CONTENUTO
Il processo di decolonizzazione nel secondo dopoguerra
Il secondo dopoguerra viene caratterizzato dalla nascita dell’egemonia bipolare, durante il quale il fulcro del sistema politico internazionale si sposta dalla vecchia Europa continentale, non più dominatrice di imperi coloniali, a due potenze esterne come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
L’Asia è la prima ad affrancarsi dal dominio europeo: la decolonizzazione dei suoi grandi Paesi sotto il controllo inglese, olandese e francese inizia nei primi anni del dopoguerra, già nel 1946 con l’indipendenza delle Filippine.
L’India raggiunge l’indipendenza dal dominio britannico nel 1947 (15 agosto) con la rivoluzione della “non-violenza” del leader Gandhi, che si realizza senza dover ricorrere alla lotta armata ma con la disobbedienza civile e la resistenza passiva (ad esempio, tramite il boicottaggio alle merci britanniche o il rifiuto di pagare le tasse). Anche sul piano religioso, Gandhi tenta una strada rivoluzionaria nel predicare la tolleranza tra i seguaci dell’induismo (la gran parte della popolazione indiana) e quelli dell’islamismo ma qui fallisce il suo scopo di pacificazione: il Pakistan islamico si stacca dall’India al momento dell’indipendenza, costituendo uno Stato autonomo e antagonista (nel 1956 viene proclamata la Repubblica Islamica del Pakistan).
Dopo la morte di Gandhi, assassinato nel 1948 da un estremista indù, l’India trova la sua guida politica in Nehru, leader del Partito del Congresso e discepolo dello stesso Gandhi, fautore come vedremo in seguito di una politica di neutralità attiva nell’ambito della Guerra Fredda.
Diverso il discorso nell’altro grande paese asiatico, la Cina, logorata da una lunghissima guerra civile tra le forze nazionaliste del Kuomintang e i comunisti di Mao Tse-Tung, leader della rivoluzione che si protrae nei primi anni dell’immediato dopoguerra (dal 1946 al 1949) dopo il crollo degli invasori giapponesi. La lotta si conclude con l’avanzata inarrestabile dell’Armata Rossa comunista nell’immenso territorio cinese ed il ritiro del leader nazionalista Chiang Kai-Shek nell’isola di Formosa (poi Taiwan), con il beneplacito delle forze americane.
Il giorno 1 ottobre del 1949 nasce la Repubblica Popolare Cinese, una dittatura democratica (come definita dal suo leader supremo Mao) che stravolge le strutture sociali ed economiche dell’anteguerra e pone la Cina sulla via del progresso, contendendo la leadership del mondo comunista alla superpotenza sovietica.
Per l’Indocina bisogna attendere la capitolazione dei francesi a Dien Bien Phu nel 1954, che determina la fine della Prima Guerra d’Indocina (1946-1954), con i successivi Accordi di Ginevra che assicurano l’indipendenza della Cambogia, del Laos e del Vietnam, quest’ultimo territorio diviso però in due Stati: a sud lo Stato libero posto sotto la protezione degli Stati Uniti con capitale Saigon, a nord la Repubblica Democratica Comunista di Ho Chi Minh con capitale Hanoi, separati da una linea di demarcazione lungo il 17° parallelo.
Il continente africano deve invece aspettare qualche anno per ottenere la sua emancipazione. Nel marzo 1956 l’Accordo di Parigi sancisce il riconoscimento della piena indipendenza del Marocco dalla Francia; essa è ottenuta concretamente senza alcuna formale rottura con la potenza francese, frutto dei negoziati tra i rappresentanti dei due rispettivi governi. Si mette così in pratica una formula che viene utilizzata di lì a poco anche negli accordi con la Tunisia, “l’indipendenza nell’interdipendenza”.
Più problematico il caso dell’Algeria la cui decolonizzazione è aspra e drammatica e avviene solo dopo una lunga guerra (1954-1962), causata dall’intransigenza dei coloni europei (circa un milione) a lasciare il territorio algerino e dalla sanguinosa repressione che l’esercito francese attua nei confronti del movimento indipendentista (FLN, Fronte di liberazione nazionale).
Le efferatezze compiute nei confronti dei patrioti algerini durante la guerra hanno una profonda ripercussione anche nella coscienza civile e nella politica francese, tanto da causare addirittura la rivolta dei generali francesi contro il governo ritenuto incapace e la caduta della Quarta Repubblica francese (1958). Con il ritorno al potere del generale De Gaulle, che attua una modifica della Costituzione per accrescere i poteri dell’esecutivo (V Repubblica francese), si segna la fine della lotta armata e la strada aperta all’indipendenza algerina che avviene nel marzo 1962, dopo otto anni di resistenza.
Medio Oriente: l’Egitto di Nasser
Lo scenario più complicato del processo di decolonizzazione avviene nel Medio Oriente e nel Nord Africa, dove il risorgente nazionalismo dei Paesi arabi e musulmani si sovrappone alla logica bipolare delle due superpotenze.
La Palestina, rimasta sotto il Mandato britannico fino al 1948, già prima dello scoppio della guerra è un territorio caratterizzato dal contrasto religioso ed etnico tra Arabi ed Ebrei: i primi rappresentano la maggioranza della popolazione e si oppongono all’insediamento massivo dei secondi, provenienti da ogni parte d’Europa, esodo iniziato già alla fine della prima guerra mondiale.
La spartizione del territorio palestinese deciso dall’ONU, che nelle intenzioni delle Nazioni Unite dovrebbe far convivere un nuovo Stato ebraico accanto ad uno Stato arabo di religione musulmana, viene avversata decisamente da questi ultimi; dopo il ritiro dei britannici, gli ebrei proclamano lo Stato di Israele e riescono ad avere la meglio nel conflitto contro un’eterogenea forza di coalizione araba (prima guerra arabo-israeliana 1947-1949), riuscendo addirittura ad ingrandire il suo territorio ed a consolidarsi maggiormente.
La conseguenza più tragica del conflitto consiste nell’esodo forzato di quasi un milione di palestinesi che l’occupazione israeliana ha privato della casa ed espulso dallo Stato e che è costretta a rifugiarsi nei campi profughi sorti soprattutto in Libano; da questi campi, quel forte senso di alienazione e di risentimento degli arabi palestinesi sfocia in uno stato permanente di guerriglia.
La Questione palestinese è uno dei problemi ancora irrisolti della storia contemporanea e anche uno dei più complessi, poiché negli ultimi cento anni ha visto in campo una moltitudine di attori e di relazioni internazionali. A motivi nazionalistici e religiosi si affiancano ed hanno un peso sempre più crescente le strategie politiche della logica bipolare: con Israele si schierano gli Stati Uniti ed il mondo occidentale mentre l’Unione Sovietica diventa un interlocutore privilegiato del nazionalismo arabo ed in particolare dell’Egitto di Nasser, che aspira alla leadership di questo movimento.
Sebbene nel 1922 la Gran Bretagna abbia proclamato la fine del suo Protettorato, l’Egitto rimane ancora fino al secondo dopoguerra un Paese sotto l’influenza degli inglesi: il Canale di Suez, interamente in territorio egiziano, è infatti un collegamento critico con il Medio Oriente ed il Sud-est asiatico. Gli egiziani guidano il risveglio del mondo arabo, che vede come una pesante ingiustizia le imposizioni dell’ONU circa la spartizione del territorio palestinese e radicalizzano lo scontro.
Dopo la fine della prima guerra arabo-israeliana, Nasser guida in Egitto un Comitato di ufficiali liberi che rovescia il governo monarchico corrotto e appoggiato dal Regno Unito. Impadronendosi del potere, egli diventa il principale portavoce del nazionalismo arabo nel corso di ben sedici anni passati alla guida del governo egiziano.
Il punto di vista di Nasser sulla questione palestinese si basa sulla convinzione che ogni rivendicazione araba ed israeliana sono da ricondurre all’ambiguità della politica britannica a partire dalla prima guerra mondiale. Questo punto di vista lega in modo inscindibile l’unità araba, la questione antimperialista e la lotta allo Stato ebraico.
Nasser, che autoproclama l’Egitto come il paese leader del mondo arabo, si assume dunque la responsabilità della soluzione della questione palestinese, da ottenere attraverso la realizzazione dell’unità araba e l’espulsione dello straniero; inizia così una stretta collaborazione con gli altri paesi arabi in funzione antioccidentale ed antisraeliana.
Conferenza di Bandung: nascita del “Terzo Mondo”
I Paesi asiatici ed africani fin qui descritti, con la sola eccezione della Cina, hanno dunque scardinato l’imperialismo europeo e tentano la strada di uno sviluppo autonomo e alternativo all’ordine bipolare. Le nuove nazioni indipendenti e libere dalla dominazione coloniale si avviano così, con alterne vicende, verso una logica di ‘neutralismo’, ossia di non allineamento ai due blocchi raccolti intorno alle due superpotenze.
In Indonesia, nell’aprile del 1955, i principali leader di questo movimento di emancipazione (i già citati Nasser, Nehru ed il leader di casa Sukarno) sono i protagonisti della Conferenza di Bandung, in cui denunciano la dipendenza economica subentrata al domino coloniale e oppongono alla logica della rivalità bipolare quella di una collaborazione fra Nord e Sud per lo sviluppo economico e sociale.

A Bandung è presente ed assume un peso determinante anche la Cina, con il suo Primo Ministro Zhou Enlai; caso emblematico quest’ultimo, perché la Cina è ancora logicamente schierata nel blocco comunista ma dopo la Conferenza si discosta duramente dalle posizioni sovietiche, anche per le violente polemiche ideologiche sorte all’indomani del XX Congresso del PCUS (1956), visto come un tradimento di Krusciov nei confronti di Stalin e come un revisionismo antimarxista ed antileninista. Da qui, l’impegno cinese ad aiutare i nuovi paesi indipendenti a liberarsi dai residui del colonialismo e l’invito ai loro popoli a guardare alla Cina come alla vera autentica guida del comunismo mondiale e del loro riscatto nazionale ed economico.
La conferenza di Bandung si chiude con un documento in dieci punti, la “Dichiarazione per la pace e per la cooperazione mondiale”, poi divenuto la base per varare il Movimento dei Non Allineati. I principi cardine del Movimento sono i fondamentali diritti umani, l’integrità territoriale di ogni Stato indipendente, il principio della non ingerenza ed il respingimento della logica di alleanze tipica della Guerra Fredda. Alla successiva Conferenza di Belgrado, sei anni dopo, viene ufficializzata la nascita del “Non Allineamento”.
Tra il bipolarismo sovietico/americano si colloca quindi il cosiddetto “Terzo Mondo”, termine che inizialmente é identificato con il movimento degli Stati non allineati e composto dai nuovi paesi asiatici ed africani usciti dal processo di decolonizzazione, che contrappongono alla rivalità bipolare e alle ideologie egemoniche dei due “mondi” (capitalista/occidentale e comunista/sovietico) il principio di una cooperazione pacifica tra i popoli e l’affermazione delle proprie tradizioni culturali e religiose.
I Paesi del Terzo Mondo presentano, nella grande maggioranza, una condizione di arretratezza e sottosviluppo economico in confronto ai Paesi delle altre due aree e in misura maggiore a quelli più industrializzati dell’occidente. Perciò i governi trovatisi a guidare i nuovi Paesi nei loro primi passi, devono subito ricercare la collaborazione delle ex potenze coloniali o l’ancoraggio nell’orbita delle due nuove superpotenze mondiali per stringere accordi volti a recuperare gli ingenti capitali necessari alla costruzione delle infrastrutture minime per lo sviluppo economico.
Si crea quindi una nuova forma di imperialismo, che non ricerca più il possesso diretto dei territori per il loro sfruttamento, bensì il controllo politico ed economico dei nuovi Stati usciti dal colonialismo in cambio degli aiuti finanziari e dell’assistenza tecnica a loro necessari.
Il non-allineamento consente però agli Stati del Terzo Mondo di poter anche incidere, seppur in minima parte, nella logica dei blocchi contrapposti. L’idea infatti è quella di non schierarsi al fianco di nessuna delle due superpotenze, lasciando però aperta la possibilità di pendere in una direzione o nell’altra. In tal modo, uno Stato non allineato può mettere una certa pressione nei confronti degli USA o dell’URSS se minaccia l’ipotesi di schierarsi nel blocco contrapposto. Le due nuove superpotenze intraprendono dunque una vera e propria gara, inserita nelle dinamiche della rivalità bipolare, per ancorare alla propria orbita strategica ed economica le nuove nazioni indipendenti.
Il primo Stato ad applicare magistralmente questa strategia è la Iugoslavia, che sicuramente non appartiene da un punto di vista geopolitico al Terzo Mondo ma costituisce il caso più particolare di Stato non allineato. La Iugoslavia rappresenta una clamorosa rottura con l’Urss, un’eccezione nello scacchiere comunista sovietico. Il leader iugoslavo Josip Broz, detto Tito, ritiene di non dipendere dall’appoggio di Iosif Stalin per restare al potere poiché egli è arrivato alla guida del paese con le sue forze, liberandosi dell’occupazione nazista non per l’intervento dell’Armata Rossa sovietica ma in virtù di una propria vittoriosa guerra partigiana.
L’organizzazione dello Stato, pur rimanendo comunista, si discosta dal modello sovietico e costituisce un modello originale di “comunismo liberale” che godrà di un grande prestigio tra i nuovi Paesi indipendenti e neutrali, nonché degli aiuti economici dell’Occidente. Nel 1948 Tito e i comunisti iugoslavi sono infatti espulsi dal Cominform (l’organizzazione internazionale comunista) perché considerati deviazionisti e sabotatori a favore del capitalismo occidentale.
Tra i più abili seguaci del non allineamento è sicuramente da menzionare il già citato Nasser: dopo aver conquistato il potere e nazionalizzato le banche e le industrie, il leader egiziano osa sfidare le vecchie potenze coloniali europee avviando la nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez (luglio 1956), allo scopo di monopolizzare i proventi derivanti dal traffico marittimo. La mossa di Nasser provoca una crisi senza precedenti, poiché Francia ed Inghilterra intervengono in armi a difesa dei loro interessi sulle rotte marittime e, nella contesa, si inserisce pure Israele in accordo con le due ex potenze coloniali.
L’operazione congiunta viene però prontamente smantellata dalle due superpotenze, con gli Stati Uniti che ordinano il ritiro delle truppe franco-britanniche dal Canale e di quelle israeliane dal Sinai e da Gaza, minacciando severe sanzioni economiche, e con la minaccia ancora più pesante di Krusciov di attaccare gli invasori con missili nucleari. L’esito della Crisi di Suez vede in Nasser l’assoluto vincitore, che umilia e di fatto pone fine all’imperialismo europeo ma, soprattutto, sfrutta il delicato gioco degli equilibri tra le due superpotenze, facendo credere ora all’una, ora all’altra di poterlo attirare nelle rispettive sfere di influenza.
I libri consigliati da Fatti per la Storia
Hai voglia di approfondire l’argomento e vorresti un consiglio? Scopri i libri consigliati dalla redazione di Fatti per la Storia, clicca sul titolo del libro e acquista la tua copia su Amazon!
- Calchi Novati G., I Paesi non allineati dalla Conferenza di Bandung a oggi in Storia dell’età presente, Milano, 1985.
- Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Laterza, Roma 1994.
- Lewis Gaddis J., La guerra fredda. Cinquant’anni di paura e di speranza, Milano, 2007.