazione degli olandesi scaturisce una serenità altalenante per il re di Sanggar, il quale si vede costretto a rimanere vigile per prevenire le invasioni dei pirati provenienti dalle terre del nord, che approfittano del miglioramento delle condizioni di navigazione per assalire villaggi e rapire persone da vendere nel proficuo traffico di schiavi.
Il risveglio del vulcano Tambora
In ‘’Tambora: The Eruption that Changed the World’’ il professore Gillen D’Arcy Wood ci racconta che non è solo questo a preoccupare il raja: da tanto tempo dormiente, il vulcano Tambora ha cominciato a brontolare sempre più frequentemente, sprigionando in aria inquietanti e misteriose nuvole nere. In questo momento, il Tambora è il più alto tra i monti presenti in tutto l’arcipelago: con le sue due vette distintive, è il principale punto di riferimento di mercanti e viaggiatori.
Il risveglio del vulcano è subito argomento di innumerevoli confabulazioni: alcuni credono che non sia altro se non una tenera e solenne celebrazione di matrimonio tra gli dei, mentre altri sono convinti che sia una sorta di punizione ancestrale poiché i nativi si sono fatti colonizzare consentendo a uomini bianchi armati di renderli schiavi nelle piantagioni locali.
Altri invece sono ancora affezionati ad un’antica leggenda secondo la quale il borbottio tremolante del vulcani sia la risposta divina di uno sceicco santificato che, oltraggiato dalla presenza di cani randagi in una moschea, esprime apertamente il suo dissenso, tanto da indignare la gente locale che – colpita nell’onore – decide di servirgli carne di cane per sfamare la sete di vendetta e soddisfare la necessità di difendere l’onore pubblico.
Quando lo sceicco lo scopre si chiude in preghiera e svanisce nel nulla, mentre i cani macellati cominciano a riapparire viventi. Di conseguenza, come una sorta di punizione piovuta addosso agli isolani vittime dei loro istinti, il vulcano ha cominciato ad emettere strazianti lamenti, maestoso portavoce di rabbia e sdegno.
L’eruzione del Tambora: l’inizio della fine
5 Aprile 1815. Sera. I servi del raja lavorano e mettono in ordine le sale dopo cena. D’un tratto, l’eco assordante di un tuono rimbalza tra i muri della dimora del raja. Preoccupato, esce immediatamente fuori, dov’è convinto di trovare i pirati in agguato per via degli uomini di vedetta maldestramente addormentati. Ma non è così: tutti gli sguardi sono rivolti verso il Monte Tambora, dal quale è appena esplosa una fiamma così alta che sembra raggiungere il cielo, illuminando a lungo tutto il paesaggio circostante.
Un’enorme nebbia di fumo e cenere si mischia all’oscurità della notte, il fuoco non è più visibile ma è in qualche modo evidente che continua a sgorgare dal cratere del vulcano. All’improvviso, così inaspettatamente come tutto è iniziato, il vulcano smette di ruggire e le fiamme si fermano. Nei giorni seguenti il vulcano continua a rigurgitare fiamme, ma l’emergenza sembra essersi ormai acquietata.
Intorno al 10 Aprile, il vero disastro. In poche ore tutti i villaggi della penisola di Sanggar sono sterminati da quella che è ancora oggi definita la più distruttiva eruzione vulcanica di tutti i tempi. Questa volta il potente boato è l’espressione uditiva di ben tre roventi fontane di fuoco che si innalzano al cielo, quasi sfidandone il limite intangibile. La montagna è incandescente, il magma ne abbraccia il materiale roccioso in una violenta contrazione di autodistruzione. L’eruzione continua incessantemente, mentre rocce e magma si mescolano lungo l’edificio vulcanico raggiungendo le fredde acque del mare, ingabbiando così l’intero arcipelago in un terrificante ecosistema di soffocante vapore mischiato a cenere.
Il cataclisma è a dir poco raccapricciante: tra onde altissime e uragani vulcanici, la terra sprofonda lentamente in sé stessa per via delle onde di subsidenza provocate dal crollo improvviso del cono vulcanico. Lo spettacolo è tanto magnificente quanto terrificante. Nonostante tutto, il raja e alcuni membri della sua famiglia insieme a pochi abitanti del suo villaggio riescono a sopravvivere.
Sebbene l’eruzione vera e propria non duri più di tre ore, la cascata infuocata continua a farsi strada lungo l’edificio vulcanico ed oltre, inglobando qualsiasi cosa per il tempo un’intera giornata. Il magma rovente si estende catastroficamente lungo circa 560 chilometri. Dopo essersi trionfalmente sviscerata e dopo aver perso la sua vetta nell’evento fatale, tra l’11 e il 12 Aprile la montagna del Tambora implode, dando successivamente spazio ad una enorme caldera vulcanica.
La miseria dopo la devastazione
Nei giorni dopo la devastazione, segnati da un’oscurità di cenere che intercetta i raggi del sole, un’infinità di cadaveri stallano raffermi nella zona più orientale dell’arcipelago. Foreste e raccolti distrutti, villaggi deserti e fonti d’acqua inquinate dalla cenere vulcanica, tutti i sopravvissuti muoiono di malattia o di fame. A questo punto i morti sono più di 100.000, numero più alto di deceduti per catastrofe naturale nella storia dell’umanità.
Circa sedici anni dopo, la situazione in Sumbawa non è cambiata molto e il disastro sembra essere appena accaduto. I viaggiatori e commercianti che si muovono lungo quelle coste trovano ancora residui di cenere tra le acque. L’impatto sociale è assolutamente deprimente. A cent’anni dall’eruzione, un visitatore documenta che la restante popolazione di Sumbawa è costituita soprattutto da schiavi che hanno scelto di vendersi per sopravvivere.
La penisola di Sanggar non è mai stata totalmente ripopolata, e Sumbawa non ha mai ritrovato l’originale ricchezza. Ad oggi, la gente locale fa ancora riferimento all’eruzione del 1815 come fondamentale punto cardine della loro storia. Per gli abitanti dell’isola il disastro ha un nome specifico: zaman hujan au, che significa ‘’tempo della pioggia di cenere’’.
1816: l’anno senza estate
Le terribili conseguenze dell’esplosione non si limitano a condizionare per sempre solo l’isola di Sumbawa e tutto l’oriente. Seppur con un anno di ritardo, la devastazione si propaga anche verso l’occidente, segnando così un punto di svolta inimmaginabile per le Americhe – dove addirittura nevica a giugno – e per l’intero continente europeo. Storicamente definito come ‘’anno senza estate’’, il 1816 è il primo di una serie di anni che fanno scivolare le popolazioni occidentali in un groviglio apocalittico di morte e tormento, dal quale però nascerranno anche importanti riforme e decisivi cambiamenti a livello sociale.
L’estate del 1816 è straordinariamente fredda e uggiosa. Moltissimi raccolti vanno in rovina dappertutto, dando inizio ad un lungo periodo di carestie, rivolte ed epidemie che saranno la causa di altre migliaia di morti in tutto il mondo. Secondo Focus, in Italia la neve cade rossa, date le quantità di cenere nell’atmosfera. In Francia invece una serie di piogge torrenziali crea caos ovunque. Per le strade, con le dinamiche che ricordano quelle della rivoluzione industriale, la gente cerca di regolare i conti con i medesimi metodi distruttivi, questa volta però individuando il nemico in grossisti e commercianti che lucrano sulla gente in difficoltà.
Le piogge insistenti segnano profondamente anche Svezia, Inghilterra e Germania, dove le mandrie finiscono per annegare. In Olanda le conseguenze della fame costringono i contadini a liberarsi del bestiame per via delle enormi quantità di fieno perse nelle inondazioni.
L’epidemia di colera e le conseguenti innovazioni
Tra le più asfissianti conseguenze dell’esplosione c’è sicuramente l’epidemia di colera partita dalle acque del Bengala tra il 1816 e il 1817. Per via dei repentini cambiamenti climatici che intaccano l’equilibrata alternanza di siccità e piogge tipica di quelle zone, le temperature del Golfo indiano crollano drasticamente, dando modo al batterio infettivo del colera di svilupparsi e diventare più aggressivo.
E’ proprio questa variante del batterio a colpire la popolazione indiana, che comincia ad emigrare per sfuggire alla morte portando con sé l’infezione nel resto del mondo. In poco tempo, l’epidemia perde del tutto il controllo e il contagio raggiunge livelli mai visti prima, provocando ulteriori morti in Asia Meridionale e in Afghanistan, diffondendosi poi anche fino al Mar Caspio e al Baltico.
In Europa e in America il batterio arriva poco più tardi, intorno al 1830. In Inghilterra la fame indebolisce i corpi e il contagio divora soprattutto le classi più basse, ma nessuno è escluso. Tuttavia, sono numerose le misure delle classi medio-alte a favore della prevenzione: poiché la malattia si diffonde per le scarse condizioni igieniche, nelle grandi metropoli come Londra e New York nascono le prime grandi reti fognarie, che aiutano a prevenire la diffusione dei batteri letali.
Inoltre, in questi anni nasce il Regent’s Canal, che non solo consente agli uomini di lavorare per guadagnarsi da vivere, ma previene anche l’isolamento di Londra dalle campagne, assicurando e velocizzando così l’afflusso del mercato. Per facilitare gli spostamenti sulle brevi distanze, nello stesso periodo viene anche inventata la bicicletta.
Il vulcano Tambora nell’arte
L’impatto dell’esplosione è cruciale anche in ambito artistico. Sulle rive del lago di Ginevra, Mary Goodwin – meglio conosciuta come Mary Shelley – approfitta del buio anno senza estate per la stesura di quello che sarà il primo romanzo gotico nella storia della letteratura, dando vita al famosissimo scienziato Victor Frankenstein, il ‘’moderno Prometeo’’. Ma non è solo lei a farsi ispirare dalle conseguenze climatiche del cataclisma: anche John Constable e William Turner in Inghilterra vengono inevitabilmente travolti dalle luci intense dell’atmosfera apocalittica, diventando i padri della corrente artistica del Romanticismo.
Nello stesso periodo, John Polidori produce il primo racconto inglese con un vampiro come protagonista, che più tardi ispirerà la figura spettrale di Dracula. Anche Byron parla dettagliatamente della frustrazione mista al nero stupore di quelle giornate gravose e disagevoli nella sua poesia intitolata Darkness (Il buio), descrivendo il mondo come un buco nero senza vita in cui l’oscurità ha preso ormai il sopravvento.
E’ curioso ad oggi sapere che nessuno di questi artisti vivrà tanto a lungo da poter scoprire che quegli imprevedibili eventi climatici sono dipesi esclusivamente dall’esplosione del vulcano indonesiano. Ma è così: sono state le imponderabili tempistiche di Madre Natura il punto cardine intorno al quale l’umanità si è dovuta come sempre adattare, trasformando ogni cosa del mondo di allora e dando modo ad uno sconquasso lacerante di diventare terreno fertile per l’inizio di una modernità che correrà sempre più veloce sulla strada del progresso.
Riferimenti bibliografici e sitografici:
- Wood, Gillen D’Arcy. Tambora: The Eruption that Changed the World. Princeton University Press, 2014.
- Behringer, Wolfgang. Tambora and the Year Without a Summer. Polity Press, 2019.
- https://www.youtube.com/watch?v=cuB-4mC9xZw&t=28s : in questo video, Alessandro Barbero spiega gli eventi del 10 aprile 1815 e come si verifica la più potente esplosione vulcanica dalla fine dell’ultima era glaciale, quella del Monte Tambora nell’Indonesia orientale.
- https://www.focus.it/cultura/storia/eruzioni-vulcaniche-Tambora-Krakatoa ‘’Effetto farfalla: nel 1815 l’eruzione del vulcano Tambora in Indonesia cambiò il volto della società occidentale’’.
- https://www.poetryfoundation.org/poems/43825/darkness-56d222aeeee1b Darkness di Lord Byron.