CONTENUTO
Nascita di Atena
La religione olimpica professata dai Greci ha la sua figura princeps in Zeus, considerato “il padre degli dei e degli uomini”. All’interno della sua numerosa prole viene annoverata anche Atena, la cui nascita è descritta brevemente da Esiodo (Teogonia, 924-926):
« Egli [Zeus] dalla sua testa generò la glaucopide Atena / tremenda eccitatrice di tumulti, guida invitta di eserciti, / signora che ama i clamori e guerre e battaglie» (αὐτὸς δ’ ἐκ κεφαλῆς γλαυκώπιδα γείνατ’ Ἀθήνην, / δεινὴν ἐγρεκύδοιμον ἀγέστρατον ἀτρυτώνην, /πότνιαν, ᾗ κέλαδοί τε ἅδον πόλεμοί τε μάχαι τε·).
Il racconto è ripreso da Apollodoro (Biblioteca, I,3,6), il quale narra che
«Zeus si unì a Meti, la quale, per non unirsi, assumeva diverse forme, e divenuta incinta la inghiottì, poiché aveva detto che, dopo la fanciulla che era sul punto di partorire, avrebbe generato un figlio che sarebbe diventato il sovrano del cielo. Allora spaventatosi la inghiottì: quando giunse il momento del parto, dopo che Prometeo, o, come sostengono altri, Efesto, gli spaccò la testa con un’ascia, dalla sommità del capo balzò fuori Atena con le armi, nei pressi del fiume Tritone.» (Συνέρχεται δε Ζευς Μήτιδι. μεταβαλλούση εις πολλάς ιδέας ύττέρ του μή συνέρχεσθαι. και αυτήν γενομένην’ έγχυον καταπίνει, έπείπερ έλεγε, μετά τήν κόρην μέλλουσαν έξ αΰτης γεννάσθαι. γεννήσειν παΐδα, ος ουρανού δυνάστης γενήσεται. Τούτο φοβούμενος καταπίνει αυτήν ώς δ” ό της γενέσεως ήν χρόνος, πλήσσοντος αυτού τήν κεφαλήν πελέκει Προμηθέως ή καθάπερ άλλοι λέγουσιν Ηφαίστου, έκ κορυφής. έπ ποταμού Τρίτωνος, Αθηνά σύν όπλοις άναθρώσκει);
così come da Pindaro (Olimpiche, VII, 35-44), che scrive
“Atena sul capo del padre /balzando urlò con voce strapotente./ Ne tremarono cielo e terra. / Allora il dio Hyperionides, luce ai mortali,/ prescrisse ai figli d’adempiere / un dovere imminente:/ primi alla dea ponessero un altare cospicuo e facendo un rito sacro / scaldassero il cuore al padre / e alla figlia lancia di tuono.” (χαλκελάτῳ πελέκει πατέρος Ἀθαναία κορυφὰν κατ’ ἄκραν /ἀνορούσαισ’ ἀλάλαξεν ὑπερμάκει βοᾷ. Οὐρανὸς δ’ ἔφριξέ νιν καὶ Γαῖα μάτηρ. / Γ΄ τότε καὶ φαυσίμβροτος δαίμων Ὑπεριονίδας /μέλλον ἔντειλεν φυλάξασθαι χρέος / παισὶν φίλοις, /ὡς ἂν θεᾷ πρῶτοι κτίσαιεν βωμὸν ἐναργέα, καὶ σεμνὰν θυσίαν θέμενοι /πατρί τε θυμὸν ἰάναιεν κόρᾳ τ’ ἐγχειβρόμῳ).
Secondo un’altra versione, Zeus l’avrebbe generata da solo, senza l’apporto di una figura femminile.
Simboli della Dea
In entrambi i casi, comunque, le fonti, collegano la dea fin dalla sua generazione ai due ambiti che in prima istanza la vedono signora indiscussa: la sapienza e la strategia militare. Se, infatti, Ares è la divinità della furia guerriera cieca, ella guarda alla guerra in maniera più lucida e tattica, preferendo dedicarsi alla difesa piuttosto che all’attacco.
Il suo legame con l’ambito bellico è evidenziato anche dalla sua iconografia: le statue che la raffigurano la vedono indossare sempre un peplo e armi, in particolare la lancia, l’elmo e lo scudo su cui è incastonata la testa di Medusa, uccisa da Teseo. La caratterizza, inoltre, l’egida, cioè una corazza protettiva fatta di pelle di capra. Il mito racconta che, in realtà, questa capra era una Gorgone che Atena stessa aveva ucciso e scuoiato. La sua rappresentazione la vede accompagnata anche da una civetta, animale a lei sacro e legato alla vicenda di Nittileme. Si narra, infatti, che quest’ultima, figlia di Epopeo, re di Lesbo, fu stuprata dal padre e si rifugiò per la vergogna nei boschi. Impietosita, la dea la trasformò in una civetta. Ugualmente è legato a una vicenda mitica un altro suo simbolo: l’ulivo, in particolare l’olivo gentile. Ce ne informa Apollodoro (Biblioteca, III, 14,1):
«Cecrope, che aveva un corpo dalla doppia natura di uomo e serpente, fu il primo re dell’Attica: quella terra, che prima si chiamava Acte, prese da lui il nome di Cecropia. Fu allora, dicono, che gli dei decisero di insediarsi nelle città, dove ognuno di loro avrebbe avuto il suo culto personale. Poseidone per primo si recò in Attica, vibrò un colpo di tridente in mezzo all’Acropoli e fece apparire un mare che oggi chiamano Eretteide. Dopo di lui venne Atena, che prese Cecrope come testimone del suo insediamento e piantò un ulivo. Scoppiò una contesa fra Atena e Poseidone per il possesso del territorio e Zeus volle comporla dando loro come giudici non già Cecrope e Cranao, come hanno detto alcuni, bensì i dodici dei. Essi decisro che il territorio fosse assegnato ad Atena, perché Cecrope testimoniò che la dea per prima aveva piantato l’ulivo. Atena diede quindi il suo nome alla città e Poseidone, furibondo, inondò la pianura di Tria e sommerse l’Attica intera» (Κέκροψ αὐτόχθων, συμφυὲς ἔχων σῶμα ἀνδρὸς καὶ δράκοντος, τῆς Ἀττικῆς ἐβασίλευσε πρῶτος, καὶ τὴν γῆν πρότερον λεγομένην Ἀκτὴν ἀφ’ ἑαυτοῦ Κεκροπίαν ὠνόμασεν. ἐπὶ τούτου, φασίν, ἔδοξε τοῖς θεοῖς πόλεις καταλαβέσθαι, ἐν αἷς ἔμελλον ἔχειν τιμὰς ἰδίας ἕκαστος. ἧκεν οὖν πρῶτος Ποσειδῶν ἐπὶ τὴν Ἀττικήν, καὶ πλήξας τῇ τριαίνῃ κατὰ μέσην τὴν ἀκρόπολιν ἀπέφηνε θάλασσαν, ἣν νῦν Ἐρεχθηίδα καλοῦσι. μετὰ δὲ τοῦτον ἧκεν Ἀθηνᾶ, καὶ ποιησαμένη τῆς καταλήψεως Κέκροπα μάρτυρα ἐφύτευσεν ἐλαίαν, ἣ νῦν ἐν τῷ Πανδροσείῳ δείκνυται. γενομένης δὲ ἔριδος ἀμφοῖν περὶ τῆς χώρας, Ἀθηνᾷ καὶ Ποσειδῶνι διαλύσας Ζεὺς κριτὰς ἔδωκεν, οὐχ ὡς εἶπόν τινες, Κέκροπα καὶ Κραναόν, οὐδὲ Ἐρυσίχθονα, θεοὺς δὲ τοὺς δώδεκα. καὶ τούτων δικαζόντων ἡ χώρα τῆς Ἀθηνᾶς ἐκρίθη, Κέκροπος μαρτυρήσαντος ὅτι πρώτη τὴν ἐλαίαν ἐφύτευσεν. Ἀθηνᾶ μὲν οὖν ἀφ’ ἑαυτῆς τὴν πόλιν ἐκάλεσεν Ἀθήνας, Ποσειδῶν δὲ θυμῷ ὀργισθεὶς τὸ Θριάσιον πεδίον ἐπέκλυσε καὶ τὴν Ἀττικὴν ὕφαλον ἐποίησε).
Atena ed Atene
Da tale mito emerge anche il rapporto stretto tra la dea e Atene, ben evidente anche in un altro racconto che vede protagonista Efesto. Egli, preso da una passione incontrollabile, tenta di possedere sessualmente Atena che non è consenziente e, tentando di afferrarla mentre lei corre, ha un’eiaculazione. Le gocce di sperma finiscono sulla coscia della femmina, la quale se le scrolla di dosso. Caduto sul suolo, il liquido seminale feconda la Terra, da cui nasce Erittonio, sovrano di Atene.
Proprio quest’ultimo (o, secondo altri, Teseo) istituisce in onore della madre la festività delle Panatenee. Più esattamente, vi sono le Grandi Panatenee, celebrate ogni cinque anni nel mese di Ecatombeone (corrispondente grossomodo al nostro luglio), e le Piccole Panatenee, nel periodo di Targelione (metà maggio-inizio giugno) con cadenza triennale o, a parere di alcuni, annuale.
Nelle prime viene portato in processione il peplo della dea, tessuto per l’occasione dalle vergini più brave, dal Ceramico, una località fuori la città, all’Acropoli che ospita la statua di Atena. Il rito prevede anche tre gare: la prima è quella delle fiaccole e coinvolge prima i cavalieri e poi i fanti; la seconda vede sfidarsi gli atleti, mentre la terza, istituita da Pericle, consiste in un certame musicale.
Non diversamente si svolgono le seconde Panatenee, che si differenziamo unicamente per la minore magnificenza. Tale culto tributato dalla città dell’Attica alla dea, d’altro canto, è ben motivato, se si tiene conto che ad Atena si deve, secondo quanto racconta anche Eschilo nelle Eumenidi, l’istituzione dell’Areopago, il tribunale ateniese. Creato in occasione del processo che vede coinvolto Oreste accusato di madricidio dalle Erinni, esso segna un importante cambiamento: la sostituzione del criterio della vendetta con quello della giustizia.
“La dea della vicinanza”
Oltre che Atene, tuttavia, la dea protegge anche gli eroi greci in generale, come narrano i versi dell’Iliade. Adirata dall’onta subita durante il noto giudizio di Paride, si schiera dalla parte degli Achei durante la guerra contro Troia, accorrendo in loro aiuto in varie occasioni: combatte a fianco di Diomede, infondendogli coraggio e ferendo insieme a lui Ares, dopo aver indossato l’elmo dell’invisibilità di Ade; trattiene Achille per i capelli quando il Pelide è in procinto di aggredire Agamennone per il furto della schiava Briseide; prende le sembianza di Deifobo, fratello di Ettore, per convincere il principe troiano a prendere parte al duello che gli costerà la vita; dà il suo assenso al furto del Palladio di Ilio, un simulacro di legno che la raffigura custodito all’interno del tempio cittadino.
Non vanno dimenticati, inoltre, i suoi numerosi interventi in favore di Odisseo descritti nel secondo poema omerico: intercede per lui durante il consiglio degli Dei; sprona Telemaco a viaggiare alla ricerca del padre; assunte sembianze umane, esorta, poi, il sovrano di Itaca a cacciare i Proci e lo trasforma in un mendicante affinché non sia riconoscibile; spinge Penelope a proporre la prova dell’arco; rende vani i colpi dei Proci e avvolge in una nube Odisseo, la moglie e il figlio per proteggerli; ordina all’eroe, uscito vittorioso dallo scontro, di porre fine alla guerra e stipulare la pace. Il suo intervento è d’aiuto, infine, anche per Eracle e Perseo: nel caso del primo, sorregge il cielo che grava sulle spalle dell’eroe; nella vicenda del secondo, è decisiva per l’uccisione della Gorgone.
Per tali ragioni, Walter F. Otto l’ha definita “la dea delle vicinanze”, sottolineando come ella sia presente ogni qualvolta si manifesti agli uomini una difficoltà. A giudizio dello studioso, le è naturale il preoccuparsi per gli essere umani, il legarsi a loro, l’esser loro sempre vicina. Ciò non è in contraddizione con l’appellativo “Παρθένος” (vergine) con cui viene onorata ad Atene. Se, infatti, similmente ad Artemide, è avversa ai legami amorosi e al matrimonio, a tenerla lontana dall’amore non è un austero carattere verginale, bensì lo spirito dell’azione.
Il lato oscuro di Atena
Il mito ci tramanda, tuttavia, anche il lato più spaventoso di Atena. Emblematica è la vicenda di Aracne tramandataci da Ovidio (Metamorfosi VI, 1-145):
Aracne, una fanciulla originaria della Lidia, tesseva con grande talento le tele e le ricamava meravigliosamente. Poiché la sua arte era celebrata con grandi elogi in tutta la Lidia, un giorno la ragazza si era messa a confronto con gran superbia con Atena, dea delle arti, davanti a tutti. Allora la dea, venuta a conoscenza di ciò, giunse in Lidia da lei con sembianze da vecchia e l’ammonì di non ritenersi superiore ad Atena.
Poiché Aracne le aveva risposto superbamente, dopo che la divinità aveva rivelato la sua vera natura, le due iniziarono a gareggiare. La figlia di Zeus raffigurava con l’ago miti riguardanti gli dei, mentre la mortale gli amori degli uomini e delle donne. Essendo la tela della fanciulla priva di difetti, Atena, infuriata, la distrusse e trasformò la sua rivale in un ragno, condannandola a pendere in eterno da un filo.
Non meno atroce è la punizione che viene inflitta a Tiresia, come emerge dai versi di Callimaco (Inno V, 70-82):
«Un giorno infatti, sciolte le spille dei pepli,/ presso la fonte del cavallo, Eliconia dalle belle correnti, / [ Atena e la madre di Tiresia] facevano il bagno. La calma del meriggio regnava sul monte. /Entrambe facevano il bagno, ed era l’ora del meriggio, / e grande calma regnava su quel monte. /Ma ancora Tiresia solo coi cani, la guancia appena da barba / scurita, si aggirava per il luogo sacro. / Mosso da sete indicibile giunse alle acque della fonte, / sciagurato, e, senza volerlo, vide la proibita visione./ E a lui, benché adirata, così parlò Atena: / -Figlio di Eueres, che non più gli occhi avrai indietro!, / Qual demone ti ha condotto per la dura via?- / Disse, e la notte prese gli occhi al fanciullo./ Lì rimase, senza parola: bloccò l’angoscia le gambe e la disperazione la voce frenò» (δή ποκα γὰρ πέπλων λυσαμένα περόνας / ἵππω ἐπὶ κράνᾳ Ἑλικωνίδι καλὰ ῥεοίσᾳ /λῶντο· μεσαμβρινὰ δ’ εἶχ’ ὄρος ἁσυχία. /ἀμφότεραι λώοντο, μεσαμβριναὶ δ’ ἔσαν ὧραι, /πολλὰ δ’ ἁσυχία τῆνο κατεῖχεν ὄρος. /Τειρεσίας δ’ ἔτι μῶνος ἁμᾶ κυσὶν ἄρτι γένεια /περκάζων ἱερὸν χῶρον ἀνεστρέφετο· /διψάσας δ’ ἄφατόν τι ποτὶ ῥόον ἤλυθε κράνας, /σχέτλιος· οὐκ ἐθέλων δ’ εἶδε τὰ μὴ θεμιτά. /τὸν δὲ χολωσαμένα περ ὅμως προσέφασεν Ἀθάνα· /’τίς σε, τὸν ὀφθαλμὼς οὐκέτ’ ἀποισόμενον, /ὦ Εὐηρείδα, χαλεπὰν ὁδὸν ἄγαγε δαίμων;’ /ἁ μὲν ἔφα, παιδὸς δ’ ὄμματα νὺξ ἔλαβεν).
Epiteti della Dea
Rivelativi della personalità della dea sono, infine, gli epiteti con i quali i Greci la onoravano. Il principale è fuor di dubbio “Pallade”, della cui origine Apollodoro (Biblioteca III,12,3) ci fornisce la seguente spiegazione:
«Dicono che quando nacque Atena, la Dea fu allevata da Tritone, che aveva una figlia, Pallade. Le due fanciulle si esercitavano insieme nell’arte della guerra; un giorno, mentre facevano una sfida amichevole e Pallade stava per tirare un colpo, Zeus si preoccupò per Atena, e abbassò il suo scudo per proteggerla: così Pallade si distrasse per la sorpresa, fu colpita da Atena e morì. E la Dea, angosciata per la morte dell’amica, fece una scultura di legno con il suo ritratto, le fissò davanti lo scudo che aveva impaurito la fanciulla, pose l’immagine vicino a Zeus e le tributò onori» (φασὶ γεννηθεῖσαν τὴν Ἀθηνᾶν παρὰ Τρίτωνι τρέφεσθαι, ᾧ θυγάτηρ ἦν Παλλάς: ἀμφοτέρας δὲ ἀσκούσας τὰ κατὰ πόλεμον εἰς φιλονεικίαν ποτὲ προελθεῖν. μελλούσης δὲ πλήττειν τῆς Παλλάδος τὸν Δία φοβηθέντα τὴν αἰγίδα προτεῖναι, τὴν δὲ εὐλαβηθεῖσαν ἀναβλέψαι, καὶ οὕτως ὑπὸ τῆς Ἀθηνᾶς τρωθεῖσαν πεσεῖν. Ἀθηνᾶν δὲ περίλυπον ἐπ᾽ αὐτῇ γενομένην, ξόανον ἐκείνης ὅμοιον κατασκευάσαι, καὶ περιθεῖναι τοῖς στέρνοις ἣν ἔδεισεν αἰγίδα, καὶ τιμᾶν ἱδρυσαμένην παρὰ τῷ Διί).
Altri fanno risalire, invece, l’attributo al nome di un gigante, Pallade appunto, che Atena avrebbe ucciso durante la Gigantomachia. Altrettanto oscuro è l’attributo “Tritogenia”, che, a giudizio di alcuni, andrebbe interpretato come “nata da Tritone (dio del mare)”, mentre, a parere di altri, andrebbe tradotto come “nata presso il lago Tritone”.
Di facile interpretazione, al contrario, sono gli altri epiteti: “Parthenos”, che fa riferimento alla verginità della dea; “Promachos”, traducibile in italiano “che combatte in prima linea” e “Glaucopide”, un attributo molto ricorrente nei versi omerici che mette in evidenza il colore ceruleo degli occhi della divinità.
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- G. Germanà – A. Giudice (a cura di), La figura di Athena dall’età antica al tardoantico, Acireale, Bonanno, 2019
- W. Otto, Gli dei della Grecia, trad. it. di G. Federici Airoldi, Milano, Adelphi, 2016