CONTENUTO
Prima di Elisabetta I, Enrico VIII d’Inghilterra
È il 1527 quando Enrico VIII Tudor, re d’Inghilterra, chiede al papa di sciogliere il vincolo nuziale che lo lega a Caterina d’Aragona. Secondo i cronisti dell’epoca la regina è particolarmente colta, esperta nelle questioni di corte, la sua formazione religiosa ed umanista l’ha resa sensibile e caritatevole; ma questo non basta. L’amore che il popolo coltiva nei suoi confronti non la salva dal ripudio di suo marito: la priorità del sovrano è infatti quella di concepire un maschio sano che possa garantirgli un legittimo erede, ma la donna subisce sei aborti in nove anni di matrimonio. Per sua disgrazia un solo nascituro sopravvive sino all’età adulta, ma è di sesso femminile; la bambina che nasce nel 1516 viene chiamata Maria, da tutti ricordata come “La Sanguinaria”.
Le condizioni di salute di Caterina non fanno che peggiorare, mentre l’esigenza di Enrico VIII si fa sempre più incombente. È proprio in quegli anni che matura l’idea di separarsi definitivamente dalla sua coniuge per legarsi in matrimonio alla dama della stessa, Anna Bolena. L’unico modo per sciogliere il vincolo sacro sembra essere quello di ricevere l’approvazione di papa Clemente VII, che però gli impone un secco rifiuto. Il papa, infatti, riceve costanti pressioni anche da Carlo V, nipote di Caterina e imperatore del Sacro Romano Impero, affinché non permetta il divorzio ed egli possa continuare a controllare parte degli affari inglesi attraverso l’unione dei due.
Anche dopo anni di trattative e manovre diplomatiche, il sovrano non si arrende: nel 1533 si rivolge al Parlamento per ottenere una sentenza di definitivo annullamento del suo matrimonio, che riesce effettivamente ad ottenere. Il papa inasprisce il suo divieto scomunicando Enrico VIII, ma è una decisione che gli costa cara: l’anno successivo il re inglese emana l’Atto di Supremazia, un documento che sancisce l’immediata separazione della Chiesa inglese dalla Chiesa di Roma. Attraverso lo scisma, il re d’Inghilterra diventa il capo della chiesa nazionale, detta anglicana (dal termine latino medievale anglicanus, “anglico, inglese”), controlla la nomina dei vescovi, abolisce i monasteri e incamera i beni ecclesiastici.
Inizialmente, struttura e dottrina della Chiesa inglese non subiscono cambiamenti sostanziali, ma il papa decide comunque di condannarla. Le resistenze non esitano ad emergere in seguito allo scisma, tuttavia vengono piegate immediatamente attraverso la sistematica eliminazione degli oppositori e l’attento controllo del clero, nominato direttamente dal re. Il primo famoso antagonista della Chiesa anglicana è Tommaso Moro, cancelliere del regno che rifiuta di ratificare l’Atto dimettendosi dalla carica. La sua scelta gli costa la condanna a morte: accusato di alto tradimento, viene imprigionato nella Torre di Londra e decapitato nell’estate del 1535.
Il sovrano è libero di sposare Anna Bolena. Utilizzando l’Atto di Successione, Enrico VIII sposta la linea dinastica dalla prima alla seconda moglie, affinché i suoi figli possano diventare i nuovi legittimi eredi al trono. Ma gli eventi successivi non seguono il corso sperato. Anna Bolena dà alla luce la principessa Elisabetta il 7 settembre 1533, a discapito dei medici e degli astrologi che hanno predetto la nascita di un figlio maschio per il re. Tre anni dopo, anche la nuova consorte viene condannata a morte dal volubile marito: è infatti accusata di alto tradimento, stregoneria, incesto e adulterio. Elisabetta viene dichiarata illegittima e, privata del titolo di Principessa, viene esiliata a Hatfield con la sorellastra Maria.
La terza moglie di Enrico VIII, Jane Seymour, mette al mondo il tanto ambito figlio maschio, il principe Edoardo. La donna, tuttavia, è destinata a morire poco dopo a causa di una febbre fatale, contratta in seguito alle complicazioni del parto. Il re non si concede ancora pace: egli ricerca disperatamente un’altra moglie che possa concedergli un ulteriore discendente, Edoardo non gode infatti di ottime condizioni di salute.
La successione di Enrico VIII
La morte di Enrico VIII coincide anche con la fine del suo sesto matrimonio. Nel 1547 Edoardo VI sale sul trono di Inghilterra. Durante il suo breve regno (di appena 5 anni) il Calvinismo penetra in profondità nel paese, finendo per intrecciarsi alla parte liturgica e cerimoniale della Chiesa anglicana. Il “Book of Common Prayers” (il “Libro delle Preghiere Comuni”) viene redatto dall’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, e reso obbligatorio dal Parlamento inglese nel 1549, diventando testo di base del culto anglicano.
Morto Edoardo, Maria I Tudor sale al trono nel 1553. Nonostante il suo regno sia tanto breve quanto quello del fratellastro, la regina si adopera caparbiamente per riportare il cattolicesimo nel paese. La sua ferocia e violenza le permettono di essere ricordata attraverso l’appellativo “Bloody Mary” (Maria “la sanguinaria”), infatti la sua dura politica repressiva nei confronti dei protestanti manifestatasi attraverso esecuzioni e persecuzioni non sarebbe mai stata dimenticata. Tra i numerosi eretici condannati a morte c’è anche Thomas Cranmer, messo a rogo nel 1556.
Tra gli obiettivi della nuova regina non c’è solo quello di ripristinare i rapporti con il papa, di restaurare la religione cattolica e finalmente stabilire la supremazia della Chiesa romana su quella anglicana; Maria I matura anche il desiderio di trovare un marito che abbia le sue stesse aspirazioni e che possa donargli un erede al trono d’Inghilterra. La scelta ricade su Filippo II, figlio del sovrano della cattolica Spagna, ampiamente propenso a vedersi legato alle questioni dinastiche inglesi, piuttosto che spinto da reali sentimenti per la futura moglie.
Questo matrimonio fuori dal comune, con un uomo undici anni più giovane, sembra scuotere coscienze e preoccupazioni internazionali: i due coniugi sarebbero così in grado di formare un legame vincente tra il trono inglese e quello spagnolo, un’intesa che non viene sottovalutata né dai protestanti né dalla popolazione inglese. Il malcontento e le cospirazioni vengono sedate con veemenza; la cattiveria della regina si estende anche verso la sorellastra, Elisabetta, che viene rinchiusa nella Torre di Londra nonostante dichiari fermamente la sua innocenza di fronte alle accuse di complotto.
Il matrimonio, destinato all’infelicità, viene celebrato nel 1554 e, immediatamente dopo, il clima politico e religioso si inasprisce enormemente. È proprio in questi anni che a Maria I viene regalato il suo infamante soprannome: la causa principale è la condanna a rogo di alcune centinaia di protestanti che hanno deciso di non rinnegare il proprio credo; ma la rigidità della regina si fa più feroce grazie all’inquisizione spagnola insinuatasi in territorio bretone, ben nota per i suoi metodi spietati nella lotta contro le eresie.
Ma La Sanguinaria cade dal trono nel 1558. A rovesciarla, tuttavia, non sono complotti o insurrezioni, bensì la malattia che per anni le ha consumato il ventre. Infatti, quella che credeva essere una fortunosa gravidanza si è rivelata un fatale tumore ovarico. Nonostante la spiacevole morte, Maria I riesce nel compimento di un generoso atto di clemenza: decide di risparmiare Elisabetta dalla condanna che la fazione cattolica avrebbe voluto infliggerle. L’indulgenza della sorellastra permette alla futura di divenire una delle sovrane più potenti e ammirate della storia moderna.
Il regno di Elisabetta I Tudor
La Principessa Elisabetta nasce il 7 settembre 1533 a Greenwich. Le egoistiche scelte in materia dinastica da parte del padre, Enrico VIII, l’hanno costretta lontana dalla corte e a debita distanza dalla famiglia d’origine. E’ stata la sesta ed ultima consorte del re, Catherine Parr, a permettere la svolta decisiva nella vita della giovane Elisabetta: le viene impartita una rigida educazione protestante e una formazione prettamente umanistica; ella spicca per la sua vasta cultura e il brillante intelletto, tanto da riuscire in breve tempo ad imparare diverse lingue, tra cui lo spagnolo, l’italiano, il francese, il latino e il greco. Donna connotata da folti capelli rossi ed ineguagliabile eleganza, non passa mai inosservata.
L’esistenza di Elisabetta si incrina significativamente a partire dal matrimonio di Maria I e Filippo II. Il rapporto che ha legato le due sorellastre si decompone quando la regina inglese dichiara guerra ai protestanti, condannando tutti coloro non vogliano convertirsi. L’immenso timore che ella adesso nutre per sua sorellastra la porta a fingersi cattolica per molto tempo, pur continuando a professare segretamente il proprio credo. Elisabetta viene scoperta a rinchiusa nella Torre di Londra e i cattolici più intransigenti vorrebbero per lei la medesima condanna che spetta a tutti gli eretici, ma la regina decide di risparmiarla poco prima di morire.
Illegittima per le convenzioni cattoliche, Elisabetta I viene proclamata regina d’Inghilterra il 17 novembre 1558,attraverso il beneplacito della Chiesa inglese e l’approvazione del Parlamento. La nuova regnante inglese è anche regina in Irlanda, e sembra avere una dimestichezza naturale per l’arte del governo: assume subito il controllo di situazioni interne complesse e, nonostante la giovane età, riesce ad esercitare il suo potere in maniera del tutto autonoma, pur avvalendosi del ruolo e dell’esperienza dei suoi fedeli consiglieri.
Il primo obiettivo della regnante è quello di cancellare completamente le tracce del cattolicesimo promosso da Maria I: riconferma l’Atto di Supremazia emanato dal padre e promulga l’Atto di Uniformità, attraverso cui entra nuovamente in vigore il Book of Common Prayers, utilizzato per pratiche e servizi religiosi. L’inizio del periodo elisabettiano incontra il favore di diverse fasce della popolazione inglese, tra le quali spicca quella protestante; i perseguitati possono essere liberi di esercitare il loro culto apertamente e simpatizzano per la politica filo-protestante della nuova sovrana. Tuttavia, i dissensi non tardano a sorgere in un Paese tradizionalmente cattolico, nonostante Elisabetta I cerchi un giusto equilibrio tra l’anima anglicana e quella puritana d’Inghilterra.
La regina, contrariamente a suo padre, decide di non assumere il titolo di “Capo Supremo della Chiesa”, sostituendolo con quello di “Supremo Governatore”; la scelta è probabilmente legata alla volontà di alcuni membri della Chiesa e della comunità che non credono sia possibile per una donna essere a capo di un’istituzione tanto potente. Per la salvaguardia del suo regno, Elisabetta I accetta e i dissapori in ambito religioso vengono tollerati in quanto spera che una politica di compromesso e pacificazione possa tenere l’Inghilterra lontana dal mirino dei contrasti politico-religiosi ormai prossimi nel continente. Elisabetta I è infatti consapevole di essere a capo di un Paese militarmente debole e impoverito, a cui tenta di dare una scossa riassestando l’ambito finanziario e incoraggiando un poderoso sviluppo economico, soprattutto attraverso la promozione della produzione tessile e delle esportazioni.
Difficoltà dinastiche e interessi internazionali
La successiva preoccupazione della regina sembra essere ben più grave: i problemi religiosi sono infatti strettamente intrecciati a quelli dinastici. Sin dall’inizio del suo regno, Elisabetta I ha dovuto difendere severamente i suoi diritti al trono, costantemente contestati poiché dichiarata illegittima dal padre al termine del secondo matrimonio. L’avversaria più temibile è sua cugina, Maria Stuart, nipote della sorella di Enrico VIII e regina cattolica di Scozia. Terminato il matrimonio con Francesco II, re adolescente di Francia morto precocemente, Maria torna in Scozia in cui tenta di ristabilire ordine e potere in un regno profondamente diviso a causa del dilagare del Calvinismo. Tentando la via della pacificazione, nomina consigliere della corona il protestante Giacomo, conte di Moray e suo fratellastro.
Tuttavia, le circostanze diventano presto ingovernabili. Il popolo scozzese applaude alle dure parole che il calvinista John Knox predica contro la regina cattolica, accusando i lussi e le perdizioni che la sovrana promuove a corte, mettendo in risalto comportamento frivoli piuttosto che importanti affari politici. Maria I cerca di sedare i malcontenti attraverso il suo secondo matrimonio con Lord Darnley, unione da cui ottiene un legittimo erede maschio, Giacomo; ma la sua condotta e la repentina celebrazione delle nozze finiscono per privare la regina anche del sostegno dei nobili della Scozia.
Maria può ancora godere di ampie simpatie cattoliche nell’Inghilterra settentrionale; in particolare il Duca di Norfolk, il conte di Northumberland e il conte di Westmorland aspirano alla deposizione della regnante in favore della cugina cattolica sul trono inglese. Proprio a questo scopo, nel 1569 viene organizzata la Rivolta dei Papisti (o “Ribellione settentrionale”): la motivazione viene ricercata nell’oppressione che i cattolici inglesi sentivano nel loro stesso paese, sempre più minacciati dalla vicinanza al Calvinismo che Elisabetta I non intende nascondere. È tuttavia chiaro che le radici di tale ribellione siano da ritrovare anche negli egoismi dei ricchi conti e dai severi complotti architettati alle spalle di una regina che riesce a raccogliere sempre più consensi.
Anche papa Pio V decide di aiutare i rivoltosi cattolici scomunicando la regina e dichiarando la sua deposizione attraverso la bolla papale Regnans in Excelsis. Elisabetta I riesce a mantenere saldamente il controllo e la sollevazione cessa dopo poco tempo, ma decide che da questo momento avrebbe accantonato la politica di assoluta tolleranza in ambito religioso, tanto da attuare una serie di manovre repressive contro i suoi nemici e cospiratori.
Poco tempo dopo, Lord Darnley rimane vittima di un attentato a Edimburgo e Maria Stuart viene accusata di complicità. La situazione precipita completamente quando Elisabetta I scopre che il piccolo Giacomo è stato battezzato nel Castello di Stirling su una tavola rotonda, una celebrazione inusuale che sembra predire la grandezza del futuro re sul trono di Inghilterra, Irlanda e Scozia. Maria ha anche rifiutato tutti i partiti che la regina le ha proposto e ha finito per sposare un avventuriero di pessima fama, secondo molti direttamente implicato nell’assassinio del secondo marito.
Quando scoppia definitivamente il malcontento dei sudditi, Maria è costretta ad abdicare il trono scozzese in favore di suo figlio, chiedendo rifugio e protezione a Elisabetta I. Tuttavia, temendo che sua cugina non passi inosservata in Inghilterra, la regina decide di imprigionarla nel Castello di Loch Leven; qui diventa subito punto di riferimento per le frange cattoliche e di opposizione alla regnante. Infine, Elisabetta I scopre il documento di un complotto architettato con lo scopo di attentare alla sua vita: la firma in fondo alla pagina è quella di Maria Stuart, dimostrandone la piena partecipazione, nonostante abbia sempre negato. Maria viene condannata a morte nel 1587 dalla regina di Inghilterra, che ignora l’idea dell’esilio proposta da Giacomo. La decisione di Elisabetta non è certamente facile e viene compiuta malvolentieri, ma essere monarca in Inghilterra significa anche dover anteporre la ragion di Stato a qualunque sentimento e interesse personale.
Il Teatro elisabettiano
L’età elisabettiana è riconosciuta per la grande promozione dell’alfabetismo: il 30% della popolazione britannica è adesso in grado di leggere e scrivere, la lingua inglese ha raggiunto il più alto livello di sviluppo e i testi stranieri vengono tradotti e divulgati con molta più facilità, motivo la curiosità degli avidi lettori. Ma l’evento che può essere considerato come il più significativo di questo periodo è la nascita di una fiorente produzione teatrale in grado di accogliere le richieste di un pubblico sempre più ampio, dal raffinato al popolare.
Elisabetta I è grande sostenitrice del teatro e la drammaturgia diventa immediatamente la forma di intrattenimento per eccellenza nella corte inglese del sedicesimo secolo; ella decide pertanto di offrire ausilio ad attori professionisti e promettenti registi drammaturgici. Un editto emanato nel 1531 da Enrico VIII classifica gli attori come alcuni degli individui più sgradevoli, riducendoli a vagabondi e girovaghi, incapaci di contribuire in alcun modo al benessere sociale e comune. Questa condanna li espone alle costanti persecuzioni da parte di autorità cittadine e fasce puritane: da una parte, gli assembramenti di folla attorno ai teatri minano l’ordine pubblico; rumore, disordine e traffico sono all’ordine del giorno. Anche la decenza pubblica è costantemente compromessa, notoriamente questi luoghi sono infatti adatti all’adescamento delle prostitute.
D’altra parte, i puritani attaccano le rappresentazioni credendo siano sinonimo di sfrenatezza e mondanità, volgarità e corruzione dell’anima, nonché minaccia alla moralità. La critica colpisce tutti i tipi di travestimento in quanto celano la realtà, nascondono la vera natura degli attori e sono associati all’inganno. Ma il più temuto e pericoloso sembra essere il travestimento dei ragazzi che recitano parti femminili (alle donne non è ancora permesso recitare): esso viola una categorica proibizione biblica e solleva desideri illeciti, sia eterosessuali sia omosessuali.
Tanti nemici sono l’ovvia conseguenza dello strepitoso successo che il teatro sta riscuotendo e, a garantirne la sopravvivenza, è proprio la regina Elisabetta I. Inizialmente visto come ludico intrattenimento durante le festività natalizie, la sovrana comprende il potenziale, anche propagandistico, di questa forma d’arte e decide di proteggerla. Ella, infatti, limita gli effetti del decreto emanato dal padre consentendo agli attori di poter finalmente esercitare la loro professione senza restrizioni, purché sottoposti alla protezione di un nobile e possessori della patente regia (un’autorizzazione ufficiale emessa dalla regina che consente loro libera circolazione ed esercizio).
Le nuove compagnie teatrali possono sempre contare sulla protezione della corona e dei più potenti esponenti dell’aristocrazia, trasformandosi da compagnie itineranti in compagnie stabili. Questa metamorfosi si riflette anche sulla condizione sociale dell’attore e il modo in cui viene accolto dal pubblico: non è più accusato di vagabondaggio, bensì diventa artigiano professionista protetto dai potenti del regno.
La protezione dei nobili e della corona comporta anche il controllo della qualità delle rappresentazioni che, col tempo, diventano sempre più sofisticate e attente alle esigenze del pubblico. Solo le compagnie migliori riescono a sopravvivere alla spietata competizione per il favore della regina o degli uomini a lei vicina: tra queste splende la stabile compagnia di Lord Chamberlain di cui fa parte anche William Shakespeare, l’autore più celebre del periodo, i cui lavori poliedrici prendono vita in teatri sontuosi ed eleganti.
Per sottrarsi all’ostilità del governo cittadino, i primi teatri vengono edificati all’esterno delle mura della città, dunque fuori dalla giurisdizione delle autorità londinesi. Il primo teatro permanente di cui si ha notizia è The Theatre, costruito nel 1576 nella zona nord di Londra. Negli anni Novanta la struttura fisica delle cosiddette playhouse rimane quella di un anfiteatro di legno all’aperto, generalmente di forma poligonale per favorire la valenza acustica, con una piattaforma rialzata in legno che funge da palco scenico.
I teatri hanno dei programmi costanti e delle rappresentazioni giornaliere, ma la scenografia è invece quasi del tutto inesistente, motivo per cui gli attori devono fare affidamento sugli sfarzosi e stravaganti costumi per creare l’effetto della finzione. I drammaturghi del periodo, d’altro canto, si appellano all’udito piuttosto che alla vista degli spettatori, sfruttando al massimo la capacità che i dialoghi hanno per evocare luoghi, persone e antefatti.
Con il termine Teatro elisabettiano, sinonimo di Teatro rinascimentale inglese, si designa questa particolare tipologia di rappresentazione teatrale ascrivibile al periodo del regno della regina Elisabetta I e promosso anche sotto i suoi successori. Il teatro è ormai diventato una pura e fiorente industria, l’arte performativa è prospera come non mai e l’Inghilterra ne è la migliore promotrice e rappresentante.
Elisabetta I ospita rappresentazioni e spettacoli sopraffini all’interno delle residenze reali, comincia a curare in maniera minuziosa la sua immagine di Regina Vergine e Sposa d’Inghilterra che ha intenzione di preservare caramente. Utilizza la produzione drammaturgica del tempo per proiettare scaltramente luce vivida e sacrale sulla dinastia Tudor e sulla potenza inglese ma, più di tutto, sul sacrificio compiuto da lei stessa al fine di dedicare completamente la vita al bene della sua gente.
Il controllo mecenatistico e propagandistico che la corona esercita sul teatro continua ampiamente anche durante i successivi regni, dimostrando a più riprese che l’età elisabettiana è coincisa anche con la consacrazione definitiva per il mondo del teatro e dei suoi protagonisti, registi e artisti performativi.
La Regina Vergine e la questione della discendenza
Le cronache del sedicesimo secolo offrono un peculiare ritratto della sovrana: una donna forte e risoluta, elegante ma non bella, riservata e fiera preservatrice della sua verginità. La regina ha contratto il vaiolo nel 1562 e, nonostante fosse guarita completamente, la piaga le ha lasciato il viso profondamente deturpato. Il problema l’ha costretta a cercare rimedi di dubbia utilità e sgradevole odore: Elisabetta I è stata infatti sottoposta a lunghe ed estenuanti sedute di applicazione di biacca, un pigmento bianco costituito da carbonato basico di piombo ad altissima coprenza, utilizzato come fondotinta.
Secondo molti esperti della cosmesi, il camouflage utilizzato quotidianamente dalla regina è così tossico da aver aggravato velocemente le cause della sua morte. Le grosse ed evidenti cicatrici costringono Elisabetta I ad una sorta di isolazionismo assoluto: gli specchi non erano ben graditi all’interno delle stanze reali, pretende di essere vestita sempre e solo dalla stessa cameriera e lascia la categorica disposizione di non essere spogliata e guardata dopo la sua morte. Tuttavia, il severo rifiuto di Elisabetta I ad accettare la mano o l’amore di qualunque uomo, anche il più ricco e potente, potrebbe essere conseguenza di altri e molteplici fattori.
Fin dalla tenera età, la regina è cresciuta con un’idea del matrimonio alquanto dolorosa e infausta: suo padre, re Enrico VIII, decide di ripudiare moglie dopo moglie per capricci ed egoismi, riservando loro anche vergognose condanne e morti terribili. Non è un caso che nella principessa maturi l’idea che il termine “matrimonio” sia sinonimo di “sciagura” e, una volta diventata regnante, cerchi in tutti i modi di preservare la sua austerità, indipendenza e autonomia.
Fonti accurate confermano l’ipotesi secondo cui la regina abbia avuto svariate relazioni con diversi uomini, alcuni nobili e facoltosi, ma mai presi in matrimonio. Elisabetta I decide di compiere una scelta non comune per le donne dell’epoca: ella non si è mai sposata, motivo per cui le è stato affibbiato l’appellativo di “Regina Vergine”. La paura di divenire improvvisamente vittima della volubilità del re, di un suo capriccio o inaspettata decisione permette alla sovrana di non cedere mai alle costanti e pressanti richieste dei parlamentari di garantire un erede maschio al trono inglese.
Fortunatamente, le ragioni personali si mescolano a quelle strategiche. La potenza e la ricchezza della regina d’Inghilterra diventano note a tutto il mondo, tanto da ricevere numerose proposte di matrimonio da nobili illustri e regnanti europei. Ma Elisabetta I non ha intenzione di diventare regina consorte, decide dunque di tenere i pretendenti in attesa di risposta per anni, evitando così di inimicarseli e mantenendo il regno autonomo da ingerenze interne.
La regina riesce a sfruttare questa situazione, apparentemente svantaggiosa, per attirare l’attenzione e l’amore del popolo inglese: presentandosi come regina vergine e guerriera, riesce a garantire alla sua gente un modello di autonomia e devozione, di caparbietà e coraggio, qualità concentrate nelle mani di un’unica persona che combatte per il bene e la protezione del Paese che governa fieramente.
Lo scontro anglo-spagnolo: Elisabetta I contro Filippo II
Le cause dello scontro sono molteplici e diverse, tuttavia convergenti. Nel corso del tempo si sono presentate rivolte e insurrezioni nel regno elisabettiano promosse da nobili cattolici, volte a sovvertire il protestantesimo e la libertà di culto garantita dalla corona. L’atteggiamento sempre più intransigente e severo che Elisabetta I nutre per le fasce cattoliche non è visto di buon occhio dalla cattolicissima Spagna, che invece vuole farsi garante e simbolo della protezione del cristianesimo agli occhi internazionali.
D’altra parte, la già presente tensione tra anglicanesimo e cattolicesimo sembra nutrirsi anche dal progressivo espansionismo marittimo inglese che improvvisamente orienta la Gran Bretagna sul podio delle potenze europee che esercitano maggiore controllo sul mare. Infatti, la volontà di Elisabetta I non è solo quella di raggiungere una stabilità interna che nel suo Paese non debba vacillare, ma anche una posizione di immenso prestigio internazionale e ricchezza garantite dagli imperi commerciali in Asia e America.
Le ambizioni espansionistiche della corona inglese verso nuovi spazi marittimi si scontrano prevedibilmente con gli interessi commerciali della Spagna di Filippo II. Elisabetta I ha ormai deciso di estendere il suo impero verso territori inesplorati e pericolosi agli avventurieri, dunque decide di fornire ai suoi abili corsari le patenti di corsa: delle lettere ufficiali che li autorizzano ad attaccare e saccheggiare qualunque nave nemica incontrino sul loro cammino.
Il più celebre è sicuramente Francis Drake, corsaro notoriamente vicino alla regina, il cui compito è quello di riempire le casse del regno attraverso incursioni alle colonie straniere e furti ai galeoni che fanno ritorno in Europa. Tra i più grandi e colmi di ricchezze ci sono quelli spagnoli, sempre prediletti nel mirino da caccia dei predoni britannici.
Filippo II, consapevole della potenza e tenacia della regina inglese, decide di sfoderare la carta del matrimonio. Elisabetta I non solo rifiuta la mano del grande re, ma decide di affrontarlo apertamente, inaugurando una politica di continue provocazioni contro la Spagna: mentre promuove il potenziamento della flotta marittima inglese, la sovrana decide di sostenere finanziariamente la rivolta antispagnola nei Paesi Bassi.
Ma i rapporti si incrinano in maniera irreversibile con l’annessione del Portogallo alla Spagna, permettendo a Filippo II di ottenere il facile controllo dei mari. Il re spagnolo crede adesso di essere forte abbastanza per ribaltare il potere della regina; decide pertanto di prendere parte ad una cospirazione cattolica contro Elisabetta I, progetto ideato da un banchiere fiorentino nel 1571 e ribattezzato come “Complotto Ridolfi”. La corona inglese fa scoperta della notizia e riesce a sventare l’intera operazione, ma questo è un errore che la regina non vuole dimenticare.
Nell’aprile del 1587 si apre definitivamente la guerra anglo-spagnola. Filippo II sta preparando le truppe e rafforzando l’esercito quando Francis Drake decide di attaccare improvvisamente la flotta spagnola presso Cadice, bruciando tutte le navi e ritardando i preparativi del contrattacco. Ma, appena un anno dopo, le forze spagnole sono ormai ricomposte e il re è pronto a sferrare l’attacco più potente contro l’Inghilterra per ribaltare definitivamente il potere di Elisabetta I.
La nuova flotta di Filippo II è storicamente ricordata come “Invencible Armada“: è composta da 130 imponenti navi e 24.000 uomini, sia soldati addestrati sia marinai; l’obiettivo è quello di raggiungere le coste inglesi per invadere e conquistare il paese che, da storico alleato, è ormai diventato temibile nemico. La regina, venuta a conoscenza della notizia, decide di impugnare lo scettro e rivolgersi direttamente alle sue truppe per infondere loro coraggio: pronuncia un famoso discorso presso Tilbury che riesce a scuotere gli animi dei suoi valorosi uomini.
Quando l’Invencible Armada si riversa nella Manica viene risucchiata immediatamente da terribili tempeste e, a causa dei suoi galeoni fin troppo grandi e pesanti, non riesce a sfuggire. Il tempo inclemente è stato probabilmente indispensabile complice per le truppe inglesi che, attraverso imbarcazioni più piccole e agili, riescono ad avere la meglio sulla potenza spagnola. La flotta di Filippo II è costretta alla ritirata, tuttavia solo la metà di quella inizialmente inviata alla volta dell’Inghilterra riesce a rimpatriare.
Nonostante la terribile disfatta spagnola, gli attacchi reciproci tra le due potenze proseguono ancora per svariati anni e le casse inglesi sono costantemente colme grazie agli assalti condotti da Francis Drake. Solo nel 1599, Inghilterra e Spagna decidono di firmare il Trattato di Londra, accordo che sancisce il termine dei conflitti e l’inizio della pace.
Nonostante le peripezie internazionali sembrano essere state sedate, quelle interne persistono e assillano la regina. Infatti, nel 1594 Robert Devereux (secondo conte di Essex e uomo fidato della sovrana) sostiene di aver scoperto una cospirazione che lega Rodrigo Lopez (medico di corte) al governo spagnolo. Lopez nega l’accaduto e si dichiara innocente, ma Devereux presenta ad Elisabetta I dei documenti che ne testimoniano la colpevolezza: il medico avrebbe infatti affermato che la regina fosse malata e le medicine che avrebbe dovuto assumere altro non sono che un veleno; l’obiettivo era quello di dichiararne la morte naturale, senza destare alcun sospetto. Lopez viene arrestato e condannato a morte, tuttavia qualche tempo dopo sarebbe stata scoperta la sua innocenza.
L’economia inglese durante il regno di Elisabetta I
Al termine del conflitto anglo-spagnolo, l’Inghilterra può godere di un periodo particolarmente ricco e prospero, caratterizzato soprattutto da una positiva espansione economica e marittima. Elisabetta I si concentra sul suo Paese, rilanciando l’agricoltura e l’allevamento, le attività artigianali e quelle manifatturiere: in particolare aumenta la produzione della lana e il lavoro tessile viene incentivato anche dai grandi flussi d’esportazione.
La sovrana riesce a servirsi anche dei numerosi rifugiati religiosi e stranieri che, nonostante non abbiano ancora grande dimestichezza con la lingua o la cultura inglese, vengono immediatamente inseriti nella lavorazione del vetro, della ceramica, nell’utilizzo del ferro e del carbone proveniente dalle grandi miniere inglesi per lavorazioni più complesse. Dunque, la sovrana riesce a rispondere positivamente ai problemi sociali, trasformandoli presto in astute soluzioni per un fermento economico sempre più disteso.
Il progressivo espansionismo marittimo traccia nuove rotte oceaniche per l’Inghilterra, contribuendo a migliorare le attività commerciali e mercantili. La tratta degli schiavi diventa particolarmente propizia per gli inglesi, tanto da condurre la regina a fondare la celeberrima Compagnia britannica delle Indie Orientali nel 1600: questo è il primo passo per la costituzione del futuro grande Impero britannico. La Compagnia garantisce all’Inghilterra il monopolio mercantile di schiavi e merci (cannella, pepe, spezie, seta, indaco, legni e metalli preziosi) nel Sudest asiatico, in America e successivamente in India.
La società inglese, intanto, vive di riflesso i grandi cambiamenti a cui il Paese è sottoposto a livello internazionale. Dal punto di vista religioso, Elisabetta I spinge l’Inghilterra verso l’equilibrio promuovendo il Protestantesimo e cercando di bandire qualunque tipo di fanatismo religioso. Le condizioni di vita migliorano notevolmente grazie allo sviluppo economico interno ed estero, la popolazione cresce vistosamente e Londra si prepara ad assumere una posizione di dominio economico e politico nel panorama Europeo.
Infine, fioriscono le arti. Il tasso di alfabetizzazione cresce sempre più e vengono fondati i primi quotidiani; la poesia e la letteratura inglese assumono grande importanza e vigore, fino ad essere riconosciute e apprezzate a livello internazionale. Il teatro domina la vita culturale inglese: la sovrana continua a presentare le sue rappresentazioni preferite agli ospiti stranieri, facendo vanto della bellissima arte sviluppatasi nel Paese. Gli attori professionisti si riuniscono in compagnie teatrali e viaggiano in lungo e largo attraverso le patenti regie, i poeti e gli artisti si ispirano alla purezza della Regina Vergine per le loro produzioni letterarie e artistiche.
Nel 1598 la regina è costretta a subire un atroce colpo: muore il suo consigliere più fidato, Robert Cecil, e il ruolo viene ricoperto da suo figlio che, tuttavia, non dimostra la stressa risolutezza e propensione politica di suo padre, nonostante la regina richieda da lui costantemente consiglio e appoggio.
Inoltre, dal 1596, Elisabetta I deve anche fronteggiare la ribellione di Tyrone in Irlanda, dove il conte Hugh O’Neil si è autoproclamato re. Cercando di evitare un’altra guerra, la regina cerca subito di stipulare una tregua e arrivare alla pace, ma il suo avversario ricerca prontamente l’aiuto spagnolo. La Spagna invia alcune navi per prestare soccorso come da richiesta, ma queste vengono prontamente intercettate e abbattute dalla flotta inglese. Due anni dopo, Tyrone decide finalmente di accettare la tregua ma, al suo scadere, sferra un attacco improvviso agli inglesi che subiscono un’umiliante sconfitta nella battaglia di Yellow Ford.
Robert Devereux, nominato Lord Luogotenente d’Irlanda, ha fallito nella missione affidatagli dalla regina e, disobbedendo ai suoi ordini, torna in Inghilterra senza il suo permesso. Elisabetta I lo punisce privandolo di tutti gli incarichi ed egli decide di guidare una rivolta contro la sovrana appena un anno dopo, ma viene fermato e giustiziato. Il suo attentato apre tuttavia le porte ad una nuova figura, il barone Charles Blount: inviato in Irlanda, egli riesce a sconfiggere una volta per tutte gli irlandesi e gli spagnoli giunti in ausilio; al termine della battaglia di Kinsale, gli insorti sono obbligati ad arrendersi.
Nell’autunno del 1602 la regina piomba in un profondo stato depressivo: non riesce più a sopportare il peso della complessa vita politica, è indebolita dalla fiacchezza e dagli acciacchi, soffre di continui vuoti di memoria ed è particolarmente irascibile. Si crede che le sue condizioni siano peggiorate velocemente a causa dello smisurato utilizzo della sua routine cosmetica. Elisabetta I muore il 24 marzo 1603 nel Palazzo di Richmond, quell’anno avrebbe compiuto 70 anni. Le sue ultime parole sono state: “Chiamatemi un prete: ho deciso che devo morire”.
Elisabetta I è dunque morta senza eredi: la gestione della potente Inghilterra passa adesso nelle mani di Giacomo I, figlio di Maria Stuart, che diventa così anche sovrano di Scozia.
Consigli per approfondimenti
- film Elisabeth (1998), di Shekhar Kapur;
- film Maria Regina di Scozia (2018), di Josie Rourke;
- libro Breve storia della letteratura inglese di Paolo Bertinetti, Einaudi;
- video Youtube:
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Mariangela Melotti, Elisabetta I. Regina d’Inghilterra, Rusconi, 2018;
- Carolly Erickson, Elisabetta I: la vergine regina, Mondadori, 2010.