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Il 29 giugno 1944 le truppe naziste compiono un eccidio nelle località di Civitella in Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio di Bucine, in provincia di Arezzo, la strage è ricordata come “l’eccidio di Civitella”. Durante la rappresaglia vengono uccisi 244 civili.
I partigiani della “Banda Renzino”
Nella zona compresa tra la Val di Chiana e la Val d’Ambra, circa 15 chilometri a sudovest di Arezzo, opera una piccola formazione partigiana, la “Banda Renzino“. Edoardo Succhielli, ex sottotenente dei paracadutisti, è il capo della banda. Le attività del gruppo, fino a quel momento pressoché impercettibili, si ampliano nel corso di giugno.
Tra le incursioni documentate ci sono il disarmo di stazioni di polizia, aggressioni ai danni di fascisti e, di rado, attacchi contro soldati e mezzi in transito lungo la via che collega Monte San Savino a Bucine, adottata dalla divisione “Hermann Göring” come via di transito principale per le sue truppe e rifornimenti.
L’eccidio di Civitella: il pretesto del massacro
Il 18 giugno gli uomini della “Renzino” legittimati da una riunione preventiva con gli elementi antifascisti del paese, tendono un agguato a quattro soldati tedeschi nel Circolo del Dopolavoro di Civitella con l’obiettivo di disarmarli. L’azione si conclude con la morte di due soldati e il grave ferimento di un terzo che sarebbe morto di lì a poco. Il quarto riesce a nascondersi con l’aiuto degli abitanti e si salva. I militari appartengono probabilmente alla I Divisione Paracadutisti, reparto dipendente dalla XIV Armata ma operante in una zona di confine.
Il 21 giugno un sottufficiale della Feldgendarmerie al seguito della “Hermann Göring”, è aggredito al di sotto del borgo di Cornia e rimane gravemente ferito (poi muore) mentre due soldati vengono catturati dai partigiani. Queste azioni si sommano ad altre più piccole che insieme daranno il pretesto ai tedeschi per operare contro la popolazione civile.
Il 23 giugno i tedeschi attaccano il vicino quartier generale dei partigiani. Un soldato rimase ucciso ma i due prigionieri vengono liberati. Arrestano un contadino che una settimana più tardi impiccano alle porte di Monte San Savino.
Trascorsa una settimana, gli abitanti di Civitella si convincono che la rappresaglia non ci sarebbe stata, rassicurati in questo senso anche dalle dichiarazione rilasciate da alcuni ufficiali tedeschi al parroco e al podestà.
I soldati tedeschi presso Civitella
Civitella si trova in quel momento al confine fra la zona controllata dal 76° corpo corazzato (X Armata) e la XIV Armata, responsabile del territorio compreso tra la Valdichiana e l’Adriatico. A partire dalla seconda metà di giugno, per la precisione, il centro si trova nel territorio d’operazione della Divisione Corazzata Paracadutisti “Hermann Göring”. La divisione è agli ordini del tenente generale Wilhelm Schmalz e il quartier generale è allocato nei pressi di Monte San Savino. La divisione combatte nel quadro del LXXVI Panzerkorps.
E’ da lì che, secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti inglesi, provengono le truppe responsabili del massacro, in un numero compreso fra le 300 e le 400 unità. Non si esclude il coinvolgimento di reparti minori – magari proprio di quella prima divisione paracadutisti colpita il 18 giugno – né di una squadra di brigate nere, operanti a San Pancrazio nel Comune di Bucine e a Cornia.
Di certo è che tra gli esecutori vi sono anche componenti della banda musicale della divisione “Hermann Göring”. Ordini e documenti originali sono andati perduti, per cui non è più possibile stabilire se l’azione vada ricondotta al LXXVI Panzerkorps oppure alla divisione. Senza dubbio la divisione si occupa di pianificare la spedizione. Il comando dell’operazione è affidato al capo della Feldgendarmerie, che dirige un gruppo tattico misto.
Civitella in Val di Chiana
Quanto accade a Civitella è un massacro sistematico e pianificato dell’intera popolazione maschile adulta. La mattina del 29 giugno i tedeschi dopo aver già iniziato ad uccidere alcuni civili alle soglie del paese, rastrellano una Civitella affollata per la festa dei patroni Pietro e Paolo, e le vicine frazioni, procedendo in alcuni casi ad omicidi nelle case.
Raccolgono la popolazione nella piazza del paese e la dividono per sesso e per età: le donne e i bambini sono spinti fuori dall’abitato, in direzione di Poggiali. Gli uomini, radunati in gruppi di cinque, sono portati sul retro della scuola e colpiti da un colpo di pistola alla nuca. Due uomini riescono a scampare fuggendo.
Rastrellati alcuni contadini nelle case coloniche sotto il paese, gli uomini del gruppo, separati da donne e bambini soltanto dopo una lunga attesa, sono mitragliati, in numero di 17 o 18, nei pressi di un ponte vicino a Civitella. I cadaveri vengono presi dal mucchio e gettati negli androni delle abitazioni in fiamme. Parallelamente, i tedeschi ripropongono un identico modus operandi nella frazione di Gebbia.
San Pancrazio in Bucine
Analogo è il modus operandi adottato per l’intervento a San Pancrazio. Alle prime luci dell’alba del 29 giugno 1944, unità militari tedesche della divisione corazzata “Hermann Göring” circondano l’abitato di San Pancrazio. Iniziano a rastrellare tutti gli uomini presenti e poi li radunano nella piazza principale del paese.
Nel primo pomeriggio l’arrivo di un portaordini dalla strada proveniente da Civitella segna l’avvio del massacro. I tedeschi allontanano brutalmente dal paese tutte le donne ed i ragazzi. Poi danno fuoco ad alcune case ed conducono gli uomini prigionieri nella cantina della fattoria Pierangeli.
Nonostante l’offerta del parroco don Giuseppe Torelli, che offre la sua vita in cambio di quella dei suoi paesani, i tedeschi fanno passare, uno per volta, tutti gli uomini in una stanza adiacente. Li uccidono singolarmente con un colpo di pistola alla testa, compreso lo stesso parroco. Cinque si salvano perché portati a Monte San Savino presso il comando della “Göring” per essere interrogati. Successivamente sono deportati in un campo di lavoro presso Firenze. Un altro invece, seppur ferito, sopravvive dandosi per morto in quanto gravemente ferito.
Cornia
L’azione più radicale avviene a Cornia. Gli uomini della Feldgendarmerie uccidono tutti gli abitanti che incontrano sul loro cammino. Il massacro è indiscriminato: sono colpiti donne e bambini e probabilmente ci sono casi di stupro. Cornia è proprio il luogo dove i partigiani il 21 giugno hanno aperto il fuoco contro i soldati della Feldgendarmerie, dei quali uno era stato ferito gravemente (poi muore) e altri due catturati. Per questo il comportamento delle truppe si può ricondurre a motivazioni speciali legate a un’esigenza emotiva di vendetta e ritorsione.
In ogni centro comunque le case sono date alle fiamme, causando un ulteriore ampliamento del numero delle vittime.
L’eccidio di Civitella: i procedimenti giudiziari
Le truppe statunitensi catturano il tenente generale Schmalz nel maggio 1945 e lo consegnano alle autorità italiane. Il Tribunale militare territoriale di Roma, con sentenza del 12 luglio 1950, lo assolve dal reato di concorso in violenza con omicidio continuato contro privati cittadini italiani, in relazione anche ad altri eccidi (tra cui la strage di Stia e Vallucciole).
Il 6 luglio 2011, il Tribunale militare di Verona condanna all’ergastolo l’ultimo imputato sopravvissuto dell’eccidio, il sergente Max Josef Milde, che, tuttavia, non è estradato in Italia.
Il 21 ottobre 2008, i giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione condannano il governo tedesco a risarcire i danni a nove familiari delle vittime dell’eccidio, stabilendo un milione di euro come risarcimento.
Avverso la sentenza, la Germania adisce la Corte internazionale di giustizia, che, il 3 febbraio 2012, ne accoglie il ricorso. La Corte asserisce che un tribunale nazionale non può condannare uno Stato sovrano, in virtù dell’immunità garantitagli dal diritto internazionale. Conseguentemente, l’Italia deve privare di effetto la sentenza della Corte di Cassazione del 2008.