CONTENUTO
Il contesto geo-politico tra X e XI secolo
La penisola italiana tra X e XI appare caratterizzata da una forte frammentazione politica. Il Sacro Romano Impero Germanico è riuscito ad annettere formalmente il Regnum Italiae, che ricalca quello longobardo e carolingio, inglobando tutto il nord della penisola (la Langobardia Maior con Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana, Friuli e Veneto, e l’Emilia) e parte della Longobardia Minor con il Ducato di Spoleto, mentre l’Italia meridionale sta per diventare oggetto di contesa di tre grandi potenze: bizantini, arabi, normanni.
Al di sotto dello Stato della Chiesa – una striscia di terra che da Roma si estende, passando per l’Appennino, fino alla Pentapoli (formalmente sotto il governo dell’Impero) – continuano le vicende del Ducato di Benevento (resosi de facto indipendente), in cui si sono sviluppate le due entità autonome della Contea di Capua e del Principato di Salerno, e dei territori bizantini, limitati oramai alla Puglia (sotto il governo di un catapano) e alla Calabria (retta da uno stratego). La Sicilia, in mano agli arabi da più di un secolo, soffre le violenti lotte che dividevano i dominatori musulmani dei tre emirati.
I Normanni: origini e sviluppi
È convinzione, nella storiografia moderna, che la discesa dei Normanni abbia rappresentato una cesura nella storia del meridione italiano. Le più importanti cronache ci pervengono dalle storiografie indipendenti di Amato di Montecassino (Historia Normannorum), Guglielmo Appulo (Gesta Roberti Wiscardi) e Goffredo Malaterra (De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius).
I Normanni, da popolo di contadini, artigiani e mercanti, sviluppano presto una forte vocazione al campo di battaglia. Avvezzi ad associare il commercio alla pirateria, creano intorno al Baltico sin dall’VIII secolo una serie di mercati fortificati al riparo della costa naturale scandinava. Non si contano grandi differenze di gestione tra le battaglie di mare e le battaglie di terra: saccheggi, assedi, logoramento, intercettazioni, annientamento di aiuti al nemico sono gli ingredienti ricorrenti nell’excursus delle loro vittorie.
La prima presenza dei transalpini nel sud Italia è attestata, secondo Amato di Montecassino, intorno all’anno Mille, quando un gruppo di quaranta normanni di ritorno da un pellegrinaggio pone fine all’assedio di Salerno da parte di truppe saracene. C’è da notare, a questo proposito, che l’Europa sta assorbendo oramai da tempo l’influsso della reconquista, termine con cui si indica quel processo di riappropriazione delle terre cristiane usurpate dagli arabi che aveva avuto inizio nella penisola iberica nell’VIII secolo, e che sta contagiando tutta l’Europa a far fronte comune contro l’infedele arabo.
Una seconda data è il 1017, in cui la discesa normanna in Puglia è attestata in funzione antibizantina. Non manca molto perché i nouveuax venus cessino di combattere come mercenari in nome di altri e avviino una storia politico-militare autonoma. La prima signoria normanna (da cui si diramerà il nucleo di espansione verso il resto dell’Italia meridionale) nasce nel 1030, quando il duca di Napoli Sergio IV infeuda il nobile normanno Rainulfo Drengot della Contea di Aversa. Lo stesso diventerà poi vassallo del signore di Salerno Guaimario IV.
In Malaterra, invece, si evince un’equiparazione tra la storia dei Normanni e quella della famiglia d’Altavilla. Discendenti dal piccolo nobile Tancredi, signore di Hauteville-la-Guichard in Cotentin, nella regione della Normandia (nord ovest della Francia), saranno due fratelli a collaborare (e anche a competere) per la conquista del meridione: Roberto e Ruggero d’Altavilla.
Roberto il Guiscardo: i primi passi in Italia
Roberto riceve la prima investitura dal fratello Drogone, conte di Melfi, e dirige assieme a lui e a Riccardo, conte di Aversa, le truppe nella battaglia di Civitate (1053), che segna il suo debutto e l’inizio dell’ascesa della famiglia di Tancredi. Di lì in avanti, le sorti dell’Italia meridionale saranno sempre legate al nome di Roberto il Guiscardo (“l’Astuto”), inguaribile ambizioso, stratega maniacale, abile mentitore, camuffatore, spregiudicato conquistatore.
Papa Leone IX, preoccupato della rapida costituzione di uno Stato normanno confinante con i territori della Chiesa, ha infatti chiamato a raccolta possibili alleati nel tentativo di formare una compatta coalizione anti-normanna. Nonostante il rifiuto dell’imperatore Enrico III, Leone IX trova appoggio nei Longobardi del Meridione, in alcuni governanti italiani (il principe Rodolfo di Benevento, il Duca di Gaeta, i conti di Aquino e Teano, l’Arcivescovo e gli abitanti di Amalfi) e nei bizantini, che avevano già cercato di sventare la minaccia corrompendo i Normanni e “comprandoli” per i propri eserciti.
La battaglia, svoltasi tra il 17 e il 18 giugno del 1053, si risolve in una schiacciante vittoria normanna. Leone IX viene catturato e posto in una “onorabile cattività” a Benevento, dove rimane prigioniero per nove mesi, elargendo di volta in volta concessioni sempre più cospicue ai guerrieri del Nord. Si vede costretto a riconoscere la Contea di Puglia al Guiscardo e il Principato di Capua e la Signoria di Gaeta agli esponenti della dinastia dei Drengot, altra casata normanna.
Roberto viene subito incaricato dal fratello Umfredo di procedere alla conquista della Calabria. Con la morte di Umfredo, viene investito ufficialmente Duca di Puglia e di Calabria da papa Niccolò II nel sinodo di Melfi (1059). Secondo le fonti, l’investitura spetterebbe al figlio di Umfredo, Abelardo, ma lo zio pare strappargli il titolo e confiscargli le terre.
Ruggero I d’Altavilla e la conquista della Sicilia
Inizia a giungere contemporaneamente anche l’eco delle imprese belliche del fratello minore di Roberto, il conte Ruggero I d’Altavilla, che viene investito di terre nel calabrese. È un leone coraggioso ma accorto, il minore dei due Altavilla (la metafora leonina diventerà topica e istituzionale nelle rappresentazioni filo-normanne successive), dotato di forza, ingegno e una saldissima fede che sfocia nel misticismo.
Ruggero compare nelle fonti al fianco del fratello maggiore nelle operazioni in Calabria (come la presa di Reggio nel 1060), e in Puglia con la presa di Bari (1071), con cui i bizantini vengono definitivamente estromessi dal sud Italia. Ma il ferox e prudens Ruggero non intende vivere a lungo nell’ombra del Guiscardo come suo braccio destro: l’occasione per ritagliarsi uno spazio di gloria personale sarà la conquista della Sicilia, la cui iniziativa è attribuita in Goffredo Malaterra tutta a Ruggero. Dopo la mitica battaglia di Cerami (1063), sarà l’isola ad assorbire le energie del conte, che pur continuerà a recarsi sul continente per amministrare i suoi possedimenti calabresi o per aiutare Roberto. La più importante impresa comune dei due fratelli sarà la conquista di Palermo (1072).
La battaglia di Cerami: la leggenda dell’apparizione dei santi Michele e Giorgio
Un alone leggendario avvolge il ricordo della battaglia di Cerami nelle fonti storiche. Scrive il Malaterra “li sbaragliarono [i saraceni] e ne uccisero ventimila e altrettanti ne fecero prigionieri con l’aiuto d’un misterioso cavaliere dalle armi candide, il bianco destriero, armato da una lancia dal pennoncello bianco e la croce vermiglia”. Pare, infatti, che la mattina della battaglia Ruggero, assieme al nipote Serlone, abbia fatto recitare ai combattenti dei versetti del Vangelo.
Quando lo scontro sembrava volgersi a favore dei Saraceni, il Conte invocò l’aiuto dei santi protettori Michele e Giorgio, i quali comparvero sul campo di battaglia ridestando il fiacco ardore dei soldati che, colti da nuovo vigore ed entusiasmo, inflissero una pesante sconfitta agli avversari: uno schema di psicologia del momento bellico che ricorda il ben più noto episodio della devotio di Publio Decio Mure nella battaglia del Sentino (295 a.C.)
La Campania e il matrimonio con Sichelgaita di Salerno
Per il Guiscardo è poi la volta di Amalfi (1073) e di Salerno (1077). Questa versa in condizioni economiche disastrose, a causa delle pessime politiche di Gisulfo II. Il ceto della burocrazia longobarda riesce però ad adattarsi repentinamente ai cambiamenti e viene impiegato nelle funzioni di amministrazione e cancelleria: i funzionari non vengono infatti mai scelti tra famiglie normanne, che sembrano non disporre di un’adeguata qualificazione.
A Salerno, Roberto si lega alla figlia di Guaimario IV, la principessa Sichelgaita. Alta e imponente, con un incedere regale e un’indole complessa fatta di misticismo e passionalità, Sichelgaita vive nel Monastero di San Giorgio, contiguo al palazzo della sua famiglia, dei momenti felici e spensierati. Cresciuta in una città che nel XI secolo sta sfornando tra le menti più brillanti della medicina (grande stima era riconosciuta alla Scuola Medica Salernitana), Sichelgaita si dedica con ingegno, volontà, perizia e intelligenza allo studio delle erbe medicinali coltivate nei conventi, assieme alle droghe importate dall’Oriente. (1) Rimasta l’unica femmina tra i principi salernitani, viene addestrata all’uso della fionda e dell’arco, promettendo a se stessa di imparare ben presto anche l’arte della spada.
Quasi tutta Italia meridionale era dipendente dal controllo di suo padre, Guaimario IV di Salerno. Il fortunato arbitro del sud, però, aveva attirato ben presto l’invidia dell’imperatore di Germania Enrico III, che nel 1047 gli aveva revocato i titoli di duca di Puglia e di Calabria, la signoria di Aversa e il principato di Gaeta e di Capua. Di fatto, i suoi territori erano stati ristretti alle sole Sorrento, Amalfi e Salerno. Qui, amalfitani e bizantini avevano tramato per la sua morte: una flotta di amalfitani giunta nella città nel 1052 aveva posto fine alla sua vita con 36 coltellate. Umfredo di Altavilla (cognato di Guaimario) e Riccardo di Aversa, giunti sotto le mura della città, avevano poi liberato l’erede Gisulfo dalle mani dei rivoltosi, nominandolo nuovo principe di Salerno.
Quelli che seguono sono anni tristi per la principessa longobarda. Si dedica agli studi e alla politica, alle opere di risanamento e di ricostruzione della città. Riorganizza le attività di palazzo, ristruttura i padiglioni del parco reale, crea nel castello un reparto di spezie e di erbe medicinali, un centro di sperimentazione in cui confluiscono spezie arabe e bizantine. Studia le arti mediche di Ippocrate, Galenio e Plinio.
Diviene anche tutrice di tessitrici e tingitrici, riscattate dalle loro penose condizioni nel gentium – un edificio interrato nelle adiacenze – e trasferite nelle stanze del palazzo, creando un nucleo importante per lo sviluppo artigianale della città. Sembrava essere Gaita (così è chiamata) l’immagine rediviva di Guaimario: dà consigli ai fratelli, li segue nella guida del governo e del palazzo. La sua personalità e il suo ingegno virile sono noti anche nella città tradizionalmente nemica di Amalfi, nel quartiere di vicus sante trofimene.
Si stanno intanto consumando i primi scontri tra le truppe papali e i Normanni nella battaglia di Civitate. I salernitani – che hanno sempre vissuto sotto l’influsso degli “uomini del nord” attraverso cessioni, patti, matrimoni e infeudamenti – si ritrovano nella delicata condizione di non poter muovere man forte a nessuno dei due schieramenti.
Alto quasi due metri, ambidestro (con la mano sinistra reggeva la lancia e con la destra impugnava la spada), guerriero formidabile: era questa la scheda tecnica con cui, intanto, Roberto il Guiscardo si fa conoscere a corte. Nel 1058, quando chiede la mano di Sichelgaita, “non c’era amore o concupiscenza […] solo politica”(2). Sichelgaita chiede una notte per soppesare la risposta: appena divorziato e con un figlio, Roberto ha vent’anni più di lei, ma è bello e aiutante, non conosce né timore né incertezza: ovunque vada suscita rispetto, ammirazione, soggezione.
Roberto stesso paga a Sichelgaita la dote che il cognato Gisulfo non può sovvenzionare: la porta con sé in Calabria, le dona terre e castelli, tra cui Cetraro come “dono del mattino”, il riconoscimento della sua praetium virginitatis.
Contratto matrimonio con sì grande nobiltà, cominciò a crescere il nome del Guiscardo e la gente che prima soleva servirlo per costrizione, prestò ora l’ossequio che nasce per diritto di sangue giacché la gente longobarda sapeva che l’Italia era soggetta ai proavi e agli avi della moglie. (3)
Il matrimonio sanziona un’unione di due stirpi, di due ceppi ugualmente degni di compendiare il retroscena storico-politico italiano.
In linea con la tradizione longobarda delle principesse-consigliere, la presenza di Sichelgaita è una costante nei documenti ufficiali del marito. La giovane moglie media tra le due casate per conto del marito, con la sua “imponenza e foga bellica” (citando la storica bizantina Anna Comnena), fino ad obbligare i capi normanni a riconoscere il figlio Ruggero (chiamato poi Ruggero Borsa per la sua mania di contare e ricontare i soldi) legittimo successore al ducato, in un momento in cui Roberto è colto da una grave malattia. Accecata dall’amore materno e terrorizzata dalla possanza e prestanza del primogenito di Roberto, Boemondo d’Altavilla, vede nel figlio Ruggero la sintesi della stirpe longobarda e normanna.
Le sue sorti sono intrecciate a quelle del marito anche sul campo di battaglia, in cui lo segue con l’audacia di un’amazzone, sprezzante di ogni pericolo. “Fino a quando fuggirete? Fermatevi, siate uomini!” pare aver gridato dietro uno stuolo di cavalieri che fuggivano durante la battaglia di Durazzo (1081), storico scontro nell’ambito del progetto di conquista del Guiscardo dei Balcani, a danno dell’Impero bizantino.
L’interrotta impresa d’Oriente di Roberto il Guiscardo
Dopo aver estromesso i greci dal sud Italia (1071), Roberto ambisce alla diretta conquista del trono di Bisanzio, al quale si era legato promettendo in sposa sua figlia Olimpia (non sappiamo con certezza se nata dal matrimonio con Alberada o con Sichelgaita) a Costantino, il figlio del deposto imperatore d’Oriente Michele VII.
La spedizione ha inizio nel maggio 1081: dopo la vittoria nella battaglia di Durazzo e la presa di Corfù, però, il Guiscardo è costretto a rientrare in Italia per difendere papa Gregorio VII, assediato dalle truppe dell’imperatore tedesco a Castel Sant’Angelo. Suo figlio Boemondo, lasciato in Oriente a fare le veci del padre, non riesce però a mantenere le recenti conquiste.
Bisognerà attendere il ritorno di Roberto per recuperare Corfù e mettere sotto assedio Cefalonia. È proprio durante quest’ultima battaglia che però, colto da violenti febbri, Roberto il Guiscardo si spegne all’età di 60 anni, il 17 luglio 1085.
Note:
(1) L. Imperio, conferenza del 14 aprile 2017, Biblioteca Civica di Vittorio Veneto
(2) F. Grasso, I due leoni. Il romanzo di Roberto e Ruggero d’Altavilla, ZeroUnoUndici, 2016
(3) L. Imperio, conferenza del 14 aprile 2017, Biblioteca Civica di Vittorio Veneto
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- N. J. Julius, I Normanni nel Sud. 1016-1130, Sellerio Editore Palermo, 2021
- T. Russo, Altavilla. Ascesa e decadenza di una famiglia normanna, Diogene Multimedia, 2019
- H. Houben, Normanni tra Nord e Sud. Immigrazione e acculturazione nel Medioevo, Di Renzo Editore, 2003
- F. Grasso, I due leoni. Il romanzo di Roberto e Ruggero d’Altavilla, ZeroUnoUndici, 2016
- T. Indelli, La conquista normanna del meridione d’Italia. Dall’arrivo dei primi conquistatori alla fondazione del regno. Conquiste, tipologie di insediamenti e strutture politiche,