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Il convegno dell’hotel “Parco dei Principi” di Roma (3-5 maggio 1965): le basi della “strategia della tensione”
La “strategia della tensione” è un periodo nella storia recente dell’Italia dove è vivo il timore che il Paese possa cambiare il suo assetto istituzionale. Questa inizia, convenzionalmente, con la bomba alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano in piazza Fontana il 12 dicembre 1969 e si conclude con la strage di Bologna del 2 agosto 1980: in undici anni si contano 135 morti e oltre seicento feriti attraverso stragi che a distanza di anni, in alcuni casi, non hanno dei responsabili, ci sono ancora tanti (troppi) misteri, cose che non sono ancora state ancora rivelate e che fanno rientrare tutto nei grandi misteri italiani.
In quel periodo si teme per la stabilità politica e sociale dell’Italia anche attraverso colpi di Stato che non si verificano (ma che sono “pensati”) uniti a forze sociali e politiche in lotta tra loro ed un senso di insicurezza e paura tra la popolazione. La “strategia della tensione” (da non confondersi con la “teoria degli opposti estremisti” che va in parallelo ma che è un concetto ideologico) è il periodo più buio e controverso del secondo dopoguerra italiano. Ma come è possibile che il nostro Paese, uscito sconfitto dal secondo conflitto mondiale e rientrato nell’alveo dei Paesi più importanti del Mondo nonché membro fondatore di CECA, EURATOM, CEE e membro della NATO, è finito in quel turbine di paure, incertezze ed instabilità con il rischio che potesse precipitare in una sorta di guerra civile o ad un ribaltamento dell’ordine democratico? Per comprendere c’è da capire il contesto storico politico italiano successivo alla fine della Seconda guerra mondiale.
La situazione mondiale (e italiana) del tempo: la Guerra fredda
Tra il 1941 ed il 1945 Stati Uniti d’America, Unione Sovietica, Inghilterra e Francia si incontrano diverse volte per decidere, di volta in volta, le sorti della guerra, certi che i nazifascisti l’avrebbero persa. Si tengono quattro conferenze principali: a Casablanca (14-24 gennaio 1943 si decide di invadere l’Italia dal Mediterraneo dopo la vittoria alleata in Nord Africa; la Germania si dovrà arrendere senza condizione; si decide di bombardare intensificatamente alcune città tedesche; elargire aiuti all’Unione Sovietica); Teheran (28 novembre-1 dicembre 1943, la prima con Iosif Stalin presente, si decide che la Jugoslavia comunista di Tito avrebbe appoggiato gli Alleati nella lotta di liberazione e gli Alleati l’avrebbero aiutata;
si stabilisce lo sbarco in Normandia delle forze americane in Europa; l’Unione Sovietica sarebbe entrata in guerra contro il Giappone), Jalta (4-11 febbraio 1945 e si decide la divisione del Mondo in sfere di influenza, si decide sulla Polonia e sul suo assetto, la nascita a guerra finita di una nuova organizzazione internazionale che avrebbe vigilato sulla pace del Mondo, l’Organizzazione delle Nazioni Unite), Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945 e si stabilisce che a Germania sarebbe stata divisa in quattro parti, si discute dei nuovi confini tra Polonia e Germania in base alla linea di divisione dei fiumi Oder e Naisse, lunga 460 km, aut aut al Giappone di arrendersi senza condizione, espulsione delle persone tedesche abitanti allora in Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia).
Alla fine della guerra, la Germania è controllata dai Quattro per poi dividersi in due Stati indipendenti: la Repubblica Federale Tedesca nasce il 23 maggio 1949 con capitale Bonn ed inserita nella sfera occidentale del Mondo, la Repubblica Democratica Tedesca nasce il 7 ottobre 1949 con capitale Berlino est ed inserita nella sfera orientale del Mondo. Delle quattro conferenze, quella di Jalta è stata la più nota, anche perché ha dato il via, a guerra finita, alla cosiddetta Guerra fredda
La “Guerra fredda” è il periodo intercorso tra la fine della Seconda guerra mondiale ed il 26 dicembre 1991, giorno dello scioglimento dell’URSS, una delle due Superpotenze uscite vincitrici dal secondo conflitto mondiale. Non esiste un vero inizio della Guerra fredda: tanti storici la fanno iniziare con la conferenza di Jalta, altri con quella di Potsdam, altri con la conferenza di Fulton, in Missouri, (avvenuta a guerra conclusa) dove l’allora Premier inglese Winston Churchill disse che sull’Europa, da Stettino (il punto più occidentale della Polonia al confine con la Germania) a Trieste, era scesa una “cortina di ferro”, altri con la fine della guerra civile greca (dicembre 1946 – ottobre 1949) o con l’entrata in vigore del trattato NATO (24 agosto 1949). La data di fine è però certa: 26 dicembre 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica decisa dal Soviet supremo, successiva al 9 novembre 1989, giorno in cui cade il Muro di Berlino e tutti i regimi comunisti del Patto di Varsavia cadono come un effetto domino. In quei quarantaquattro anni si è temuto lo scoppio di un Terza guerra mondiale ed un’invasione reciproca dei blocchi contrapposti.
La Guerra fredda è un conflitto diverso da quelli combattuti fino a poco tempo prima: non ci sono invasioni, non ci sono dichiarazioni di guerra, non ci sono morti (se non in maniera “indiretta”) e feriti, ma per tutta la sua durata è viva la paura ed il pericolo che caratterizzano ogni guerra. E’ un conflitto ideologico caratterizzato da sistemi politico-economici contrapposti, ma anche di eserciti e politiche che si “combattono” con risvolti a livello psicologico e sportivo, oltre ad una serie di guerre che coinvolgono indirettamente le due Potenze.
E l’Italia? L’Italia, Paese sconfitto, deve ripartire da zero. Inserita nel contesto dell’Europa occidentale filo-americano, tra il 25 aprile 1945 (giorno della Liberazione) ed il 18 aprile 1948 (giorno delle prime elezioni politiche), l’Italia deve ricostruire il suo assetto e diventa una repubblica grazie al referendum costituzionale (2 giugno 1946) sulla scelta della popolazione se continuare con la forma di stato monarchica o passare ad una repubblica. Per la prima volta nella storia del Paese, quella domenica vanno a votare anche le donne.
Contestualmente al voto referendario, è eletta anche l’Assemblea costituzionale che redige e vota la nuova Carta costituzionale come stabilito dal decreto legislativo luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944. Il 28 giugno 1946 Enrico de Nicola, esponente del Partito liberale, diventa Capo provvisorio dello Stato. Il 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione, dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato (dove si dichiara valida ed efficace). Il 18 aprile 1948 si tengono le prime elezioni democratiche che vedono la vittoria della Democrazia Cristiana di Alcide de Gasperi contro il Fronte Democratico Popolare (PCI e PSI) di Palmiro Togliatti e l’Unità socialista (PSDI ed Unità socialista) di Ivan Lombardo. De Gasperi il 24 maggio 1948 diventa il primo Presidente del Consiglio della Repubblica italiana (suo IV gabinetto), mentre dal 12 maggio Luigi Einaudi diventa il secondo Presidente della Repubblica (in carica fino al 1955).
Tra la fine della guerra e la metà degli anni Sessanta, l’Italia ha una forte crescita economica detta “boom economico” attraverso il quale il Paese si ricostruisce ed ebbe una crescita economica e sociale molto importante, tanto da renderlo in pochi anni una potenza economica. L’Italia durante il corso di tutta la Guerra fredda ha due particolarità durante i primi anni della Guerra fredda: la presenza del Partito Comunista Italiano e del Movimento Sociale Italiano, due partiti “antisistema”.
3-5 maggio 1965: la “guerra rivoluzionaria” anticomunista spiegata in una sala dell’hotel Parco dei Principi
Il PCI è il più forte partito comunista d’Occidente, capace di tenere testa alla DC ed avere un certo peso in diverse zone del Paese (soprattutto in Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria). Questo è un vero unicum e la presenza di questo partito è considerata da una parte un problema (da parte dei suoi avversari) e da un’altra un’opportunità, diventando il baluardo contro il capitalismo e l’occidente, con un occhio di riguardo da parte di Mosca e del blocco del Patto di Varsavia, l’unione di tutti Paesi dentro l’orbita dell’URSS in Europa.
L’Italia è anche l’unico Paese europeo ad avere in Parlamento un partito dalla parte opposta, il MSI. Nato il 26 dicembre 1946, si presenta alle prime elezioni politiche del 1948 raccogliendo complessivamente 700mila voti e sei parlamentari. La sua presenza parlamentare è esigua e non è mai considerato dalla politica nazionale visto il suo pedigree in quanto la Fiamma (nome che indica un altro nome del partito e anche il suo simbolo) nasce per volontà di un gruppo di nostalgici della Repubblica di Salò vicini al fascismo repubblicano e questo suo background è visto come fumo negli occhi da tantissimi italiani, vista la sua “radice”.
Questo partito raccoglie la maggior parte dei voti (anche locali) nella parte meridionale del Paese, una zona dove la Resistenza ha avuto un impatto più debole (rispetto al centro Nord). In alcune occasioni però i voti parlamentari del MSI sono determinanti per stabilire le fiducie parlamentari, in particolare quella al governo Tambroni. Il partito guidato da Giorgio Almirante è determinante per la fiducia al governo Tambroni e molti temono che qualche missino possa entrare nel governo. Addirittura la paura è così tanta che si annulla il VI congresso del partito a Genova per i gravi fatti che successero nel capoluogo ligure il 30 giugno 1960 contro la decisione di svolgere nella città di San Giovanni, medaglia d’oro della Resistenza, questo congresso ed il fatto che per la prima volta i neofascisti sono determinanti a livello governativo questo causa diverse rivolte nel Paese che causano morti e feriti.
Ma quello che spaventa alcuni italiani non è tanto la paura dell’avanzata neofascista, ma un’avanzata comunista. Fino a metà anni Sessanta è forte la paura che il PCI possa diventare il primo partito e che l’Italia possa passare sotto l’ala di Mosca lasciando Washington. Nonostante con il XX congresso del PCUS sembra che il Mondo (comunista) sia cambiato attraverso la “destalinizzazione” voluta dall’allora segretario del Partito Nikita Chruščëv (che porta ad un disgelo dei rapporti tra Washington e Mosca), in Occidente la prudenza è alta. Si parla di distensione dei due blocchi contrapposti, ma il timore che il nemico possa fare una mossa azzardata è elevato
La paura è così forte che tra il 3 ed il 5 maggio 1965 si tiene presso un hotel del quartiere “Pinciano” di Roma (a ridosso di Villa Borghese dal lato di via Salaria, vicino alla galleria Borghese e al Bioparco), il “Parco dei Principi”, un convegno organizzato dall’Istituto di studi militari “Alberto Pollio” di Roma sul tema della “guerra rivoluzionaria”.
Il convegno, poco reclamizzato, è un simposio dove si trovano giornalisti, militari e persone vicine agli ambienti del neofascismo più radicale per discutere su come attuare un nuovo tipo di guerra contro l’avversario comunista. In quella tre giorni si tengono incontri, seminari e “lezioni” dove queste persone discutono e dibattono. Organizzatori della tre giorno sono i giornalisti (ed ex repubblichino) Enrico De Boccard, Gianfranco Finaldi ed Edgardo Beltrametti. Promotore della tre giorni, un misconosciuto centro studi di carattere militare intitolato a Alberto Pollio, militare di carriera vicino alla Triplice alleanza e capo di Stato maggiore dell’esercito sabaudo tra il 1908 e il 1914, anno della sua morte.
Questo centro studi, di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima d’ora, era vicino allo Stato Maggiore della Difesa: ad ispirarlo, de Boccard e Finali, vicini ad ambienti neofascisti, con l’aiuto di Beltrametti, stretto collaboratore del generale Giuseppe Aloja, allora Capo di Stato Maggiore della Difesa. L’argomento principale dell’evento è la guerra rivoluzionaria, una nuova modalità di guerra, diversa rispetto al passato. I relatori parlano sostenendo che Mondo è diviso in due blocchi ma quello che fa più paura è quello comunista, visto che l’Italia ha un partito comunista non solo legale (cosa che non è in RFT dal 1956) e che raccoglie diversi milioni di voti.
Si teme che Mosca possa fare come fatto a Budapest tra il 23 ottobre e l’11 novembre 1956, ovvero l’invadere il Paese alleato con i carrarmati per porre fine alle rivolte contro le stringhe imposte da Mosca. L’Unione Sovietica non scherzava in quanto placa tutti bagliori di rivolta negli altri Paesi del blocco (leggasi la rivolta degli operai di Berlino est del 1953 o la rivolta dei portuali a Poznan del 28 giugno 1956) con la forza. La paura è che Mosca possa invadere l’Italia, visto che nella parte orientale confinava con un paese comunista (la Jugoslavia di Tito, che però è un paese terzomondista quindi distante dai due blocchi).
Tra le persone che danno il loro contributo sia sul palco che tra gli spettatori si ricordano Pino Rauti, fondatore dell’organizzazione Centro Studi Ordine Nuovo, Stefano delle Chiaie, 29enne ex missino uscito dal partito nel 1956 per unirsi al CS Ordine Nuovo e tre anni dopo fondare il movimento extraparlamentare neofascista Avanguardia Nazionale), Pio Filippani Ronconi, un esperto di sanscrito, spiritualismo e cultore indoeuropee nonché durante l’occupazione nazista membro delle Waffen, Guido Giannettini, un giornalista vicino al neofascismo nonché (si scoprirà) agente segreto del SID (gli allora servizi segreti italiani), il colonnello Adriano Magi Braschi, il medico veneziano Carlo Maria Maggi (vicino a Ordine Nuovo), il professore universitario
Durante il convegno, gli intervenuti sostengono, in poche parole, che si stava vivendo una terza guerra mondiale “latente” che sarebbe stata definitiva non appena i due schieramenti (est e ovest) si sarebbero affrontati. E l’eco della crisi dei missili di Cuba (14-28 ottobre 1962) è ancora fresco e la paura di una guerra nucleare è molto vicina. La “guerra rivoluzionaria” è silenziosa, nascosta, psicologica e onde evitare di arrivare impreparati quando scoppierà, è necessario prepararsi prima. Come? Arrivare a creare anche paura, terrore, insicurezza nel Paese e puntare anche ad un cambio di regime. E per questo motivo che il convegno del “Parco dei Principi” pone le basi di quella che passerà alla storia come “strategia della tensione”. Il convegno del 3-5 maggio 1965, che inizia con la presentazione di Beltrametti e con l’inaugurazione di Finaldi, si divide in ben sei parti.
Nella prima parte parlano Enrico de Boccard (“Lineamenti ed interpretazione storica della guerra rivoluzionaria”) e lo stesso Beltrametti con “La guerra rivoluzionaria: filosofia, linguaggio e procedimenti. Accenni ad una prasseologia per la risposta”. Nella seconda ci sono gli interventi di Vittorio De Biasi (“Necessità di un’azione concreta contro la penetrazione comunista”), Pino Rauti e “La tattica della penetrazione comunista in Italia”, Renato Mieli con “L’insidia psicologica della guerra rivoluzionaria in Italia” e Marino Bon Valsassina e la sua tesi “L’aggressione comunista all’economia italiana”.
Nella terza parte invece parlano Carlo de Risio (“Lenin, primo dottrinario della guerra rivoluzionaria”), Giorgio Pisanò (“Guerra rivoluzionaria in Italia I943-I945), Giano Accame (“La controrivoluzione degli ufficiali greci”) e Gino Ragno (“I giovani patrioti europei”). Chiude questa parte Alfredo Cattabiani (“Un’esperienza controrivoluzionaria dei cattolici francesi”).
La quarta parte intervengono Guido Giannettini (“La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria”), Giorgio Torchia (“Dalla guerra d’Indocina alla guerra del Viet Nam”), Giuseppe dall’Ongaro (“Tre esperienze: la lezione di Berlino, Congo, Vietnam”), Vanni Angeli (“L’azione comunista nel campo dell’informazione”) e Fausto Gianfranceschi (“L’arma della cultura nella guerra rivoluzionaria”).
Nella quinta parte è aperta da Ivan Matteo Lombardo (“Guerra comunista permanente contro l’occidente”) seguito da Vittorio De Biasi (“La guerra politica, strumento dell’espansionismo sovietico. Il poliformismo dell’infiltrazione”), Dorello Ferrari (“Aspetti della guerra rivoluzionaria in Europa”), Osvaldo Roncolini (“L’aggressione comunista vista da un combattente”) e Pio Filippani Ronconi con “Ipotesi per una controrivoluzione”.
La sesta e ultima parte che chiude la tre giorni è aperta da Adriano Magi-Braschi con “Spoliticizzare la guerra” e “Sguardo riassuntivo” di Beltrametti. Tutti i relatori hanno seguito i “lavori” della tre giorni anche come partecipanti. Dal convegno si evince che i relatori e i partecipanti non credono nella democrazia e temono che il comunismo possa avere il sopravvento nel Paese e sostengono che tutti coloro che (come loro) sono anticomunisti possano davvero trovarsi in pericolo. Come combattere un’eventuale avanzata del comunismo, non solo elettoralmente? Agire in maniera diversa da come fatto finora: con una guerra improntata sulla rivoluzione interna, agendo in maniera cruda e spregiudicata ricorrendo a qualsiasi maniera. Come dire “farlo noi prima che gli altri lo faranno contro di noi”. Il “Pollio” scompare definitivamente già l’anno successivo al convegno.
Prima e dopo il convegno: “piano Solo” e la dittatura dei colonnelli in Grecia
Per cambiare il proprio assetto, un Paese procede tramite referendum (come fatto in Italia il 2 giugno 1946) o tramite l’approvazione di una nuova costituzione (come in Francia con la V Repubblica) o dopo un periodo di transizione come in Spagna tra la morte di Franco, la salita al trono di Juan Carlos di Borbone, le prime elezioni democratiche e l’approvazione di una nuova costituzione (20 novembre 1975-29 dicembre 1978). Sono modalità per nulla violente, ma in tanti casi (e la storia lo ha insegnato), il cambio di assetto di un Paese può avvenire in maniera violenta e con l’uso della forza. In questo caso nello Stato in questione si dice che è avvenuto un colpo di stato, ovvero con “ogni violenta modificazione dell’ordinamento costituzionale vigente” come riporta la Treccani. E i colpi di stato, ovunque nel Mondo, sono fatti sempre coinvolgendo una parte deviata (e consistente) dell’esercito. Prima e dopo il convegno del “Parco dei Principi” c’è un tentativo di golpe non attuato) in Italia ed uno effettuato in Grecia che porta Atene a diventare il terzo Stato autoritario filofascista dell’Europa mediterraneo dopo Portogallo e Spagna.
La notizia del tentativo di golpe arriva all’orecchio degli italiani solo nel gennaio 1967 grazie a “L’Espresso” e all’inchiesta dei giornalisti Lino Jannuzzi e Eugenio Scalfari. La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno sul nostro Paese. Si scopre che quel tentativo di golpe ha l’avallo dell’allora Capo dello Stato, Antonio Segni. L’Italia avverte un colpo di tato nel luglio 1964, un anno prima del convegno, un colpo di Stato portato avanti solo dall’Arma dei Carabinieri con alla guida l’allora comandante generale dell’Arma già capo del SIFAR (il servizio segreto militare), Giovanni de Lorenzo.
Per capire il motivo della mancata attuazione di questo colpo di stato è necessario sapere che all’inizio degli anni Sessanta si vuole che le forze socialiste (di sinistra, ma non comuniste) entrino definitivamente nei governi italiani. La presenza socialista è avallata anche da Washington, ma questo non piace ad alcuni personaggi che temono che dare troppo spazio a forze di sinistra rafforzerebbe troppo la parte sinistra del Paese, spostando troppo il baricentro con la paura che l’Italia possa diventare “rossa”. Con le elezioni della IV legislatura del 28-29 aprile 1963, c’è una forte presenza di parlamentari socialisti: 131 del PSI e 47del PSDI.
Il primo governo che vede i socialisti in una compagine di governo è il “Moro I”. A dire il vero, la prima volta che forze della sinistra non comunista vanno governo è il “De Gasperi V”, composto da DC, repubblicani, Liberali. dall’Unità socialista ed il PSDL: da allora, il PSDL ed il PSDI entrarono nei governi italiani e si pensa che prima o poi anche il PSI sarebbe dovuto entrare nel governo, cosa che avviene con il governo Moro. Il primo governo guidato da Moro vede per la prima volta l’ingresso del PSI, parlando di “governo di centrosinistra organico”, un governo con a pieno titolo una forza socialista al suo interno con appoggio diretto. Il governo Moro entra in funzione il 4 dicembre 1963 e cade il 26 giugno 1964. Quell’esecutivo ha Pietro Nenni vice-Presidente e cinque ministri rappresentanti il partito della falce e martello su libro aperto bianco e sole sullo sfondo (il “sole dell’avvenire) e tre del PSDI, per un totali di quindici sottosegretari.
I partiti del “centrosinistra organico” (con DC e PRI) portano complessivamente 570 parlamentari. Tra il giugno ed il luglio 1964 si scopre (con l’inchiesta de “L’Espresso) che il nostro Paese poteva diventare un regime militare. Il motivo: la paura dell’ascesa dei partiti “rossi”. Il 2 giugno di quell’anno si tiene la festa della Repubblica e, allora come oggi, sfila l’esercito. Una cosa non passa inosservata in quella sfilata: la presenza di molti più militari rispetto al passato ed il fatto che durante la festa per i 150 anni dell’Arma (il 14 giugno) sfila anche la nuova brigata meccanizzata. Il 26 giugno cade il governo Moro: ci sarebbe comunque una maggioranza parlamentare che porterebbe ad un altro governo di “centrosinistra organico”.
L’idea non piace al Capo dello Stato Segni, temendo una sorta di destabilizzazione nel paese dal punto di vista politico. Segni, il 14 luglio 1964, si incontra con del Lorenzo al Quirinale per avere un suo “parere” nelle consultazioni per il nuovo governo, insieme al Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Aldo Rossi. Mai due militari avevano partecipato (neanche lateralmente) alle consultazioni per la formazione di un nuovo governo. O meglio, mai due militari di alto rango sono stati interpellati dal Capo dello Stato in questo frangente, cui spetta il compito di dare l’incarico di formare un nuovo governo alla persona che ha il parere positivo dei partiti durante le consultazioni.
Durante le consultazioni, il PSI decide di cambiare il suo approccio nel nuovo governo, ovvero avere meno ministri e cambiando il suo programma governativo. Con questa mossa, la “paura” rientra ed il colpo di stato rientra. Nel 1967 Nenni nel parlare della situazione che si sta pensando di attuare in Italia disse la celebre frase: “tintinnar di sciabole”, ovvero era alle porte un colpo di stato poi non attuato.
De Lorenzo, già impegnato nella Resistenza come partigiano, è destituito, subisce diverse inchieste ed è istituita una commissione d’inchiesta parlamentare per accertare i fatti che avrebbero potuto portare al colpo di stato e nel dicembre 1970, alla chiusura della sua a attività, stabilisce che in Italia non c’è stato nessun tentativo di colpo di stato in quanto tutto il programma di de Lorenzo è considerato inattuabile e la lista con i nomi delle persone da “enucleare” secondo il cosiddetto “piano Sigma” sparisce.
Si scopre che è stata stilata un lista di 731 persone che sarebbero dovute essere arrestate e condotte (“enucleate”) in Sardegna presso il Centro Addestramento Guastatori di Alghero. Tutte le persone della lista sono oggetto di dossieraggio da parte del SIFAR per un totale di oltre 150mila pagine (i cosiddetti “fascicoli SIFAR). Queste personalità (politiche sindacali) erano considerate persone “nemiche dello Stato” e l’Arma dei Carabinieri (solo lei, per questo “piano Solo”) avrebbero preso il comando del Paese controllando i centri nevralgici, come voleva la “tradizione” di colpi di Stato. Il “piano Solo” sarebbe entrato in azione se ci fossero state proteste di piazza contro la decisione di affidare il nuovo governo ad un’altra persona che non fosse ancora un socialista.
Il 18 luglio 1964 nasce il “Moro II” e Cesare Merzagora si dimise da Presidente del Senato. Il successivo 7 agosto si tiene un incontro tra Segni, Moro e Saragat, con quest’ultimo che si scaglia verbalmente pesantemente contro Segni per tutto ciò che era successo poche settimane prima e questo ha un malore che lo porta alle dimissioni da Capo dello Stato il 6 dicembre 1964. A fine dicembre, Saragat è eletto Presidente della Repubblica al ventunesimo scrutinio il 28 dicembre 1964. Segni muore il 1 dicembre 1972. Nel 1965 de Lorenzo diventa Capo di Stato maggiore dell’esercito mentre il generale Aloia diventa Capo di stato maggiore della difesa. Il SIFAR, attivo dal 30 marzo 1949 al 30 giugno 1966, termina la sua attività ed è sostituto dal SID (Servizio Informazioni Difesa).
“Manovratore” del tentato colpo di stato, come si scopre anni dopo, è Gladio, una organizzazione segreta stay behind, un’organizzazione paramilitare con il compito di vedere (segretamente e lontana da tutti) la situazione che circonda un Paese per evitare un’invasione nemica attraverso spionaggi ed informatori nascosti. Se l’Italia non ha cambiato regime in quel periodo, in Grecia invece il colpo di stato avviene il 21 aprile 1967 per mano dei militari, dando il via alla “dittatura dei colonnelli”. La Grecia ha vissuto una pesante guerra civile durata tra il 1945 ed il 1949 e poco dopo entra nella sfera occidentale (grazie anche un disinteressamento sovietico) e nella NATO il 18 febbraio 1952. La forma di governo greca fino al colpo di stato è una monarchia parlamentare, con un re molto debole (Costantino II) ed un sistema parlamentare altrettanto debole.
Il 27 maggio 1967 i greci sono chiamati al voto e i sondaggi dell’epoca davano avanti l’Unione di Centro, un partito di centro già partito più votato alle elezioni del 1964, con la possibile maggioranza parlamentare. Nel biennio precedente, in Grecia tra alcuni militari graduati si formano alcuni gruppi di azione per evitare che l’UdC potesse prendere il potere. Era pensato da tempo un piano anticomunista (“Prometheus”) contro una sollevazione comunista e l’arresto di tutti coloro che si sarebbero posti in sua difesa. Il re era a conoscenza del piano ed avallò il tutto, salvo ciò che avvenne il 20 ed il 21 aprile 1967: il colpo di stato militare capitanato da Georgios Papadopoulos. La Grecia diventa come Spagna e Portogallo: un regime militare di carattere militare, autoritario, repressivo con azzeramento dei diritti umani, deportazione degli oppositori e lo scioglimento di tutti i partiti e controllo della carta stampata.
La “dittatura dei colonnelli” terminò il 24 luglio 1974 con la rinuncia del Paese ad invadere la parte nord dell’isola di Cipro ed il rovesciamento di Makarios III, presidente di Cipro, con un colpo di stato. La situazione nel Paese è insostenibile anche per le proteste degli studenti (la rivolta del Politecnico del novembre 1973) e per l’ammutinamento del “Velos” del 23 maggio 1973. Le prime elezioni libere si tengono il successivo 17 novembre e vedono la vittoria di Nuova democrazia di Kōnstantinos Karamanlīs, il politico chiamato dal generale Iōannidīs, ultimo “colonnello” della giunta militare, a guidare la parte finale della dittatura militare in una sorta di “passaggio” di consegne tra le dittature ed la nuova forma di governo che nascerà dopo il termine del regime militare. I militari del colpo di stato sono arrestati e processati.
Tra il 1974 ed il 1975 caddero, uno dopo l’altro, gli ultimi regimi fascisti in Europa. Nei sette anni di dittatura, in Grecia si alternano quattro giunte guidate dal quadriumvirato Papadopoulos, Makarezos e Pattakos (otto mesi), da Zoitakis (4 anni e mezzo), ancora Papadopoulos (un anno e mezzo) e Ioannidis (nove mesi). Il colpo di stato greco è visto bene fin da subito da alcuni militari e dai neofascisti italiani, certi che prima o poi anche l’Italia avrebbe visto un colpo di stato e sarebbe cambiato il suo approccio nello scacchiere mondiale.
Il golpe greco entusiasma i gruppi extraparlamentari di destra in Italia che durante i cortei lanciarono il coro “Dopo Madrid e Atene, Roma viene”, a volere il fatto che un cambio di regime si sperava potesse arrivare in Italia come in Grecia e Spagna, che era guidata da Franco dal 1936 a seguito della guerra civile contro le forze repubblicane. Inoltre nel biennio 1965-1966, l’esercito indonesiano inizia una forte repressione contro tutti coloro che sono vicini al partito comunista indonesiano, portando al massacro (si pensa) di quasi 3 milioni di persone
Tantissimi neofascisti vanno, soprattutto nei primi tempi della dittatura, in Grecia a “studiare” ciò che è avvenuto e com’è la vita sotto la dittatura stessa e riportare il tutto. Tra i tanti che andarono in Grecia fu appurato che vi partecipò anche Mario Merlino, militante missino ma fuoriuscito dal partito per entrare prima in Ordine Nuovo e poi in Avanguardia Nazionale e partecipò al convegno del “Parco dei Principi” del 3-5 maggio 1965. Il viaggio di ritorno dalla Grecia nel 1968 lo spinse ad abbracciare idee anarchiche e creare il gruppo “22 ottobre” nell’autunno 1969.
La “strategia della tensione”, i peggiori undici anni della Repubblica italiana
Il periodo che va dal 1969 al 1980, o meglio dal 12 dicembre 1969 al 2 agosto 1980 (forse facendo iniziare il tutto il 25 aprile 1969) è ribattezzato giornalisticamente ma anche storicamente e storiograficamente come “strategia della tensione”. In quegli undici anni (anche se tanti storici la fanno terminare nel 1974, altri fino al 1984 con la “strage di Natale” del 23 dicembre quando una bomba deflagra in un vagone del “Rapido 904” dentro la Galleria Appenninica causando 16 morti e 267 feriti) in Italia si ha veramente paura. Paura ad uscire di casa, paura di andare in piazza a manifestare, paura nel vestirsi in un modo particolare, paura di trovarsi al momento sbagliato in luoghi affollati. La paura è la caratterizzazione della “strategia della tensione”, il periodo dove davvero si temette che l’Italia potesse non solo cambiare regime politico, ma che potesse finire nel baratro. Anche della storia.
Durante la “strategia della tensione” c’è insicurezza, paura, disordini sociale, scontri di piazza e trame eversive che vogliono destabilizzare il Paese. Si teme anche una guerra civile “politica” che avrebbe portato alla destabilizzazione. “Destabilizzazione” che sarebbe stata risolta con l’uso della forza da parte di un governo militare.
La “strategia della tensione” porta anche ad alzare la lotta tra fazioni politiche diverse, di estrema destra ed estrema sinistra, che porta alla morte di giovani ragazzi in attentati singoli o di gruppo: da Sergio Ramelli a Valerio Verbano, da Walter Rossi a Carlo Falvella, dalla strage di Acca Larentia alle morti di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi, dalla morte di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola a Padova a quella di Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci a Milano.
La “strategia della tensione” è stata caratterizzata da due elementi: l’esplosione di bombe in luoghi affollati; mancanza di responsabili. La prima bomba è quella che scoppia nella sala contrattazioni della Banca dell’Agricoltura di Milano in piazza Fontana: alle ore 16:37 di venerdì 12 dicembre 1969 scoppia una bomba di 7 kg di tritolo che causa 17 morti e 88 feriti. Quello stesso 12 dicembre sarebbero dovute esplodere altri quattro ordigni che non esplosero per alcuni difetti: a Roma ci furono tre attentati tra la sede della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio (poco distante da piazza di Spagna), piazza Venezia e l’Altare della Patria, mentre a Milano non esplode un ordigno ein piazza della Scala, a poche centinaia di metri da piazza Fontana, causando nessun morto, ma sedici feriti. Molti storici fanno iniziare la “strategia della tensione” il 25 aprile 1969, quando alla Fiera campionaria di Milano e alla stazione “Centrale” del capoluogo lombardo esplodono due bombe che causano quindici feriti, ma nessun morto.
Durante gli anni della “strategia della tensione” si compiono altre sette stragi: la strage del “Treno del sole” Siracusa-Torino che deragliò, il 22 luglio 1970, per colpa di una bomba, nei pressi della stazione di Gioia Tauro, in Provincia di Reggio Calabria, che causa sei morti e 77 feriti; la strage di Peteano del 31 maggio 1972 con tre morti e due feriti (tutti carabinieri); la strage della Questura di Milano del 17 maggio 1973 con quattro morti e 52 feriti; la strage di piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 con 8 morti e 152 feriti; la strage dell’”Italicus” (treno espresso Roma Termini-Monaco di Baviera) poco prima del suo ingresso nella Grande galleria appenninica, nei pressi del Comune di San Benedetto Val di Sambro, la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 con 85 morti e 200 feriti, la strage più cruenta del secondo dopoguerra.
Durante questo periodo storico, l’Italia va davvero vicina ad un cambio di regime politico con altri due tentativi di colpo di stato: il golpe Borghese (7-8 dicembre 1970) ed il “golpe bianco” nell’agosto 1974 ideato (ma non attuato) dall’ex ambasciatore Edgardo Sogno e del repubblicano e già ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, con il supporto del giornalista Luigi Cavallo. Sono le forze di estrema destra, di matrice neofascista, a fare la parte del leone in questo periodo, spinte dal fatto che in tante parti del Mondo (soprattutto in Centro e Sud America) sono al potere tante giunte militari (grazie anche all’appoggio della CIA e degli Stati Uniti d’America). Con la “strategia della tensione”, gli italiani conoscono anche le parole “terrorismo” (“nero” e “rosso”) e “lotta armata”. La “strategia della tensione” è anche movimentistica ed extraparlamentare, trainata da forze politiche che sono collocate al di fuori del Parlamento (e per la maggior parte illegali).
Come detto, sono la destra estrema e la sinistra filo-marxista a dominare la scena, ma le forze reazionarie di destra hanno, in quel periodo, l’appoggio di una parte dello Stato, quello “deviato”, i servizi segreti, i servitori dello Stato cui non sta bene una preponderante forza dei comunisti, visto che l’Italia è in una posizione delicata nell’Europa occidentale con un Partito Comunista molto forte.
E in tutto questo, il convegno del “Parco dei Principi” cosa c’entra? Quel convegno è considerato nevralgico per l’attuazione della “strategia” per il fatto che le stragi attuate ed il periodo di incertezza e paura rientrano nella cosiddetta “guerra rivoluzionaria” e perché la maggior parte dei relatori e degli intervenuti è coinvolta a pieno titolo nella “strategia della tensione” durante le indagini.
Ovviamente durante la tre giorni non si è parlato di mettere bombe nei luoghi dove poi esploderanno (anche perché essendo stato un evento pubblico non era una bella cosa dire che il giorno X all’ora X ci sarebbe stato lo scoppio di una bomba ad alto potenziale), ma il convegno si può considerare un simposio della paura. “Paura”, altra caratteristica di ciò che è stata la “strategia della tensione”.
Sitografia
La guerra rivoluzionaria. Atti del primo convegno di studio promosso ed organizzato dall’ istituto Alberto Pollio di studi storici e militari svoltosi a Roma nei giorni 3, 4 e 5 maggio I965 presso l’ hotel Parco dei Principi, Giovanni Volpe Editore, Roma (https://web.archive.org/web/20160620002545/http://www.stragi.it/la_guerra_rivoluzionaria/index.htm)
Il convegno all’Hotel Parco dei Principi di Saverio Ferrari, canale ANPI Niguarda (https://www.youtube.com/watch?v=Ws-jIXz3D28&t=5232s)
Podcast
Il convegno di Roma – L’inizio della Strategia della Tensione, Racconti di Storia, a cura di Federico Bertuzzi
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Flamini, Il partito del golpe: le strategie della tensione e del terrore dal primo centrosinistra organico al sequestro Moro, Bovolenta, Ferrara, 1985.
- Montanelli – M. Cervi, L’Italia degli anni di piombo (1965-1978), Milano, Rizzoli, 1991.
- Rao, La fiamma e la celtica. Sessant’anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, Sperling & Kupfer, Milano, 2006.