CONTENUTO
di Silvia Pontarelli
La struttura sociale della società romana antico-repubblicana [1]
La struttura sociale dei primi secoli della Roma repubblicana non presenta profili di significativa discontinuità rispetto ai precedenti secoli della monarchia. Lo strato sociale più elevato era costituito dai patrizi, membri della fanteria dell’esercito ma, soprattutto, grandi proprietari terrieri; ciò garantiva loro una posizione di netta supremazia economica.
Forti della propria ricchezza, i patrizi riescono ad attirare a sé numerosi clienti e a monopolizzare le principali cariche politiche dello Stato, cioè l’assemblea popolare e il Senato. In quest’ultima sede, ai soli membri del patriziato è riservato il diritto di voto sulle decisioni assunte dall’assemblea (i senatori plebei, ammessi gradualmente al Senato , sono inizialmente sprovvisti di tale facoltà) e sempre ai soli patrizi è riservato l’accesso alle più alte cariche di funzionari della repubblica, tra le quali spiccano, senza dubbio, il consolato, la dittatura e il sacerdozio.
La stragrande maggioranza della popolazione fa parte della plebe, liberi e cittadini, ma sprovvisti dei privilegi spettanti ai patrizi; è interessante notare come la plebe, in quanto gruppo sociale così denominato e, sul finire del VI secolo a.C., definito nelle sue caratteristiche, sia di origine squisitamente romana; l’elemento del cittadino libero, distinto dai ‘padroni’, non servo o cliente era infatti assente nella civiltà etrusca.
Tale gruppo sociale è costituito, essenzialmente, da contadini, spesso versanti in condizioni poverissime, nullatenenti, costretti a rispondere alle necessità belliche della città col sangue e col denaro e, contemporaneamente, a indebitarsi coi patrizi per sopravvivere.
A tale classe sociale fanno capo anche i commercianti e gli artigiani, categorie professionali considerate, dalla tradizione, particolarmente infime. A ulteriore precisazione di questo quadro occorre menzionare clienti, schiavi e liberti: i primi sono uomini liberi vincolati a un padrone tramite un rapporto di fedeltà (fides), obbligati a prestazioni lavorative e vincoli morali in cambio di protezione. Quasi del tutto analoga è la condizione del liberto, lo schiavo liberato.
Infine, lo schiavo (servus o mancipium, quest’ultimo termine legato all’istituto giuridico che corrisponde, in epoca arcaica, alla proprietà) era oggetto del suo padrone, privo di qualsiasi personalità giuridica, ma capace di porre in essere, per il dominus, attività di svariati tipi. La concezione dello schiavo come legato quasi esclusivamente alla realtà famigliare subirà profonde modifiche nel corso dell’età tardo-repubblicana e imperiale.
La rivolta dei plebei contro i patrizi [2]
La situazione appena descritta non può che determinare il forte malcontento di quella parte della plebe che riesce a condurre uno stile di vita quasi del tutto indipendente rispetto al patriziato; la ‘lotta tra gli ordini’, di natura sia politica che economica, non riguarda infatti i liberi contro gli oppressi, ma si sviluppa tra cittadini liberi; i plebei, nel corso del V secolo a.C., percepiscono con sempre maggiore malcontento le differenze e i privilegi che li distinguono dal patriziato e sono loro stessi a rimarcare e imporre la divisione tra le due classi sociali.
Patrizi e plebei: una lotta economica e politica
Nelle righe immediatamente precedenti si è definita la lotta tra gli ordini come politica ed economica; l’aspetto economico riguarda i plebei più poveri, prevalentemente contadini e piccoli proprietari terrieri che, a causa della successione ereditaria, vedono ridursi sempre di più i propri possedimenti.
I loro interessi principali erano da un lato la partecipazione alla spartizione delle terre dell’ager publicus e, dall’altro, la riduzione dei debiti che questi erano costretti a contrarre con i nobili per poter sopravvivere. A questo si aggiunge il rischio collegato all’istituto giuridico del nexum, forma più antica di prestito, che determinava la caduta in schiavitù del debitore inadempiente a vantaggio del suo creditore.
Accanto a questa categoria più povera di plebei vi è quella di artigiani e commercianti, arricchiti durante le prime espansioni di Roma e sempre più interessati a un ruolo di maggiore rilievo nella vita politica della città e a una maggiore integrazione tra gli ordini attraverso i matrimoni misti di nobili e non nobili.
Questi ultimi rappresentano, inoltre, larga parte della fanteria pesante, componente dell’esercito che ebbe una rilevanza notevole nelle guerre condotte contro Veio e contro le tribù montane; sono, come detto, plebei particolarmente ricchi, con la disponibilità di acquistare le armi o di autoprodurle.
La Secessione della plebe [3]
Lo strumento di lotta politica scelto dai plebei fu la secessione o secessio plebis, un abbandono in massa della città; la prima secessione della plebe si colloca nell’anno 495 a.C, in occasione della quale un folto gruppo di cittadini e schiavi chiede ai consoli disposizioni di maggiore favore per i debitori.
Per quanto concerne le dinamiche di queste fasi del conflitto, le fonti in possesso degli storici sono lacunose e confuse, ma consentono di comprendere, in linea generale, come si sviluppano queste complesse vicende.
Anzitutto, come riporta Tito Livio in un passo dell’Ab Urbe Condita, le prime richieste dei plebei riguardano, come già accennato, la materia dei debiti; pare allora che il console, con l’intento di convincerli ad arruolarsi nelle battaglie che Roma si apprestava a combattere, avesse disposto l’impossibilità di ‘mettere in catene’ il debitore, di depredare i beni di un soldato e di trattenere, in sua assenza, figli e nipoti,
Questo basta a formare un esercito sufficientemente numeroso per condurre la battaglia contro i popoli dell’Italia centrale. Terminata questa prima fase del conflitto, le promesse fatte alla plebe non vengono mantenute, specie per dissidi tra i due consoli, l’uno favorevole alle concessioni richieste dalla plebe e l’altro contrario.
Nell’ennesimo clima di malumore, l’esercito rifiuta di obbedire agli ordini dei consoli e si ritira nel Monte Sacro; a questo punto, Storia e Leggenda si intrecciano e, probabilmente, solo un uomo dalla dialettica superlativa, Melenio Agrippa, riesce a convincere i secessionisti a fare rientro in città.
Le conquiste della plebe romana
Appare chiara, quindi, la necessità di trovare un accordo con l’ordine dei plebei ed è qui che questi ottengono uno tra i principali successi: l’istituzione di una nuova carica magistratuale, quella dei tribuni della plebe; a istituire questa figura è la Legge ‘Sacrata’, mentre il suo recepimento, da parte dei patrizi, si ha con una delle leggi Valerie-Orazie del 449 a.C.
I Tribuni della Plebe sono caratterizzati da sacralità e inviolabilità e l’accesso a tale carica è interdetto ai patrizi. Essi hanno inoltre facoltà di intercessione, che permette loro di opporsi alle deliberazioni dei magistrati e dell’assemblea.
Mantenendo l’assetto delle tribù territoriali, i plebei si organizzano, infine, in un’assemblea, i concilia plebis tributa, che emana i plebisciti, in un primo momento sprovvisti di riconoscimento giuridico, ma comunque centro dell’attività politica dei plebei e sacrosanti, tanto che, inevitabilmente, finirono con l’essere imposti anche ai patrizi,
Le Dodici Tavole: verso un diritto laico e scritto [4]
Contemporaneamente alle vicende politiche ed economiche, quelle giuridiche assumono una notevole rilevanza nelle dinamiche della lotta tra gli ordini. Pare opportuno, in questa sede, descrivere brevemente alcuni elementi di quel che gli storici del diritto definiscono ‘diritto romano arcaico’, periodo della storia del diritto entro il quale si colloca la produzione delle XII Tavole.
Il diritto romano arcaico è da collocarsi nell’arco cronologico compreso tra la fondazione della città di Roma (convenzionalmente, metà dell’VIII secolo a.C.) e gli anni quaranta del III secolo a..C, quando, al termine della prima guerra punica, Roma risulta vittoriosa su Cartagine; in tale contesto, emerge la sempre maggiore centralità dell’Urbe nel panorama mediterraneo.
In questa fase storica, il diritto è essenzialmente consuetudinario e basato sui mores; una spinta fondamentale nei suoi sviluppi è data dall’attività dei pontefici, interpretativa da un lato e creatrice dall’altro; questi, infatti, interpretano i pochi precetti giuridici e, talvolta e a necessità, ne creano di nuovi. Ai pontefici si devono le fondamenta di alcuni tra gli istituti fondamentali del diritto romano (testamento, adoptio, emancipazione del figlio …).
Accanto ai mores si sviluppano, ben presto, le leges publicae, le leggi del popolo, che devono il loro nome al collegamento con la volontà popolare. Nell’ambito di queste si collocano le Dodici Tavole, che, stando agli storici, rientrano nella tipologia delle leggi date, ovvero derivate dall’attività di un magistrato su delega popolare.
La realizzazione delle Dodici Tavole rappresenta, accanto all’istituzione dei tribuni della plebe e dei concilia plebis tributa, la maggiore conquista dei plebei a seguito degli scontri coi patrizi. L’opera codificatoria che portò alla stesura delle Dodici Tavole è affidata, per le prime dieci, ai Decemviri, inviati in Grecia a seguito dell’ennesimo periodo di crisi di Roma causato da un’ agitazione plebea.
Nella prima fase di stesura dell’opera, coincidente, più o meno, con il 451 a.C., le magistrature tradizionali (consoli, tribuni …) sono sospese. L’anno successivo si forma un nuovo collegio, che vede come figura di spicco Appio Claudio; i lavori della seconda commissione non procedono, tuttavia, come sperato e ben presto i dieci uomini instaurano quella che sembra essere una vera e propria tirannide.
Anche in questo caso la storia e la leggenda sembrano confondersi, ma, quel che è certo, è che un’ennesima rivolta della plebe, culminata con la nota secessione dell’Aventino, determinò l’abdicazione dei decemviri; la prosecuzione dei lavori viene quindi affidata ai consoli Valerio e Orazio.
Le Dodici Tavole, la difficile ricostruzione di una raccolta eterogenea [5]
La sorte delle Dodici Tavole originali è, purtroppo, poco fortunata; queste infatti vengono distrutte nell’incendio di Roma del 387 a.C., ma la loro memoria resta nella tradizione prima orale e poi scritta degli scrittori latini e dei giuristi romani. La ricostruzione del testo delle Dodici Tavole è un’operazione complessa e tuttora oggetto di accesi dibattiti tra gli storici del diritto, quel che è certo è che queste contenevano precetti attinenti a molteplici materie, come a esempio:
- l’ambito processuale privato: per quanto riguarda i precetti inerenti al processo arcaico tra privati, è da ricondursi alle Dodici Tavole il precetto per cui, nella fase processuale di accertamento dell’esistenza di una certa situazione giuridica, l’assenza di una delle due parti entro il mezzogiorno determina la ragione alla parte presente;
- la schiavitù: la materia della schiavitù trova diversi riferimenti nelle Dodici Tavole, tra i quali merita menzione l’istituto della manumissio testamento, attraverso la quale e per effetto di testamento il padrone affranca il proprio schiavo;
- nell’ambito della famiglia romana, un precetto delle Dodici Tavole impone un limite di tre volte alla vendita dei figli adulti, fenomeno assai diffuso nella Roma arcaica, finalizzato a distribuire la forza lavoro tra famiglie più e meno numerose. Tale limite fa sì che, al terzo atto di vendita, il padre naturale perdesse la potestas sul proprio figlio;
- infine, un precetto delle Dodici Tavole disciplina la cura per furiosi e prodigi, cioè, rispettivamente, coloro che presentano vizi di mente e i dediti al gioco d’azzardo ai quali veniva assegnato, appunto, un curator, che ne curasse gli interessi patrimoniali.
Note:
[1] ALFÖLDY GÉZA, Storia sociale dell’antica Roma, Manuali il Mulino, Bologna, 2012, p. 20 e ss
ATTILIO MASTROCINQUE (a cura di), ARNOLDO MOMIGLIANO, Manuale di Storia Romana, Utet, Torino, 2020, pp. 30 e ss.
[2] ALFÖLDY GÉZA, Storia sociale dell’antica Roma, Manuali il Mulino, Bologna, 2012, p. 20 e ss
ATTILIO MASTROCINQUE (a cura di), ARNOLDO MOMIGLIANO, Manuale di Storia Romana, Utet, Torino, 2020, pp. 30 e ss.
[3] Voce Secessio plebis in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Secessio_plebis
[4] MATTEO MARRONE, Manuale di Diritto Privato Romano, G.Giappichelli Editore, Torino, 20014, p. 7
ATTILIO MASTROCINQUE (a cura di), ARNOLDO MOMIGLIANO, Manuale di Storia Romana, Utet, Torino, 2020, pp. 30 e ss.
[5] MATTEO MARRONE, Manuale di Diritto Privato Romano, G.Giappichelli Editore, Torino, 20014, p. 33, 125-126, 132, 152, 169.
Immagine:
The Secession of the People to the Mons Sacer, engraved by B. Barloccini, 1849. https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Secessio_plebis.JPG
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- Alfoldy Geza, Storia sociale dell’antica Roma, Manuali il Mulino, Bologna, 2012.
- Attilio Mastrocinque (a cura di), Arnoldo Momigliano, Manuale di Storia Romana, Utet, Torino, 2020.
- Matteo Marrone, Manuale di Diritto Privato Romano, G. Giappichelli Editore, Torino, 20014.
Bel post, l’ho condiviso con i miei amici.