CONTENUTO
L’europeismo di Ventotene
L’Europa che si affaccia alla seconda metà del secolo è profondamente diversa da quella che ha affrontato due conflitti europei in meno di trent’anni. Oltre i singoli Stati nazionali, nel vecchio continente è cambiato l’equilibrio politico che aveva dominato fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Se da un lato si trova la Germania divisa in due zone di occupazione e paesi come l’Italia e la Francia che hanno subito meno danni materiali, ma molte più conseguenze sul piano interno a causa delle guerre civili interne; dall’altro lato si può identificare uno decentramento politico e militare dal vecchio continente verso due poli opposti: gli Stati Uniti e la Russia di Iosif Stalin.
L’Europa si trova ora in una situazione di povertà, è scossa da sentimenti di risentimento ed odio, deve superare in molti casi i residui lasciati dal totalitarismo e dalle guerre civili: questo è il pesante fardello della ricostruzione, sociale ed economica. L’anno zero della nuova vita del vecchio continente è caratterizzato da fame e paura. Una paura stimolata dalla pressione espansionistica sia ideologica che militare dell’Unione sovietica. Di fronte a tale situazione gli Stati Uniti non ci mettono molto a sostituire il Regno Unito come garante dell’ordine europeo con l’intenzione di organizzare la difesa del continente.
Paradossalmente l’idea di unificare l’Europa politicamente ed economicamente, che durante la guerra e la resistenza ha avuto i suoi profeti, sembra ora essere una strada percorribile. Molte tendenze antifasciste che hanno proposto l’unificazione dell’Europa erano diffuse in tutto il continente e avevano coerentemente lottato contro l’abbattimento dei totalitarismi, ma anche per questa nuova esperienza politica di un’Europa unita, come antidoto al risorgere dei fascismi. A partire dagli anni Trenta l’idea di una nuova Europa prende sempre più piede. In ogni paese si alzano così voci a favore di questo nuovo Stato federale che avrebbe dovuto comprendere tutti gli Stati del vecchio continente. La maturazione del movimento europeista, che trova espressione nel movimento intellettuale del Federal Union inglese, oppure nel Comité français pour la Fédération européenne i cui principali esponenti sono Camus e Mounier, trova estrema maturazione durante la guerra con la pubblicazione del Manifesto di Ventotene (1941), base programmatica del Movimento federalista europeo (1943), a cura degli italiani Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, proprio sull’omonima isola dove sono stati esiliati dal fascismo e detenuti.
Il nuovo Stato europeo avrebbe dovuto nascere su base federale governato da una forza politica superiore, dotata anche di un esercito comune, che avrebbe dovuto soprassedere agli spiriti nazionali, così da non ricadere nell’inferno scatenato dai totalitarismi:
«La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale».
Nonostante anche gli USA si pronunciano a favore della creazione degli «Stati Uniti d’Europa» con una mozione favorevole del Congresso, al fine di riordinare il continente per fronteggiare la minaccia sovietica, il destino di tale riorganizzazione seguirà tutt’altra strada.
L’Europa del carbone e dell’acciaio
Finita la guerra i piani del Movimento federalista europeo naufragano contro l’intransigenza degli Stati nazionali di fronte alla costruzione di un grande stato federale: da una parte i singoli Paesi ritengono che tale idea sia un salto nel buio, da un altro lato, quello più pragmatico, essi non hanno il coraggio né la voglia di di rinunciare a quelle prerogative che la costruzione di uno stato federale avrebbe loro tolto.
Tuttavia, è chiaro, soprattutto agli Stati Uniti, che in quelle condizioni va trovata una soluzione che possa proporre un progetto a lungo termine. Il rischio di una non collaborazione tra gli stati europei avrebbe esposto l’intero continente ad una possibile occupazione sovietica.
La strada che si decide di battere è quella della collaborazione economica. Fortemente sostenuta dagli USA, questa nuova forma di ricostruzione europea doveva passare da un accordo tra le potenze dell’Europa occidentale al fine di gestire di comune accordo alcuni tipi di risorse. Questa configurazione non si discosta molto dall’European Recovery Program, che, annunciato nel 1947, ha come obiettivo quello di promuovere e favorire l’integrazione economica europea e, in prospettiva, quella politica.
Se un Europa povera può essere preda delle ideologie estremiste, gli Stati Uniti con il Piano Marshall si assicurano la possibilità di dare stabilità al continente, ma anche la possibilità di far sviluppare in tale contesto una coordinazione armoniosa tra i paesi aderenti al progetto, ponendo così le basi per l’unificazione economica dell’Europa.
I primi tentativi, a dir poco timidi, naufragano in un nulla di fatto. Il solo pensiero di poter perdere alcune delle prerogative nazionali fa cadere ogni tentativo di costruzione di un qualsivoglia organismo europeo. Si affianca in questo momento al fronte federale uno unionista che considerano l’Europa come un insieme di entità sovrane e che tali devono rimanere.
Di fatto una costruzione istituzionale sovranazionale nasce non tanto per seguire un ideale di Europa unita, ma come necessità di evitare nuovi possibili motivi di scontro tra Francia e Germania nel nuovo teatro della Guerra Fredda. La nuova iniziativa proviene infatti dalla Francia e vuole promuovere una messa in comune della produzione e del commercio del carbone e dell’acciaio.
L’idea del francese Jean Monnet, forte sostenitore della collaborazione tra Francia e Germania è quella di creare un autorità sovranazionale indipendente dai governi degli stati partecipanti che soprassieda alla produzione e al commercio di queste risorse in modo da dare una risposta positiva a delle questioni che nonostante i trattati post seconda guerra mondiale rimangono aperte.
Si parla in particolare della questione della Saar; della ricostruzione tedesca che richiede un aumento delle quote di produzione di carbone e acciaio; il problema del riarmo tedesco; la questione della Ruhr; ed il desiderio della Germania di essere reinserita nello scenario europeo come uno Stato fra pari.
Quando il ministro degli esteri francese Schuman, traducendo concretamente l’idea di Monnet, presenta il progetto al salone dell’orologio del Quai d’Orsay nel maggio del 1950 sembra poter nascere una nuova era nella storia dell’Europa. Per la prima volta due nemici storici rinunciano di comune accordo agli strumenti per sostenere un’economia di guerra e fare una politica estera offensiva al fine di controllare di comune accordo la produzione ed il commercio del carbone e dell’acciaio.
L’Italia e i tre Paesi del Benelux (Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) accettano subito la proposta, mentre il Regno Unito la rifiuta. Gli inglesi abdicano in questo modo al suo possibile ruolo di leadership in Europa, lasciando che la costruzione europea prendesse una via autonoma e ostile ai britannici, che tentano pochi anni dopo un progetto parallelo fondando l’EFTA, destinata ad estinguersi nel giro di poco tempo.
La Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) viene fondata ufficialmente con il Trattato di Parigi nel 1951. Essa nasce con un’Alta autorità, che la gestisce di fatto, un’Assemblea parlamentare, i cui membri vengono nominati dai parlamenti nazionali, una Corte di giustizia, un Consiglio dei ministri e infine un Consiglio consultivo, i cui membri sono i rappresentanti dei sindacati, dei produttori e dei consumatori. Questo schema di ripartizione dei poteri e delle funzioni rappresenterà poi un punto di riferimento per ogni successiva costruzione della Comunità europea e dei suoi organismo. Primo presidente dell’Alta autorità non può che essere Jean Monnet.
L’impossibile esercito europeo e la Comunità economica europea
La Ceca sembra stabilire un nesso logico tra il procedimento di funzionalità, che è perfettamente rappresentato dalla «tecnica del carciofo» (foglia dopo foglia per arrivare al cuore), ed il risultato finale della federazione europea. Dopo il carbone e l’acciaio, la situazione internazionale pone all’ordine del giorno la «foglia» successiva: il problema della difesa del continente.
Proprio mentre si discute a Parigi per la Ceca, le truppe comuniste invadono la Corea del Sud. L’inizio di questa guerra sembra mettere sul tavolo la possibilità di quello che sarebbe potuto succedere in Germania se i sovietici avessero voluto invaderla. Senza il riarmo della Germania Ovest ogni difesa dell’Europa occidentale, nonostante il Patto Atlantico e l’organizzazione delle forze della Nato, sembra in quel momento impossibile.
Sono ancora i francesi a prendere l’iniziativa. Nell’ottobre del 1950 il presidente del Consiglio Pleven sottopone all’assemblea il progetto di un esercito europeo sotto forma di una Comunità europea di difesa (Ced) che avrebbe dovuto coinvolgere gli stessi firmatari del Trattato di Parigi. Questo progetto propone un esercito integrato sostenuto da un bilancio comune e sotto un comando unico Nato. Esso è anche l’unico modo per evitare un riarmo tedesco incontrollato sotto uno Stato Maggiore tedesco indipendente, tentando così di vincolarlo sotto un controllo superiore.
L’avallo degli USA alla Ced fa in modo di movimentare la situazione, così che il Trattato viene firmato il 27 gennaio del 1952 a Parigi. La Ced tocca un ambito molto delicato: unificare le forze armate significa per gli Stati firmatari stabilire la nascita di un potere politico responsabile di tale forza militare e quindi in grado di gestire una politica estera comune. Sotto pressione di alcuni europeisti, in primis Alcide De Gasperi, viene inserito l’articolo 38 nel Trattato che prevede l’elaborazione di uno Statuto che avrebbe dovuto configurare la nascita della futura Comunità politica europea, che si sarebbe affiancata alla Ced.
In pochi mesi lo Statuto è pronto. Il progetto prevede un nuovo soggetto istituzionale, la Comunità politica europea (Cpe), di natura prefederale, che sarebbe entrato in vigore solo in caso di ratifica del Trattato Ced. E questa ratifica non avviene. Il progetto si blocca di fronte agli ostruzionismi del parlamento francese, togliendo di fatto dall’imbarazzo l’Italia, che non sembra essere totalmente favorevole alla ratifica.
Gli avvenimenti internazionali riescono ad incidere sulla questione della Ced. Il momentaneo rilassamento della tensione internazionale, dovuto alla morte di Stalin e della fine della guerra di Corea, oltre che le operazioni disastrose dei francesi in Indocina, contribuisce ad una involuzione. Il presidente del Consiglio francese in una situazione simile non vuole tentare di forzare la mano in parlamento, legando la sua politica estera alla ratifica della Ced. Il definitivo voto contrario avviene il 30 agosto del 1954, facendo naufragare per molti anni anche la sola idea di poter agire comunemente in materia di politica estera.
La diretta conseguenza di questi fatti sono i patti bilaterali USA-RFT tramite i quali la Germania Ovest riacquista la possibilità di avere uno Stato Maggiore autonomo e di una autonoma capacità di difesa militare. Quello per cui sono nati i negoziati della Ced, ora si presenta alla Francia in tutta la sua potenziale pericolosità.
Pochi episodi come quelli della Ced mostrano il declino che animano le politiche estere degli stati nazionali europei. Fallisce soprattutto l’approccio istituzionale dell’integrazione europea e la «tecnica del carciofo». Non dopo molto tempo viene rilanciata l’integrazione sul piano economico con la Conferenza di Messina del 1955 e i successivi Trattati di Roma del 1957 che vedono la nascita della Comunità economica europea e della Comunità europea per l’energia atomica, meglio nota come Euratom.
Prende definitivamente piede il metodo economico per la creazione di un fronte comune europeo basato sull’abbattimento delle barriere doganali, sul principio della libertà di movimento di merci, persone e capitali e, in prospettiva, sulla nascita di strumenti monetari ed economici comuni. L’obiettivo rimane in questo frangente, e rimarrà per anni, anche nei giorni odierni, quello di migliorare lo sviluppo economico dei singoli Stati membri della Cee attraverso la creazione di un mercato comune, mentre gli aspetti politici e militari di una comune politica estera restano sospesi in un limbo che non troverà mai una strada concreta.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- P. S. Graglia, L’Unione europea. Perché stare ancora assieme, Il Mulino, 2000.
- Francesca Fauri, L’unione europea. Una storia economica, Il Mulino, 2017.
- E. Rossi, A. Spinelli, Manifesto di Ventotene: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/repository/relazioni/libreria/novita/XVII/Per_unEuropa_libera_e_unita_Ventotene6.763_KB.pdf.
- J. Habermas, Nella spirale tecnocratica. Un’arringa per la solidarietà europea, Laterza, 2014.