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Lucio Sergio Catilina, cenni biografici
Lucio Sergio Catilina nasce a Roma nel 108 a.C. dalla famiglia dei Sergii, un’antica gens patrizia che aveva dato alla repubblica romana personalità di rilievo nel corso del IV secolo a.C., ma che poi era andata incontro ad una fase di decadenza. Giovane dotato di una smodata ambizione, Catilina si avvia alla carriera politica con l’obiettivo di raggiungere il consolato e di riportare in auge il nome della propria famiglia.
Candidato tre volte alla massima carica della repubblica romana e tre volte respinto, Catilina decide di perseguire la via dell’illegalità: nel 63 a.C. ordisce una congiura che, secondo i suoi piani, si sarebbe risolta con il conseguimento del consolato. In pratica, Catilina si muove per ottenere con la forza ciò che legalmente gli era stato più volte negato: da qui ha origine la famosa “congiura di Catilina”.
Le fonti storiche sulla congiura di Catilina
Prima di addentrarci in modo dettagliato nelle vicende del 63 a.C., occorre soffermarsi sulla natura delle fonti antiche che ce ne conservano il ricordo. La congiura di Catilina, infatti, gode di uno status privilegiato nel quadro della storia antica, in quanto è sopravvissuta fino a noi una testimonianza contemporanea, le Catilinarie di Marco Tullio Cicerone. Queste orazioni, quattro in tutto, ci permettono di conoscere gli avvenimenti in presa diretta, ma conservano una versione parziale dei fatti, filtrata dalla faziosità del loro autore, che ha, tra l’altro, influenzato tutta la tradizione storiografica successiva.
Sallustio, che a circa venticinque anni di distanza decide di dedicare una vera e propria monografia alla congiura di Catilina, il Bellum Catilinae o De Catilinae coniuratione, e che, dunque, costituisce un’altra fonte di grande importanza, risente dell’impostazione ciceroniana nella narrazione degli eventi.
In più passi delle sue orazioni Cicerone compone un ritratto che dipinge Catilina come uno scellerato, un assassino brutale, capace di sedurre una Vestale, di uccidere il proprio figlio per far piacere alla seconda moglie; un corruttore di giovani, omosessuale, rivoluzionario, sempre in combutta con gli elementi più abbietti della società romana.
Cicerone, che, come vedremo, è il destinatario principale del progetto sovversivo di Catilina, ha tutte le ragioni per delinearne l’immagine più negativa possibile. Di questo troviamo traccia nel ritratto che Sallustio presenta del personaggio all’inizio della sua opera:
Catilina, nato di nobile stirpe, fu di grande vigore d’animo e di membra, ma d’ingegno malvagio e vizioso. Fin dalla prima giovinezza gli piacquero guerre intestine, stragi, rapine, discordie civili, e in esse spese tutta la sua gioventù. Il corpo resistente alla fame, al gelo, alle veglie oltre ogni immaginazione. Animo temerario, subdolo, mutevole, simulatore e dissimulatore di qualsivoglia cosa, avido dell’altrui, prodigo del suo, ardente nelle cupidigie, facile di parola, niente saggezza. Spirito vasto, anelava sempre alle cose smisurate, al fantastico, all’immenso. Dopo la dominazione di L. Silla [L. Cornelio Silla, tenne la dittatura a Roma dall’82 al 79 a.C.], era stato invaso da una sfrenata cupidigia d’impadronirsi del potere, senza farsi scrupolo della scelta dei mezzi pur di procurarsi il regno. Sempre di più, di giorno in giorno quell’animo fiero era agitato dalla povertà del patrimonio e dal rimorso dei delitti, entrambi accresciuti dai vizi sopra ricordati. Lo incitavano, inoltre, i costumi di una cittadinanza corrotta, tormentata da due mali funesti e fra loro discordi, il lusso e l’avidità. (Sallustio, La congiura di Catilina, 5)
Più avanti lo storico continua:
Fin dalla prima giovinezza, Catilina aveva avuto amori delittuosi, con una vergine nobile, con una Vestale, e altre esperienze di tal fatta contro l’umano e il divino. Infine, preso d’amore per Aurelia Orestilla, di cui mai nessun uomo onesto trovò nulla da lodare se non la bellezza, poiché ella esitava a sposarlo per timore del figliastro in età già adulta, si ritiene con certezza che egli, assassinatolo, abbia reso la casa libera per le nozze scellerate. Ciò mi sembra la principale ragione per cui affrettò la congiura. Infatti quell’animo impuro, nemico degli dei e degli uomini, non trovava pace né nel sonno né nelle veglie; tanto il rimorso devastava quell’animo inquieto. E ancora, esangue il colorito, torvi gli occhi, il passo ora rapido ora lento, insomma nel volto e nell’aspetto aveva i segni della follia. (Sallustio, La congiura di Catilina, 15)
Sallustio, che non aveva alcun rancore personale nei confronti di Catilina, crea un ritratto che, in incipit d’opera, ha il chiaro scopo di fornire al lettore tutti gli elementi necessari per comprendere gli avvenimenti che si accinge a narrare: solo un personaggio di tal fatta può concepire un progetto così ardito e sovversivo.
In realtà, agli occhi di Sallustio, la figura di Catilina funge esclusivamente da strumento attraverso il quale lanciare un’aspra critica alla società contemporanea dalla quale lo storico stesso è stato profondamente deluso: Catilina non è altro che il figlio del suo tempo, un tempo ormai corrotto e decadente, in cui gli antichi valori della romanità hanno lasciato posto alla cupidigia di potere e di denaro, all’avidità, all’arroganza e all’ambizione sfrenata.
La carriera politica di Catilina: il suo cursus honorum
A partire dalle riforme dei Gracchi e dalla guerra civile tra Mario e Silla, la classe dirigente romana si trova di fatto divisa in due grandi schieramenti: gli optimates e i populares. I primi, arrogando per sé stessi la definizione di “migliori”, rappresentano gli interessi del Senato e della nobilitas e si configurano come conservatori; i secondi, invece, si fanno garanti delle istanze e delle richieste del popolo sul quale costruiscono la base del proprio consenso.
Su questo scenario si configura l’esperienza politica di Catilina. Egli, dopo aver combattuto nell’89 a.C. a fianco di Pompeo Strabone durante la guerra sociale, si schiera dalla parte di Silla: sembra che Catilina si sia impegnato alacremente a far rispettare le liste di proscrizione in cui Silla aveva inserito i nomi di tutti i nemici politici che, da quel momento, potevano essere impunemente uccisi ed espropriati di tutti i beni. A questo periodo le fonti attribuiscono a Catilina il feroce assassinio del cognato Marco Mario Gratidiano. Così scrive il filosofo Lucio Seneca:
A Marco Mario […] Lucio Silla ordinò che fossero rotte le gambe, strappati gli occhi, tagliata la lingua, le mani, e, come se lo uccidesse tante volte quante lo feriva, poco a poco, e passando per le singole articolazioni, lo straziò. Chi era l’esecutore di quest’ordine? Chi se non Catilina, che già si esercitava le mani per ogni delitto? (Seneca, L’ira III, 18, 1-2).
Per quanto la veridicità di tale episodio sia stata messa in dubbio da alcuni studiosi, è innegabile che Catilina si sia macchiato di diversi crimini e che si sia arricchito con i beni confiscati ai proscritti.
Nel 78 Catilina dà avvio al proprio cursus honorum mediante il rivestimento della questura; prosegue poi nel 71 con l’edilità, nel 68 con la pretura e nel 67-66 con il governatorato provinciale dell’Africa. A questo punto, i tempi sono per lui maturi per ambire al consolato: il suo operato in Africa viene tuttavia macchiato da un’accusa di concussione (cosa che accadeva spesso ai magistrati che si trovavano a governare una ricca provincia), per cui, tornato a Roma, Catilina si trova a subire un processo de repetundis che inficia la sua possibilità di candidarsi alle elezioni consolari per il 65.
Negli anni della sua ascesa politica, in effetti, Catilina si è indebitato sempre di più: l’accesso alle cariche magistratuali richiede, a Roma, un grande dispendio di denaro. Alcune cariche, infatti, dipendono strettamente dalle risorse economiche e, di conseguenza, i membri delle famiglie non più al culmine della prosperità finiscono spesso per indebitarsi; inoltre, nel periodo della campagna elettorale, si ricorre spesso all’ambitus, alla “corruzione”, per vedersi garantito il successo. Catilina, che si trova esattamente in questa situazione, deve aver con ogni probabilità sfruttato la propria posizione di potere in Africa, vessando la popolazione locale, al fine di veder rimpinguate le proprie casse.
La “prima congiura di Catilina”
A questo punto Sallustio racconta di una cosiddetta “prima congiura di Catilina” che avrebbe dovuto compiersi con l’assassinio dei consoli eletti il 1° gennaio 65, giorno della loro entrata in carica. Essendo trapelata, la congiura viene posticipata al 5 febbraio ma, dato lo scarso numero di adesioni e il segnale dato da Catilina troppo presto, il progetto fallisce. La maggior parte degli studiosi moderni, tuttavia, dubita della veridicità di tale aneddoto, considerandolo o un’anticipazione di eventi successivi o un episodio realmente avvenuto al quale, però, Catilina non deve aver preso parte.
La scalata al consolato di Catilina
Il processo de repetundis nei confronti di Catilina si conclude con l’assoluzione, ma ciò avviene troppo tardi perché possa presentare la sua candidatura al consolato nel 64. Torna in campo nuovamente per le elezioni del 63, questa volta con possibilità di successo più concrete grazie al sostegno di personaggi importanti, tra i quali sicuramente Marco Licinio Crasso (ricco cavaliere e futuro triumviro) e, forse, Giulio Cesare. Catilina è ormai passato dalla parte dei populares e sta iniziando a concepire un programma di riforme volte ad alleviare la crisi finanziaria che colpisce il popolo e la plebe rurale.
Ad ostacolare ostinatamente Catilina nella sua scalata al consolato è il candidato avversario, il conservatore Marco Tullio Cicerone: questi, servendosi della propria abilità oratoria, si impegna in una campagna elettorale tutta volta a screditare l’avversario. Ancora una volta, l’ambizione di Catilina risulta delusa: i consoli eletti per il 63 sono proprio Marco Tullio Cicerone e il sillano C. Antonio Hybrida.
Non ancora disposto a rassegnarsi, Catilina tenta per la terza, e ultima, volta di raggiungere la più alta carica della repubblica romana e si candida alle elezioni consolari per il 62; in quest’occasione decide di imprimere una svolta estremista al progetto riformista che aveva presentato l’anno precedente, proponendo la cancellazione integrale dei debiti. Con questa mossa Catilina mira ad ottenere il favore non tanto, o non solo, della plebe e dei piccoli proprietari terrieri italici che stanno subendo la dura concorrenza dei grandi latifondisti, ma soprattutto degli aristocratici indebitatisi (come lui stesso, del resto) per lo stile di vita e l’ambizione politica.
A seguito di questa svolta radicalmente popolare, Catilina viene abbandonato dai suoi primi sostenitori, Crasso in primis, e si trova di fatto nella condizione di escluso dal potere. Cicerone, in quanto console, fa di tutto per impedire l’elezione di Catilina, da un lato denigrandolo a più riprese in pubblico, dall’altro rimandando le elezioni, forse fino all’autunno: nel frattempo, Catilina viene convocato davanti al Senato per dar conto delle sue intenzioni rivoluzionarie. Perso l’appoggio di Crasso e della plebe a seguito della martellante propaganda ciceroniana, anche nel 63 a.C. Catilina esce sconfitto: è per lui il momento di passare all’extrema ratio.
La congiura di Catilina del 63 a.C.
Il progetto originario della congiura prevede che l’azione si sviluppi su due fronti diversi: l’Etruria, dove l’esercito radunatosi intorno a Fiesole alla guida del vecchio sillano Gaio Manlio avrebbe dato vita ad un’insurrezione, e Roma, dove Catilina e i suoi sostenitori avrebbero proceduto all’assassinio del console Cicerone.
Il 27 ottobre 63 l’esercito in Etruria tiene fede al piano stabilito e alimenta un’insurrezione che divampa poi attorno ad altri due centri, Capua, dove sono presenti grandi masse di schiavi, e la Transpadana, ancora in attesa di ricevere la cittadinanza dai tempi della guerra sociale (90-88 a.C.). L’uccisione di Cicerone, pianificata per il 6 novembre, viene sventata grazie a una soffiata, forse di Fulvia, l’amante di uno dei congiurati che informa segretamente il console.
L’8 e il 9 novembre Cicerone pronuncia in Senato due orazioni, la prima e la seconda Catilinaria, rendendo pubbliche le intenzioni di Catilina: “Fino a che punto, Catilina, abuserai della nostra pazienza?” (Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?), così esordisce in Senato Cicerone in un discorso che lo ha reso celebre per la forza e l’efficacia dell’invettiva. Il console mette in campo lo strumento retorico della prosopopea, dando voce alla patria personificata che si rivolge direttamente a Catilina con queste parole:
“Da anni ormai non c’è stato delitto che non sia stato commesso da te, non azione infame di cui tu non sia stato partecipe. Tu solo hai assassinato molti cittadini, hai infierito sugli alleati, li hai spogliati senza che nessuno te lo impedisse e senza scontarne il fio; tu non solo ti sei distinto per non aver tenuto conto delle leggi e dei tribunali ma anche per averli sovvertiti, calpestati. Sono azioni che hai commesso in passato; non si doveva tollerarle, eppure, come ho potuto, le ho sopportate; ora però sono in preda al terrore per causa tua; al minimo rumore d’armi, sono spaventata, Catilina; ora, non c’è complotto a mio danno che non sia stato ordito dalla tua perversità, e non intendo sopportarlo. Per questa ragione vattene, liberami da questo terrore; affinché io non perisca, se è fondato, e cessi di tremare, se è immaginario”. (Cicerone, Catilinarie II, 18).
Le orazioni di Cicerone sortiscono l’effetto desiderato: di lì a una settimana Catilina viene dichiarato hostis publicus, “nemico pubblico”, e contro di lui viene emanato un senatus consultum ultimum (che, prima di allora, era stato usato contro i Gracchi): tale misura prevede, per il cittadino romano che lo subisce, la cessazione di tutte le garanzie costituzionali; da questo momento, Catilina può essere ucciso impunemente e i suoi beni possono essere confiscati.
Catilina fugge da Roma e si rifugia presso i suoi in Etruria. Nel frattempo, grazie alla cattura di alcuni Allobrogi, una tribù della Gallia Narbonense alleata di Catilina, Cicerone riesce a intercettare dei messaggi tra i Catilinari e ad ottenere le prove certe della congiura. Forte di questa posizione, il console tiene altri due discorsi, il 3 e il 5 dicembre, questa volta nel Foro: egli assicura al popolo romano che i sostenitori di Catilina rimasti in città hanno l’ordine di appiccare incendi in vari punti dell’Urbe, suscitando così la paura dei concittadini, soprattutto della plebe che viveva in baracche di legno e che, per questo, aveva il terrore del fuoco. Catilina perde così l’appoggio della plebe urbana.
La fine di Catilina e dei catilinari
Il 5 dicembre in Senato si discute a proposito della sorte dei catilinari che si trovano ancora a Roma: dietro proposta di Cicerone e Catone, il futuro Uticense, essi vengono accusati di perduellio, di “alto tradimento”, e vengono strangolati nel carcere Mamertino, senza che sia loro concessa la provocatio ad populum, ovvero la possibilità per un condannato a morte di rivolgersi al popolo, il quale ha la facoltà di tramutare la pena capitale in esilio. Solo Cesare, allora pontefice massimo, si oppone a questa deriva anticostituzionale: negli anni a venire, l’aver mandato a morte senza processo dei cittadini romani sarà, per Cicerone, una grave onta sulla sua reputazione e gli costerà perfino l’esilio (58-57 a.C.).
Nel frattempo Catilina, che ha intorno a sé all’incirca tremila uomini, si trova a Pistoia; lì, contro di lui, viene inviato un esercito regolare alla guida del console Antonio. Lo scontro finale è imminente. Catilina raduna i suoi e si rivolge loro con un accorato discorso:
“[…] Perciò vi esorto ad essere di animo strenuo e pronto a tutto, e quando entrerete in battaglia, ricordate che avete in pugno la ricchezza, l’onore, la gloria e inoltre la libertà e la patria. […] Inoltre, soldati, noi e loro non siamo sovrastati dalla stessa necessità; noi lottiamo per la patria, per la libertà, per la vita; per essi è un sovrappiù il combattere per la potenza di pochi. Perciò con maggiore slancio assaliteli, memori dell’antico valore […]”. (Sallustio, La congiura di Catilina, 58, 8-12)
I due eserciti si schierano sul campo: il console Antonio affida il comando al legato Petreio; Catilina è in prima linea tra i suoi. Arrivati vicini, i due schieramenti si fronteggiano combattendo da subito con le spade corpo a corpo in uno scontro di estrema violenza; ad un certo punto, Petreio esegue un movimento a tenaglia che massacra e sbaraglia l’esercito dei catilinari. Catilina muore così, trafitto sul campo di battaglia.
Scrive Sallustio in conclusione della sua opera:
Una volta finita la battaglia, allora sì che avresti potuto comprendere [l’autore si rivolge al lettore] con lo sguardo quanto grandi fossero state l’audacia e la forza d’animo nell’esercito di Catilina. Infatti, quasi la stessa posizione che ognuno, da vivo, aveva assunto nello schieramento, anche ora, da morto, la ricopriva con il proprio corpo; […] Catilina, invece, fu trovato lontano dai suoi, in mezzo ai cadaveri dei nemici, che ancora rantolava, serbando però sul volto la fierezza avuta in vita. Infine, in tutto quello che era stato il suo esercito, nessun concittadino libero fu catturato, né in battaglia né in fuga: tanto poco tutti avevano risparmiato, alla stessa maniera, la vita propria e quella dei nemici. Né l’esercito del popolo romano aveva ottenuto una vittoria lieta o poco cruenta. I più valorosi, infatti, erano caduti in battaglia o ne erano usciti con gravi ferite; molti, spintisi fuori dall’accampamento per curiosità o brama di saccheggio, rivoltando i cadaveri dei nemici, trovavano chi un amico, chi un ospite, chi un parente; ci fu anche chi trovò nemici personali. Così, per tutto l’esercito, si agitavano la gioia, la tristezza, il lutto e l’allegria. (Sallustio, La congiura di Catilina, 61)
Questa è la fine di Catilina: il console Antonio spedisce a Roma la testa del nemico sconfitto e viene insignito del titolo di imperator, “comandante vittorioso”, come se avesse vinto su nemici e non su Romani.
Si conclude così l’esperienza di un uomo che, per quanto dotato di una smodata ambizione e di una discutibile moralità, ha senza dubbio pagato il filo di una tradizione storiografica a lui ostile: la sua più grande sfortuna, dopo tutto, è stata quella di aver “pestato i piedi”, nella sua ascesa politica, a un grande oratore quale era Cicerone.
Il giudizio negativo di quest’ultimo ha costruito, intorno a Catilina, una mostruosa aurea difficile da dissipare; ciò nonostante Sallustio, che pure ha subito la pesante e ingombrante influenza di Cicerone, riconosce, sul finire, la fierezza e la coerenza di Catilina che è rimasto fedele fino alla fine alla propria causa, combattendo e morendo per essa.
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- Cristofoli – A. Galimberti – F. Rohr Vio, Dalla repubblica al principato. Politica e potere in Roma antica, Carrocci 2014.
- Bocchiola – M. Sartori, L’inverno della repubblica. La congiura di Catilina, Mondadori 2012.
- Luca Fezzi, Catilina: la guerra dentro Roma, Edises 2013.
- Barbara Levick, Catilina, Il Mulino 2017.
- Massimo Fini, Catilina. Ritratto di un uomo in rivolta, Feltrinelli 2019.
- Luciano Canfora, Catilina. Una rivoluzione mancata, Editori Laterza, 2023.
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