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Il problema tedesco
Uccidere la belva o almeno cavarle i denti, troncarle gli artigli, ridurla definitivamente all’impotenza …
Così lo storico Luigi Salvatorelli, in un suo famoso scritto, tratta il problema tedesco che si pone agli Alleati già prima della loro vittoria definitiva sul Reich nazista. In primo luogo, come ottenere il maggior possibile indebolimento della potenza tedesca, tale da assicurare una pace duratura. Ma anche come far pagare ai Tedeschi le riparazioni di guerra, volendone allo stesso tempo distruggere il loro potenziale economico. E, dulcis in fundo, il più complicato degli aspetti: la nuova sistemazione territoriale della Germania, tra mantenere in vita l’unità politica nazionale o procedere ad una spartizione.
A Yalta nel febbraio 1945 si decide il disarmo della Germania e la sua suddivisione in quattro zone d’occupazione (americana, britannica, francese e sovietica), ripartizione confermata definitivamente nella successiva Conferenza di Potsdam (luglio 1945). A ognuna delle zone è preposto un governatore come massima autorità; per gli affari generali tedeschi, ogni governatore si unisce agli altri in un Consiglio di Controllo Alleato che è l’organo supremo.
L’Unione Sovietica mette alla prova gli alleati occidentali nella Germania occupata sin dal 1948, qualche mese dopo i Fatti di Praga. La città di Berlino ha uno status giuridico speciale disposto dal meccanismo quadripartito di Potsdam, per cui, pur trovandosi nel territorio tedesco di competenza dei sovietici, è ufficialmente sotto il controllo diretto delle quattro potenze occupanti. Berlino è dunque divisa in due settori, uno orientale sovietico ed un altro occidentale, occupato dagli altri Alleati. I termini per l’accesso alla città non sono però definiti correttamente, cosicchè i sovietici approfittano di un dissidio sulla riforma monetaria attuata nel settore occidentale per tagliare le forniture di gas e luce elettrica e bloccare ogni traffico ferroviario, stradale e fluviale.
Il “blocco di Berlino” rappresenta la prima vera prova di forza tra le potenze dei due schieramenti e anche la prima grande crisi della guerra fredda. L’amministrazione americana valuta un ritiro da Berlino come un indebolimento della strategia del containment e si decide nel rispondere alla sfida sovietica, pur rischiando uno scontro militare. La soluzione adottata per aggirare il blocco è l’organizzazione di un imponente ponte aereo che durerà per un anno intero e riuscirà a rifornire la popolazione di Berlino Ovest di generi alimentari, combustibili e materie prime. Alla fine risulta un successo degli alleati occidentali e la politica estera americana si sente incoraggiata ad un contenimento più rigido dell’espansione sovietica fino, se necessario, al rischio di un intervento armato.
Il blocco velocizza anche il processo di divisione della Germania e nell’autunno del 1949 si formano due Stati separati, la Repubblica Federale Tedesca (R.F.T.), in mano agli Alleati occidentali, e la Repubblica Democratica Tedesca (R.D.T.), nella zona orientale. La città di Berlino, a sua volta, si trova con due amministrazioni comunali distinte e la parte sovietica viene proclamata Capitale della Germania Est mentre Berlino Ovest chiaramente diventa un’enclave occidentale nel dominio comunista.
La Crisi di Berlino
La fase di coesistenza pacifica della Guerra Fredda, inaugurata dal nuovo leader sovietico Krusciov, è supportata dalla sua convinzione di essere finalmente in possesso di una deterrenza nucleare abbastanza efficace da dissuadere il rivale americano da qualsiasi azione militare diretta. Non mancano però atteggiamenti bellicosi del leader comunista, tipici del suo stile personale, che più volte ricorre a minacciare apertamente l’Occidente. Ed è nuovamente Berlino il teatro della nuova sfida e delle tensioni tra le due superpotenze, proprio perché Krusciov ritiene il settore occidentale della città tedesca, a buon diritto, una parte molto vulnerabile della presenza americana in Europa.
Una di queste situazioni “antidistensive” avviene ad esempio con una nota del 27 novembre 1958 attraverso la quale i sovietici dichiarano decaduto l’accordo quadripartito della capitale tedesca e dunque cessato ogni diritto di occupazione per gli Alleati Occidentali, accusati di aver tentato di costruire a Berlino Ovest una base politica contro la Repubblica Democratica Tedesca e, di conseguenza, contro l’Unione Sovietica.
Krusciov decide di sfidare le potenze occidentali con un ultimatum, che di fatto getta le basi di una Seconda Crisi di Berlino: l’URSS chiede la fine del meccanismo quadripartito e intende delegare alla Repubblica Democratica Tedesca il controllo degli accessi della città. Riguardo alla popolazione di Berlino Ovest, la proposta è di sistemarla in città libera entro sei mesi; se non venisse raggiunto un accordo generale entro sei mesi, l’Unione Sovietica cederebbe infine i suoi diritti di occupante alla Germania orientale.
Il Presidente americano Eisenhower ed i suoi alleati respingono con vigore le proposte del leader sovietico, insistendo sul loro diritto a rimanere a Berlino Ovest e sulla tesi della riunificazione politica delle due Germanie, a loro avviso necessaria per la pace. Il Premier inglese Macmillan si reca a Mosca nei primi mesi del 1959 per conferire con Krusciov e convincerlo ad accettare una conferenza dei quattro Ministri degli Esteri, preliminare ad un Vertice successivo per decidere sul futuro della Germania. Ma la suddetta conferenza, che si tiene nella primavera dello stesso anno, non porta ad alcun risultato se non a procrastinare le decisioni su Berlino.
L’Unione Sovietica non può permettersi di correre il rischio di una Germania riunificata che possa tornare una potenza e schierarsi con l’avversario. Ma in realtà, lo stesso timore all’inverso ce l’hanno gli statunitensi e la divisione del Paese fa comodo anche al leader della Germania Ovest, il cristiano-democratico Konrad Adenauer, che preferisce lo stretto legame e la protezione americana e degli altri Stati occidentali anziché i rischi e le incertezze dell’unificazione tedesca.
Il 3 agosto 1959 Eisenhower annuncia la visita di Krusciov negli Stati Uniti, che avviene nel mese successivo: il comunicato finale di Gettysburg segna il raffreddamento delle tensioni tra le due superpotenze, ribadendo come principio fondamentale la rinuncia dell’impiego della forza per le questioni controverse, in primis quella del settore di Berlino dove Krusciov ritira ogni ultimatum.
Il Muro di Berlino
Quando John Fitzgerald Kennedy prende il posto di Eisenhower come nuovo Presidente degli Stati Uniti, sono passati quasi tre anni dal primo ultimatum di Krusciov e ormai sembra palesarsi il fatto che il leader sovietico cerchi solo di evitare una resa dei conti tra le due superpotenze sullo scenario tedesco.
Le minacce di Krusciov in realtà mascherano una situazione di debolezza sovietica proprio a Berlino Est, dove il regime comunista comincia a perdere la sfida economica in confronto con lo sviluppo capitalista della parte occidentale. La Repubblica Democratica Tedesca sin dalla sua nascita si è dovuta impegnare in un grande sforzo di ricostruzione, reso più pesante dal fatto di dover pagare le riparazioni di guerra all’URSS e sotto lo stretto controllo militare e politico del regime comunista sovietico. Dall’altra parte, invece, la Repubblica Federale di Bonn è sgravata in gran parte dal pagamento dei danni di guerra alla potenze occidentali e sorretta dagli aiuti economici statunitensi.
Di fronte all’evidenza, centinaia di migliaia di persone da Berlino Est cominciano a defluire nel settore occidentale in cerca di una migliore situazione economica, attraverso la frontiera rimasta aperta all’interno della città e causando una grave emorragia di forza lavoro per la Germania orientale. In questa situazione di fragilità assoluta, confinando con la più prospera ed efficiente Repubblica Federale e non essendo neanche riconosciuta diplomaticamente da quest’ultima, i dirigenti comunisti tedeschi valutano un crollo dell’intero Stato orientale in pochi anni senza un intervenuto in tempi brevissimi. Lo storico leader Walter Ulbricht si trova quindi costretto a rivolgere insistenti pressioni sul Cremlino per arginare il problema, pressioni che rappresentano una delle principali cause degli ultimatum sovietici.
La politica estera del nuovo presidente americano Kennedy unisce ad una ricerca della distensione con l’URSS, un’altrettanta intransigente difesa degli interessi statunitensi nel mondo (e soprattutto in Europa). Dall’intreccio di queste due tendenze di politica estera scaturisce una nuova impennata di spese militari e di confronti diretti con il rivale sovietico, tanto duri e drammatici da provocare momenti di crisi negli equilibri della Guerra Fredda. Il primo incontro tra Kennedy e Krusciov nel Summit di Vienna del giugno 1961, dedicato al problema di Berlino Ovest, si risolve in un fallimento che porterà di fatto alla risoluzione di questo turbolento periodo di tre anni, tra minacce ed iniziative cadute nel vuoto, con un espediente clamoroso ma senza alternative: il Muro di Berlino.
La mattina del 13 agosto 1961 gli abitanti di Berlino Ovest si ritrovano separati da uno sbarramento di filo spinato, poi divenuto un muro di cemento lungo più di 150 chilometri che divide nettamente la parte occidentale da quella sovietica, sbarrando ogni accesso tra le due zone della città. Si dispone lo sgombero forzato della zona di confine e addirittura si ordina alla polizia di sparare a vista per impedire l’evasione di profughi (e di forza lavoro) dalla zona orientale.
Il Muro di Berlino assurge a simbolo assoluto della Cortina di Ferro, delinea la definitiva separazione delle sfere di influenza in Europa e diventa anche la più evidente dimostrazione della repressione comunista. La tensione per Berlino sembra raggiungere il suo picco, di fronte alla proteste delle nazioni occidentali; in realtà, il processo distensivo tra i due blocchi si è già avviato e Berlino non costituisce più un problema suscettibile di causare un conflitto disastroso. Possono dunque tirare un sospiro di sollievo sia ad Est, in quanto si tappa la falla del comunismo tedesco, sia ad Ovest, con la definitiva risoluzione di uno stato di ostilità che potrebbe comportare rischi enormi.
Il Checkpoint Charlie
Il Muro, paradossalmente, ha l’effetto positivo di stabilizzare la situazione di Berlino e raffreddare i rapporti tra le due superpotenze in quel settore critico. Tuttavia, nelle settimane seguenti, USA ed URSS continuano le schermaglie nel territorio berlinese nel tentativo di dimostrare il proprio impegno: subito dopo la costruzione del muro, nell’agosto del ’61 Kennedy invia millecinquecento uomini dell’esercito sull’autostrada che attraversa la zona sovietica. Il generale Lucius Clay, l’eroe del Blocco di Berlino del 1948, è nominato rappresentante personale di Kennedy nella città, per dimostrare la sfida americana ai sovietici e la sua credibilità sulla libertà di Berlino.
Nel mese di ottobre dello stesso anno, si intensificano i diverbi sul transito al cosiddetto Checkpoint Charlie (il più famoso e frequentato punto di attraversamento della frontiera di Berlino) perché gli Alleati occidentali vogliono tenere aperto il varco di confine mentre i Sovietici ne rendono complicato il passaggio. La prova di forza del Generale Clay al Checkpoint avviene il 25 ottobre 1961, quando impartisce l’ordine di schierare i propri carri armati intorno al punto di confine. Un’azione che viene decisa per permettere l’accesso dei funzionari americani in servizio nel settore orientale ma che vuole altresì dimostrare che gli americani non devono essere privati del diritto a viaggiare per tutta la città di Berlino.
La contromossa non si fa attendere e dalla Germania Est rispondono i sovietici, con i loro carri armati, che si posizionano a loro volta vicino al confine orientale. La tensione a questo punto è all’estremo e si consuma uno dei momenti più drammatici della Guerra Fredda che mai, prima di questo momento, ha visto Sovietici ed Americani fronteggiarsi con le armi spianate.
Dopo tre giorni e tre notti, la fase critica al Checkpoint Charlie si risolve diplomaticamente dietro le quinte, il 28 ottobre 1961, quando il presidente Kennedy contatta il leader sovietico Krusciov e lo convince a ritirare i suoi carri armati, dietro la promessa di far ritirare anche quelli americani dalla loro zona. Da entrambe le parti viene riconosciuto che quella di Berlino non può essere una controversia che porti a scatenare una guerra nucleare, che nessuno dei due leader ha la benché minima intenzione di causare. Kennedy decide definitivamente che la costruzione del muro non rientra nella concezione americana di aggressione; la soluzione permette a tutti di salvare la faccia e di far rientrare definitivamente la Seconda Crisi di Berlino.
Per il successivo decennio i sovietici non impediranno più l’accesso a Berlino, né vi saranno più provocazioni da entrambe le parti sulle strade di accesso alla capitale tedesca. L’URSS accetterà ufficialmente le procedure di accesso e dello Statuto quadripartito con l’Accordo del 1971. Il Muro sarà abbattuto diciotto anni più tardi, nel 1989, portando all’unificazione tedesca.
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