CONTENUTO
L’organizzazione della conferenza di Teheran
La conferenza di Teheran (28 novembre -1° dicembre 1943) fu il primo incontro al vertice tra i “Tre Grandi” alleati della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti con Franklin Delano Roosevelt, la Gran Bretagna con Winston Churchill e l’Unione Sovietica con Iosif Stalin. Nelle intenzioni di Roosevelt doveva esserci anche il quarto “grande”, la Cina nazionalista di Chiang Kai-shek, per inserire il fronte asiatico nelle discussioni al vertice e coinvolgere l’Urss nella guerra con il Giappone, ma i sovietici rifiutarono.
La Cina era in guerra con il Giappone, cui l’Urss era legata da un trattato di neutralità dall’aprile 1941, non voleva comprometterlo con incontri con i cinesi. La neutralità nello scacchiere asiatico era essenziale allo sforzo russo sul fronte europeo. Il presidente americano dovette accontentarsi di incontrare pochi giorni prima al Cairo il generalissimo cinese.
Un incontro al vertice con Stalin era cercato da tempo da Roosevelt, che aveva proposto già a maggio un bilaterale a mezza strada, un’isola sullo stretto di Bering. Il disappunto di Churchill per l’esclusione e l’esitazione di Stalin rinviarono l’incontro che sarà a tre. La sede di Teheran fu reclamata da Stalin, che rifiutava viaggi lunghi perché non amava l’aereo (l’unico volo che fece pare proprio quello da Baku a Teheran per l’incontro del ’43), adducendo ragioni militari che gli imponevano di restare vicino alla madrepatria, dove il fronte era stato rovesciato ma i tedeschi erano pur sempre in territorio sovietico. Roosevelt, già seriamente ammalato, si prese il disagio del lungo viaggio.
Il dittatore sovietico era ossessionato dalla sicurezza. L’Iran era stato occupato da inglesi e russi nell’agosto 1941, perché via di transito per gli aiuti occidentali all’Urss appena invasa dalla Germania. Inglesi e russi si erano divisi il paese, rimasto formalmente indipendente dopo l’abdicazione del filotedesco scià Reza I in favore del giovane figlio Reza II (l’ultimo scià). In Iran e a Teheran le truppe e i servizi di sicurezza sovietici si muovevano liberamente. Teheran consentiva a Stalin di affidare la sicurezza sua e della conferenza ai suoi uomini. C’erano anche 2500 soldati americani, Churchill era protetto da un reggimento di sikh indiani.
A Teheran Roosevelt accettò l’offerta di Stalin di alloggiare all’ambasciata sovietica, l’ambasciata americana era distante da quella russa, sede della conferenza, gli spostamenti erano pericolosi. L’ambasciata inglese era vicina, sulla stessa strada, che fu chiusa e sorvegliata da soldati russi. Roosevelt riferirà ai giornalisti americani che Stalin lo aveva messo a parte di un complotto nazista a Teheran contro i tre leader. Fonti russe e inchieste giornalistiche in anni recenti hanno accreditato un’operazione di commandos tedeschi, appoggiata su una rete di agenti in loco, per un attentato ai tre capi di stato, la cui conclusione pare fosse affidata a un commando di Otto Skorzeny.
La rete spionistica sovietica in Iran sarebbe riuscita a sventarlo. Molti storici ritengono il complotto una trovata propagandistica di Stalin. Resta che il governo tedesco era informato della conferenza e delle sue decisioni grazie alle informazioni fornite ai propri servizi dalla spia “Cicero”, il cameriere dell’ambasciatore inglese ad Ankara.
Il presidente americano giunse il 27, già il 28 ebbe un colloquio preliminare con Stalin, con dispetto di Churchill, giunto lo stesso giorno. Roosevelt rifiutò per tutta la durata della conferenza incontri bilaterali con il premier inglese per non insospettire Stalin, con il quale invece si incontrò quotidianamente a quattr’occhi. Roosevelt e Stalin non si erano mai incontrati prima. Per Roosevelt era prioritario costruire un rapporto di fiducia con l’Urss, con la Gran Bretagna c’era da tempo un’alleanza collaudata.
La svolta del 1943
I precedenti incontri tra gli alleati, bilaterali, avevano privilegiato le questioni militari. Il primo incontro congiunto a Mosca a livello di ministri degli Esteri dal 19 ottobre al 3 novembre 1943 pose anche questioni politiche in preparazione di Teheran, ma senza definizioni impegnative, demandate ai vertici di governo. Il 1943 era stato l’anno della svolta della Seconda guerra mondiale. La resistenza sovietica a Leningrado, la controffensiva a Stalingrado con la resa della VI armata tedesca di von Paulus, la conquista angloamericana del Nord Africa e soprattutto lo sbarco in Sicilia e la repentina caduta del principale alleato della Germania, l’Italia, avevano rovesciato le sorti della guerra, la vittoria era ormai probabile se non segnata. Era ora di pensare che farne.
Stalin, già irritato dai ritardi del secondo fronte in Normandia, lamentò aspramente l’esclusione dell’Urss dall’armistizio italiano in un messaggio a Roosevelt, che rivelava come anche il dittatore sovietico si ponesse il problema della gestione della vittoria e non volesse essere escluso da nessun scacchiere. L’armistizio con l’Italia accelerò la volontà di Roosevelt di un incontro al vertice: era necessario stabilire rapporti di fiducia diretti, non solo sul piano militare ma anche politico.
La conferenza di Teheran affrontò questioni militari importanti ancora sospese, ma portò in primo piano le questioni politiche del dopoguerra. Benché nella storiografia le conferenze di Yalta e Potsdam abbiano riscosso maggiore attenzione, fu a Teheran che venne stabilita l’”agenda” dei problemi politici del dopoguerra ed emersero le strategie e gli obiettivi di guerra dei “Tre Grandi”, non senza sospetti e diffidenze.
Le questioni militari alla Conferenza di Teheran
L’apertura del secondo fronte europeo tenne banco, necessario per alleggerire la pressione tedesca sul fronte orientale. Stalin insistette con forza sul secondo fronte da aprire in Normandia il 1° maggio 1944 (operazione Overlord), accompagnato da uno sbarco minore diversivo nella Francia meridionale (operazione Anvil). Churchill ripropose, in attesa dello sbarco in Normandia, un attacco dal mediterraneo orientale alle posizioni tedesche nei Balcani e insistette sulla necessità di premere sulla Turchia per un intervento a fianco degli Alleati. Stalin riteneva dispersiva questa operazione e Roosevelt, irritato dalla pervicacia inglese, aggiunse la sua contrarietà, già nota al leader inglese.
Alcuni storici hanno attribuito alla proposta di Churchill l’intenzione di sbarrare la strada ai russi nei Balcani, per evitare la formazione di un dominio sovietico nella regione. Ma un secondo fronte balcanico era stato proposto già alla fine del ’42, quando non era prevedibile un dilagare dell’Armata rossa nei Balcani, al contrario si temeva un suo prossimo crollo. Il premier inglese era un anticomunista intransigente, ma in politica internazionale seguiva criteri di realpolitik e non ideologici, non diversamente da Stalin.
Il rischio di un’Urss dilagante nell’Europa centrorientale e la necessità di un suo contenimento erano presenti a Churchill, assai più che agli americani, ma il Foreign Office dava per scontata una dominazione sovietica nei Balcani. Gli inglesi non avevano un interesse diretto per la regione danubiano balcanica, assai più verso gli stati rivieraschi, dall’Italia a Grecia e Iugoslavia, ancora occupate dai tedeschi, alla Turchia da guadagnare all’alleanza antitedesca.
Il controllo del Mediterraneo orientale rispondeva alla tradizionale strategia dell’Impero inglese di garantirsi la via per Medio Oriente, canale di Suez e India. Churchill non ebbe problemi ideologici ad aderire alla richiesta russa di aiuto militare ai partigiani comunisti iugoslavi di Tito, abbandonando i partigiani di Draza Mihailovic, che pure facevano capo al governo legittimo iugoslavo di re Pietro in esilio a Londra. Il nemico da sloggiare dal Mediterraneo orientale e dal suo retroterra balcanico era in quel momento la Germania, ancora installata in Italia, Grecia e Iugoslavia.
Churchill voleva sfruttare l’opportunità della resa italiana, per raggiungere il nord Italia come base di operazioni rapide sia verso i Balcani che verso la Germania. Dovrà acconciarsi alla strategia temporeggiatrice degli americani, concentrati nella preparazione di Overlord voluta da sovietici sempre più sospettosi e irritati. Prevaleva nella diplomazia rooseveltiana la priorità di mantenere rapporti saldi con l’Urss in vista del dopoguerra.
Sull’Estremo Oriente, Stalin ribadì che un intervento sovietico contro il Giappone, sollecitato dagli alleati dal ’42, poteva avvenire solo dopo la disfatta tedesca. Cosa che avverrà, procurando all’Urss molti vantaggi con pochi costi (l’Urss dichiarerà guerra a un Giappone ormai sconfitto l’8 agosto 1945, due giorni dopo la bomba di Hiroshima). Il rifiuto di Stalin di aprire il suo secondo fronte lasciava gli angloamericani soli contro il Giappone.
Le questioni politiche alla Conferenza di Teheran del 1943
La principale questione politica riguardava il destino della Germania. Gli alleati si trovarono d’accordo sullo smembramento del paese in più stati. Gli americani proposero cinque stati, gli inglesi tre con isolamento rigido della Prussia guerrafondaia, per Stalin era guerrafondaia tutta la Germania. Nonostante diversità di accenti, Stalin e Roosevelt aspri e punitivi, Churchill più cauto, il principio della divisione della Germania era affermato.
La questione polacca era delicata. Stalin non intendeva rinunciare alle acquisizioni territoriali ottenute grazie al patto Ribbentrop-Molotov dell’agosto 1939, quando Germania e Urss furono alleate per quasi due anni. I polacchi dovevano accettare il nuovo confine orientale, la linea Curzon nella definizione di Molotov, la linea Ribbentrop-Molotov, nella caustica definizione di Eden. La Polonia avrebbe trovato compenso nei territori da sottrarre a Ovest alla Germania fino al fiume Oder.
Churchill e Roosevelt acconsentirono senza obiezioni, riconoscendo le esigenze sovietiche di avere confini sicuri, il che apriva la via a richieste simili verso altri paesi. Infatti, Stalin dichiarò che l’annessione all’Urss degli stati baltici era fuori discussione. Roosevelt confidò a quattr’occhi a Stalin che in prossimità delle elezioni presidenziali americane del 1944 non poteva formalizzare in quel momento l’accordo per non alienarsi le simpatie degli elettori di origine polacca. Stalin fu comprensivo, ma la questione era di fatto definita. Stalin ebbe riconosciuta anche la richiesta di pesanti riparazioni dalla Finlandia, per la guerra del 1939-40.
Per quanto riguarda la Francia, l’unico che si spese a suo favore fu Churchill, il leader della Francia libera Charles De Gaulle si era pur sempre rifugiato a Londra. Ma Churchill sperava anche di trovare in una Francia forte un appoggio per compensare l’influenza degli altri due “grandi”. Inoltre, la Francia, come media potenza, poteva colmare il vuoto al centro dell’Europa lasciato dalla disfatta della Germania.
L’equilibrio continentale, un bilanciamento tra medie potenze non egemoniche, era una priorità secolare della Gran Bretagna. Anche qui, Churchill non ebbe successo. Roosevelt considerava De Gaulle un fascista e un imperialista, per Stalin il governo legittimo francese era quello di Vichy. Il recupero della Francia a un ruolo internazionale sarà ripreso dagli inglesi solo dopo lo sbarco in Normandia.
Roosevelt sottopose a uno Stalin scettico ma condiscendente, conoscendo la centralità del progetto per il presidente americano, uno schema della futura organizzazione delle Nazioni unite, pilastro del nuovo ordine mondiale, una priorità che condizionò tutto l’atteggiamento americano nelle trattative.
Lo schema affidava il potere effettivo a un consiglio formato dai quattro “grandi”, “the four policemen” (i tre più la Cina), garanti della sicurezza collettiva del nuovo ordine mondiale con potere di intervento militare. Gli altri stati avrebbero avuto un potere consultivo in un’assemblea generale. La preoccupazione di Stalin che il “poliziotto” americano mantenesse le sue truppe in Europa venne fugata dalla rassicurazione di Roosevelt che questo compito sarebbe spettato a britannici e sovietici. Roosevelt non intendeva mantenere a lungo truppe in Europa dopo la vittoria, convinto che gli americani non l’avrebbero accettato.
Si profilava al tavolo di Teheran la visione di Roosevelt di un’Europa debole, divisa in piccoli stati, inseriti e controllati nelle “sfere di influenza” sovietica e britannica, mentre gli Usa si concentravano in Asia coadiuvati dalla Cina nazionalista. Churchill ripropose l’idea di confederazioni tra gli stati europei balcanici e danubiani, che avrebbero bilanciato l’influenza sovietica nell’Europa centro-orientale, ma Stalin intuì, non voleva ai confini dell’Urss entità forti e aggiunse la sua contrarietà a quella nota di Roosevelt.
Le decisioni della Conferenza di Teheran
La conferenza di Teheran si chiuse con un comunicato generico, il protocollo militare ribadì l’impegno del secondo fronte francese, previsto per il maggio ’44. Tuttavia, a Teheran i leader chiarirono i propri obiettivi, talvolta con asprezza, specie di Stalin, fronteggiato con scarso successo da un isolato Churchill, mentre Roosevelt rimase condizionato dalla volontà di non compromettere i rapporti con l’alleato sovietico.
Roosevelt otteneva l’accettazione definitiva della nuova organizzazione delle Nazioni Unite, a prezzo di cedimenti non irrilevanti rispetto ai principi americani, come quello di autodeterminazione dei popoli. Il Grand Design rooseveltiano prefigurava un mondo unificato, senza rigide barriere, governato dalla collaborazione tra gli alleati vincitori. Gli Usa erano l’unica potenza globale, marittima e aerea, che si apprestava a sostituire la Gran Bretagna nella leadership mondiale, con un’economia esuberante bisognosa di un mondo aperto al commercio, ritenuto garanzia di progresso democratico e di sicurezza collettiva.
La strategia americana non si fondava sul controllo politico o militare diretto ma sul potere economico. Roosevelt non affidava il suo Grand Design all’alea della fiducia, ma alla convinzione che la cooperazione tra gli alleati sarebbe stata garantita dalla necessità di Urss e Gran Bretagna di un prolungato aiuto economico americano per le loro economie provate dalla guerra. L’amministrazione americana sopravvalutava le capacità economiche dell’impero inglese, che già nel 1946 si dimostrerà incapace di tenere la posizione mediterranea in Grecia e Turchia.
Nel contempo, sottovalutava la capacità politica di un regime totalitario come quello sovietico di ricostruire la propria economia con la rigida e sperimentata disciplina della pianificazione e con lo sfruttamento intensivo delle risorse della propria zona di occupazione. Queste errate valutazioni strategiche, oltre all’ambiguità degli accordi, furono i punti deboli del Grand Design rooseveltiano, destinato al fallimento nel dopoguerra. La strategia di Roosevelt guardava lontano ma era indeterminata, trascurava gli assetti territoriali immediati e la definizione delle “sfere di influenza”, demandati alla futura concertazione tra i “grandi”.
Stalin usciva soddisfatto su tutti i punti, soprattutto il secondo fronte in Francia e il riconoscimento delle esigenze di sicurezza dell’Urss cercata in termini territoriali e garantita da una implicita “sfera di influenza” sovietica nell’Europa orientale e balcanica. La strategia di Stalin era la vera incognita: solo un obiettivo di sicurezza o una spinta imperiale che, oltre a riprendere antiche linee espansionistiche della Russia zarista, ambisse a spingersi nel cuore dell’Europa, facilitata dal venir meno dell’ostacolo tedesco?
L’obiettivo di Churchill era la difesa del ruolo imperiale britannico e l’influenza indiretta su un’Europa ricostruita su un equilibrio tra medie potenze come Francia e Italia, oltre alle federazioni centrorientali, una strategia di retroguardia, di antica storia e prevedibile, ma concreta e lucida. Realista non meno di Stalin, ispirato come questi da una logica tradizionale di politica estera, basata su relazioni di potenza, Churchill era consapevole dell’ambiguità degli accordi e della necessità di definire gli assetti politico-territoriali per non lasciarli agli eserciti di occupazione, come Stalin prefigurava.
Churchill fu il vero sconfitto, quasi niente delle sue proposte venne accolto a Teheran, la sua strategia non aveva più la forza di una grande potenza. Sulla via del ritorno, nella sosta di Marrakech per curare la polmonite rimediata a Teheran, un rattristato Churchill meditò con amarezza sul declino della sua Inghilterra. Teheran aveva anticipato i nuovi rapporti di forza del potere mondiale, ossia il predominio americano e sovietico e il tramonto inglese.
Non ci furono mai accordi di deliberata spartizione del mondo in blocchi, come una diffusa leggenda attribuisce alla conferenza di Yalta. Fu a Teheran che apparvero le “sfere di influenza”, ma sottintese e non chiarite: per gli Usa non erano aree chiuse, significavano una divisione del lavoro di sicurezza collettiva, non la “sovietizzazione” secondo la logica totalitaria dell’Urss, come apparirà presto e come il realismo di Churchill aveva intravisto. Tra il buon vicinato di paesi con governi amici, riconosciuto dagli occidentali a Stalin, e paesi governati in esclusiva da succursali del partito sovietico c’era una differenza che da parte rooseveltiana venne trascurata.
Saranno gli avvenimenti successivi, gli sviluppi interni alle sfere di influenza, le azioni e reazioni degli attori internazionali, che scioglieranno l’equivoco inoltrando l’Europa e il mondo nella guerra fredda, quando le “sfere di influenza” diverranno rapidamente “blocchi”.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Roma-Bari, Laterza, 2015.
- Andreas Hillgruber, Storia della Seconda guerra mondiale. Obiettivi di guerra e strategia delle grandi potenze, Roma-Bari, Laterza, 2000.
- Gerhard L. Weinberg, Il mondo in armi. Storia globale della Seconda guerra mondiale, Torino, Utet, 2008 (Vol 2, La seconda fase della guerra. La controffensiva degli alleati).
- Winston Churchill, La seconda guerra mondiale. 5. La morsa si stringe, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1952 (Vol. 5.2, Da Teheran a Roma).