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Spazio e tempo: il contesto storico e gli antefatti
Il periodo compreso fra il 1870 e il 1914 è chiamato “età dell’imperialismo”, poiché le potenze europee danno nuovo slancio alle loro ambizioni espansionistiche e, in pochi decenni, conquistano le aree del globo rimaste al di fuori del loro controllo.
Il fenomeno del colonialismo non è certamente una novità. I grandi imperi coloniali (soprattutto quelli spagnoli, portoghesi, inglesi e francesi) esistono già da quattro secoli, ma la spartizione del mondo che avviene fino allo scoppio della Grande Guerra è riconosciuto come un evento molto differente dal colonialismo del passato. Dal 1870, piccole e grandi potenze non si limitano più al solo sfruttamento economico dei territori conquistati, ma impongono il proprio sistema di governo dopo aver occupato militarmente le colonie.
La seconda metà del diciannovesimo secolo è costellata di eventi inediti, decisivi per la storia mondiale e caratterizzanti dei decenni successivi. La grande depressione (1873-1895), le misure protezionistiche conseguentemente adottate da molti paesi europei, i massicci flussi migratori e la seconda rivoluzione industriale cambiano profondamente la natura del Vecchio Continente, sollevando nuove capacità produttive, necessità e bisogni.
Tra le nascenti società industrializzate cresce lo spirito di competizione. Gran Bretagna e Francia sono le protagoniste indiscusse di questo mutato contesto storico, ma al panorama globale si affacciano presto anche l’Italia, la Germania, il Belgio, l’Olanda, senza dimenticare le forze emergenti del Giappone e degli Stati Uniti.
La politica espansionistica e il progetto di colonizzazione intrapresi dalle suddette potenze non è soltanto il risultato di questioni economiche, competizione e volontà di prestigio internazionale. L’imperialismo concepisce il mondo extraeuropeo come un immenso serbatoio di terre aperte all’espansione e alla conquista dello “spazio vitale” (1). Il concetto di Labensrau (habitat o spazio vitale in tedesco) viene concepito nel 1897 dal geografo Friedrich Ratzel e diventa sin da subito tentativo di legittimazione scientifica della politica coloniale europea.
La spartizione del mondo è giustificata da un’ideologia che gerarchizza l’intera umanità in categorie inferiori e superiori, successivamente adottata dal razzismo europeo e radicalizzata all’estremo dal nazismo. L’impresa coloniale europea, dunque, si rivela una corsa al saccheggio, alla sopraffazione e allo sfruttamento delle popolazioni attaccate e dei territori conquistati; la formula dei “massacri amministrativi” realizzati per mezzo di ingenti eserciti europei in Asia e in Africa trova giustificazione nella grande facciata retorica della “missione civilizzatrice”, vista come politica legittima nei confronti delle “razze inferiori”. Secondo molti storici, il colonialismo e gli eventi dell’età dell’imperialismo sono stati indiscutibilmente laboratorio dei genocidi del Novecento.
La corsa all’espansione coloniale africana è quella che più ha acceso l’immaginazione dell’opinione pubblica occidentale. Agli esordi della seconda metà del diciannovesimo secolo, gran parte dell’Africa è ancora largamente sconosciuta. Le coste sono le uniche zone esplorate e occupate dagli europei: vengono sfruttate per l’attracco delle navi impegnate in viaggi transoceanici, per la cattura e la tratta degli schiavi, per le attività commerciali e per garantire sicuro riposo agli esausti viaggiatori.
Per questo motivo, le avventure e le ricerche degli esploratori condotte nelle zone sempre più profonde del continente nero alimentano una vera e propria epopea, largamente diffusa dal telegrafo, dai quotidiani e dalle agenzie di stampa.
I Paesi europei dominano appena un decimo del territorio africano: l’Algeria e il Senegal sono sotto il controllo della Francia, l’Angola e il Mozambico sono nell’orbita del Portogallo, il Sudafrica (in particolare Colonia del Capo) è controllato dall’Inghilterra. Ma il fenomeno battezzato come Scramble for Africa (gara per l’Africa) rende protagoniste principali, almeno inizialmente, la Gran Bretagna e la Francia.
Londra detiene una posizione preminente grazie ai suoi possedimenti, scali commerciali e stazioni di rifornimento; ma la sua presenza nel continente accresce a partire dal completamento del Canale di Suez (1869) e il conseguente acquisto di quote decisive delle azioni che avrebbero permesso la diffusione e l’imposizione naturale della sterlina e il controllo di gran parte del commercio del tempo. Inoltre, molte delle navi che attraversano il canale sono britanniche: è ormai diventato il passaggio principale per raggiungere l’India e l’Oriente.
Tuttavia i metodi di governo inglesi, fondati sull’imperialismo informale e sull’amministrazione indiretta, mutano radicalmente dopo la guerra contro gli zulu. Nel corso del XIX secolo, gli zulu (“cielo” nella loro lingua) diventano un gruppo guerriero dominante dell’Africa meridionale: un popolo di semplici agricoltori e allevatori si è trasformato in una macchina bellica che controlla l’intera regione del Natal e sfida apertamente i coloni olandesi (detti boeri), minacciando gli obiettivi imperialistici di Londra.
La data di inizio delle ostilità coincide con il 1879: nonostante la formidabile e duratura resistenza, la popolazione zulu è vinta dal fuoco nemico, il loro regno viene occupato dagli inglesi e le loro terre sono confiscate in favore dei coloni bianchi.
Il potere e il prestigio britannico vengono ancora una volta scossi nell’inverno del 1884, quando l’impero deve affrontare una misteriosa minaccia nel Sudan. Questa regione non ha strade o ferrovie, è una terra quasi completamente sconosciuta agli europei e le bellicose tribù locali insorgono contro i dominatori, mettendo a repentaglio il prezioso controllo che gli inglesi hanno conquistato nel Canale di Suez.
Il possesso del Sudan è cruciale per connettere l’Egitto ai possedimenti bretoni, sino a Città del Capo. Ma il Sudan si trova anche sulla via dei possedimenti francesi in Africa occidentale e in Somalia. Le due potenze sono ora in rotta di collisione e l’ipotesi di una guerra viene seriamente messa in conto.
La missione coloniale dispiegata dalla Francia non è certamente inferiore a quella britannica. Durante la seconda metà degli anni cinquanta Napoleone III, imperatore di Francia, ha allargato i confini dell’Algeria e del Senegal, proclamato la colonia della Costa d’Avorio e raggiunto il Congo e il Madagascar.
Dal canto loro, anche le potenze minori cominciano a maturare ambizioni espansionistiche in Africa, impadronendosi di quanto è rimasto fuori dai possedimenti inglesi e francesi: la Germania esercita il controllo sul Togo, sul Camerun e sul Tanganika e l’Italia sottomette la Libia e la Somalia. Tuttavia, colui che riesce a distinguersi per crudeltà e ferocia è l’imperatore del Belgio, Leopoldo II.
Per il Belgio è un re riformista: è colui che ha incentivato grandi opere pubbliche e sostenuto la proposta per il suffragio universale maschile. Ma nel cuore del continente africano è conosciuto per il suo lato più oscuro, quello di falso filantropo e artefice della cruenta sopraffazione dello “Stato Libero del Congo”. Risale al 1875 la casuale scoperta del ricco bacino del Congo, sul quale nessuno Stato europeo esercita ancora il controllo.
Comprende sin da subito di dover agire in maniera diversa dal passato: celato dall’illusoria missione della diffusione della civiltà del progresso, avrebbe potuto inserirsi nelle crepe già presenti dei rapporti internazionali e fingere ricerche geografiche e scientifiche con il solo vero scopo di conquistare e arricchirsi.
Nel 1876 Leopoldo II organizza il Congresso Geografico di Bruxelles e invita le autorità delle maggiori società europee a presenziare: l’obiettivo raggiunto è la creazione di una “commissione internazionale di esplorazione e civilizzazione dell’Africa centrale”, la cui apparente natura è umana e pacifica. Per l’imperatore belga è l’occasione più propizia per fare la conoscenza di Henry Morton Stanley, giornalista anglo-americano ed esperto conoscitore dell’Africa, a cui affida ricerche ed esplorazioni in Congo.
Tra il 1879 e il 1884, Stanley esplora ed esamina meticolosamente il territorio, percorre l’intero fiume, si approccia subito alle popolazioni locali e stipula contratti ingannevoli con i capitribù congolesi che, senza saperlo, cedono le loro terre alle mani di Leopoldo II. Le subdole operazioni che vengono condotte nel corso dei mesi sono giustificate dalle missioni civilizzatrici e umanitarie promosse dall’Associazione Internazionale del Congo, fondata proprio dallo stesso re del Belgio, che riesce a circuire i sospetti delle potenze europee.
La Germania e il ruolo di Bismarck
Dal 1871, il ruolo di Cancelliere tedesco è ricoperto da Otto Von Bismarck. Nonostante la Germania sia una potenza essenzialmente continentale, non può esimersi dall’avventura imperialistica: in fondo è diventata quasi un’ovvietà disporre di ricchezze e risorse nel continente africano ed è anche necessario accontentare i capricci dell’opinione pubblica. Sono così inaugurate le fasi iniziali della politica coloniale, dando vita a quello che sarebbe diventato l’impero tedesco in Africa.
Dal punto di vista della politica interna, invece, il Cancelliere vuole garantire una posizione di assoluta sicurezza per la Germania. Per questo motivo decide, nel 1873, di promuovere la formazione della Lega dei Tre Imperatori con Austria e Russia, al fine di poter contenere il poderoso espansionismo francese e russo.
Ma l’equilibrio tanto auspicato sembra essere messo a repentaglio dallo Scramble for Africa. Nonostante gli sforzi riparatori dei dirigenti europei, è innegabile la realtà ostile e tesa sviluppatasi tra le forze colonizzatrici del continente africano; diventa dunque impellente la necessità di un incontro dei rappresentanti diplomatici delle maggiori potenze, al fine di discutere e formalizzare le procedure per la spartizione del territorio tanto conteso.
La Conferenza di Berlino del 1884
Il problema molto delicato è affrontato dal 15 novembre del 1884, durante la cosiddetta Conferenza di Berlino coordinata dallo stesso Bismarck, per la quale sono invitati i Paesi che hanno già interessi e aree di controllo nel continente nero.
I futuri Stati coloniali africani vengono disegnati sulle immense carte geografiche attraverso l’impiego di grandi linee rette, ignorando completamente le appartenenze etniche, linguistiche e religiose che da sempre condizionano l’esistenza delle popolazioni. I confini immaginari e fittizi che vengono delineati seguono come unici principi gli interessi e le pretese delle potenze europee.
Durante l’evento è presente anche Stanley, inviato dagli Stati Uniti ma di fatto alleato belga, che propone di estendere i privilegi del libero commercio dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano, ricoprendo l’intero continente. La proposta non incontra grandi difficoltà; tuttavia, Francia e Portogallo già nutrono rivendicazioni su quelle coste e la Gran Bretagna vorrebbe garantire maggior sicurezza alle sue postazioni occidentali.
L’Inghilterra conduce anche l’ampia discussione che riguarda la regolamentazione del commercio delle materie prime e dei superalcolici, prodotti di fondamentale importanza per le esportazioni olandesi e tedesche. Le potenze in questione decidono che scambi e vendite sarebbero stati controllati dalle autorità locali.
La Conferenza si chiude il 26 febbraio del 1885 e l’esito finale è un Atto Generale, firmato da tutti i Paesi partecipanti, volto al conseguimento di molteplici obiettivi umanitari ed economici: creare migliori condizioni per lo sviluppo del commercio e della civilizzazione attraverso mutua collaborazione e connivenza, assicurare a tutte le nazioni la libera navigazione dei fiumi che sfociano nell’Oceano Atlantico (Congo e Niger), migliorare il benessere materiale e morale delle popolazioni indigene attraverso la soppressione della schiavitù.
Inoltre, ogni potenza può prendere possesso di un territorio costiero non ancora occupato e sancire il suo protettorato attraverso una notifica indirizzata agli altri firmatari, che possono in tal caso avanzare eventuali pretese.
La Conferenza riconosce l’occupazione del territorio congolese da parte dell’Associazione Internazionale del Congo che, in seguito, viene denominato “Stato Libero del Congo”. L’Associazione stessa aderisce all’Atto Generale e i dirigenti europei accettano la sua esistenza, in cambio della concessione di alcuni privilegi sul luogo.
La Conferenza di Berlino e la spartizione del continente africano
Tra i numerosi e ambiziosi obiettivi fissati al termine del convegno, l’arresto dell’espansionismo coloniale non è contemplato: viene disciplinata l’eventuale insurrezione di dispute diplomatiche, impedendo che sfocino in aperti e concreti conflitti internazionali, ma i leader europei procedono indisturbati nei loro piani di colonizzazione. L’Africa è considerata estensione del territorio europeo a tutti gli effetti.
Non appena regolamentato, lo Scramble riprende. La Francia prosegue fino in Senegal, Ciad e Sudan. L’Inghilterra avanza in Kenya, Zimbabwe, Zanzibar e Uganda. La Germania consolida la propria posizione nelle attuali Tanzania e Namibia. L’italia amplia i propri possedimenti in Assab e Massaua, raggiungendo in poco tempo l’Eritrea e l’Etiopia, dove sarà causa e protagonista di vicissitudini belliche.
In definitiva, la corsa per l’Africa peggiora il clima internazionale e pone le forze europee davanti a problemi inediti: una volta sottomessi e conquistati, i territori vanno gestiti. Tuttavia, i molteplici accordi stipulati tra le potenze per la divisione del continente non tengono conto delle differenze che intercorrono tra le popolazioni locali: vengono create separazioni o inclusioni forzate che inevitabilmente portano alle fasi primordiali di sanguinose guerre civili e resistenze contro gli oppressori.
L’intero continente è sottoposto alla supremazia bianca, i territori sono occupati e sfruttati, le popolazioni sono costrette al lavoro forzato. Le principali fonti di guadagno sono rappresentate dal petrolio, dai diamanti e dalle risorse minerarie. Esempio lampante di violenza e terrore disseminati nell’intero continente, dalla fine del diciannovesimo secolo, è rappresentato dal Congo. La
principale fonte di interesse belga è il caucciù, una resina che si ottiene dai cosiddetti alberi della gomma, che deve essere raccolto e inserito all’interno dei barili depositati ai piedi dei tronchi. L’ingente manodopera necessaria alla raccolta e al trasporto della materia verso le coste viene subito affidata alle popolazioni locali; alle forze di polizia (composte da ufficiali bianchi e neri, reclutati dalle tribù e costretti ad agire come carnefici) è invece affidato il compito di mantenere l’ordine, macchiandosi delle peggiori atrocità.
Ogni villaggio deve consegnare una certa quantità di prodotto vegetale; chi non rispetta i termini degli accordi viene punito severamente attraverso la mutilazione, i ribelli vengono assassinati, i villaggi sono distrutti e bruciati, le donne vengono fatte prigioniere e schiave di capricci e depravazioni degli uomini bianchi.
“L’orrore! L’orrore!” (2): non sono solo le ultime parole di Kurtz (personaggio fittizio del celebre romanzo Heart of Darkness di Joseph Conrad), ma è la sentenza definitiva che definisce cause e conseguenze dell’imperialismo europeo. Soprusi e oppressioni, abusi e ingiustizie non verranno mai cancellati completamente dalla storia del continente africano.
Quanto accaduto ha portato in auge comuni effetti negativi anche al termine del processo di decolonizzazione, quando sono state spazzate via intere culture millenarie, milioni di persone sono diventate vittime di genocidi indiscriminati e sono venuti alla luce brutali contrasti tribali. L’Africa è stata dunque condannata a condizioni di perenne instabilità, sotto ogni punto di vista.
Note:
- Enzo Traverso, Il totalitarismo, Ombre Corte, pagina 78.
- Joseph Conrad, Heart of Darkness, Einaudi, pagina 108.
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- Joseph Conrad, Cuore di tenebra, Einaudi, 2016.
- Henri Wesseling, La spartizione dell’Africa 1880-1914, Corbaccio, 2001.