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Corea: la transizione dinastica Goryeo-Joseon

La transizione dinastica tra Goryeo e Joseon, avvenuta alla fine del XIV secolo, segna un momento cruciale nella storia della Corea. Il collasso della dinastia Goryeo, indebolita da lotte interne e pressioni esterne, porta alla fondazione della dinastia Joseon grazie all'azione militare e politica di Yi Seonggye, futuro Re Taejo. Questo processo di transizione è caratterizzato da un colpo di stato, il consolidamento del potere da parte della famiglia Yi e una riforma radicale della struttura statale. La nuova dinastia, influenzata dall'ideologia neoconfuciana, ridefinisce le istituzioni politiche, la gerarchia sociale e l'economia, segnando una rottura con il passato e dando inizio a un lungo periodo di stabilità che influenzerà profondamente la Corea fino ai giorni nostri.

di Sara Gioia
10 Maggio 2025
TEMPO DI LETTURA: 19 MIN
Dipinto del periodo Joseon

Dipinto del periodo Joseon. Nel dipinto vengono mostrati i due palazzi reali, Changdeokgung e Changgyeonggung, collocati a est del palazzo reale principale, il Gyeongbokgung.

CONTENUTO

  • La transizione dinastica Goryeo-Joseon
  • Il tardo periodo Goryeo e il dominio mongolo
  • Conflitti interni e trasformazioni: la politica di Yi Seonggye tra Ming e Yuan
  • L’opposizione tra Neoconfucianesimo e Buddhismo: radici storiche e riflessioni culturali
  • La fondazione di Joseon e le relazioni diplomatiche con i Ming
  • Il ruolo di Yi Bangwon
  • Società ed economia di Joseon
  • Joseon: il nuovo capitolo della storia coreana

La transizione dinastica Goryeo-Joseon

La transizione dinastica Goryeo-Joseon avvenuta alla fine del XIV secolo è il risultato di una serie di fattori politici, sociali ed economici che colpiscono la penisola coreana. Il regno di Goryeo (918-1392), fortemente influenzato dalla cultura cinese e dal buddhismo, governa il territorio coreano per quasi cinque secoli. L’instabilità politica dell’ultimo periodo, causata da un malcontento generale amplificato dalle invasioni esterne e dai conflitti interni mostra l’incapacità della dinastia Wang di Goryeo di mantenere un governo stabile e di rispondere alle esigenze della popolazione.

In questo frangente collochiamo il generale Yi Seonggye, una delle figure chiave del periodo preso in analisi. Già amato dal popolo per aver respinto, insieme al generale Choe Yeong, le due invasioni dei Turbanti Rossi (un gruppo di ribelli cinesi) e le incursioni dei pirati giapponesi, nel 1388 prende la decisione che cambia le sorti della Corea: ritira le proprie truppe dal fiume Yalu in un chiaro segno di protesta pro-Ming e, al suo ritorno, detronizza Re U tramite un colpo di Stato, ponendo al trono due re fantocci. Grazie al supporto dei sadaebu (studiosi-funzionari confuciani che gettano le basi ideologiche per la nuova dinastia) riesce a liberarsi del rivale Choe Yeong e a sedere egli stesso sul trono, diventando così il primo monarca della dinastia Yi di Joseon (1392-1910) e passando alla storia come Re Taejo (太祖), il Grande Antenato.

Il tardo periodo Goryeo e il dominio mongolo

All’inizio del XIII secolo la penisola coreana viene minacciata dai popoli della steppa. Le dinastie Jin (popolo Jurchen) e Liao (popolo Khitan) cercano entrambe di invadere il regno di Goryeo ma nessuna delle due riesce nel suo intento. Nello stesso periodo gli eserciti provenienti dalla Mongolia si riversano in gran parte dell’Asia annientando la dinastia Jin. Approfittando dell’assenza dei Jurchen, i Liao tentano nuovamente di invadere Goryeo riuscendo ad occupare parte del territorio e la fortezza di Gangdong. È in questo frangente che nasce un’alleanza tra mongoli e coreani che porta da una parte alla sconfitta dei Liao e dall’altra al pagamento di un tributo eccessivo che il regno di Goryeo è tenuto a versare.

Seguono anni di tensione fra le due potenze che culminano con vari tentativi di invasione da parte del popolo mongolo. La penisola è in grado di resistere alle drammatiche invasioni per circa trent’anni, fino alla resa ufficiale del 1259. Quelli del dominio mongolo sono anni duri e con la fondazione della dinastia Yuan (1279-1368) in Cina, messa in atto da Kublai Khan, le cose diventano più complesse per la corte coreana. I sovrani di Goryeo inviano tributi alla corte mongola stanziata in Cina, attuano politiche matrimoniali con la dinastia Yuan che fanno ottenere al regno il titolo di “Paese Genero” e mantengono una posizione subordinata rispetto al nuovo Impero nella speranza di non perderne i favori. Questa situazione provoca un crescente malcontento tra i sudditi e una percezione diffusa di debolezza della dinastia Wang.

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La corte coreana è indebolita dalle rivalità tra potenti famiglie aristocratiche e fazioni interne. Sul piano sociale, la popolazione soffre per le crescenti disparità economiche: i latifondisti controllano vasti territori, mentre i contadini sono sempre più impoveriti e oppressi dai tributi. Il primo cambiamento si verifica solo nella seconda metà del XIV secolo, quando la dinastia Yuan mostra i primi segni di declino e sul trono coreano sale Re Gongmin (r. 1351-1374) che porta avanti una serie di riforme anti-mongole, formulate dai sadaebu, tramite le quali cerca di riaffermare l’autonomia della Corea, riformando l’amministrazione e riconquistando territori nel nord precedentemente sotto controllo mongolo. Le riforme subiscono una brusca frenata nel 1365 quando Noguk, principessa mongola e consorte di Gongmin, passa a miglior vita.

La perdita della sua amata turba profondamente il monarca che a quel punto lascia le riforme nelle mani del monaco buddhista Sin Ton, il quale si occupa principalmente di allontanare le famiglie più influenti dal centro del potere e di restituire al ceto medio le terre che erano state loro sottratte in precedenza. La risposta degli aristocratici non tarda ad arrivare e, una volta rimosso il monaco dal potere, lo fanno giustiziare nel 1371. La morte del sovrano, avvenuta tre anni dopo, mette fine alle sue riforme lasciando il vulnerabile regno di Goryeo in un contesto geopolitico particolarmente delicato.

Dipinto raffigurante il Re Gongmin e la Regina Indeok (principessa Noguk)
Dipinto raffigurante la Regina Indeok (principessa Noguk) e Re Gongmin

Conflitti interni e trasformazioni: la politica di Yi Seonggye tra Ming e Yuan

Con il declino della dinastia Yuan alcuni gruppi di ribelli cinesi cercano di rovesciare la dinastia mongola e ad uscirne vincitore è il gruppo capeggiato da Zhu Yuanzhang (Imperatore Hongwu) che, dopo aver occupato la capitale Yuan, riesce a dar vita a un nuovo ciclo dinastico fondando la dinastia Ming (1368-1644). La fondazione della dinastia Ming non mette fine all’influenza dell’Impero mongolo, ormai confinato nei territori settentrionali cinesi. In questo contesto storico la Corea si trova in una posizione delicata.

Alla corte di Goryeo emergono due fazioni: una pro-Ming, che appoggia la nuova dinastia cinese, e una pro-Yuan, leale ai mongoli. Sotto Re Gongmin viene favorita la fazione pro-Ming che ha permesso alla penisola di distaccarsi dall’influenza mongola ma, sotto il regno del suo successore, Re U (r. 1374-1388), Goryeo cambia atteggiamento e sceglie una posizione di neutralità: alla dinastia Ming si richiede di riconoscere la legittimità della successione regale in Corea, mentre agli Yuan si domanda la ripresa delle relazioni diplomatiche.

I rapporti con le due potenze rimangono relativamente stabili fino a quando Hongwu reclama la regione del Liaodong (oggi in Cina), sottratta ai mongoli da Gongmin nel 1356. Questa situazione, nella già frammentata politica interna di Goryeo, crea l’ennesima divisione a corte. Da una parte troviamo il generale Choe Yeong che consiglia il monarca in merito all’invasione del Liaodong in un chiaro attacco ai Ming, dall’altra abbiamo l’opposizione del generale Yi Seonggye relativa all’attacco.

Ritratto dell'Imperatore Hongwu della dinastia Ming
Ritratto dell’Imperatore Hongwu della dinastia Ming

Yi, abile generale e stratega, considera rischioso attaccare i Ming e comprende che una guerra contro la Cina riunificata e in espansione rischia di provocare gravi ripercussioni in Corea. Ritiene che la stabilità interna del regno, già indebolita dai conflitti politici e dalle tensioni sociali, non sia in grado di sopportare il peso di una campagna militare così ambiziosa. Al contrario, un conflitto con i Ming rischierebbe di portare il caos nella penisola coreana, compromettendo la sicurezza stessa del regno di Goryeo che, in ogni caso, non sarebbe in grado di rispondere al possibile contrattacco.

Inoltre, Yi intuisce che l’ordine di invasione riflette più le ambizioni personali di Choe Yeong e di Re U che il reale interesse della Corea. Secondo il generale, questa mossa è motivata dal desiderio di consolidare il prestigio militare della fazione dominante piuttosto che dalla volontà di proteggere e rafforzare la nazione. Questa decisione, infatti, ha ottenuto il dissenso di molti funzionari che condividono i dubbi di Yi Seonggye circa la capacità della Corea di sostenere una campagna così rischiosa in una fase di debolezza.

Re U, nonostante le pressioni della fazione che appoggia il generale Yi, emana l’ordine di invadere la regione del Liaodong. Yi Seonggye a quel punto si dirige insieme alle sue truppe sull’isola di Wihwa, in prossimità del fiume Yalu (una linea di confine naturale che oggi separa la Repubblica Popolare Cinese dalla Corea del Nord) e, anziché avanzare verso quella che vedeva come una mossa suicida tanto per il suo esercito quanto per la sua nazione, il generale decide di fermarsi e di tornare verso la capitale (Gaegyeong, attuale Kaesong).

La sua decisione viene interpretata come un atto di disobbedienza calcolato, che non solo mette in discussione la strategia militare del re, ma apre la strada a un cambio di regime. Tornato a Gaegyeong, Yi avvia un colpo di Stato che segna l’inizio di una nuova epoca. Con il supporto dei sadaebu, il generale destituisce Re U, elimina il rivale Choe Yeong e assume il controllo del regno, ponendo fine alla dinastia Goryeo e diventando, nel 1392, il primo monarca della dinastia Yi di Joseon. La sua decisione di non invadere il Liaodong non è quindi solo una mossa tattica, ma un passo fondamentale verso un rinnovamento radicale della Corea, che abbraccia il confucianesimo come nuova ideologia di Stato e avvia una serie di riforme che rafforzano la centralizzazione e la stabilità interna del regno.

L’opposizione tra Neoconfucianesimo e Buddhismo: radici storiche e riflessioni culturali

Nonostante la predominanza della filosofia buddhista che caratterizza il regno di Goryeo, l’interesse per il confucianesimo non è mai venuto a mancare. Sono diversi i motivi che hanno spinto la penisola verso un rinnovamento ideologico: l’elevato malcontento causato dalla corruzione della corte, sovrani incapaci a governare e il crescente declino morale della religione buddhista. Molti monaci, infatti, accumulano ricchezze personali sottraendo risorse ai monasteri e contribuendo a creare un clima di confusione che favorisce l’emergere del neoconfucianesimo, una nuova filosofia considerata “utile”.

Il neoconfucianesimo nasce in Cina durante la dinastia Song (960-1279) come una rielaborazione del confucianesimo classico, arricchita da elementi metafisici e cosmologici provenienti dal taoismo e dal buddhismo. I neoconfuciani reinterpretano i testi confuciani ponendo maggiore enfasi sui concetti di moralità, etica e auto-coltivazione perché tramite essi l’individuo è in grado di dirigersi verso un percorso di miglioramento interiore considerato un prerequisito necessario per un buon governo (per coloro investiti dei ruoli di sovrano e di funzionari) e per una società armoniosa (che si ottiene rispettando le virtù confuciane, i legami familiari e la rigida gerarchia sociale).

Vengono introdotti i concetti metafisici del “Principio” (理, C. li, K. i) e della “Forza Materiale” (氣, C. qi, K. ki) che spiegano la realtà e l’interazione tra l’essere umano e il cosmo. Il “Principio” rappresenta l’ordine universale, la “Forza Materiale” è ciò che riesce a dare vita e forma al mondo. La tradizione neoconfuciana arriva nella penisola coreana tramite An Hyang, un funzionario che durante la sua permanenza presso la corte Yuan è venuto a conoscenza della nuova dottrina. Tornato in patria porta con sé le opere di Zhu Xi (considerato il patriarca del neoconfucianesimo) iniziando a diffonderle tra gli studiosi e, in meno di un secolo, lo studio e l’interpretazione del neoconfucianesimo e della dottrina confuciana da cui esso deriva attirano l’attenzione di un gran numero di intellettuali in tutta la penisola.

Il processo di transizione dinastica è stato, in parte, ostacolato da alcuni intellettuali come Yi Saek e Jeong Mongju che vedono la dinastia Wang come l’unica legittimata a governare la penisola perché essa rappresenta una continuità storica e culturale radicata, consolidata nel corso dei secoli. Ai loro occhi, la legittimità di una dinastia deriva dalla sua durata e dal suo riconoscimento come guida naturale del paese, un principio coerente con i valori confuciani di stabilità e continuità. Inoltre, essi interpretano la crisi del regno non come un fallimento della dinastia stessa ma come il risultato della corruzione e del declino morale provocati dall’influenza del buddhismo, che ritengono abbia indebolito l’integrità politica e spirituale dello Stato.

Una forte opposizione a questa religione diventa il punto chiave della propaganda neoconfuciana, che cresce attraverso delle accuse mosse nei confronti del monaco Sin Ton e di Re U, considerati dai neoconfuciani legati da un rapporto padre-figlio. Sebbene oggi non si possa confermare né negare tale accusa, è necessario prendere in considerazione la situazione socio-politica coreana dell’epoca: i primi sovrani di Joseon hanno bisogno di legittimare la nuova dinastia, e uno degli stratagemmi utilizzati dagli intellettuali è quello di attirare l’attenzione del popolo su uno scandalo di tale portata che non solo mette in discussione la discendenza dello stesso monarca ma che, al tempo stesso, evidenzia il declino morale del buddhismo tramite la figura del monaco.

Sin dal suo inserimento nella storia coreana, il credo buddhista ha svolto la funzione di portafortuna in quanto in grado di offrire protezione dalle calamità naturali e dalle invasioni. Un altro elemento che ha permesso la diffusione della dottrina indiana in Asia Orientale è la speranza di ottenere una migliore reincarnazione. Per questo motivo il buddhismo ha avuto molto successo principalmente tra i ceti inferiori.

Il Grande sutra dell'ornamento fiorito dei Buddha
Nell’immagine viene rappresentato “Il Grande sutra dell’ornamento fiorito dei Buddha” (vol. 34) risalente al periodo Goryeo

Un’aspra critica nei confronti della dottrina indiana è stata mossa da Jeong Dojeon, lo studioso che viene spesso considerato come l’architetto e la mente rivoluzionaria dietro il processo di transizione dinastica. Il confuciano definisce il buddhismo come una religione di origine barbarica che, al contrario del neoconfucianesimo, non è in grado di dare insegnamenti pratici e utili al fine di creare una società armoniosa. Jeong ritiene che concentrarsi sull’idea di vita ultraterrena e dell’eventuale reincarnazione distoglie l’attenzione dell’individuo dalla vita terrena e dalla possibilità di creare un ordine sociale basato sulle virtù confuciane.

Il neoconfucianesimo, dunque, diventa la filosofia ideale per il nuovo governo che mira a rafforzare l’autorità statale e a creare un ordine sociale stabile, elementi che il regno di Goryeo non è stato in grado di mantenere. D’altro canto, il buddhismo è profondamente radicato nella cultura coreana e fornisce conforto spirituale, rituali e speranza per una vita migliore, soprattutto tra coloro che non sono influenzati dalle ambizioni politiche o dai ruoli burocratici. Lo stesso Re Taejo, pur mostrandosi come un sovrano confuciano nella sfera pubblica, in quella privata è un devoto buddhista. Questo equilibrio tra confucianesimo come dottrina ufficiale e buddhismo come pratica popolare permette alla società di Joseon di integrare diverse tradizioni religiose senza rinnegare il proprio passato culturale.

La fondazione di Joseon e le relazioni diplomatiche con i Ming

Quando Yi Seonggye fonda la dinastia nel 1392, la scelta del nome per il nuovo regno diventa un atto di grande rilevanza politica e simbolica. Il suo obiettivo non è solo segnare una discontinuità con il passato, ma anche legittimare il suo dominio agli occhi della popolazione e delle potenze vicine. Tuttavia, la decisione non può essere presa unilateralmente. Data la posizione subordinata della Corea nei confronti della Cina, il sovrano coreano deve ottenere l’approvazione dell’Imperatore Ming per la nuova denominazione del regno. Per questo motivo vengono inviati degli emissari alla corte cinese proponendo due alternative: Hwaryeong e Joseon. Come riportato nel Taejo Sillok (Annali di Re Taejo), l’Imperatore Hongwu approva la seconda opzione, conferendo così alla nuova dinastia una legittimità ufficiale agli occhi della Cina e degli altri stati dell’Asia Orientale.

Joseon è un nome già presente nella storia coreana. Esso, infatti, fa riferimento al leggendario regno di Gojoseon, la prima entità statale della Corea, fondata – secondo la tradizione – nel 2333 A.C. da Dangun, figura mitologica venerata come l’antenato del popolo coreano. Il collegamento non è casuale: con questa scelta, Yi Seonggye si presenta come il restauratore di un passato glorioso e il custode dell’identità nazionale. Il nome assume anche un significato politico preciso: la dinastia precedente ha tratto il suo nome da Goguryeo, uno dei Tre Regni di Corea. Sostituire quel nome, dunque, significa prendere le distanze dall’eredità di Goryeo e affermare una nuova visione per il paese.

Il nome Joseon (朝鮮) è composto dai caratteri 朝 (조, jo), che significa “mattino” o “dinastia“, e 鮮 (선, seon), che significa “luminoso” o “fresco“. Questo conferisce al nome una sfumatura poetica, spesso interpretata come “il paese del calmo mattino“. Il nome evoca un senso di rinnovamento e armonia, valori che la nuova dinastia intende incarnare attraverso il governo confuciano, basato sulla moralità, sull’ordine e sulla stabilità sociale. Durante i primi anni del regno, e soprattutto dopo la morte di Jeong Mongju e l’esilio di Yi Saek, Taejo consolida definitivamente il suo potere.

La capitale diventa Hanseong (attuale Seoul) data la sua posizione strategica che favorisce il controllo amministrativo e il commercio. Un altro dei primi passi per rafforzare il nuovo ordine è la riorganizzazione del sistema delle milizie. Nel 1393 istituisce tre corpi militari, incaricati non solo di proteggere la popolazione e la famiglia reale, ma anche di controllare i rimanenti eserciti privati ancora in mano alla classe dirigente. Questa riforma riduce l’influenza dei vecchi nobili rafforzando il potere centrale.

Per garantire la fedeltà dei funzionari, Taejo premia coloro che contribuiscono alla fondazione del nuovo Stato assegnando loro il titolo di gaeguk gongsin (sudditi meritevoli). Questi vengono suddivisi in tre categorie in base all’importanza del loro contributo e alla relazione con il sovrano. Tra i più influenti vi è Jeong Dojeon, figura chiave nella costruzione ideologica della dinastia. Attraverso i suoi scritti, egli teorizza la supremazia intellettuale, sociale e politica dei letterati confuciani, ponendo le basi per l’assetto amministrativo del regno.

Le sue idee si concretizzano in due importanti trattati: il “Codice amministrativo della Corea” e “I Sei Codici del Governo”. Nel 1397 Taejo promulga il secondo codice, che successivamente viene ampliato da “I Sei Codici di Base e “Supplemento ai Sei Codici”, adottati durante il regno di Taejong, terzo sovrano della dinastia. Questi testi rappresentano il nucleo legislativo di Joseon e preparano il terreno per la compilazione del “Grande Codice Nazionale“, promulgato nel 1485 sotto il regno di Re Seongjong (r. 1469-1494), che diventa la spina dorsale del sistema giuridico di Joseon per i secoli successivi, nonostante sporadiche revisioni ed espansioni avvenute tra i secoli XVIII e XIX. Il sistema penale del regno, invece, si fonda quasi interamente sul “Grande Codice dei Ming“, la cui versione coreana è stata promulgata nel 1395 tramite l’ausilio dell’idu.

Rappresentazione del sistema Idu in un testo del tardo XIX secolo
Con il termine “idu” si fa riferimento al sistema di scrittura adottato dalla Corea per leggere dei testi in cinese seguendo la sintassi coreana. Il sistema verrà successivamente rimpiazzato dall’alfabeto nazionale, l’hangul.

Il fattore linguistico ha giocato un ruolo particolare nelle prime interazioni tra Ming e Joseon, diventando motivo di tensione tra le due corti. Nei memoriali inviati alla corte imperiale cinese, infatti, alcune espressioni vengono interpretate come inappropriate o irrispettose creando un clima di diffidenza tra le due potenze che rende problematici i primi passi diplomatici di Joseon. A peggiorare la situazione sono i sospetti cinesi riguardo alle intenzioni espansionistiche della corte coreana nella regione del Liaodong. Quest’area strategica, situata lungo il confine tra i due regni, ospita ancora presenze mongole, comunità coreane e gruppi Jurchen, rendendola un territorio conteso e delicato.

La corte di Joseon sembra effettivamente valutare l’ipotesi di riappropriarsi di queste terre – già sottratte ai mongoli nel 1356 sotto il regno di Gongmin – e questo alimenta i timori della Cina che vede nel nuovo regno coreano una potenziale minaccia al proprio controllo sulla regione. Nonostante le difficoltà iniziali, però, la penisola decide di adottare la politica Sadae nei confronti della Cina, un principio che consiste nel servire e rispettare il “Figlio del Cielo” (l’Imperatore cinese) in un ordine gerarchico che pone i Ming al vertice di esso.

Questa politica si fonda su una concezione confuciana dell’ordine sociale e politico, in cui le entità politiche inferiori sono obbligate a riconoscere la supremazia della Cina, considerata la potenza centrale nell’Asia Orientale. Tale deferenza non è solo un atto simbolico, ma un obbligo strutturale che regola le relazioni diplomatiche e politiche nella regione, sottolineando l’importanza della subordinazione dei regni vassalli.

Dipinto raffigurante l’esercito Ming

Per Joseon questa scelta non è semplicemente una questione di rispetto rituale, ma bensì un calcolo politico fondamentale. Verso la fine del XIV secolo, infatti, il sigillo e l’editto dell’imperatore Ming acquisiscono una rilevanza cruciale come strumenti di legittimazione del potere sovrano. Nel caso di Yi Seonggye, che ha preso il potere attraverso un colpo di Stato, l’ottenimento della legittimazione imperiale cinese diventa una condizione essenziale per consolidare il suo regno. La mancanza di tale riconoscimento rischia di delegittimare il suo governo, minando la stabilità interna di Joseon e pregiudicando le sue relazioni esterne.

In un contesto geopolitico in cui l’Asia Orientale si struttura sempre più sotto il modello confuciano di ordine sociale e politico, il mancato riconoscimento da parte dei Ming comporterebbe l’isolamento diplomatico della penisola, riducendo considerevolmente la sua influenza nelle dinamiche regionali. La politica Sadae, dunque, non è solo un atto di deferenza verso la potenza cinese, ma una scelta pragmatica che consente al regno di Joseon di garantirsi legittimazione internazionale, stabilità interna e una posizione privilegiata nelle complesse relazioni politiche e diplomatiche dell’epoca.

Il ruolo di Yi Bangwon

Taejo ha avuto sei figli maschi dalla prima moglie (all’epoca dei fatti già deceduta) e due dalla seconda. Il problema della successione regale, infatti, diventa ben presto una questione cruciale per il nuovo regno. Chi ha avuto un ruolo centrale nel processo di transizione dinastica è il quinto figlio di Taejo, Yi Bangwon. Egli è tra i principali artefici del colpo di stato che porta alla nascita della nuova dinastia, ma il suo contributo non si limita al semplice supporto militare: Bangwon è anche un abile stratega, capace di mobilitarsi tra le varie fazioni della corte e di eliminare sistematicamente i suoi avversari per assicurarsi il potere.

Fin da giovane mostra una spiccata inclinazione politica e una profonda comprensione del confucianesimo. A differenza di alcuni suoi fratelli, partecipa attivamente ai piani del padre per rovesciare la dinastia Wang di Goryeo e, durante il colpo di stato del 1388, si distingue come uno dei più fedeli sostenitori di Yi Seonggye, contribuendo a consolidare il controllo della famiglia Yi sulla politica coreana. Dopo la fondazione del regno, data la sua abilità politica e l’influenza esercitata tra i sostenitori del padre, viene considerato come il candidato più qualificato per ricevere la nomina di Principe Ereditario.

La sua ambizione, però, si scontra con la fazione burocratica guidata da Jeong Dojeon, il quale è contrario a una monarchia assoluta e spera di istituire un governo in cui il potere reale sia bilanciato da un’amministrazione forte, dominata dai funzionari confuciani. Temendo che Yi Bangwon possa diventare un monarca troppo autoritario, Jeong Dojeon convince il sovrano a nominare Principe Ereditario il più giovane dei suoi figli, Yi Bangseok, che all’epoca era solo un bambino. Sentendosi tradito e vedendo il suo futuro minacciato, il quinto figlio di Taejo decide di agire prima che il confuciano possa eliminarlo.

Nel 1398, approfittando di una voce secondo cui Jeong Dojeon è l’artefice di un complotto per eliminare i Principi nati dalla prima moglie del Re, Bangwon organizza un colpo di stato durante il quale uccide il confuciano, i sostenitori di quest’ultimo e i due fratellastri. Questo massacro non si limita all’eliminazione dei suoi rivali ma distrugge anche il piano di Jeong Dojeon di limitare il potere monarchico. L’evento ha conseguenze devastanti per la corte e porta Taejo, già cagionevole di salute e sconvolto dalla vicenda, ad abdicare in favore del secondo figlio, Yi Banggwa, che passa alla storia con il nome postumo di Re Jeongjong (r. 1398 – 1400).

Jeongjong non viene considerato un sovrano forte ed è consapevole del fatto che il vero detentore del potere sia il fratello minore. Per cercare di ridurre la tensione a corte decide di spostare la capitale da Hanseong a Gaegyeong, la vecchia capitale di Goryeo, nel tentativo di allontanare Bangwon dai centri nevralgici del potere ma questa mossa non basta a contenere l’ambizione del fratello. Nel 1400 scoppia un altro conflitto dinastico tra Yi Bangwon e il quarto figlio di Taejo, Yi Banggan, che cerca di opporsi alla sua crescente influenza. Ancora una volta, Yi Bangwon dimostra la sua abilità militare e strategica, sconfiggendo il fratello e consolidando definitivamente la sua posizione. A questo punto, Jeongjong decide di abdicare volontariamente in suo favore e, nello stesso anno, Bangwon sale al trono diventando il terzo sovrano della dinastia Yi di Joseon e passando alla storia come Re Taejong (r. 1400 – 1418).

«[…] se T’aejo fu il fondatore della dinastia Yi, T’aejong ne fu il vero costruttore.»

– Riotto Maurizio, Storia della Corea, p. 206.

Sotto il controllo di Taejong, il regno assume una forma più concreta. Una volta ottenuto il potere, non perde tempo a rafforzare il governo centrale. Abolisce tutti gli eserciti privati, elimina i restanti oppositori e riforma il sistema amministrativo per ridurre l’influenza delle potenti famiglie aristocratiche che avevano dominato il governo di Goryeo. Uno degli atti più significativi del suo regno è la creazione del Consiglio di Stato di Joseon, un organo centrale che rafforza l’autorità del monarca e limita il potere individuale dei funzionari. Pur essendo un fervente confuciano, Taejong non lascia che la burocrazia limiti il suo potere e assicura che il re rimanga la figura dominante nel governo. Inoltre, riduce drasticamente il ruolo del buddhismo, confiscando i beni dei templi e promuovendo il confucianesimo come ideologia ufficiale.

Per quanto riguarda la politica estera, la dinastia Yi ottiene il pieno riconoscimento da parte della dinastia Ming in Cina, consolidando così la sua legittimità sul piano internazionale. Parallelamente, introduce una nuova politica economica basata sull’uso della cartamoneta e rafforza le relazioni diplomatiche con lo Shogun Ashikaga Yoshimitsu, il cui controllo pone fine alle incursioni dei pirati giapponesi lungo le coste della penisola coreana.

Annali della dinastia Joseon
Al fine di legittimare la posizione della nuova famiglia reale, inoltre, Taejong ordina la compilazione degli annali dei primi due sovrani. La stesura degli “Annali della dinastia Joseon” (Joseon Wangjo Sillok, 朝鮮王朝實錄) ha avuto un ruolo di rilievo per tutta la durata del regno e, ad oggi, sono la fonte primaria per studiare e comprendere questo periodo storico. È possibile consultare i documenti online ma, attualmente, solo gli annali del fondatore riportano una traduzione in lingua inglese.

Yi Bangwon non è solo un principe ambizioso in cerca di potere, ma un vero e proprio architetto della dinastia Joseon. La sua capacità di navigare le complessità della politica di corte e di imporsi sui suoi rivali dimostra una visione chiara e determinata del governo. Sebbene il suo percorso sia segnato da intrighi e spargimenti di sangue, il suo lascito è quello di un sovrano che trasforma Joseon in un regno forte e ben organizzato, pronto per l’epoca d’oro che verrà con suo figlio, Re Sejong il Grande (r. 1418 – 1450).

Società ed economia di Joseon

Durante il periodo Joseon la società è rigidamente divisa in tre classi principali: yangban, sangin e chonin, ognuna delle quali ricopre ruoli specifici e occupa una posizione definita all’interno della gerarchia sociale ed economica. I yangban occupano la parte superiore della piramide sociale. Sono i membri della classe dirigente, costituita da funzionari civili e militari che esercitano un’influenza significativa sulla politica e sull’amministrazione. La loro posizione è determinata tanto dallo status (ereditario) ottenuto alla nascita quanto dal loro livello di istruzione e dal superamento degli esami di Stato, che gli permettono di accedere a cariche governative elevate. Essi sono anche grandi proprietari terrieri e godono di una grande ricchezza. La loro vita è improntata ai valori confuciani e mantengono un forte controllo sulle risorse economiche, come le terre. L’istruzione e la moralità confuciana li rendono i custodi della cultura e della stabilità politica del regno.

Al di sotto dei yangban si trovano i sangin, la classe media composta in gran parte da contadini e artigiani che rappresentano la maggior parte della popolazione di Joseon. Sebbene siano essenziali per l’economia agricola del regno, i sangin non godono degli stessi privilegi politici e sociali dei yangban e non hanno accesso alle cariche governative, salvo in casi eccezionali. La loro vita quotidiana è segnata da un duro lavoro nei campi e da una pesante tassazione, ma sono comunque vitali per il mantenimento della produzione agricola che sostiene l’intera economia.

I chonin occupano il gradino più basso della scala sociale. Comprendono schiavi pubblici e privati, nonché coloro che svolgono lavori considerati impuri o degradanti, come macellai, servitori domestici e sciamane. Essi sono privi di diritti politici e sociali e la loro condizione è segnata da povertà e subordinazione totale. Sono esclusi dal sistema di mobilità sociale e non hanno alcuna possibilità di migliorare la loro posizione. Il loro ruolo nell’economia è marginale, in quanto offrono i loro servizi in cambio di beni o denaro, ma sono considerati inferiori e privi di dignità.

Dal punto di vista economico, la dinastia Joseon si fonda principalmente sull’agricoltura. La terra è considerata un bene fondamentale, e il governo controlla gran parte del territorio. La legge Kwajeon del 1391 istituisce un sistema di divisione territoriale tra la capitale e le periferie, e regolamenta la distribuzione delle terre. Sebbene il commercio e l’artigianato abbiano un ruolo nell’economia, l’agricoltura resta la principale fonte di reddito, con il governo che assegna le terre ai funzionari ma mantiene il controllo su di esse. Le rendite derivanti dalle terre pubbliche sono destinate esclusivamente allo Stato, mentre quelle derivanti dalle terre private contribuiscono al benessere della classe yangban, che ne beneficia attraverso il diritto di trasmettere la proprietà alle generazioni future.

Joseon: il nuovo capitolo della storia coreana

Il 1388 segna un punto di svolta cruciale nella storia della Corea, un anno in cui gli eventi militari e politici aprono la strada a profondi cambiamenti. Il generale Yi, consapevole che l’operazione di attraversamento del fiume rappresenterebbe una mossa suicida, decide di ritirarsi con il suo esercito, trovandosi di fronte un regno in declino. Invece di tentare un’improbabile restaurazione, Yi opta per una trasformazione radicale del destino della nazione, inaugurando così una nuova fase storica.

Con l’ascesa al trono del generale, la dinastia Yi di Joseon prende forma, marcando un nuovo capitolo nella storia coreana. Accanto a lui emergono figure chiave come Jeong Dojeon e il figlio Yi Bangwon, che giocano un ruolo fondamentale nel consolidamento del potere e nella definizione dei tratti strutturali e politici del nascente regno. Tuttavia, sebbene la dinastia Yi segni una rottura con quella precedente, la struttura sociale del primo periodo Joseon non si discosta significativamente da quella del regno di Goryeo. La classe dirigente continua a mantenere un predominio significativo, esercitando il controllo politico sia all’interno delle mura del palazzo che nei territori periferici. La società è fortemente stratificata e il rango sociale di un individuo, determinato alla nascita, è difficile da modificare, relegando le classi inferiori a una condizione di mobilità sociale limitata.

Nonostante queste continuità strutturali, l’eredità di Joseon è ancora oggi evidente. I principi confuciani, in particolare la pietà filiale e l’importanza dei riti ancestrali, rimangono saldamente radicati nella cultura e nelle tradizioni coreane. L’introduzione dell’alfabeto hangul, promossa dal regno di Re Sejong nel XV secolo, rappresenta una delle più rilevanti innovazioni culturali della dinastia Joseon. L’hangul, ancora oggi in uso come sistema di scrittura ufficiale della penisola, ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare l’identità linguistica e culturale del paese, lasciando un’impronta indelebile nella sua storia.

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  • Cawley, Kevin N., Religious and Philosophical Traditions of Korea, London and New York, Routledge, 2019.
  • Choi, Byong-hyon, trad, The Annals of King T’aejo: Founder of Korea’s Chosŏn Dynasty, Cambridge, Harvard University Press, 2014.
  • Duncan, John B., The Origins of the Chosŏn Dynasty, Seattle, University of Washington Press, 2000.
  • Lee, Peter H., a cura di. Fonti per lo Studio della Civiltà Coreana. Dalle Origini al Periodo Koryŏ (1392). Vol. I. Milano, O barra O edizioni, 2000.
  • Lee, Peter H., a cura di. Fonti per lo Studio della Civiltà Coreana. Il Periodo Chosŏn (1392-1860). Vol. II. Milano, O barra O edizioni, 2001.
  • Riotto, Maurizio, Storia della Corea, Firenze e Milano, Bompiani, 2018.
  • Robinson, Tony e Minsun Ji, A Flying Dragon: King Taejo, Founder of Korea’s Joseon Dynasty, Heidelberg, Heidelberg Asian Studies Publishing, 2023.
Letture consigliate
Sara Gioia

Sara Gioia

Nata a Catania nel 1999 e cresciuta in un piccolo paesino di provincia, dopo aver ottenuto un Diploma di Liceo delle Scienze Umane decide di cimentarsi nello studio delle lingue asiatiche ottenendo, nel 2023, una Laurea triennale in Lingue e Culture Orientali e Africane presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”. Durante il suo percorso universitario ha maturato un interesse particolare per l’evoluzione storica, religiosa e culturale della penisola coreana e, in generale, dell’Asia Orientale. Attualmente sta continuando i suoi studi nel medesimo Ateneo con un corso di Laurea Magistrale.

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