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The Untouchables (Gli intoccabili): il film su Eliot Ness
La sequenza era la più complicata che Brian De Palma avesse mai girato, ma la doveva al suo mito, il regista russo Sergej Michajlovič Ėjzenštejn. E poi vi era anche un sottile omaggio ad un altro Maestro, la scena della sparatoria di Byron Haskin in Sfida alla città, del 1956. Quella della Corazzata Potëmkin con carrozzina e bimbo a bordo che caracolla e scende senza freno sulla scalinata della stazione di Odessa è del 1925, ed è tuttora studiata nelle Accademie del cinema. Qui invece la stazione è quella di Chicago, più o meno negli stessi anni, in pieno proibizionismo e a scambiarsi colpi di mitraglietta Thompson sono agenti federali e mafiosi.
Quando i produttori di Hollywood decidono di fare le cose in grande, investono cifre di tutto rispetto nel regista, nel cast e nella scrittura della storia. The Untouchables della Paramount è il più classico dei kolossal gangster-movie: un costo stimato tra i 60 e i 70 milioni di dollari (ma guadagnò dieci volte tanto ai botteghini mondiali), un regista sulla cresta dell’onda, nei ruoli principali attori del calibro di Kevin Costner, Sean Connery, Andy Garcia, Robert De Niro nei panni del potente e temuto boss italo-americano Al Capone, per la colonna sonora Ennio Morricone. E poi la storia, che storia!
David Mamet, lo sceenwriter, vincitore anche di un premio Pulitzer, ne aveva di materiale da cui trarre idee. Il personaggio centrale, quello dell’agente federale Eliot Ness – interpretato da Costner – risultava quanto mai intrigante: aveva già ispirato negli anni Trenta il fumettista Chester Gould che prendendolo a modello aveva creato il personaggio di Dick Tracy. Poi un libro, basato sulle memorie di Ness ed uscito postumo nel 1959, era stato elaborato da Oscar Fraley, che aveva pensato bene di arricchirlo con qualche parte romanzata, arrivando a vendere più di un milione di copie. Senza contare la serie televisiva con Robert Stack nel ruolo principale, andata in onda con un certo successo per quattro stagioni in 60 episodi dal 1959 al 1963. Nel 1987 era decisamente il momento di riprendere in mano quel racconto.
E tra una sparatoria e l’altra, in una lotta serrata tra quattro incorruttibili (anzi “intoccabili”) agenti federali e le gang che dirigevano il commercio illegale di alcolici, il colpo di genio di incastrare Al Capone per reati fiscali e non per i numerosissimi omicidi di cui si era reso protagonista non poteva non stupire il pubblico al cinema. Lo abbiamo detto: Fraley nel libro qualche forzatura l’aveva inserita, Mamet nella sceneggiatura non era stato da meno. D’altronde, i miti e gli eroi che tanto piacevano agli americani di una volta non si costruivano così?
Pensare che Eliot Ness aveva vissuto la nemesi di tanti personaggi che dalle prime pagine dei giornali faticano poi a trasferirsi in un angusto appartamento, soli e dimenticati da chi fino a qualche tempo prima li aveva esaltati. Quando, deluso ed assillato da problemi finanziari, nel 1957 un infarto lo colse nella sua casa di Coudersport in Pennsylvania, a soli 54 anni di età, non avrebbe certo immaginato che la attuale corrente della cancel culture che tanto avvince gli statunitensi, che reinterpretano e contestano il passato da Cristoforo Colombo ai nativi americani, avrebbe trascinato anche lui verso la ignominia, sottolineandone una vita non poi così proba e come una qualche forma di depressione lo avesse indotto a trovare conforto proprio in quell’alcol che con tanta foga aveva combattuto.
Storie di paradossi. D’altronde gli States sono un Paese nel quale i paradossi fioriscono. Ad esempio, il proibizionismo, l’altro protagonista del nostro racconto, risultò frutto della parte puritana di quella popolazione, criminalizzò quella che era stata la quinta industria più grande del paese e fu contestualmente un regalo inaspettato per la malavita, che seppe interpretare l’affare ed iniziò un floridissimo traffico e commercio illegale di alcolici (bootlegging), che comportò una lotta fratricida tra fazioni con conseguenti efferati omicidi ed una corruzione dilagante.
Trailer del film “Gli intoccabili”
L’era del Proibizionismo
Il Volstead Act, così fu etichettata la legge approvata il 28 ottobre del 1919 dal nome del deputato repubblicano del Minnesota proponente, entrata in vigore il primo gennaio dell’anno successivo, fu l’esito di un lungo processo storico, originatosi sin dalla fine del Diciottesimo secolo, sull’onda della piaga sociale dovuta all’alcolismo dilagante tra gli uomini, piegati da lunghe e faticose giornate di lavoro, spesso concluse nei saloon in compagnia di pinte di birra ed alcolici di maggior gradazione, con connesse risse e rientri a casa ove le condizioni psico-fisiche deteriorate dai liquidi ingeriti non aiutavano certo il menage familiare. Erano così nate associazioni di donne bianche religiose (Temperance Union) affiliate a gruppi metodisti o evangelici, appartenenti alla classe media, che avevano quale slogan “The Lips That Touch Liquor Will Never Touch Mine”, ovvero “Le labbra che toccano un alcolico non toccheranno mai le mie”.
Seppure alcuni Stati avessero approvato leggi contro il consumo di alcolici, la Guerra civile fece sì che la causa perdesse interesse, per riaccedersi poi nella seconda parte dell’Ottocento, quando venne fondata la Woman’s Christian Temperance Union (WCTU) che univa la questione con quella del diritto di voto alle donne (movimento noto come delle suffragette), ma anche con altre relative a diritti politici. Invero la piaga dell’alcolismo era combattuta nello stesso periodo anche in paesi europei (Danimarca, Norvegia) ed in Canada, che avevano emanato leggi contro la distillazione domestica.
Lo stesso futuro presidente Theodore Roosevelt, allora Police Commissioner di New York, metropoli di 6 milioni di abitanti (in cui si contavano 10 000 saloon tra legali ed illegali), riteneva che il commercio degli alcolici fosse il combustibile della criminalità tra gli stessi proprietari di saloon, che ivi gestivano anche prostituzione e gioco d’azzardo. Bisogna poi aggiungere al cocktail una dose di razzismo che iniziò ad affacciarsi verso fine Ottocento – inizio Novecento, con il maggior afflusso di giovani lavoratori immigrati (nel 1910 più di un terzo della popolazione era composta da stranieri o figli di stranieri, italiani compresi), che trovavano nei saloon momenti di socializzazione, per quanto “alterata”, e gestori che pochi scrupoli si facevano nello sfruttare il vizio, versando per altro nei bicchieri liquori di pessima qualità.
Nel 1916 ebbe un certo successo il libro basato su credenze pseudoscientifiche The Passing of the Great Race dell’avvocato sostenitore dell’eugenetica Madison Grant, che esponeva la teoria della “razza nordica” intrinsecamente superiore alle altre “razze” umane. Per altro il libro sarà elogiato da Adolf Hitler in persona. Coloro che si ritenevano americani “puri” (a ben vedere arrivati in quella terra solo qualche decennio prima) guardavano con disprezzo i nuovi giunti. Si rinnovarono così con maggior forza i movimenti proibizionisti. Il più energico fu l’Anti-Saloon League, fondato sin dal 1893 ed in seguito guidato dall’avvocato Wayne Bidwell Wheeler, che grazie all’accordo politico con le suffragette giocò un ruolo importante nella approvazione del XVIII emendamento alla Costituzione, che vietava per l’appunto la produzione, il trasporto e la vendita di bevande alcoliche, in cambio dell’appoggio al XIX emendamento, che garantiva il diritto di voto alle donne.
L’emendamento costituzionale proibizionista vincolava ogni stato americano, e fu feroce il dibattito tra i favorevoli ed i contrari, divisi – solo come la capacità di sintesi della lingua anglosassone riesce – in: “dry” – i quali sostenevano che il consumo di alcol portava solo “crimine, rivolte, miseria e morte” – e “wet”, che ribattevano che l’alcolismo non doveva essere considerato né dalla società civile né da quella militare come una seria minaccia alla salute dei giovani uomini. Il 28 ottobre 1919 prima la House of Representatives e quindi il Senato approvarono il Volstead Act, che proibiva all’interno di tutto territorio commercio, trasporto e produzione di qualsiasi bevanda con una percentuale di alcol superiore allo 0.5%, dando inizio al periodo storico del Proibizionismo. Nei casi più gravi di violazione della legge il Commissioner of Internal Revenue e gli agenti della Prohibition Unit (appartenenti al US Department of Treasury, il nostro Ministero del Tesoro) avrebbero potuto procedere all’arresto e, in caso di condanna, alla pena detentiva che non avrebbe dovuto oltrepassare un periodo di un anno.
È facile immaginare che avvenne ciò che 13 anni dopo portò forzatamente alla abrogazione della legge: novelli distillatori iniziarono una produzione artigianale locale di liquori, con risultati spesso devastanti sia per la salute poiché tossici giacché prodotti con il micidiale acetone (wood alcohol) che portava cecità quando non la morte, sia perché le macchine distillatrici letteralmente scoppiavano, provocando tragici incendi. Bande maggiormente organizzate si rifornivano di alcol di contrabbando estero via mare (venivano chiamati rumrunners e trasportavano da isole caraibiche ed Europa) o via terra (Canada).
Alcol destinato all’utilizzo per l’industria cosmetica era distillato – viaggio durante – sulle imbarcazioni, per giungere già pronto nei locali pubblici. Venivano utilizzati anche sottomarini, e questo dimostra quanto sia vero che la storia si ripete, guardando agli odierni trafficanti di droga sudamericani e messicani che usano tali mezzi occulti per i loro trasporti subacquei. Inizialmente, peraltro, magistratura e forze di polizia dei singoli Stati e delle città non diedero priorità all’applicazione del Volstead Act, prese com’erano da una criminalità che spaziava su altri fronti, creando maggiore allarme sociale, in termini di omicidi, furti, rapine, stupri.

Chicago e la criminalità imperante
Ciò consentì la nascita di una nuova generazione di criminali, che, pur dividendosi il territorio ove operare, non mancavano naturalmente di entrare in contrasto tra di loro, a suon di sparatorie e cadaveri lasciati sulla strada. Con riferimento alla delinquenza italiana, in questo periodo riemersero gang già preesistenti, che indirizzarono i loro affari al nuovo florido business. Tornò in voga dopo un lungo periodo di detenzione per una condanna per contraffazione di banconote Joe “l’artiglio” Morello, un corleonese a capo della fazione dei Terranova, che aveva importato la mafia a New York alla fine dell’Ottocento e che ora affrontava la concorrenza dei D’Aquila-Gambino-Valenti. Morello era spalleggiato da Joe Masseria (Joe The Boss), che presto diverrà il capo supremo della mafia newyorchese, sino all’aprile del 1931, quando cadde assassinato nel corso del conflitto noto come guerra castellamarese interno alla mafia di New York. Egli crebbe una nidiata di figliocci che presto si faranno strada nel mondo criminale americano, da Frank Costello a Charlie “Lucky” Luciano, da Joe “Cargo” Valachi ad Alphonse Gabriel “Al” Capone.
Quest’ultimo era un migrante della seconda generazione, quarto di nove figli di una coppia originaria della Campania giunta a New York nel 1893, nato a Brooklyn il 17 gennaio 1899. Non brillante negli studi, Al lasciò la scuola e si dedicò alla criminalità di strada, avvicinandosi alla delinquenza irlandese, tanto da inserirsi nella storica Five Points Gang, e da sposare una ragazza del Paese gaelico. Non deve sorprendere l’indirizzo verso una criminalità etnica non propria: Al fece riscorso alle proprie radici solo quando fu per lui conveniente. In realtà egli affermava di sentirsi del tutto “brooklino”.
Questo periodo gli lascerà anche un segno indelebile sul viso: una cicatrice procuratagli da un picciotto con il quale era venuto a diverbio e che gli varrà il soprannome di “scarface”. La svolta della sua vita venne quando entrò nelle grazie di Giovanni Johnny Torrio (The Fox), un boss lucano-pugliese che lo prese sotto la sua ala protettiva e che, trasferitosi a Chicago da New York a sua volta chiamato dallo zio acquisito boss del luogo “Big Jim” Colosimo, nel 1919 volle Capone al suo fianco come semplice “soldato”, impegnato nei bordelli di Big Jim come barista e buttafuori. Entrato Torrio di prepotenza nel business del commercio illegale di alcolici dopo che il riluttante Colosimo era stato ucciso da una mano rimasta sconosciuta, Al presto salì nella scala gerarchica della banda, divenendo braccio destro di Torrio. Questi nel 1925, dopo aver subito un grave attentato dagli irlandesi della gang del North Side della città, gli cedette il comando.
Capone, giovane e con apprezzabili capacità organizzative, costruì il suo impero sulla corruzione e la violenza, spesso fine a sé stessa e con venature di crudeltà che alcuni storici imputano alla sifilide contratta, facendo della vendita di alcolici il perno degli affari, ma mantenendo saldo il controllo della prostituzione e del gioco d’azzardo nei numerosi bordelli di sua proprietà, nonché della estorsione e del nascente traffico di droga. Quella che veniva denominata “Chicago Outfit”, ovvero la famiglia mafiosa italo-americana, prosperava economicamente (il patrimonio di Capone nel 1927 fu calcolato in circa 100 milioni di dollari) e teneva saldamente in mano il potere, anche grazie al compiacente corrotto sindaco William Hale Thompson.
L’escalation della violenza nel corso del quinquennio culminò il 14 febbraio 1929 nel Massacro di San Valentino, quello che viene definito il più famigerato omicidio di massa di gangster nella storia, allorquando nel tentativo di liberarsi della storica rivale North Side Gang di George “Bugs” Moran la banda di Capone (i killer vestivano false uniformi da poliziotto) uccise in un agguato sette rivali. L’incombere di una crisi economica che sarebbe sfociata nella “Grande Depressione” poi minò il consenso sociale verso quello stile “ballyhoo”, eccessivo e spensierato che Capone offriva tramite i suoi bordelli. Tutto ciò convinse il neoeletto presidente Herbert Hoover – pressato da preminenti cittadini di Chicago – della necessità che scendesse in campo l’Autorità federale.
Ordine presidenziale: sconfiggete Al Capone

La strategia per sconfiggere il gangster si basò su due assi di penetrazione: da una parte gli investigatori del dipartimento del Tesoro dell’Internal Revenue Service (IRS), guidati da Elmer Irey e Frank Wilson, avrebbero spulciato i conti della Chicago Outfit per trovare qualche appiglio di tipo fiscale, dall’altra sul terreno più propriamente poliziesco la squadra del brillante Eliot Ness avrebbe fatto piazza pulita del traffico e della vendita illegale di alcolici.
Ness, nato a Chicago il 19 aprile del 1903, cresciuto in una famiglia di immigrati norvegesi, ultimo di cinque figli, il padre gestore di un’attività di panetteria all’ingrosso, si era laureato nel 1925 nell’Università locale in scienze politiche, commercio e amministrazione aziendale. In quel periodo meno del 5% degli americani vantava una formazione universitaria. Iniziò a lavorare nella Retail Credit Company di Chicago, ma alla ricerca di un lavoro più eccitante un paio di anni più tardi seguirà un corso di amministrazione della polizia tenuto dal criminologo August Vollmer, un metodico organizzatore e modernizzatore, che rimarrà suo mentore.
Avendo un cognato in quel contesto, era poi entrato nella Prohibition Unit di Chicago prestando giuramento Il 26 agosto 1926. Come abbiamo accennato in apertura, il Dipartimento del Tesoro era pesantemente impegnato nella applicazione del Volstead Act, attraverso la Prohibition Unit, ed anche la Coast Guard (Guardia Costiera) e la Customs (Dogana), che, per quanto possibile, lavoravano congiuntamente, condividendo informazioni e conducendo operazioni contro quella che oggi verrebbe descritta come una minaccia della criminalità organizzata transnazionale. La Guardia Costiera vantava anche un servizio guidato da Elizebeth Friedman di decrittazione dei messaggi in codice che si scambiavano i rumrunners impegnati nel trasporto via mare degli alcolici.
Le capacità e la preparazione di Ness lo portano in fretta a scalare i gradini dell’organizzazione: da junior investigator si ritrovò nell’estate del 1930 a salire al grado di junior special agent. Fu in questo periodo che la Prohibition Unit (nel frattempo ridenominata Bureau of Prohibition) subì una trasformazione organizzativa, passando dal Department of Treasury al Department of Justice. Promosso ad agente speciale in carica per il territorio di Chicago, Ness scelse personalmente undici agenti per la squadra chiamata ad indagare su Al Capone.
Sotto la direzione del procuratore George E. Q. Johnson avevano il compito di dare applicazione alla direttiva del presidente Hoover, attuando una “manovra a tenaglia” che avrebbe paralizzato gli affari della Chicago Outfit. Da una parte il gruppo di agenti appositamente addestrati di Ness rovinò la capacità dell’organizzazione di Capone di svolgere le sue attività illegali mediante numerosissimi sequestri anche con l’utilizzo dello strumento, antesignano per l’epoca, delle intercettazioni telefoniche, e alla fine portò all’incriminazione del boss per oltre 5.000 violazioni del proibizionismo ai sensi del Volstead Act.
Tale accusa fu emessa una settimana dopo quella per evasione fiscale avanzata dagli uomini dell’Internal Revenue Service. Il giudice Johnson decise di portare infatti inizialmente il caso fiscale in tribunale, ed ottenne una condanna per quelle accuse, giacché Capone aveva evaso il fisco per la fantasmagorica somma di $ 1.038.654,84 tra il 1924 e il 1929. Dopo il verdetto, non volendo rischiare il rilascio del gangster in appello, il governo federale incriminò nuovamente Capone per violazioni del Volstead Act come ulteriore misura. Fu dichiarato colpevole e condannato ad 11 anni di reclusione e al risarcimento di 50.000 dollari.
Intanto la squadra di Ness mieteva successi investigativi: i magnifici undici, forti della loro incorruttibilità furono soprannominati “gli Intoccabili” dal quotidiano Chicago Herald-Examiner, riuscendo ad arrestare molti dei famigerati gangster e contrabbandieri della città. Nel febbraio 1933 l’approvazione del XXI emendamento, che abrogava il XVIII restituendo ai singoli Stati la libertà di decidere in materia di produzione e commercio di alcolici risultò l’ennesimo paradosso nella storia del proibizionismo. Gli Stati Uniti si trovarono impreparati a ristabilire l’industria legale degli alcolici, stante la forza nel frattempo raggiunta dalle organizzazioni criminali, che continuavano a sfruttare le proprie distillerie clandestine, producendo e distribuendo alcolici a prezzi concorrenziali.
I successi ottenuti da Ness spinsero il Dipartimento di Giustizia a trasferirlo dalla natìa Chicago a Cincinnati, nel settembre del 1933, come investigatore assistente responsabile dell’unità bevande alcoliche (Alcohol Beverage Unit), che sostituiva definitivamente il Bureau of Prohibition. Intanto la municipalità di Cleveland nell’Ohio, settima città più grande del paese, come vedremo a breve aveva necessità di un uomo di legge di talento, non foss’altro per essere considerata la città più pericolosa degli Stati Uniti. Inizialmente il trentunenne Ness ebbe colà l’incarico di agente speciale responsabile dell’unità delle tasse sugli alcolici del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, guadagnandosi la reputazione di “distruggere un alambicco al giorno”.
Fu così apprezzato in quella che godeva del nomignolo di “città selvaggia” che si dimise dal suo lavoro federale per diventare nel dicembre del 1935 all’età di 33 anni Direttore della sicurezza pubblica, sovrintendendo i dipartimenti di polizia e dei vigili del fuoco, riuscendo a ripulirli dalla corruzione e modernizzare entrambe le istituzioni e dando corpo alle innovazioni acquisite nel periodo di studi con Vollmer. All’accademia di polizia di Cleveland, le reclute imparavano la scienza forense (balistica, impronte digitali, laboratori fotografici) e la psicologia criminale.
Fine e rinascita di una leggenda

Proprio Cleveland segnò però la vita professionale e personale di Ness. Questi si trovò ad affrontare una serie di omicidi (in totale saranno dodici) accaduti a partire dal 1934, quando si rinvennero corpi mutilati (decapitati o sezionati) in particolare nella zona di Kingsbury Run. Le vittime, senza apparente collegamento tra loro, provenivano dagli strati più bassi della società.
Seppure egli riuscì a identificare un sospetto serial killer, quello che i quotidiani denominarono il caso del “torso murderer” rimase irrisolto, ed i suoi metodi spicci e sbrigativi per chiarire la vicenda non piacquero ai quotidiani, che iniziarono a prenderlo di mira. Ulteriori controversie minarono la sua immagine. Dopo un divorzio, nel 1939 sposò Evaline McAndrew, ma sul certificato di matrimonio fece apporre la dicitura “singolo” invece che “divorziato”, forse per non richiamare l’attenzione dei numerosi cattolici presenti in città. Ebbe poi un incidente d’auto dopo aver bevuto. Un giornalista scoprì che ciò non era stato menzionato nel rapporto, e questo creò uno scandalo.
Essendo coinvolti gli USA nel secondo conflitto mondiale e pertanto impegnati nella mobilitazione militare su larga scala, accettò di dividere il proprio incarico comunale con un altro governativo, come consulente del Programma federale di protezione sociale per sensibilizzare le reclute sui pericoli delle malattie veneree. I critici locali gli rimproveravano le lunghe assenze mentre si recava negli uffici governativi di New York e Washington, così come nelle basi militari in tutto il paese, predicando l’astinenza e il sesso sicuro. A quel punto il 30 aprile 1942 si dimise definitivamente dall’incarico comunale e scelse di rientrare nell’Amministrazione federale quale direttore della Divisione di protezione sociale presso l’Ufficio dei servizi sanitari e assistenziali della Difesa a Washington.
Terminata la guerra, tornò a Cleveland, ove contrasse un terzo matrimonio. Fece in tempo ad apprendere della morte del suo arcinemico Al Capone, ritiratosi in Florida dopo essere stato rilasciato dal super carcere di Alcatraz all’inizio del 1939 per buona condotta e schiantato dalla sifilide che lo perseguitava da molti anni. Ness tentò la carriera politica, correndo come aspirante sindaco della città, ma la fama che aveva accompagnato la sua giovinezza sembrava svanita: “la campagna era un fiasco” scriveranno qualche anno dopo i giornali “era in ritardo di dieci anni per incassare la sua splendida reputazione”. Per altro esaurì i suoi risparmi nell’agone elettorale.
Rimase così disoccupato per quattro anni, prima di iniziare nuove avventure nelle aziende private, sempre con scarso successo. Evidentemente le sue capacità organizzative si erano deteriorate. Nel 1955 si ritrovò infatti profondamente indebitato, tanto che, dopo una chiacchierata con il reporter sportivo Oscar Fraley, accettò l’idea di questi di un libro sulle sue avventure a Chicago. Inviò a Fraley una ventina di pagine dattiloscritte, la sua versione degli anni nella mitica squadra. Questi trasformò il materiale grezzo nel libro “Gli intoccabili”, rassicurando Ness: “non ti spaventare se ci allontaniamo dai fatti di tanto in tanto”.
L’uomo che anni prima, poco più che ragazzo, sincero e inflessibile, aveva combattuto Al Capone nel momento in cui il gangster era al culmine della sua potenza, fu stroncato il 16 maggio 1957 in casa da un infarto. La sua famiglia non aveva fondi sufficienti per assicurargli un funerale degno. Non poté leggere la stesura finale del libro (che a lui non piaceva e del quale aveva ceduto i diritti) né avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato un successo che avrebbe rinverdito la sua fama.
E, per fortuna, non gli toccò in tempi più recenti la sorte di ascoltare le testimonianze di tre agenti della squadra “fiscale”, la IRS che pure per la sua parte aveva messo Capone con le spalle al muro, che, quando si trattò di intitolare a Ness il quartier generale dell’Ufficio per l’Alcol, il Tabacco, Armi da fuoco ed esplosivi (ATF, l’erede della Prohibition Unit) lo impedirono, versando fiumi di bile sul periodo proibizionista del capo degli Intoccabili, smontando la sua leggenda. Paradossi americani.
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- Kenneth P. Tucker, Eliot Ness and the Untouchables: The Historical Reality and the Film and Television Depictions, McFarland Publishing, 2° edizione, 2012.